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Autore: Ksyl    24/02/2020    3 recensioni
PREQUEL di "Surprise Surprise"
Kate Beckett decide di accettare, a sorpresa, di trascorrere il week end negli Hamptons, nella 2x24, e Gina non è mai stata invitata.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
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5

Il mattino dopo Castle si svegliò molto presto.
Non aveva chiuso occhio, ossessionato da quello che era successo e da tutto il ventaglio delle possibili conseguenze. Si era domandato più e più volte che cosa potesse essere andato storto. Aveva creduto di cogliere dei segnali inesistenti? Aveva perso la sua capacità di interpretare le situazioni – certe situazioni in particolare – nel modo corretto?
O forse, ancor prima, aveva dato per scontato che l'aver accettato il suo invito implicasse qualcosa d'altro? Qualcosa a cui nessuno aveva mai fatto allusione? Doveva essere onesto con se stesso. Era andata così?
Forse l'aveva spaventata o forse si era convinta che, nonostante le rassicurazioni sulle sue fraterne intenzioni, lui avesse avuto in mente da subito uno scopo ben diverso. Si diede dell'idiota. Che cosa gli era saltato in mente, la prima sera, poche ore dopo il loro arrivo?

Non sapeva quale delle molteplici versioni fosse quella giusta. Le ore passavano e lui non aveva smesso di arrovellarsi. Avrebbe voluto alzarsi e dar fuoco al letto o, in alternativa, abbattere la porta della stanza dove dormiva Beckett e implorarla, letteralmente, di parlare con lui e spiegargli che cosa fosse successo.
Non sapeva nemmeno che cosa si sarebbero detti incontrandosi al mattino. Magari sarebbe voluta tornare subito a New York, dichiarando conclusa la vacanza più breve della storia. E tutto il resto. Gli mancò il cuore nell'immaginarsi la scena, il suo futuro solitario, bandito dal distretto.

Decise di alzarsi. Non ne poteva più di rimanere imprigionato tra lenzuola stropicciate e congetture sempre meno realistiche.
Si mise all'opera per preparare una colazione molto più che abbondante, in modo da tenersi impegnato. Voleva avere qualcosa da offrirle in segno di pace. Era una delle funzioni antropologiche del cibo, giusto? Era un simbolo di accoglienza e ospitalità. Forse sarebbe servito a mitigare, almeno in parte, l'opinione pessima che doveva avere di lui a quel punto.
Dopo essersi concesso la prima dose di caffeina della giornata decise di apparecchiare all'aperto. Non faceva ancora abbastanza caldo, ma più tardi si sarebbe trasformato in un angolo magnifico dove consumare insieme il primo pasto della giornata. E parlare. E farsi perdonare. E regalarle un pony.

Preparò il necessario, affettò, andò avanti e indietro più volte dalla cucina, dispose tutto sul tavolo, decise di recuperare un vaso dove mettere dei fiori, gettò il vaso e poi i fiori, bevve un'altra tazza di caffè, si dichiarò soddisfatto del proprio lavoro, ma la porta della camera di Beckett rimase ostinatamente chiusa. Era un messaggio?
Prima o poi sarebbe dovuta scendere, a meno che non volesse calarsi dalla finestra per atterrare sul pergolato di sotto. C'era un pergolato sotto la sua finestra? Non se lo ricordava. Ritenne saggio non andare a controllare.

La voce di Kate all'improvviso alle sue spalle lo fece sobbalzare, facendogli quasi rovesciare il caffè sulla camicia.
"Buongiorno", lo salutò con un po' di affanno. "Hai preparato da mangiare per un esercito? Ha intenzione di sfamare tutto il circondario?"
Castle, stupefatto, guardò prima lei e poi la direzione da cui era arrivata, incapace di articolare una frase di senso compiuto.
"Pensavo che stessi ancora dormendo".
"Non dormo mai a lungo al mattino. Sono andata a correre"
"Anche in vacanza?"
Anche dopo una serata disastrosa?
"Sì, è rilassante. Dovresti provare".
Lui avrebbe usato quell'aggettivo per ben altre attività, ma preferì non farglielo sapere. Meglio essere prudenti.
"Prima vorrei andare a farmi una doccia, se non ti spiace", continuò, del tutto a suo agio.
Lui annuì, senza parlare. Voleva fingere che non fosse successo nulla? Non era troppo perfino per lei? Perché per lui lo era di certo.
L'aspettò impaziente e curioso di vedere che cosa sarebbe successo e come si sarebbe comportata.
Tornò dopo poco, i capelli umidi e un vestito corto indossato sopra il costume. Era un cambiamento abissale rispetto a come l'aveva sempre vista al distretto. Si aspettava davvero che lui facesse finta di niente? In quale girone infernale era finito?

"Qual è il programma di oggi?", chiese allegra prendendo posto al tavolo riccamente imbandito. "Che cosa fai di solito in vacanza?"
Già, che cosa faceva a parte rovinarle?
"Per me non è mai una vera vacanza. Di solito vengo qui a scrivere", iniziò schiarendosi la voce. "Non faccio niente di particolare, sto in piscina, accendo il barbecue, leggo, mi rilasso". Ti bacio.
"Niente di particolare? Non vado in vacanza da almeno dieci anni, per me è un sogno. Con che cosa cominciamo?"
Gli sembrò che rispondesse con un po' troppo entusiasmo, il che gli fece sospettare che forse, come lui, si stava sforzando di mantenere un'atmosfera piacevole e di superare l'imbarazzo. Guardandola meglio riusciva a scorgere un'ombra scura sotto agli occhi che prima non aveva notato, segno che la corsa mattutina era stata più un pretesto per alzarsi, piuttosto che un'abitudine quotidiana da praticare ovunque.
"Se non ti va di stare qui possiamo andare a visitare i dintorni, se ti piacciono, beh... le spiagge e l'antiquariato. L'offerta è limitata", propose Castle, poco convinto.
"Perfetto", rispose lei felice.
"Ti piacciono i negozi di antiquariato?"
"Sì, molto". Davvero? "Non sono esperta, però per arredare il mio nuovo appartamento ho girato molti mercatini. Non posso permettermi tutto quello che voglio, ma qualche buon pezzo sono riuscita a portarmelo a casa. Ci andiamo subito?"

Scattò in piedi. Aveva a malapena sbocconcellato quello che le aveva messo nel piatto.
Kate non voleva rimanere a casa con lui, era evidente. Probabilmente avrebbe accettato anche la proposta di un safari in Kenya, se fossero riusciti a prendere un aereo abbastanza in fretta. Ma se questo era ciò che voleva, lui si sarebbe adeguato. Non desiderava certo che si voltasse all'improvviso per chiedergli di riportarla a casa o di accompagnarla in stazione. Avrebbe fatto di tutto per impedirle di fuggire.
"Certo. Andiamo".

Con sua sorpresa la giornata si rivelò molto al di sopra delle aspettative. Che, a onor del vero, erano state molto basse, almeno da parte sua.
Dopo i primi minuti di conversazione stentata, nell'intimità forzata dell'auto, erano riusciti gradualmente a tornare all'atmosfera cameratesca del pomeriggio precedente. Avevano chiacchierato di svariati argomenti e lei aveva sorriso molto. Più di quanto le avesse mai visto fare.
E lui era stato bene. Aveva avuto la consapevolezza improvvisa di non stare così bene da tanto tempo, perfettamente a proprio agio, senza preoccupazioni o il timore di dire qualcosa di sbagliato. Erano da soli, nessuno avrebbe potuto interromperli, i finestrini erano abbassati e la brezza le scompigliava i capelli. A un certo punto aveva sentito la tensione abbandonare il suo stomaco ed era riuscito a fare, per la prima volta dopo tante ore, un respiro profondo, liberatorio.

Kate era una vera appassionata di antiquariato, a quanto pareva. Era una delle cose che non aveva mai saputo di lei e su cui non avrebbe mai scommesso un centesimo. Quando pensava di essere riuscito a farsi un quadro credibile della sua poliedrica personalità, lei lo sorprendeva mostrandogli parti di sé che non aveva nemmeno sospettato esistessero. Erano parti che mostrava solo a lui, il che lo rendeva incredibilmente felice.
Avevano girovagato a lungo, erano entrati in molti negozi, perché lei aveva gusti molto esigenti e di rado era soddisfatta di qualcosa. Continuava la caccia con instancabile determinazione.

"Di questo passo faremo tutta la costa da qui alla Florida senza trovare niente", si era lamentato. Forse era quello che voleva. Non tornare mai più alla villa per non dover subire ancora approcci sgradevoli da parte sua.
"Il piacere sta nella ricerca, non nell'acquisto", gli aveva spiegato.
"È per questo che non ti fermi mai abbastanza a lungo in nessun negozio? Perché vuoi rendere la ricerca, e quindi il piacere, infiniti?", l'aveva punzecchiata.
"È semplice. Sento subito se ci sarà il pezzo giusto per me. Se non è così preferisco andarmene".
Interessante. Quindi ora sentiva le cose? Pensava fosse una sua prerogativa. "E come sarebbe questo pezzo giusto? Ha delle caratteristiche? È descrivibile?"
Si era voltata a guardarlo pensierosa e aveva soppesato attentamente la risposta. Gli era venuto il dubbio di essere entrato in un terreno minato, delimitato da cartelli di pericolo, che, come al solito, non aveva notato.
"Non lo so... è giusto e basta. Una persona lo sa quando trova quello giusto".
Stava sempre parlando di oggetti, giusto? Non di altro. Non di metafore sentimentali. Dannata donna misteriosa. Non sapeva mai come prenderla.

Alla fine aveva comprato uno specchio. Lui non capiva che cosa avesse di particolare, ma aveva ascoltato con grande interesse una lunga e approfondita dissertazione su stili, ricordi, la nonna italiana, lo chalet di suo padre. Non era mai intervenuto, beandosi dei suoi racconti, che gli avevano svelato nuovi lati di lei, temendo di commettere ancora una volta un passo falso. Le piacevano gli specchi? Bene, l'avrebbe inondata di specchi. Specchi per tutte le stagioni.
Si era fermata e gli aveva sorriso: "Ti sto annoiando a morte, vero?"
"No, assolutamente. Potrei ascoltarti per tutto il giorno".
Non aveva mentito. Era abituato a passare con lei tantissimo tempo, intervallato da estenuanti giornate di solitudine, prima che scoprissero un nuovo cadavere e lei lo avvertisse. Dopo nemmeno ventiquattro ore di Beckett in versione vacanziera moriva dal desiderio di passare con lei ogni minuto della sua vita. Aveva detto vita? Voleva dire giornata. Ogni minuto della sua giornata, notti insonni incluse.

Nel pomeriggio, stanchi e accaldati, dopo essersi fermati per un pranzo leggero in un locale sulla spiaggia, decisero di tornare a casa. Lui con un po' di timore. Lei, piuttosto indifferente.
"È ora di provare il famoso idromassaggio, non trovi?" suggerì Kate, scendendo dall'auto.
Lo aveva davvero proposto o lui era stato vittima di una fantasia molto vivida e realistica? Una delle solite, in sostanza.
"Pensavo volessi fare un bagno nell'oceano".
"L'acqua è gelida, non sono così temeraria. O vuoi dirmi che questo fantomatico idromassaggio non esiste?".
"Per chi mi hai preso? Certo che esiste. Vieni, te lo mostro".
Lei appoggiò il suo prezioso pacchetto su una delle sedie in vimini del patio. "Mi fai compagnia?"
No, Kate, penso che starò qui a fissare il mare aspettando di invecchiare da solo, ma grazie dell'invito.
Non se lo fece dire due volte.

"Wow, Castle, mi aspettavo qualcosa di molto più modesto", si sorprese Kate, una volta a mollo.
"Come se io potessi mai accontentarmi di qualcosa di modesto", rispose Castle con malcelato orgoglio. Era contento che le piacesse.
"In effetti è tutto il giorno che il tuo ego si sta trattenendo. Deve essere stato difficile, vero?"
"Non c'era abbastanza spazio, per via del tuo specchio".
Lei scoppiò a ridere e si mosse nell'acqua, fino a sfiorarlo. La vasca era sagomata in modo da formare un ampio sedile che permetteva di starsene semi sdraiati, invece che seduti con la schiena appoggiata al bordo.
Molto comodo, ma c'erano degli svantaggi. Non per lui, naturalmente. L'acqua e la posizione stessa li mandavano inevitabilmente l'uno contro l'altra, al minimo movimento. Dopo le prime volte, Kate aveva smesso di allontanarsi. Lui non era solo acutamente consapevole dei loro corpi che aderivano a intervalli, ma anche atterrito abbastanza da non voler fare mosse azzardate.
Il che si stava rivelando sempre più difficile.
Non doveva dare niente per scontato. Magari lei pensava che toccarsi casualmente in acqua non fosse proprio toccarsi, perché c'era sempre un corpo estraneo, cioè l'acqua, tra di loro. Forse non si rendeva nemmeno conto di essere così vicina a lui.

Gli appoggiò la testa su una spalla, sospirando. Questo era diverso, rifletté in panico. Non poteva non essere voluto. Doveva essere intenzionale per forza, non poteva dipendere sempre dal peso del liquido spostato, eccetera. Di quel passo sarebbe diventato pazzo prima di sera.
Rimase immobile, con gli occhi chiusi e il volto rivolto a sole, fingendo indifferenza. Non vuol dire niente, Rick. Magari è il suo modo di essere amichevole, che ne sai? 
Lei, senza dire niente, si voltò verso di lui. Finse di non notarlo, finché, nel sollevarsi, il getto dell'acqua non rischiò di allontanarla e lui fu costretto ad allungare istintivamente le mani per trattenerla. Senza sapere come, la trovò seduta sopra di lui. Questo complicava decisamente le cose.

"Kate" mormorò, senza mollare la presa sui fianchi per non farle perdere l'equilibrio e, allo stesso tempo, per tenerla lontana da sé, per il bene di tutti.
Si trattenne finché gli fu possibile farlo e cioè finché non decise che era stanco di comportarsi bene. Non era mai morto nessuno per l'ennesimo rifiuto. Quando mai gli sarebbe ricapitato di averla tra le braccia nella sua piscina? Al massimo avrebbe passato un'altra notte insonne e pazienza. Era pronto a correre il rischio, ma non poteva certo resistere a quegli occhi nocciola screziati di verde che lo stavano fissando e a quelle labbra a cui aveva pensato così spesso. E di cui ricordava tanto bene il sapore.

La baciò. Diversamente dalla sera prima fu un bacio molto cauto. Era pronto a interrompersi al primo segnale negativo da parte sua.
Per qualche strano e miracoloso motivo che non capì mai, lei non si tirò indietro. Gli mise le braccia dietro al collo, mentre lui le mordicchiava il labbro inferiore e lei apriva impercettibilmente la bocca per rendere il bacio più profondo. Si baciarono così a lungo da fargli dimenticare di essere prudente o perfino di essere al mondo. Smise di aspettarsi che lei potesse fermarlo e si lasciò andare.

"Castle", la sentì mormorare con il respiro affrettato, mentre era sceso a baciarle avidamente il collo. Non le diede retta. Era troppo oltre per riuscire a collegare il cervello e, anzi, tornò a divorarle le labbra, come se non l'avesse sentita.
"Castle" ripeté lei di nuovo con tono deciso, mettendogli le mani sulle spalle per attirare la sua attenzione. Si bloccò, sentendosi colpevole. Aveva sbagliato, di nuovo. Non si era ritratto quando glielo aveva chiesto. Era imperdonabile. Chiuse gli occhi o avrebbe peggiorato la situazione implorandola di non andarsene.

Kate gli sfiorò le labbra con le dita e gli disse, a bassa voce: "Andiamo dentro".

   
 
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