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Autore: Mari_Criscuolo    27/02/2020    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«State zitti, caproni. Sto dormendo», borbottò Ella, con il viso sepolto nell’incavo del collo di Gabriele.
 
Nonostante lo stato di semi coscienza, sapeva esattamente che si trovava nella stessa posizione in cui si era addormentata, cullata dalle carezze del ragazzo che la stava ancora stringendo tra le braccia.
 
Il calore emanato dai loro corpi gli regalava una piacevole sensazione di pace e tranquillità.
 
Ella spostò la mano abbandonata sul petto di Gabriele e, senza rifletterci troppo, la fece scivolare verso il basso fino a raggiungere il suo fianco per avvolgerlo e stringerlo a sé.
 
Aveva dormito così bene che stava prendendo in considerazione di renderlo suo schiavo del sonno, ammanettarlo al termosifone e liberarlo solo la notte per usarlo come cuscino.
 
«Che ha detto?» chiese una voce fuori campo, che le sembrò assomigliare a quella di Sofia.
 
«Ho capito solo “caproni”», le rispose Gabriele, reprimendo una risata per non infastidire, con i movimenti del torace, la ragazza che si trovava comodamente spiaggiata su di lui.
 
Quando si era svegliato, la prima cosa a cui aveva pensato era stata: “Se non lo farà lei, prima o poi saranno i suoi capelli ad uccidermi”, perché quei lunghi ricci non avevano seppellito solo il viso di Ella, ma anche il suo. Se li era ritrovati persino in bocca e, per quanto avessero un ottimo profumo, non erano buoni da mangiare.
 
Dopo averli spostati delicatamente, facendo molta attenzione a non svegliarla, era rimasto incantato dalla tenerezza della sua espressione e dalla dolcezza con cui stringeva nel pugno della sua mano sinistra un piccolo pezzo di stoffa della sua maglietta, all’altezza del petto.
 
Incapace di realizzare la realtà di quella situazione, Gabriele aveva iniziato ad accarezzarle il fianco per poi risalire e percorrere tutta la lunghezza della sua schiena.
 
Non aveva smesso di muovere le mani sul suo corpo nemmeno quando Cristina e Sofia erano piombate in soggiorno con due cartoni di pizza tra le mani.
 
Ella non era più un vivido sogno.
 
Lei era reale.
 
«Visto come è simpatica anche appena sveglia?» domandò ironicamente Sofia.
 
«Dai, strega, apri gli occhi. Sono le nove, è arrivata la pizza e stiamo morendo di fame a causa…»
 
La stessa mano che poco prima stringeva la vita di Gabriele, si schiantò con poca delicatezza sulla sua bocca per farlo tacere.
 
Il ragazzo mugugnò qualcosa che risultò incomprensibile, perché attutita dal palmo di Ella che premeva sulle sue labbra.
 
Per alcune persone il silenzio era qualcosa di inconcepibile.
 
«Come farai a tappare la bocca anche a me?» la sfidò Sofia.
 
«E a me?» intervenne Cristina.
 
«Biancaneve?» chiese Ella confusa, mentre liberava Gabriele dalla museruola improvvisata.
 
«Sono arrivata un’ora fa. Siete molto dolci insieme, avrei voluto farvi una foto, ma Sofia me lo impedito.»
 
Le parole gentili di Cristina la freddarono all’istante e il suo corpo si irrigidì tra le braccia di Gabriele, che non impiegò molto a capire il motivo del suo cambiamento d’umore.
 
Le aveva appena sbattuto in faccia il fatto che formassero una bella coppia, quando in realtà non erano assolutamente niente, o meglio, Ella non aveva ancora la minima idea di cosa fossero e se mai sarebbero stati qualcosa, eppure le sembrava così naturale cercare il calore di Gabriele, i suoi sorrisi, le sue carezze, la sua voce.
 
Tutto, semplicemente tutto.
 
Cos’era quella sensazione? Era forte e dolorosa, ma allo stesso tempo piacevole e rassicurante. Si era annidata nel suo stomaco ed era pesante, ma non tanto da farle provare la familiare sensazione di nausea.
 
Si sentiva spaventata e confusa, paralizzata e incapace di reagire. Avrebbe voluto scappare da quella situazione che lei stessa aveva creato seguendo il suo istinto, eppure non voleva muoversi da lì, perché si sentiva al suo posto per la prima volta dopo così tanto tempo da farle venire le lacrime agli occhi.
 
Si chiese il motivo per cui avrebbe dovuto fuggire da quelle emozioni, perché anche se non era pronta ad associarle sotto lo stesso nome, sperava che vivendole, presto o tardi, avrebbe trovato il coraggio di accoglierle senza paura.
 
«Ho capito, mi alzo, ma è meglio che voi due iniziate a correre molto lontano da me, specialmente tu», concluse, puntando il dito contro Cristina.
 
«Ma che ho detto?» chiese a Sofia, guardandola con espressione mortificata e confusa.
 
«Lasciala perdere, ha dei problemi con i complimenti e la gentilezza», la rassicurò Sofia, avvolgendole un braccio intorno alle spalle, mentre si dirigevano verso il tavolo della cucina.
 
«Stai bene?» Gabriele aveva intuito i pensieri minacciosi e confusi di Ella, dalla tensione che emanava il suo corpo.
 
Sebbene il suo istinto avesse arrestato i suoi movimenti, la parte razionale di lui lo aveva spinto a riprendere le carezze, mosse dalla promessa che le aveva fatto qualche settimana prima.
 
Ella annuì perché, nonostante la paura non l’avesse ancora abbandonata completamente, si sentiva meno appesantita dalle sensazioni che il commento di Cristina aveva suscitato in lei.
 
«Potresti allentare la presa, uomo d’acciaio, così mi scollo di dosso», lo incitò, incapaci di restare un secondo di più in quella posizione.
 
Non stava scappando e non aveva intenzione di farlo in futuro, ma aveva bisogno di riprendere il controllo dei propri pensieri e ciò comportava mettere una certa distanza di sicurezza tra i loro corpi.
 
«Non mi piace l’idea. Ho dormito meglio in queste due ore che nell’ultima settimana», rispose, sospirando rassegnato all’idea che avrebbe dovuto lasciarla andare.
 
Riusciva già a sentire il vuoto lasciato dalla sua presenza incombere su di lui, nonostante non si fosse ancora mossa.
 
Ella aveva percepito non solo la sua riluttanza nelle sue parole, ma anche la paura nel suo tono di voce.
 
Poche ore prima gli aveva assicurato che non se ne sarebbe andata, ma non poteva di certo biasimarlo se ancora non riusciva a credere che tutto quello che stavano vivendo fosse reale.
 
Erano lì, insieme, dopo un tempo infinito che si era trasformato in un secondo nell’attimo in cui si erano rivisti.
 
«Avresti dovuto pensarci prima di svegliarmi. Forza, delfino, capiterà sicuramente di nuovo», disse, scuotendolo leggermente.
 
Nonostante si fosse liberato dal peso che si era costretto a trascinare da solo, era ancora estremamente fragile e impaurito.
 
Sembrava un bambino.
 
Aveva vissuto gli ultimi cinque anni a prendersi cura della madre e del fratello, accollandosi anche il ruolo di padre di famiglia. Era dovuto diventare perfetto, reprimendo i difetti per mostrare solo i pregi; si era costretto a essere forte, anche quando le debolezze erano troppo grandi da combattere; era dovuto diventare ciò che non era, per amore.
 
E mentre lui faceva l’impossibile per tenere insiemi i pezzi di una famiglia che si stava sgretolando, le sue fondamenta marcivano sotto gli occhi incuranti di chi cercava di proteggere.
 
«Almeno ho avuto anche il tempo di accarezzarti i capelli e la schiena.»
 
Gabriele le aveva detto che lei era il suo punto di riferimento, un enorme responsabilità che avrebbe imparato a gestire giorno dopo giorno grazie al suo aiuto, perché non era sola.
 
Lui gli avrebbe mostrato le fragilità che nessuno aveva curato, nemmeno se stesso, e lei avrebbe capito cosa fare per restituirgli il sorriso sincero che aveva perso.
 
«Ti ho concesso il grande onore di dormire con me, credi davvero che non me lo aspettassi? Povero illuso», disse divertita.
 
«E la cosa non ti infastidisce?» chiese perplesso.
 
Probabilmente era stata una domanda stupida, ma a sua discolpa poteva dire che era stata dettata dal terrore di aver superato un limite che non aveva visto.
 
Purtroppo era così confuso e spaesato da non sapere più cosa gli era concesso fare e cosa no. Ella lo aveva destabilizzato con le sue attenzioni e quella dolcezza inaspettata, tanto che non aveva idea di come si sarebbe dovuto comportare.
 
Solo lei era capace di farlo sentire in imbarazzo, nonostante non avesse fatto nulla per provare quella sensazione.
 
«Ti ho abbracciato e ho lasciato che mi abbracciassi, quindi spiegami come le tue carezze potrebbero farmi innervosire.»
 
Esercitando una maggiore pressione con il corpo, riuscì a sciogliere la forte presa di Gabriele. Si sedette sul divano con il busto rivolto nella sua direzione, per osservare finalmente il suo viso riposato.
 
Le occhiaie erano ancora visibili, ma almeno aveva un’espressione serena e non più il risultato di un giretto poco piacevole nella centrifuga.
 
«Non lo so, ma mi sono sentito un ladro», ammise con voce affranta dalla sua presunta colpevolezza.
 
«Capisco la tua paura, ma adesso puoi accantonarla. Non ho intenzione di staccarti una mano, quindi stai tranquillo e respira», lo rassicurò con tutta la gentilezza di cui era capace.
 
Ecco il suo primo passo nel lungo cammino che attendeva entrambi: alleggerire le sue insicurezze e trasformarle in inattaccabili certezze.
 
«Adesso andiamo a mangiare, che il mio stomaco sta iniziando a farsi sentire», lo incitò e, dopo essersi alzata in piedi, gli tese una mano per aiutarlo a ricomporsi.
 
Gabriele la seguì e per il resto della serata non fece altro che riflettere sulle emozioni che Ella gli aveva fatto provare.
 
Lei era inafferrabile come l’aria. Gli aveva donato l’illusione di poterla stringere, per poi dissolversi tra le sue braccia e, in un attimo, si era ritrovato ad abbracciare se stesso, per consolarsi dalla viscerale sofferenza di quella mancanza.
 
La sensazione era molto più dolorosa di quanto ricordasse, probabilmente perché anche i suoi sentimenti per lei erano cresciuti e, di conseguenza, la distanza dopo il riavvicinamento era inevitabile che gli provocasse un male così profondo da diventare fisico.
 
Poteva essere una persona sia la causa della malattia che il principio della cura?
 
«Ascoltali! I figli della notte, che musica che fanno!» esclamò Ella, sollevando entrambe le braccia in direzione del soffitto.
 
Il film che avevano deciso di vedere era terminato da cinque minuti e, se fino a quel momento il frastuono della batteria era stato sovrastato dal volume della televisione, adesso si sentivano chiaramente non solo gli strumenti, ma anche la voce poco intonata del cantante.
 
«Ecco come il conte Dracula entrò nel corpo di una giovane fanciulla», commentò Gabriele, richiamato dall’esasperata voce di Ella.
 
«Tu e tuo fratello mi avete impedito due volte di salire negli ultimi mesi e ho lasciato fare a voi, ma come disse mio padre prima di uccidere mia madre...se vuoi un lavoro ben fatto, fallo da solo», ribatté Ella, puntando il dito contro Sofia per sfidarla a contraddirla.
 
«Non credi di esagerare? Non ti ci vedo molto nei panni di un cacciatore di vampiri», intervenne Gabriele, riconoscendo il film da cui aveva tratto la citazione.
 
«Auguri per la tua morte. È stato un piacere poterti rivedere», commentò Sofia, salutandolo con la mano, prima che fosse investito dall’ira di Ella.
 
«Tu stai sopportando questo frastuono, da quanto? Cinque minuti? Ti consiglio di non esprimere ulteriori giudizi inutili. Sofia è praticamente sorda da un orecchio, per questo non si lamenta. Biancaneve e Lorenzo sono gli unici che mi comprendono.»
 
Era talmente esagitata che si alzò in piedi, iniziando a camminare avanti e indietro tra il divano e il mobile su cui era poggiata la televisione.
 
«Non ho detto che è sopportabile, ho solo detto che massacrare una persona sarebbe eccessivo», rispose Gabriele, cercando di calmarla.
 
«Ti prego, non ucciderlo», la supplicò Cristina, unendo le mani in segno di preghiera.
 
«Se ti dovesse servire una mano per occultare il cadavere e nascondere le prove, chiamami», aggiunse Sofia.
 
«Mi prendete in giro?» chiese Ella, guardandoli con un’espressione sconvolta. Non lo ammazzerei mai, altrimenti verrei messa in cima alla lista dei sospettati. Le basi ragazzi, per favore!»
 
«Quindi cosa vorresti fare?» domandò Gabriele, incuriosito.
 
«Minacciare qualcuno è molto più soddisfacente», affermò Ella diabolica.
 
«Tu vorresti intimidire un uomo di trent’anni?» La voce acuta di Cristina e i suoi occhi sgranati la fecero ridere di gusto.
 
«Hai paura, Biancaneve?» la punzecchiò.
 
Tutti i presenti si scambiarono sguardi scettici, consapevoli che se Ella fosse salita al piano superiore, probabilmente avrebbe potuto non scendere più.
 
«Solo io penso che non dovrebbe andare da sola, se non vuole essere rapita, picchiata e ritrovata tra due mesi sepolta in un campo abbandonato ricoperta da vermi che mangiano il suo corpo in decomposizione?»
 
Cristina parlò così velocemente e con un tono che trasudava tanta preoccupazione da attirare tutta la loro attenzione su di sé.
 
«Dovresti smetterla di vedere Criminal minds», le suggerì Gabriele.
 
«Sul serio, ci metterò due minuti. Non ti preoccupare», le disse Ella gentilmente, mentre iniziava a incamminarsi verso l’ingresso.
 
«Tu non ti muovi da qui a meno che non ti faccia accompagnare.» Il tono perentorio usato da Sofia non ammetteva repliche.
 
Ella era una mina vagante e diventava incosciente quando sapeva di avere la ragione dalla propria parte.
 
«Sofia, sul serio? Esattamente come potresti impedirmelo?» La sfidò Ella, incrociando le braccia sotto il seno.
 
«Non sai come potrebbe reagire la persona che hai di fronte e per quanto sia inverosimile lo scenario immaginato da Cristina, il punto è che anche tu sei troppo imprevedibile», rispose Sofia, chiarendo il suo punto di vista che non ammetteva discussioni.
 
Essere forte e indipendente non significava peccare di incoscienza e a costo di legarla a una sedia, lei non avrebbe lasciato quell’appartamento se non accompagnata.
 
«Forse a lei risulterebbe più difficile, ma io non dovrei sforzarmi troppo. Anzi sarebbe fin troppo facile» intervenne Gabriele, appoggiando le argomentazioni di Sofia.
 
Non metteva in discussione la sua capacità di intimorire qualcuno, ma le conseguenze avrebbero potuto sfuggire a ogni controllo.
 
«Va bene, mi arrendo. Comunque siete inquietanti quando vi coalizzate», puntualizzò Ella, scuotendo la testa incredula di fronte all’assurdità di tutta quella situazione.
 
«Contro di te, solo l’unione fa la forza», disse Sofia, guardandola con soddisfazione.
 
«I mondi possono cambiare, le galassie disintegrarsi, ma una donna rimane sempre una donna. Mi porti su, signor Scott», esordì Gabriele, alzandosi in piedi per accompagnare Ella dal simpatico e non troppo educato condomino.
 
«Guarda che sono io il capitano dell’Enterprise», lo rimproverò Ella, puntandogli contro l’indice.
 
«O capitano! Mio capitano!» esclamò Gabriele.
 
«Carpe diem, cogliamo l’attimo ragazzo, rendiamo straordinaria la nostra vita», gli rispose Ella, con la frase più conosciuta tratta dal film “L’attimo fuggente”.
 
«Cosa sta succedendo?» sussurrò Cristina a Sofia.
 
«Quelli che vedi sono i due ragazzini di cinque anni fa» le spiegò con un sorriso dipinto sulle labbra. «Erano anni che non vedevo Ella così felice.»
 
«Stanno recuperando il tempo perduto», constatò Cristina.
 
Insieme erano uno spettacolo unico da osservare per quanta sintonia e complicità ci fosse tra loro. Sembrava avessero le menti connesse e che già sapessero cosa l’altro avrebbe detto ancora prima che parlasse.
 
Nulla era cambiato. Giocavano come allora e si divertivano forse anche di più. Il legame che li univa non si era mai spezzato, forse indebolito, ma adesso tutti in quella stanza potevano vederlo e percepirlo, perché era proprio sotto i loro occhi molto più forte e resistente di quanto lo fosse mai stato.
 
Anche se Ella non era ancora pronta ad accoglierlo, Gabriele era fiducioso, perché la felicità che illuminava le sue iridi azzurre non poteva essere solo un’illusione.
 
«Va bene ragazze. Vado, l'ammazzo e torno!» esclamò Ella, afferrando il braccio di Gabriele e incamminandosi verso la porta sulle parole del film “Il Buono, il Brutto e il Cattivo”.
 
Dopo qualche minuto di silenzio, mentre salivano le scale, Ella chiese: «Non mi dici nulla?»
 
«Dovrei?» domandò in risposta, osservandola con perplessità.
 
«Non lo so. Mi aspettavo qualcosa tipo: “Prova a essere diplomatica", oppure, “Contieni la tua furia omicida”.»
 
«Come direbbe una ragazza di mia conoscenza: “Sarebbe solo uno spreco di ossigeno”.»
 
«Da quando sei così parsimonioso?»
 
«Da quando ti conosco e credo che il pianeta mi sia debitore, considerando che risparmio almeno la metà di tutta l’aria presente nell’atmosfera», rispose Gabriele, rivolgendole un sorriso divertito.
 
«Esagerato», commentò, sbuffando per la sua affermazione decisamente poco veritiera, perché a volte si degnava anche di prendere in considerazione l’opinione altrui.
 
Giunti in prossimità dell’appartamento, dove da lì a breve si sarebbe consumato un crimine, Ella premette con calma il pulsante del campanello.
 
«Toc toc! C’è qualcuno? È arrivato il lupo cattivo!», esclamò, provando a bussare sulla porta con le nocche della mano destra.
 
«Citare Shining non credo lo invoglierà ad aprirti» le fece notare Gabriele, che nel frattempo si era comodamente appoggiato con la spalla destra al muro, mentre si gustava la scena con una scintilla di divertimento nello sguardo.
 
Era uno spettacolo vedere Ella arrabbiarsi, ma solo se la sua ira non era rivolta contro di lui.
 
«Hai ragione, che sbadata. Avrei dovuto portare con me anche l’ascia», rispose sarcastica.
 
«Sarebbe stato un vero tocco di classe», commentò, rivolgendole un sorriso così gioioso da lasciarla interdetta per qualche secondo.
 
Era lì per distruggere un uomo, non per farsi imbambolare dalle attenzioni di Gabriele.
 
«Wendy, tesoro, luce della mia vita! Non ti farò niente. Solo che devi lasciarmi entrare. Ho detto che non ti farò niente. Soltanto, quella testa te la spacco in due, quella tua testolina te la faccio a pezzi.»
 
Per far funzionare quella battuta era stata costretta a cambiarne una piccola parte, ma era convinta che Kubrick l’avrebbe perdonata.
 
«Io ci rinuncio.»
 
Gabriele non poté non alzare le mani in segno di resa di fronte alla caparbietà di quella ragazza. Probabilmente nulla avrebbe potuto impedirle di recitare l’intero copione di quella pellicola.
 
«Quante storie. Preferisci che citi Blade Runner?» gli chiese, incrociando le braccia spazientita.
 
«Preferirei che aspettassi con calma, invece di dare fondo alla tua conoscenza di minacce in materia cinematografica.»
 
Nonostante le sue rimostranze, Gabriele dovette riconoscere che le faceva un effetto non proprio opportuno, considerate le circostanze, vederla sfogare la sua furia attraverso la sceneggiatura di vecchi film.
 
Tutta quella situazione aveva un non so che di eccitante.
 
«Sveglia! È tempo di morire!» esclamò, schiacciando in modo ripetitivo e compulsivo il campanello e avrebbe continuato fino a quando non avessero aperto quella maledetta porta.
 
«Non mi guardare così, se non avessero la musica così alta non dovrei comportarmi come una pazza per farmi sentire», rimproverò Gabriele, staccando finalmente l’indice dall’interruttore.
 
«Si, ma cerca di contenerti, perché se a lui parlerai in questo modo, probabilmente non capirebbe la metà delle cose che diresti», le fece notare pazientemente.
 
«Fidati, sarò cristallina», lo rassicurò, guardandolo con determinazione.
 
Il loro scambio di sguardi fu interrotto dal rumore della serratura che scattava. Quando la porta si aprì, apparve sulla soglia la stessa faccia impertinente dell’ultima volta che aveva avuto il dispiacere di vederla.
 
«Posso esserti utile?» le chiese, squadrandola dall’alto in basso.
 
Era un essere disgustoso, oltre che completamente inutile alla società.
 
«Si. Magari smetterla di martoriare le mie povere ovaie con la tua musica discutibile», ribatté con voce controllata e uno sguardo privo di cordialità.
 
«Questa volta hai portato la tua guardia del corpo», constatò, ignorando completamente la sua risposta.
 
«Non direi. Sono qui per evitare che lei non ti faccia a pezzi», intervenne Gabriele.
 
Ella rimase colpita, ma non stupita dalla sua affermazione. Lui sapeva che era perfettamente capace di cavarsela da sola sia che fosse con una ragazza della sua stessa età, sia con un uomo adulto, quindi aveva ritenuto opportuno renderlo presente anche all’individuo poco sveglio che si trovava di fronte a loro, ma dubitava fortemente che lo avrebbe capito.
 
«Esatto. Sono io la strega perfida da cui ti devi guardare le spalle, per cui adesso ascoltami con molta attenzione perché non mi piace ripetermi. Il mondo si divide in due: chi ha la pistola carica e chi scava! Tu scavi!»
 
La calma piatta della sua voce era in netto contrasto con l’espressione di pura rabbia e disgusto verso il suo interlocutore.
 
«Cosa dovrebbe significare?» chiese il ragazzo di cui non ricordava assolutamente il nome.
 
Gabriele aveva avuto ragione nel farle notare che non avrebbe capito nulla di ciò che avrebbe detto, ma non pretendeva che capisse a quale film facesse riferimento la citazione, tuttavia poteva almeno attivare i neuroni e sforzarsi nell’estrapolarne il significato.
 
Gli mancavano proprio le capacità logico deduttive.
 
«Che la prossima volta che ascolterò il tuo canto da fringuello agonizzante chiamerò i carabinieri e continuerò a farlo fino a quando non chiederanno più nemmeno l’indirizzo, perché riconosceranno la mia voce al telefono. Ti farò vivere l’inferno che stai facendo vivere a me ogni notte, ti denuncerò per rumori molesti e, se ciò non dovesse bastare, mi vendicherò in altro modo.»
 
La sua minaccia non avrebbe potuto essere formulata in maniera più cristallina e inequivocabile, anche se, considerate le sue scarse capacità intellettive, non ne era completamente certa l’avesse recepita.
 
«Tu sei completamente impazzita», affermò sconvolto.
 
«Sarà anche fuori di testa, ma ha ragione e se dovessi venire a sapere che stai continuando a importunarla, non dovrai affrontare solo la sua rabbia», intervenne Gabriele in sua difesa.
 
Probabilmente dopo Ella gli avrebbe tagliato la lingua, ma non poteva rimanere in silenzio e accettare passivamente che qualcuno si rivolgesse a lei in quel modo.
 
«Due sono le cose: o abbassate il volume della musica o non suonate affatto. Mi avete stancata, voi e la vostra mancanza di rispetto, quindi fai bene attenzione, perché sono disposta a farti sbattere fuori da questo appartamento se necessario. Ci siamo capiti?» domandò, per essere certa che non ci fossero stati fraintendimenti.
 
«Si, perfettamente. Adesso portala via, sta iniziando a infastidirmi», disse, rivolgendosi a Gabriele e ignorando completamente la sua presenza.
 
Quella scorreggia di mucca con il parrucchino biondo aveva oltrepassato qualunque limite ed Ella non aveva intenzione di rimanere in silenzio a guardare quella faccia da culo.
 
«Come ti permetti di parlare di me come se fossi un pacco postale, come se non esistessi. Sei solo un grandissimo pezzo…», iniziò, avanzando pericolosamente verso il ragazzo che istintivamente fece un passo indietro.
 
«Ella, non è necessario abbassarsi al suo livello», la interruppe Gabriele, avvolgendole la vita con un braccio per calmarla. «Nel caso in cui dimostrasse il contrario, gli faremo vedere che non stavi scherzando e che ignorare i tuoi avvertimenti non è mai un bene.»
 
Gabriele aveva ragione, non avrebbe dovuto insultarlo, ma la sua pazienza si era esaurita del tutto e la sua espressione di annoiata sufficienza la stava istigando alla violenza verbale.
 
Dopo un rassicurante scambio di sguardi, Ella annuì e il ragazzo lasciò la presa su di lei.
 
«Spero tu faccia bei sogni, perché da sveglio sarò il tuo peggiore incubo», gli intimò Ella, prima di voltargli le spalle e dirigersi verso la rampa di scale, mentre il parrucchino biondo si trovava ancora sull’uscio di casa.
 
«Soddisfatta?» le chiese Gabriele, qualche gradino più in basso.
 
«Abbastanza, anche se forse non avrei dovuto essere così aggressiva», ammise Ella con voce leggermente risentita per il suo comportamento.
 
Non avrebbe dovuto permettergli di farle perdere il controllo, ma quando qualcuno la trattava alla stregua di un moscerino, non riusciva a tacere e mostrare indifferenza.
 
«Con le buone ci hai provato e lo hanno fatto sia Sofia che Lorenzo, ma non è servito a nulla. Dovrebbe ringraziarti per averlo avvertito anziché chiamare direttamente i carabinieri», la rassicurò Gabriele.
 
«In ogni caso, non era necessario intervenissi, me la stavo cavando benissimo da sola», lo rimproverò con calma.
 
Lo so, ma quando ti ha dato della pazza non sono riuscito a trattenermi. Non tollero la mancanza di rispetto, avrebbe solo dovuto limitarsi a incassare le lamentele», si giustificò.
 
Ella aveva apprezzato il suo sostegno, perché non aveva tentato di prevaricarla, ma aveva solo cercato di supportarla.
 
«Magari potrei stampagli il significato della parola e appiccicarglielo sulla porta», suggerì Ella, prendendo seriamente in considerazione l’idea.
 
«Se non lo ha imparato fino ad ora, dubito fortemente che tu possa cambiare le cose», constatò Gabriele.
 
Mentre Ella si rassegnava, inserì la chiave nella toppa e fece scattare la serratura.
 
«Com’è andata?» chiese Cristina, non appena li vide spuntare in soggiorno.
 
«Diciamo bene. Gli ho fatto capire chiaramente che se avesse perseverato, avrei chiamato la cavalleria, quindi non ci resta che aspettare e vedere se il messaggio è stato realmente recepito», spiegò Ella brevemente.
 
«Speriamo», commentò Sofia, incapace di pensare a cosa sarebbe accaduto se avesse sottovalutato le parole di Ella.
 
Praticamente l’apocalisse.
 
«Ragazze, si è fatto tardi, sarà meglio che ritorni a casa», annunciò Gabriele, recuperando il giubbino di pelle dallo schienale di una delle sedie del tavolo in cucina.
 
«Ti accompagno alla porta», disse Ella, seguendolo silenziosamente fuori dall’appartamento.
 
«Grazie, per avermi difesa.» Probabilmente non sarebbe stato necessario, ma era giusto che sapesse che non l’aveva infastidita.
 
«Era il minimo che potessi fare, comunque dovrei essere io a…»
 
«Non ci provare nemmeno a ringraziarmi, con me non devi. Te l’ho già detto, sono qui e lo sarò in qualunque momento, ma fossi in te eviterei di svegliarmi di nuovo, specialmente la notte», lo interruppe Ella, impedendogli nuovamente di completare una frase.
 
Era estremamente fastidioso quel suo vizio, ma, d’altro canto, era bello sapere che riusciva a capire e prevedere perfettamente i suoi pensieri.
 
«Ciò che hai detto vale anche per te.»
 
Gabriele non aveva distolto lo sguardo dagli occhi di Ella mentre pronunciava quelle parole, perché voleva che l’intensità delle emozioni, che lei gli regalava, arrivasse in modo inequivocabile al suo cuore.
 
«Ci sarai anche di notte?» gli chiese curiosa.
 
«Soprattutto di notte, quando tutti dormiranno e tu ti sentirai sola, mi troverai.»
 
Ella raccolse tutte le certezze nascoste nel significato di quella sua affermazione e le racchiuse dentro di sé, per proteggerle dal resto del mondo.
 
Le stava mostrando una parte del sentimento che provava per lei ed era intenzionata a prendersene cura.
 
«Buona notte, delfino», lo salutò Ella, alzandosi sulle punte dei piedi per posargli un delicato bacio sulla guancia.
 
Il contatto fu breve, ma intenso e, quando ritornò al suo posto, Ella poteva percepire ancora la sensazione della barba ispida pizzicarle le labbra.
 
«Dormi bene, piccola strega.»
 
L’ultima cosa che vide la ragazza fu il sorriso di Gabriele ricco di speranza e felicità.
   
 
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