--- Ehm ehm. Siccome è un capitolo quasi interamente riscritto, ricucito ecc ecc ecc e soprattutto siccome a mio modesto parere non è riuscito un granché… ehm… vorrei giusto sapere qualcosina… mi sembra quasi… forse ho calcato troppo la mano, e se me ne accorgo io… ß stordimento colossale.
E’ anche un po’ più lungo del solito.
Parliamo di funerali.
XIV.
Que m’importe que tu sois sage?
Sois belle ! et sois triste ! les pleurs
Ajoutent un charme au visage,
Comme le fleuve au paysage ;
L’orage rajeunit les fleures.
Le mattonelle di cotto sulle quali procedevamo camminando
lentamente, immersi in silenzi più infiniti di quanto le nostre capacità ci
permettessero di sopportare, non erano perfettamente livellate né squadrate in
modo da eguagliarsi l’una con l’altra. Separate da delle leggere lingue di cemento
o calce, così rosse e ancora calde per il sole battente che di giorno le
colpisce senza risparmiare nulla negli stretti punti in cui le ombre delle alte
abitazioni non gettano un minimo di respiro e rinfranco, arrancavano
serpeggiando per il basso monte semiarido che lambisce quella punta di costa.
Immaginai che un gomitolo intricato di scalinate come quella lo percorresse per
intero.
Giulio faceva scorrere la mano sui muri delle case dal
ruvido intonaco rosa pesca, arancione e rosso.
Di tanto in tanto una fronda carica di foglie e di frutti,
limoni, arance o susine, si protendeva verso i nostri volti, nell’incavo della
scalea.
Giulio ne staccò un rametto e prese a giocherellarci come
aveva fatto poco prima con l’oleandro.
L’aria, stranamente, non profumava di nulla, se non di
vuoto e vacuo silenzio -così dolce e gentile nello scorrere sulle mie stanche
membra-, le stelle palpitavano, vibranti, come fiammelle di piccole candele
scosse da infiniti soffi di brezza d’ Espero, e la luna maestosa, ingigantita
nei suoi riflessi rubino dalle percezioni della mia anima turbata ci sovrastava
nella sua gigantesca mole rubiconda e ci avvolgeva nel suo calore evanescente
coi sentimenti benigni di una madre.
In quel luogo dimenticato da ogni essere umano, sul quale
Dio aveva magnanimamente deciso di stendere un velo di fine grazia ed
imperturbabile quiescenza, non mi sentivo a mio agio.
Era come se lo avvertissi nella temperatura innaturalmente
fredda. Forse avevo soltanto capito che la tempesta stava per sopraggiungere di
nuovo, e violenta.
Era l’una passata, ormai.
Camminavamo senza una meta.
Credo che Giulio sapesse benissimo dove stavamo andando e
dove voleva andare era esattamente il più lontano possibile da dove avrebbe
dovuto portarmi. Sceglieva tutti gli angusti passaggi scavati tra le murature
per proseguire il cammino. Forse lo faceva perché in quel modo, avanzando uno
dietro l’altro, non potevo guardarlo in faccia.
Poi si fermò.
‘Henka…’ Mi richiamò a sé con la sua voce più sottile.
Quella volta fu atrocemente vicino al pianto, nonostante
ce la mettesse tutta per reprimere le lacrime. Mi accorsi della sua voce
incrinata pericolosamente ed ebbi paura e vergogna.
Lui tirò su col naso e scrollò le spalle, voltandosi verso
di me.
‘Ci sono cose che mi sfuggono…’ Mi disse.
Si sedette su un gradino basso prendendosi la testa tra le
mani delicate. Sentii distintamente i suoi singhiozzi.
Non sapevo cosa fare, cosa dire, come comportarmi.
Non l’avevo mai visto stare così male.
Mi sedetti accanto a lui e lo cinsi con le braccia.
Mi sentii sinceramente sollevato, come se solo ad
offrirgli quel contatto ingenuo potessi arrivare a rincuorarlo più in
profondità che con mille parole pronunciate male.
Le sue braccia si strinsero attorno al mio torace
avvolgendomi con un calore appassionato che mi fece rabbrividire dal piacere,
la mano destra stringeva fortemente un lembo della maglietta, la sinistra si
insinuava tra i miei lunghi e folti capelli ricci. Appoggiò il volto
nell’incavo delle mie spalle.
Potevo sentire il suo respiro irregolare che cercava di
carpire l’aria, e le lacrime che continuavano a scendere copiose dai suoi occhi
smeraldini, le sue labbra umide increspate in una smorfia di disperazione
premere contro la pelle vellutata del mio collo.
‘Non sarebbe dovuta andare così…’ Sussurrò tra i gemiti.
Sensi di colpa.
Atroci, miserevoli, crudeli, feroci, riprovevoli,
esulceranti sensi di colpa.
Ecco cosa lo affliggeva.
La vista di suo padre e della sua compagna, l’amarezza
suscitata nel suo cuore fragile da ricordi tanto deprecabili. E non mi era
nemmeno venuto in mente.
Lo stavano dilaniando, lo laceravano quei maledetti sensi
di colpa.
Li odiavo.
Odiavo tutti, e tutto il mondo, perché l’avevano portato
all’esasperazione. E odiavo anche me per non essere stato abbastanza sensibile
ed attento.
Tutto era squallidamente corrotto e macchiato
dall’imperfezione, e lui, che era l’unica persona che avessi mai conosciuto ad
essere rimasta immune dalla tragedia, stava sfiorendo per l’unica sua colpa di
aver tentato di continuare a combattere.
Era una follia.
Bisognava apporvi la parola fine.
Gli accarezzai i capelli con delicatezza e gentilezza.
Lasciate che vi spieghi alcuni particolari fondamentali
della vita di Giulio ed un episodio che lo segnò in maniera irrimediabile: la
morte della sua vera madre.
Conosco molto bene la faccenda per intero perché ero già
in Italia quando accadde, e vivevamo insieme. Era successo una domenica sera,
ed era stato per suicidio. Lei aveva ingerito più antidepressivi di quanti il
suo organismo avrebbe potuto sopportare.
Posso giurarvi come gli fosse crollato il mondo addosso,
assieme a tutto il suo insopportabile ed opprimente peso, e per dei giorni
smise di essere il mio Giulio per diventare la brutta copia melanconica ed
apatica di Giulio, solo letto e cimitero.
Ho sempre sospettato che il trauma non gli fosse mai
passato.
‘… non l’avevo fatto apposta.’ Non stava cercando di
convincere me, che ci credevo più di quanto lui stesso facesse. Tu non hai idea
di come mi senta responsabile… tutte le volte che cerco di figurarmi mia madre
nel momento del suo massimo splendore e della sua bellezza mi si insinua il
ricordo di lei nel feretro, i lineamenti devastati.
Cosa vuol dire? Sai, in quel momento l’unico mio pensiero,
nella camera ardente piena di fiori colorati che stonavano miseramente col mio
lutto, è stato che per me la Morte avrebbe sempre avuto quel volto sciupato,
quegli stessi occhi infossati, quelle labbra screpolate, quella pelle solcata
da mille rughe… mia madre è il mio simulacro della Morte, perché non l’avevo
mai vista, e non vedrò mai più nulla che le si avvicinerà tanto!
E poi c’erano quelle persone che mi facevano le
condoglianze, e magari non mi avevano mai visto. Ipocriti! Io li odiavo, tutti
quanti. Non avevano rispetto per le singole tragedie umane che si consumavano
sotto i loro occhi, perché non erano in grado di viverle. Non era vero che si
addoloravano e si dispiacevano. Volevo stare solo nel mio dolore e loro mi
assicuravano di condividerlo. Li avrei uccisi tutti uno dopo l’altro e avrei
finalmente potuto celebrare un sobrio funerale solo con la mia profonda
angoscia dilaniante. Avrei preso le loro teste e le avrei fracassate tutte
violentemente, sbattendole una con l’altra, perché mi faceva schifo la loro
compassione, mi disgustavano quei maledetti sorrisi di circostanza, o quello
sguardo prontamente abbassato, la voce debole con cui mi parlavano, come se lei
stesse semplicemente dormendo nella sua comoda bara foderata in seta rossa!
E quei medici che me l’avevano accudita di nascosto?
La medicina è inutile, profondamente. A volte non serve.
Servirebbe Dio. A cosa servono i medici se non possono curare né il corpo né
l’anima dei loro pazienti?
Serve solo Dio, e l’aiuto di Dio, di tutti i suoi angeli
confortatori, ma in momenti come quelli non si crede a niente.
La medicina non serve.’
‘Avresti avuto un’aspettativa di vita molto più bassa,
Giulio. Ci pensi? Tua madre avrebbe perso molto tempo.’
‘Gli ultimi giorni non era cosciente. Il coma mi impediva
di parlarle.
Sai cosa significhi pregare Dio di uccidere una persona
che ami perché non sopporti di vederla spegnersi lentamente e tra atroci
sofferenze giorno dopo giorno, e presentarti davanti a lei, che forse sente
tutto e ti ascolta con patetica rassegnazione perché nemmeno riesce a parlare
mentre tu la conforti? Vedere la sua pelle fresca e tonica incresparsi in mille
rughe e la malattia deformarla, ed ognuna di quelle sue sciagure rappresentare
un dolore patito per una causa persa? È questo che mi ricordo! Il suo corpo
morto che continuava a conservare la sua splendida anima, e l’anima recitare la
sua preghiera silenziosa affinché qualcuno ponesse fine a tutto quel delirio,
affinché la lasciassero morire in pace e le permettessero di guadagnarsi il suo
tranquillo Paradiso indolore!’
‘Hai sperato davvero che morisse?’
‘Cosa mi restava da fare? Meglio morire subito che –‘
Appoggiai la mia guancia contro la sua fronte calda.
‘Immagino sia umano. Naturale. Una sorta di difesa
immunitaria non-specifica. Lo farebbero tutti. In fondo hai pensato a lei, non
a te, che te ne saresti rimasto qui, col rimorso e la patetica nostalgia del
lutto. Ma sono solo frasi fatte. La verità è che vorrei entrare dentro al tuo
bel corpo e strapparti quel tumore che ti divora, anche facendoti male. Lo
vorrei davvero. Ognuna delle metastasi che ti arreca danno.
Ti stai facendo diventare il sangue amaro.’
‘Sono sanissimo. Questa mi è sempre sembrata una beffa.
Anche mio padre è sanissimo e un sacco
di persone che meriterebbero la morte più di lei.’
‘Se aspetti la giustizia, allora hai molta strada da fare.
La Giustizia divina non è per i mortali, unicamente per le anime
dell’oltretomba.’
‘E questo dovrebbe rincuorami?’
Scrollai le spalle. ‘Dovrebbe farti credere che se ti
impegni per raggiungerla hai ancora la possibilità di arrivare ad un punto di
ricongiunzione con tutte le persone che hai mai amato e ti hanno abbandonato
per seguire i progetti del destino.’
‘Parli così perché non hai mai sperimentato di persona una
perdita vera.’
‘No, hai ragione.’
‘Henka mi è venuto freddo…’ In effetti stava
rabbrividendo, così strinsi ancora di più l’abbraccio appoggiando il mio mento
appuntito contro la sua schiena dritta.
Mi sembrava un contatto magnifico, diverso da tutti quelli
che avevamo mai avuto, più sentito e sincero.
Lui si era spostato sedendosi sulle mie gambe e ora mi
stava accarezzando la schiena.
Lo adoravo.
Gli chiesi se voleva andarsene.
‘No. No, rimaniamo qui ancora un po’.’ Mi rispose.
E così lasciai che continuasse a scorrere le sue mani tra
i miei capelli, come se la soddisfazione di un semplice gesto che aveva in sé
qualcosa di puro e perverso insieme lo potesse sollevare o distrarre da tutti i
suoi innumerevoli pensieri catastrofici.
In realtà mi piaceva.
Credo potessero essere trascorse delle ore, seduti su quel
gradino.
‘Non me lo spiego. Secondo te perché io non riesco ad
adattarmi al flusso della corrente, e mi attacco in maniera morbosa a te?‘
‘Non ha importanza. Forse ti ci vorranno cent’anni per
capirlo.‘
Le sue dita mi arricciavano una ciocca di capelli. Doveva
sempre muovere le mani quando era agitato o in imbarazzo, e in quel momento, lo
intuivo, avrebbe tanto desiderato farsi un altro veloce bagno in mare.
--- Mm… che brutta bestia. Ormai il trauma è passato (credo). Non guardate mai nelle bare, ragazzi, altrimenti finite per ridurvi come me. Voi lettori siete come delle palline anti-stress, posso spremervi e sfogarmi V___V. Sorry. Detto così sembra davvero pessimo…
Zero, se vogliamo dirla tutta la mia crociata per il
vocabolario (umiliato, sottostimato, bistrattato) è qualcosa che mi pervade nel cuoricino. Perché devi sapere che
nella nostra caserma-scuola per quindici e passa classi abbiamo UN solo
vocabolario risalente al primo conflitto mondiale, più o meno. E allora non
dovrei farne un caso politico? Mi batto per i vocabolari. Non ci vuole tutta la tua innata filosofia (che vedo proprio da lontano) per capire che non si può pretendere
di imparare l’italiano senza un vocabolario. E l’italiano è la lingua più bella
del mondo. E poi… Perché il fatto che io studi finlandese sembra a tutti una
cosa stupida, inutile, scellerata (però nessuno aveva ancora detto: “masochista”)?
Ma nel caso andassi in Finlandia dovrò pur sapere il finlandese, no? Altrimenti
come faccio a farmi capire? Il finlandese mi ricorda l’elfico. È una lingua
meravigliosamente musicale che per me vale assolutamente la pena imparare. Mica
sono l’unica pazza, qui ^_^, Invader ha addirittura scritto una poesia in
giapu… io non arrivo a tanto per ora. Non riesco nemmeno a fare la costruzione
possessiva T___T ci vuole l’adessivo, … sigh… i finlandesi non hanno il
verbo avere!!! Aaaaaaaaaargh!!!
Comunque: EINE TRAGODIE… (FAUST, URFAUST der tragödie zweiter teil. No, scherzo, non prendetemi sul serio)
Ho scoperto che lo scritto d’inglese comincerà esattamente il giorno e l’ora in cui apriranno i cancelli del Gods of Metal. dio, che tristezza. Mi sento veramente così trissssssssssste… sniff… se c’è un bolognese tra voi vada al Gods per me, per favore. Bologna=Gods= due giorni di full immersion nel puro metal= quest’anno ci saranno pure gli Iron… e invece… esame della British. Queste coincidenze mi fanno pensare che il destino avverso e ingrato mi stia simpaticamente prendendo in giro ^___^’’’. Voglio andare al Gooooooooooooods…
Al prossimo chap postato sempre più puntualmente. ^_^
Die schwarzen
Witwe.