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Autore: Luana89    25/02/2020    0 recensioni
«Shùra se ti butti lì dentro e stai almeno un minuto ti darò diecimila dollari, parola di Misha» non piansi sentendo nuovamente quelle parole a distanza di anni, mi feci semplicemente forza sorridendo.
«La tua parola non vale un cazzo, ma voglio fidarmi. Accetto». Scoppiammo a ridere entrambi guardandoci per un lungo istante, fu Misha a riprendere ancora una volta il discorso.
«Quindi adesso temi che la tua anima possa congelarsi?» sorrisi sghembo scrollando le spalle.
«Sono ancora alla ricerca della mia anima, la troverò al quinto soviet probabilmente, mi aspetta rinchiusa in quello specchio da vent’anni ormai. Ah, prima che dimentichi ..sei carino quando sorridi, fallo più spesso». Mi spinse contrariato e imbarazzato.
«Shùra, cosa mi porterai dal tuo viaggio? Mi aspetto almeno un cazzo di regalo». Mi fissò seriamente.
«Non saprei, cosa vorresti?». Scrollai le spalle, nei nostri conti vi erano adesso trenta milioni di dollari, non c’era nulla che non potessi donargli.
«Portami l’orizzonte»
Quando tutto sembrava essersi concluso ecco che le carte tornano a mescolarsi. Shùra e Misha dissero addio alla bratva, ma la bratva aveva davvero detto loro addio?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Tik tok, l’orologio sembrava scandire ogni millesimo di secondo, era come se le lancette a ogni rintocco conficcassero aghi sotto la mia pelle. Mi sentivo svuotato, un uomo grande e grosso come me rannicchiato nell’angolo più buio della stanza. Mi resi conto guardandomi attorno che quella casa non portava tracce di Misha al suo interno, c’era stato così poche volte da non essere riuscito a farla sua, e quello tra tutti era sicuramente il pensiero meno doloroso. Cos’aveva pensato prima che il camion esplodesse? Mi aveva chiamato? Proprio come da bambini, quando si sbucciava il ginocchio andando in bici e urlava piangendo il mio nome, e io correvo da lui rimproverandolo. Ero stato troppo duro con lui in tutti quegli anni? Lo avevo amato abbastanza? V’era stato un momento in quella misera vita condivisa in cui s’era sentito appagato da ciò che gli davo? Portai le mani tremanti a coprire il viso, non ricordavo nella mia esistenza un dolore più viscerale di quello, neppure l’aborto di Sophia, il suo tradimento o la mancanza di mio padre.
«Ha oscurato persino te..» parlai con l’uomo che per anni era stato un fantasma silenzioso, da tempo avevo smesso di vederlo accanto a me, e anche in quel caso ad accogliermi arrivò solo il silenzio. La porta si aprì e io non ebbi la forza di alzarmi o sollevare il viso, sapevo già chi fosse e non riuscivo a guardarla in faccia. Sentivo i suoi occhi su di me, mentre i miei si ostinavano a restar bloccati sul pavimento.
«Eleazar ha chiesto di te, voleva giocare..» non risposti serrando i denti, che donna forte mi ero scelto, vero? Quel suo fingersi di ferro durante il giorno, e piangere in silenzio la notte iniziava pericolosamente a logorarmi dentro. In quella casa era vietato urlare dopo quella notte in cui nostro figlio ci aveva visti devastati. «Mi ascolti? Eleazar piange ogni notte, dice che suo papà ha la ‘’bua’’.»
«Ed è la verità Sophia, suo papà non sta bene.» La mia voce apparve troppo calma anche per me, non sapevo neppure da dove fosse uscita.
«Noi abbiamo bisogno di te Shura..» scattai in piedi come se avessi delle fottute molle, slanciandomi verso di lei.
«E a me? A me chi cazzo ci pensa?» Battei il dito contro il mio petto, avrei voluto sfondarlo di netto e strapparmi il cuore.
«IO, IO.» Ci fissammo ansimanti e increduli, sentii Eleazar piangere vicino la porta probabilmente spaventato dalle urla. «Guarda cos’hai fatto..» Sophia mi girò le spalle, non le permisi di andar via trattenendola con uno strattone.
«Cos’ho fatto? Ho ucciso Misha? La nostra finta bella famigliola felice?» Lo schiaffo che m’arrivò non fu poi così imprevedibile, mollai la presa su di lei carezzandomi la guancia, perché non sentivo assolutamente nulla? Neppure il minimo dolore fisico.
«Pensi io non stia soffrendo? Sto solo cercando di sopravvivere, come faccio da una vita Aleksandr.» Lo sapevo bene, sapevo d’averle provocato l’ennesimo dolore e forse per questo cercavo con insistenza la sua rabbia, il suo odio.
«Non posso mantenere ancora la promessa che ti feci..» fissai la sua schiena tesa, si voltò a scrutarmi con gli occhi colmi di un passato che mai avremmo dimenticato.
«Non voglio tu la mantenga.. io voglio vendetta, tanto quanto la vuoi tu. Non sei l’unico a soffrire, non è solo il tuo cuore agonizzante.. renditene conto e torna da noi, Eleazar ti aspetta e anche lui..» si toccò la pancia, non sapevamo ancora il sesso del bambino nonostante lei si ostinasse a dire fosse un altro maschio. La superai uscendo da quella stanza, afferrando mio figlio ancora piangente. Quando lo strinsi a me il suo odore mi confortò, avevo lasciato una traccia di me a questo mondo, una traccia buona che profumava d’amore.
 

 

Dimitri POV

 
Gettai i registri sopra la scrivania, a due settimane dalla morte di Misha non avevo avuto nessun contatto con Dasha né con Aleksandr, come se si fossero smolecolati nella fottuta aria. Persino Nikita, l’uomo che li aveva traditi sembrava essere sparito dopo aver intascato i soldi pattuiti. Come biasimarlo? Avrei ucciso pure lui se solo mi fosse girata male. Non avevo ancora detto a Irina della morte di suo fratello, continuavo a farla vivere nella sua bolla ‘’felice’’ andando da lei quasi ogni notte, cercando e trovando piacere tra le sue braccia. La porta si aprì e Slonko mi sorrise complice.
«Il jet è pronto, partiamo tra poco.» Annuii indossando la giacca, dovevo tornare a Mosca e concludere alcuni affari, questione di pochi giorni prima di tornare nuovamente negli stati uniti. Eppure l’idea di rivedere la mia patria mi rendeva stranamente euforico, forse perché mi sentivo visceralmente legato ad essa più che a qualunque altra parte del mondo vista nella mia vita.
«Sanno del mio arrivo?» Al suo cenno d’assenso non indugiai oltre lasciando l’ufficio del club. Mancavo da casa ormai da mesi, ero sicuro fosse in uno stato pietoso per questo avevo chiesto ad altri di occuparsene e ripulirla in vista del mio ritorno. Per un secondo pensai di portare con me Irina, che reazione avrebbe avuto all’idea di tornare nella sua patria d’origine? Fu un pensiero nato e morto nel medesimo istante prima che il portello dell’aereo non si chiudesse e io mi lasciassi andare contro i sedili.
 
La Russia mi accolse maestosa e fredda proprio come l’avevo lasciata, approfittai di quella gita improvvisata per incontrare alcune delle famiglie di spicco del posto. In molti aspettavano ormai da anni il cambio della guardia a capo della bratva, e nessuno a parte me era adatto a ricoprire il ruolo che Sergej si accingeva a lasciare senza saperlo. Avevo l’approvazione di molti e tanto mi bastava, avrei iniziato da Kolia finendo poi con il tanto amato Vor. Affetto, amore, erano tutte cose innecessarie nella mia vita se non riguardavano la Brigata del Sole, esisteva solo quella come unico limite per me, e Sergej lo sapeva bene per questo non potevo affrettare le cose, ero quasi sicuro immaginasse un mio colpo di testa dopo avermi tolto il lavoro e non potevo rischiare che i miei piani naufragassero per questo.
«Torniamo a casa?» Slonko mi guardò dallo specchietto retrovisore, da quanto ci conoscevamo? Da tutta la vita probabilmente, eravamo cresciuti tutti insieme compreso Yuri, suo cugino.
«No, andiamo a teatro, ho appuntamento con Sergej.» Chiusi gli occhi sprofondando tra i sedili, mi sarei rilassato con l’ennesima noiosa trasposizione di un qualche famoso balletto della quale non me ne fregava una beneamata minchia, ma a cui partecipavo ormai da anni lasciandomi fotografare e intervistare.
Ci sedemmo uno accanto all’altro, parlando poco e sommessamente, ridendo alle vicendevoli battute in un clima distensivo e colloquiale. Che si fottesse. Se c’era una cosa in cui mi reputavo bravo era di sicuro reggere le farse, soprattutto se imbastite dagli altri come in quel caso.
«Quando tornerai a Las Vegas?» Scendemmo le scale del teatro ignorando i fotografi, dirigendoci alle nostre auto.
«Due giorni al massimo, il tempo di mangiare i pirozki di Maria.» Sorrisi divertito seguito da Sergej finché qualcosa non mi distrasse, un impercettibile cambio nell’aria o forse il semplice frutto della mia immaginazione. Fu come vedere una scena al rallentatore, Slonko mi guardò e salì in auto, poi il boato a pochi metri da me. Venni sbalzato a terra dall’onda d’urto ricadendo sull’asfalto, sentendo la giacca lacerarsi all’altezza del gomito e un rivolo di sangue colarmi dalla tempia. Le urla riempirono l’aria mentre Sergej veniva scortato nella sua auto e io guardavo la mia andare a fuoco. Con Slonko dentro. Mi alzai guardandomi attorno e in quel momento lo sentii: la cabina telefonica a pochi metri squillava. Non so cosa mi portò ad afferrare la cornetta, forse la certezza che quella chiamata fosse diretta solo e soltanto a me.
 
— Cosa si prova a veder morire come un topo l’amico di una vita?
— Sei arrivato al nostro versetto preferito della bibbia? Occhio per occhio..
— Non basterà la sua vita a compensare quella di Misha.
— Oh no, ma probabilmente basterà la tua.. Shura.
— Vieni a prendermi allora, ti aspetto.
 

La chiamata si interruppe bruscamente, fissai la cornetta e le mie dita annerite. Il fumo acre contaminava ormai tutta l’aria bruciando i miei occhi, sentii le sirene dell’ambulanza in lontananza e avrei voluto avvisarli di non correre con tanta solerzia: ormai era troppo tardi per Slonko.

 
 

Irina POV
 

 
Quando Indah apparve sulla soglia dentro di me qualcosa si mise in allarme, forse era colpa del suo sguardo nervoso o dei movimenti veloci e secchi mentre scandagliava il mio armadio.
«Una persona vuole vederti, ma dobbiamo fare alla svelta..» ci fissammo in silenzio qualche istante mentre cercavo di capire dove volesse andare a parare.
«Non dirmi che è un uomo perché..» non mi fece finire tappandomi la bocca, guardando nervosamente la porta chiusa.
«Non lo è, vieni con me e basta.» Mi strattonò per il polso trascinandomi verso le scale, non capivo chi mai potesse volermi vedere soprattutto a quell’ora del giorno, tutti sapevano che il bordello non apriva prima delle sei. Forse per questo avevano scelto un’ora così bizzarra? Le ragazze, compresa Regina, dormivano sempre e non si svegliavano mai prima delle due in tempo per un pranzo leggero prima di prepararsi al ‘’lavoro’’. Aprimmo la porta di servizio immettendoci nel piccolo cortile privato, la vidi subito con quell’abbigliamento ricercato e costoso unito a dei capelli rossi che difficilmente passavano inosservati.
«E’ lei?» Si rivolse a Indah e io percepii il forte e marcato accento russo, nonostante parlasse in inglese. Al suo cenno d’assenso tornò a fissarmi con un sorrisino mesto. «Mi domando perché ti tenga ancora con se..» non ci voleva una laurea o la magia per capire chi fosse il soggetto del discorso.
«Tu sai chi sono, ma io non so chi sei tu però..» la sua risata non mi coinvolse, mi limitai a fissarla freddamente aspettando pazientemente che rispondesse.
«Lavoro con Shura.» A quel nome mossi un passo nella sua direzione, ma venni trattenuta da Indah che m’ammonì silenziosamente. «Sono venuta a porgerti le mie condoglianze e vedere se stai bene..» mi bloccai alla prima parte del discorso mentre il mio cervello iniziava a incepparsi come se d’improvviso ai meccanismi fosse venuto a mancare l’olio.
«Condoglianze.. Shura?» Non era possibile, aveva appena detto di lavorare per lui, che gli fosse successo qualcosa?
«Oh no, non lui.. tuo fratello Misha. E’ morto due settimane fa, non lo sapevi suppongo.» Un forte fischio alle orecchie mi impedì di sentire il continuo delle sue parole, tutto attorno a me iniziò a girare vorticosamente come se fossi salita su una giostra subito dopo aver mangiato. Mi accasciai sputando succhi gastrici dovuti al digiuno della precedente sera, aggrappandomi con le unghie al muro. Le lacrime mi impedivano di vedere chiaramente i visi delle due donne, la testa continuava a girare e girare finché non crollai stesa sul suolo senza riuscire più ad aprire gli occhi.

 
 

Dimitri POV

 
 
Dal suo atterraggio a Mosca Yuri non aveva spiccicato parola, limitandosi a guardare il corpo carbonizzato del cugino sul tavolo sterile dell’obitorio. Sergej era riuscito a mettere tutto a tacere, e i giornali parlavano adesso di un malfunzionamento dell’auto che aveva provocato la violenta esplosione, ma noi sapevamo la verità. Mi versai da bere guardando il pianoforte nell’angolo del soggiorno, sorseggiando il vino con lentezza come a volermelo gustare a fondo.
«Domani torniamo a Las Vegas, abbiamo posticipato già troppo.»
«Ottimo.» O almeno credetti d’aver sentito questo, visto che Yuri ormai abbaiava parole piuttosto che pronunciarle. Sospirai voltandomi a fissarlo.
«Qual è il problema?» Fu come mettere uno zippo vicino a una miccia, lo vidi divenire paonazzo pronto per l’esplosione devastante (parlare d’esplosione in questo caso mi sembrava alquanto beffardo).
«Mi domandavo la stessa fottuta cosa. Ma tu dei sentimenti li hai?» Continuai a bere in silenzio consapevole che il discorso fosse ancora al suo nefasto inizio. «Slonko è morto come un fottuto cane dentro la tua fottuta auto, e tutto quello che hai da dire è ‘’torniamo a Las Vegas’’?»
«Cosa dovrei dirti quindi?»   allargai le braccia con un sorriso sprezzante. «Non capisci? Misha è morto come un fottuto topo dalla bomba che TU hai piazzato sotto MIO ordine, e Slonko è stato il prezzo da pagare, per entrambi. Sono io a doverti dire quindi come vanno le cose qui?»
«Inizio a domandarmi se ti vedrò mai versare una singola schifosa lacrima, se dovessi crepare io cosa diresti ‘’mi raccomando domenica voglio le lasagne a pranzo’’?» scimmiottò la mia voce in maniera alquanto grottesca, sospirai provando a dominare il fastidio.
«E’ una questione sentimentale quindi? Devo sciogliermi in lacrime davanti a te per provarti quanto mi dispiaccia?» Svuotai il contenuto del mio bicchiere sbattendolo contro il mobile, fissando l’amico di tutta una vita.
«No, vorrei solo avere la certezza che Slonko non è morto inutilmente ma per qualcosa che vale la pena.» Restammo in silenzio per minuti interminabili, ognuno perso probabilmente nei propri pensieri.
«Se Sergej fosse qui ti direbbe che per la famiglia ne vale sempre la pena, non sei cresciuto anche tu con noi?» Sentendo e risentendo quelle parole incessantemente, Yuri lo sapeva bene e il suo sguardo me lo confermò.
«Voglio sapere cosa ne pensi tu, non quel vecchio di merda.» Risi senza gioia scrollando le spalle, afferrando stavolta l’intera bottiglia per portarla alle labbra e bere come fossi assetato.
«Non ne vale mai la pena Yuri, morire per amore di qualcuno? Per fiducia o lealtà? Stronzate, tutti vogliamo vivere, metti in una stanza due innamorati affamati.. e vedrai come si strapperanno di dosso la pelle a vicenda.» Mi venne in mente Irina, ogni volta che la situazione diveniva pesante o soffocante i suoi occhi apparivano a non darmi tregua. Lei avrebbe mangiato sicuramente la mia carne pezzo dopo pezzo, e lo stesso avrei fatto io probabilmente. 
 
La villa di Regina era esattamente come la ricordavo, non mi curai di annunciare il mio arrivo salendo direttamente le scale che m’avrebbero condotto alle camere. Conoscevo ormai la sua e lì mi diressi senza indugio aprendo la porta, la penombra mi accolse e i miei occhi faticarono un attimo ad abituarsi all’oscurità. Con la mano cercai l’interruttore trovandolo e accendendo la luce, la sua sagoma stava ritta contro l’armadio fissandomi con occhi taglienti e arrossati e io lessi con assoluta chiarezza la morte di Misha nelle sue iridi ghiaccio. Come a volermi confermare quel pensiero si slanciò su di me con un urlo graffiandomi e strappandomi la camicia.
«BASTARDO. ASSASSINO, SEI UN MOSTRO. TI ODIO.» Non voleva darmi né darsi tregua, odiandomi e odiandosi per cose che ad alta voce neppure osava dire ma che entrambi sapevamo bene. Provai a bloccarne la rabbia fermandole i polsi ma pareva inarrestabile, sentii un forte bruciore alla guancia e qualcosa di denso e viscoso colare dalla ferita mentre le sue unghie si striavano di rosso cremisi. La spinsi rudemente facendola cadere sul letto, provò a rialzarsi e aggredirmi ancora ma il mio peso la bloccò, si dimenò urlando e uccidendomi miliardi di volte con gli occhi fino a sputarmi dritto in faccia. «Mi fai schifo..» le parole uscirono stanche dalle sue labbra esangui, il respiro affannato e il corpo adesso immobile, quasi fiacco.
«Sei soddisfatta adesso?» Ci fissammo e una goccia del mio sangue sporcò le sue labbra, lo leccò con gli occhi colmi di lacrime.
«Per esserlo dovresti semplicemente morire..»
«Non lo saresti neppure in quel caso, è per questo che mi odi.» Voltò il viso come se l’avessi schiaffeggiata e io lentamente mollai la presa ricadendole accanto in silenzio. Era un rapporto che avevo voluto e forzato io, era iniziato come una vendetta ai danni di Misha e m’ero ritrovato invischiato oltre ogni previsione. Ci saremmo semplicemente distrutti a vicenda, io probabilmente sarei sopravvissuto anche a quello ma Irina no, e nonostante quella consapevolezza non l’avrei lasciata andare. Anche a costo di vederla morire davanti a me, proprio come Masha. Quella sposa bambina che mai avevo amato, il paragone adesso sembrava ridicolo. Amavo quindi Irina? No, non ero capace di amare qualcuno all’infuori di me stesso, per questo non sapevo come catalogare ciò che sentivo e sempre per questo mi ritrovavo più confuso ogni volta.
«Mi costringi a stare qui e a odiarti.. ti diverte?» La sua voce appariva spenta, stava rannicchiata con le ginocchia al petto dandomi le spalle.
«Puoi uscire da quella porta e andare via, se vuoi.» No, non era vero non glielo avrei mai permesso. Non era più Misha a tenerla segregata lì, era la mia ossessione per lei.
«Non lo capisci? E’ proprio questo il problema, odiarti e non riuscire a starti lontana.. hai ucciso mio fratello, uccidi anche me e falla finita tu.» Le circondai la schiena con le braccia attirandola contro il mio petto, seppellendo il viso contro i suoi capelli. Odorava di vaniglia, un profumo di cui mi ero scoperto dipendente solo dopo aver conosciuto lei.
«Mi sono domandato spesso se saresti riuscita a perdonarmi.»
«E che risposta ti sei dato?» Quella calma tra di noi suonava ancora più assordante del caos di poco prima.
«Sophia ha perdonato Shura.» La provocai sorridendo arcigno, sapeva bene dove volessi andare a parare.
«Shura è una persona capace di amare e compensare con quello gli errori.. tu no.» La risposta non era sicuramente quella che mi aspettavo, forse per questo mi sentivo così dipendente da lei. Lei che non andava mai nella direzione che avevo delineato. «Finché avrò fiato in questo corpo, non avrai il perdono che cerchi.»
«Pensi voglia il tuo perdono?» Sollevai appena il viso improvvisamente attento, il suo corpo si era afflosciato contro il mio come un fiore a cui mancava l’acqua.
«Lo vuoi, solo che non te ne rendi conto e questa sarà la mia punizione per te. Non oggi, non domani, ma in futuro questo tarlo ti porterà alla pazzia.. e io ti guarderò gioendo Dimitri Cernenko. Mio amore odiato.»
 
«Quanto ti piace il Giappone, dolcezza?» Yuri mi fissò in cagnesco, se per la meta scelta o per il vezzeggiativo era tutto da vedere.
«Quando sei tu a nominarlo non mi piace per niente.» Sorrisi mellifluo colpendo la palla che andò dritta in buca, decretando la completa disfatta del mio avversario.
«Dicono che in questo periodo fioriscano i ciliegi, ti consiglio di portarti vestiti leggeri.» Lo guardai poggiare la stecca sul tavolo e fissarmi con cautela.
«Cosa cazzo stai dicendo, adesso?» Sospirai sistemando nuovamente le palle sul panno verde.
«Hai forse dimenticato il conto in sospeso con Sasaki? Beh, io no.» Non mi curai d’osservare la sua espressione, sapevo già da me quali fossero le sue idee in merito. A detta sua bisognava andare avanti e stendere i rapporti con la mafia giapponese, ed era ciò che volevo ovviamente.. ma a modo mio.
«Lascia che ti spieghi due o tre cosette, Dima.»
«Oh si ti prego, non vedo l’ora.» Incrociai le braccia al petto stirando le labbra in quello che mi parve un sorriso, non che mi importasse molto farlo apparire come tale.
«Hai in mente un colpo di stato ai danni di una delle famiglie più influenti del mondo: la bratva. In una situazione simile devi lasciare perdere tutto il resto, lo capisci? Se ti inimichi la Yakuza..»
«No, non la Yakuza ma la famiglia di Sasaki ed è ben diverso, sai cosa muove questo mondo Yuri?» Inarcai un sopracciglio afferrando la pallina bianca distante dalla piramide colorata che io stesso avevo formato. «E’ la paura amico mio, lancia un lupo in un gregge di pecore e guarda queste come si disperdono..» scaraventai il pallino sul tavolo osservando le sfere sfrecciare sul panno verde con occhi divertiti. «E dopo essersi disperse, catturale tutte.. una per una.»
«Posso dire una cosa?» Lo guardai alzare la mano come fossimo a scuola.
«Se proprio devi..»
«Sei proprio un coglione pazzo.»
 
«Fai la valigia, partiamo tra meno di due ore.» Irina seduta si voltò a fissarmi, indossava ancora la vestaglia ma i suoi occhi non portavano tracce di sonno.
«Dove andiamo?»
«In Giappone, che ne pensi?» Lo dissi come se mi importasse davvero quanto o se volesse venire, e lei sembrò leggermi lo sguardo accigliandosi e fissandomi sprezzante. Nonostante i sentimenti che sentivo fluire fuori dalla sua persona, dopo quella notte persisteva nel fondo delle sue iridi una durezza che prima non c’era. Continuava a non perdonarmi, e forse non l’avrebbe fatto mai.
«Vai lì per affari..?» si informò cautamente aprendo l’armadio per estrarre una valigia che iniziò a riempire apparentemente alla rinfusa ma dettagliatamente con un preciso ordine.
«Potremmo chiamarli così si..» feci il vago di proposito aprendo il cassetto della biancheria intima, gettando dentro la valigia il mio completo intimo preferito. Non apprezzò la battuta incenerendomi con un’occhiata. Ma il completino rimase lì dove stava.
Che male c’era a unire l’utile al dilettevole? Nel caso specifico uccidere Sasaki e godermi la terra nipponica con Irina? Ai miei occhi nulla, in quelli di Yuri c’era di tutto e di più.
«Non ti stanchi mai a vivere d’ansia? Come cazzo campi.» Gli diedi una botta assestata tra capo e collo beccandomi i suoi insulti, sedendomi accanto a lui senza perdere d’occhio Irina a pochi metri di distanza intenta a fissare oltre l’oblò l’immensa distesa di nuvole.
«Stiamo facendo un fottuto casino, me lo sento.» Mi grattai la tempia con un sospiro, iniziavo a perdere la pazienza e non era mai un bene.
«Chi prova a calpestarmi deve pagare Yuri, non è un semplice dato di fatto questo.. è legge.» Lo fissai sfidandolo a ribattere, capì probabilmente dove avessi piazzato il limite a quella conversazione e restò in silenzio affossandosi contro la poltrona con la chiara intenzione di ignorarmi e dormire.
 
«Non siate avari coi proiettili.» Caricai il fucile con un colpo secco, fuori la porta una prima scia di sangue, all’interno un vociare insistente. Avevo lasciato Irina in albergo, mi aveva fissato poco prima che uscissi con il tipico sguardo di chi ti ha già spogliato dell’anima e la sta rivoltando a suo piacere.
«Non è meglio coprire il volto?» La voce di Yuri mi strappò uno sbuffo.
«Hai mai visto un morto che fa la spia?» Sorrisi asciutto beccandomi la sua occhiata più feroce. Non aveva idea del fatto che io volessi far sapere a tutti chi era il responsabile di quella carneficina. Il tempo sembrò fermarsi finché al mio cenno la porta non si aprì con un boato. «Sasaki è mio, non toccatelo..» e tra le urla, il fumo e gli spari arrivai finalmente a colui che avevo atteso per anni. Il colpo era arrivato dritto alla sua spina dorsale costringendolo a terra, sembrava essersi pisciato sotto peccato sguazzasse nel suo sangue. Mi chinai sorridendo meditabondo.
«L’idea di lasciarti vivo su una sedia a rotelle è allettante, ma non quanto quella di toglierti tutto..» afferrai il coltello che conficcai dritto nella sua fronte, piantandolo contro il pavimento. I suoi occhi sbarrati e annacquati continuarono a fissarmi mentre scoprivo il suo petto osservando i tatuaggi, tracciando nella carne una profonda e gigantesca ‘’D’’. Tutti dovevano sapere chi aveva ucciso il boss della yakuza Sasaki.
 
 

Aleksandr POV

 
 
In quei giorni avevo avuto la conferma di quanto fosse stato difficile uscire da quella vita di sangue e morte, e allo stesso tempo di quanto fosse stato facile rientrare nel giro. In pochi anni di assenza nessuno aveva dimenticato il sicario della bratva considerato morto e riapparso come un moderno Lazzaro. Se la bratva aveva i suoi tentacoli ovunque, allo stesso modo possedeva nemici in ogni angolo. Gente disposta a mettersi al mio fianco per la mia personale vendetta, la stessa gente che irruppe con me nel bordello di Regina. Tramite una soffiata ero riuscito a sapere dove tenesse segregata Irina, ed ero lì proprio per lei. Tipico di Dimitri chiudere la sorella di Misha in un fottuto bordello, se solo lo avessi avuto faccia a faccia ero sicuro di lui non sarebbe rimasta neppure la pelle, mi sarei accertato di staccarla personalmente. Quando mi guardavo allo specchio sentivo di non riconoscermi più, come se Misha si fosse portato con se una parte di me stesso e della mia umanità.
«State commettendo uno sbaglio.» Fissai Regina seduta sulla poltrona mentre i ragazzi mettevano a soqquadro il posto distruggendo tutto. Le sorrisi divertito avvicinandomi a lei.
«Dovresti essere felice, ti diamo la pensione anticipata.» Allungai una mano verso di lei, la schiaffeggiò con forza incenerendomi con un’occhiata.
«Irina non è qui, Dima l’ha portata con se.» A quella notizia il mio sorriso sparì dal viso in favore di un’occhiata più truce. Mi guardai attorno richiamando l’attenzione di un uomo.
«Di questo posto non devono restare neppure le fondamenta, getta la benzina e uscite tutti fuori.»
«NO.» Regina si sporse verso di me, la spinsi rudemente afferrandola poi per il braccio, trascinandola fuori da quella casa per poi rientrare. Osservai l’atrio desolato e silenzioso, le scale che portavano ai piani superiori ed estrassi lo zippo.
«Brucia all’inferno figlio di puttana.» Quando mi allontani lungo la via le fiamme stavano già avvolgendo l’intero edificio, uno dei luoghi di punta della prostituzione curata dalla bratva; non riuscii comunque a sorridere, continuavo a sentire freddo dentro l’anima fino a congelare del tutto. Misha, come posso pensare di vivere questa vita per entrambi?
 

 
  
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