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Autore: Adele Emmeti    04/03/2020    3 recensioni
La Fuga non è un rimedio, ma un tentativo di allontanarsi dalla fonte primaria del proprio dolore.
E Mizu lo sa bene, perché lei sta fuggendo da un torto assoluto, da un male gratuito e ingiustificato, da un'ingiustizia silenziosa ma lacerante. Lifeline è il racconto del suo lento percorso di rinascita, della sua sofferta risalita, dell'insieme di amore e gentilezza che nuovi e vecchi amici sono in grado di fornire.
Perché tutti, prima o poi, hanno bisogno di un'ancora di salvezza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 «Se non te la senti, possiamo rimandare. Non sei costretta a raccontarmi tutto adesso.»
 «No, no... preferisco parlartene subito.» Le dico sorridendo.
 Espiro e stringo i pugni.
 «È iniziato tutto a settembre dell'anno scorso, precisamente in questi giorni, con l'inizio della scuola. Nella nostra classe era apparso un ragazzo nuovo, mai visto prima, nemmeno in zona. Era alto, occhi chiari, capelli neri, espressione rigida e severa. Non si è presentato a nessuno prima che il professore lo annunciasse alla classe. Si chiamava Ryan Felton e si era trasferito con la sua famiglia da poco. Era entrato con una media altissima e un curriculum da far invidia al migliore dell'istituto. Era anche il più bravo nell'atletica, un portento a football e nella pallavolo; si diceva che molte università prestigiose gli avessero già proposto l'iscrizione.»
 «Insomma, un soggetto noioso.»
 «Beh... se per noioso intendi freddo calcolatore, macchina da guerra, automa in grado di raggiungere la perfezione e batterla... allora sì.»
 «Io ho sempre preferito gli imperfetti. Ma continua pure.»
 «Ecco... lui non riusciva a interagire con nessuno di noi. Un po' perché non gli interessava farsi degli amici, un po' perché non ci riusciva. Non sapeva cogliere l'umorismo, non rideva mai, non stava mai al gioco, non raccontava mai nulla di se stesso. Non credo abbia mai pranzato al tavolo con qualcuno. Restava sempre in disparte. Mangiava soltanto cose crude o cotte al vapore. Non esultava, non sembrava mai stanco, non esprimeva mai un dissenso... era come... finto. Immaginavo che la sera, a casa, lo spegnessero e mettessero sotto carica, come un cellulare.»
 Beky rise e accavallò le gambe. La storia sembrava molto più articolata di quanto pensasse.
 «Poi... non ricordo bene quando... forse verso metà dell'anno, sia io che le mie amiche abbiamo notato una cosa per certi versi agghiacciante. Ovvero che... Ryan passava una buona parte del suo tempo... a fissarmi.»
 «Fissarti?»
 «Sì. Non soltanto mentre parlavo durante le interrogazioni, ma anche quando passavo nei corridoi... quando correvo con le altre durante le ore di ginnastica, mentre stavo immobile al mio posto o mangiavo in mensa. Era come se riuscisse a trovare sempre il punto migliore nel quale potersi accucciare e fissare come meglio credeva.»
 «Beh agghiacciante è il termine più corretto, allora.»
 «Sì... tanto che, infine, decisi di affrontarlo. Lo vidi fuori dai cancelli, un pomeriggio, mentre andava a prendere l'autobus. Lo chiamai da dietro e lui si fermò di colpo. Si voltò e rimase impalato. Mi avvicinai piano e quella che avemmo fu una delle conversazioni più strane della mia vita. -Ho notato che mi fissi per la maggior parte del tuo tempo. È cosi?- Gli chiesi. Inizialmente non mi rispose. -Non è molto piacevole sentirsi costantemente gli occhi addosso... c'è qualcosa che vuoi dirmi? Qualcosa di me che ti incuriosisce?- Non mi rispose. Pensai che non aveva molto da negare, che forse stava tentando di avere un approccio, ma che non ci riusciva. Da un lato mi irritava e dall'altro mi faceva quasi tenerezza. -Non importa. Scusa se ti ho disturbato... sarà stata solo una mia impressione.- Mi voltai per andarmene quando lui disse: -Non è un'impressione. Ti fisso perché ti trovo interessante.-
 A tali parole, dette con estrema fermezza e disinvoltura, rimasi stranita.
 -Perdonami. Forse il mio modo di fare è inconsueto. Di tutte le ragazze dell'istituto, tu sei l'unica che riesce a distrarmi quando mi concentro. Che riesce a farmi perdere il filo del discorso dei professori. Trovo aggraziato il tuo modo di parlare, di raccontare le tue riflessioni, sempre molto oculate. Non alzi mai i toni, anche quando ridi. Corri con decisione, ma non fai uso del tuo corpo per metterti in mostra. Sei risoluta ma non te ne vanti, né cerchi di dimostrarlo a parole. Sei una persona di fatti. E questo fa sì che io ti apprezzi.-
 Mi lasciò senza fiato. Nessuno mi aveva mai detto qualcosa del genere.»
 «Era segretamente innamorato di te.» Beky lo disse con naturalezza, poiché non ci vedeva nulla di marcio.
 «Non lo so. Non so se fosse innamorato o ossessionato. Non l'ho capito nemmeno dopo... »
 Restiamo in silenzio per pochi secondi. È importante che non vada subito al dunque ma spieghi gli eventi per bene.
 «Cosa gli hai risposto?»
 «Nulla... gli ho detto: -ti ringrazio. Sono molto positive le cose che dici di me-. -Sì, lo sono- mi rispose. -A tal proposito, mi piacerebbe conoscerti meglio. Anche al di fuori di qui.- Aggiunse.
 Ebbi un brivido freddo. Non sapevo bene cosa dirgli. Mi spiaceva escludere a priori una possibile amicizia, viste le difficoltà che aveva nell'approcciarsi agli altri, al contempo era fin troppo cupo e sinistro come soggetto. Mi creava disagio il solo immaginare di uscire da sola con lui o andare a studiare a casa sua.»
 «È molto comprensibile. Lo sarebbe stato per chiunque.»
 «Già... quindi mi limitai a dirgli -va bene, se vuoi parlare ogni tanto o passare del tempo insieme, possiamo farlo nelle pause o in mensa-, ma lui non sembrò molto soffisfatto della mia proposta.
 «Lui voleva che vi frequentaste all'esterno. Che fosse una cosa più intima.» Dedusse Beky.
 Presi il bicchiere con l'intento di bere, ma mi resi conto di avere già la gola chiusa per un orrore che stava pian piano salendo. Lasciai il bicchiere dov'era.
 «Nei giorni successivi continuò a fissarmi, sempre più insistentemente. Mi dissi che avevo due opzioni: dirgli in malo modo che doveva smetterla e lasciarmi in pace, oppure provare a instaurare quell'amicizia che, in qualche modo, gli avevo promesso. Decisi di fare un tentativo e mi avvicinai a lui durante una pausa, mentre sedeva da solo in cortile. Rimase sorpreso e iniziammo a parlare di esami, di come era fatta la sua scuola precedente, dei suoi vecchi professori, di quanto fosse stato difficile cambiare ambiente. Mi sembrò persino cordiale e gentile, molto meno psicopatico di quanto sembrasse.»
 «Oh beh... menomale. Non era un automa.»
 «Parlammo ancora due o tre volte, con la stessa tranquillità. Gli strappai persino un sorriso e pensai -ecco, aveva soltanto bisogno di qualcuno che lo aiutasse ad aprirsi-. Iniziammo a parlare nei corridoi, durante le pause delle attività sportive. Avvicinai anche alcuni dei miei amici, a coinvolgerli nei nostri discorsi. Ricordo che aveva il tablet bloccato e che lo misi in contatto con un ragazzo che sapeva maneggiare qualsiasi attrezzo tecnologico, infatti gli risolse il problema e ne fu molto contento. Insomma per circa due mesi, la cosa andò avanti così. Era primavera avanzata e pensavo che, tutto sommato, non mi dispiaceva che Ryan fosse mio amico. Io sono di natura introversa e taciturna, faccio fatica ad avvicinare gli altri, per cui comprendevo la sua situazione ed ero contenta di averlo aiutato.
 Poi un giorno... arrivai in classe e trovai un pacchetto sul mio banco. C'era scritto “per Mizu”. Piuttosto stranita lo aprii e all'interno ci trovai un bracciale d'oro, con diverse pietre incastonate in più punti. Scavai nel pacchetto alla ricerca di un qualche indizio e trovai un piccolo pezzo di carta, con la stessa calligrafia striminzita dell'esterno. Diceva “per tutto quello che hai fatto. Ryan”.»
 «Ma dai... non posso crederci.»
 «La cosa non mi piacque molto. In pausa pranzo lo cercai e lo trovai nel retro della scuola, seduto su una panchina di pietra a leggere. Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lui. Gli dissi -ho ricevuto il tuo regalo... è davvero molto bello e te ne sono grata, ma è troppo... non posso accettarlo-. Come se non mi avesse sentito, continuò nella sua lettura.
 -Ryan... hai sentito?- Gli chiesi. Presi il pacchetto e glielo porsi. -Non posso accettarlo. Mi sentirei troppo in debito con te-. Ma lui nulla.
 Infine mi alzai e glielo lasciai vicino, feci un passo e lo sentii chiedermi: -hai mai avuto un ragazzo?-»
 «Così? A bruciapelo?»
 «Sì. Mi voltai e gli risposi: -no... -
 -come mai?- continuò.
 -Perché no... cosa ti importa?- 
 -quindi sei vergine, in tutti i sensi?-»
 Noto che le iridi di Beky si dilatano. Solleva il viso dalle dite su cui l'aveva appoggiato.
 «Ti ha detto così?»
 Annuisco con la testa.
 «Cosa gli hai risposo?»
 «Che lo ero. Ma poi me ne sono pentita. Non avrei nemmeno dovuto rispondere a una domanda simile.»
 «Sul momento ci può stare che non riesca a tenerti.»
 «Sì, ma avrei dovuto chiudere i rapporti in quel momento e fargli capire che non avrebbe più dovuto rivolgermi la parola. E invece... ho continuato a rispondergli.
 -Ti piacerebbe avere un ragazzo?- Mi chiese.
 -No... non lo so.-
 -Non c'è proprio nessuno che ti piace?-
 -Qui? A scuola?-
 -In generale.-
 -No. Nessuno?-
 -Nemmeno io? A me tu piaci molto. Io vorrei che tu fossi la mia ragazza. Staremmo bene insieme.-
 Rimasi senza parole.»
 «Ma lui ti piaceva?»
 «No! Assolutamente no! Ero contenta di averlo aiutato, ma non gli avrei nemmeno mai stretto la mano! Aveva uno sguardo che faceva raggelare il sangue nelle vene! Era inquietante, sinistro, cinico e indecifrabile.»
 «Cosa gli hai risposto?»
 «Gli dissi: -mi spiace, hai frainteso. Tutto quello che c'è tra di noi è amicizia, niente di più. Non potrei mai andare oltre.- E lui, come se non avesse udito una sillaba del mio discorso, mi disse: -io sì, ne ho avute di esperienze. Non tante, ma quelle che bastano per essere uomo. Dovresti fidarti di me. Non ti deluderei...- A quel punto non ho più retto. Ho farfugliato: -Lasciami in pace. Non ho bisogno di nessuno.- E sono fuggita.»
 Io e Beky restiamo in silenzio. Lei apre la bocca per dire qualcosa e io la precedo.
 «Lo so. Avrei dovuto dirgli: tu non mi piaci. Io non sarò mai la tua ragazza. Le tue domande sono inopportune, tu sei inopportuno e non devi più rivolgermi la parola, né fissarmi!»
 «Non è sempre così facile.»
 «Tu l'avresti fatto.»
 «Ma io ho trentasette anni. Tu diciassette. Alla tua età, probabilmente, non avrei avuto nemmeno il coraggio di affrontarlo la prima volta. Invece tu l'hai fatto e sei quasi riuscita a toglierlo dal suo stato di reclusione. Se non fosse stato per la sua mente bacata, il tuo sforzo avrebbe dato ottimi risultati. Ma a quanto pare... questo Ryan era un soggetto da evitare.»
 «Sì, lo era. Dovevo ascoltare le mie amiche.»
 «Magari le tue amiche danno confidenza a estranei conosciuti su chat anonime. Chi può dirlo? È facile parlare a fatti avvenuti.
 Ad ogni modo, è per questo motivo che hai preferito cambiare scuola? Per non incrociarlo più?»
 Sollevo lo sguardo nella sua direzione e mi viene istintivamente da piangere. Vorrei tanto che fosse così, che sia fuggita da casa per una conversazione scomoda. Che Ryan si sia limitato a farmi una proposta con un braccialetto da trecento dollari.
 «C'è altro che devo sapere?»
 «Beky... questa era solo una premessa.»
 Mia zia osserva con stupore il mio tentativo di trattenere le lacrime. Osserva il mio stringere i braccioli in ferro battuto della sedia da giardino, il rossore dei miei occhi sull'orlo dell'implosione, il tremore delle mie ginocchia spigolose, nascoste dai jeans neri.
 Solleva una mano nella mia direzione e fa per avvicinarla al mio viso, quando il cellulare le squilla e si ode per tutta la vallata. Lo afferra intenzionata a spegnerlo ma il nome del direttore di un'importante casa di moda la frena.
 Mi chiede scusa con gli occhi e mi fa segno di attendere un minuto. Nel frattempo cerco di calmarmi e di prendere fiato. Mi asciugo gli occhi con la manica della felpa e la vedo tornare alterata.
 «È successo un casino... devo correre. Maledizione. Non volevo lasciarti sola adesso. La cena sarà qui a momenti. Paga e mangia pure senza di me, in meno di due ore dovrei essere di ritorno, hai capito?»
 Mi bacia energicamente sulla fronte, tentennando come se non volesse andarsene.
 Poi mi allunga cinquanta dollari sul tavolino e va via a passi svelti.
 Il ragazzo delle consegne arriva dopo dieci minuti. Lo pago e comprendo di dovergli lasciare la mancia per la ripida salita fatta in bicicletta. Dopo aver mangiato qualcosa, più per farle piacere che per fame, metto tutto in frigo, tra cose improbabili quasi caviale di colore fucsia, frutta esotica a forma di stella e bibite drenanti al fucus, e vado in camera mia.
 Dovrei disfare le valigie, sistemare tutto nella cabina armadio e farmi una doccia. Ma preferisco restare immobile.
 Mia madre mi ha chiamata più volte, ma non voglio risponderle. Sentirla non farebbe altro che accrescere la mia malinconia. Tutto ciò di cui ho bisogno è di galleggiare nel vuoto e abbandonare il mio corpo, la mia carne e i miei sensi.
 Soltanto così potrei smettere di ricordare le sue mani sulla mia pelle.

   
 
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