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Autore: Adele Emmeti    06/03/2020    1 recensioni
La Fuga non è un rimedio, ma un tentativo di allontanarsi dalla fonte primaria del proprio dolore.
E Mizu lo sa bene, perché lei sta fuggendo da un torto assoluto, da un male gratuito e ingiustificato, da un'ingiustizia silenziosa ma lacerante. Lifeline è il racconto del suo lento percorso di rinascita, della sua sofferta risalita, dell'insieme di amore e gentilezza che nuovi e vecchi amici sono in grado di fornire.
Perché tutti, prima o poi, hanno bisogno di un'ancora di salvezza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Un canto di gabbiani lontano mi riporta gradualmente alla realtà. Mi sveglio con la faccia sul cuscino e i capelli sparsi ovunque. Realizzo si essere lontana da casa, di essere al mare, nella mia nuova camera da letto e di dover alzarmi quanto prima perché, a tutti gli effetti, è il mio primo giorno nella scuola nuova. Un moto di ansia mi strizza l'intestino, mi metto seduta e mi stropiccio gli occhi. Se soltanto avessi messo a posto la valigia, ora non dovrei rovistarla fino in fondo per cercare la mia spazzola e le mie creme.
 Scendo lungo la scalinata di marmo lucido, e intravedo il tavolo della cucina imbandito per la colazione. Ci sono due scatole di biscotti aperte, tre marmellate di frutta dalle etichette in una lingua che sembra svedese, una caraffa di latte, del caffè in polvere, grissini e formaggio spalmabile, toast e tostapane annesso, uova da friggere e bacon confezionato. Metto a fuoco il tutto e scorgo un bigliettino su un piatto: “Non so bene cosa tu preferisca per colazione. Serviti pure! Io sono uscita alle sei per il mio footing mattutino sulla spiaggia. Suppongo che al mio arrivo sarai già andata via. Questa sera ti aspetterò con una bella cenetta, così mi racconterai della nuova scuola e finiremo il discorso di ieri. Se hai problemi chiamami a qualsiasi ora. Se la nuova scuola non ti piace ne cercheremo un'altra. Ti voglio bene. Becky”.
 Prendo del caffè lungo e mangio due toast con le marmellate svedesi. Poi rimetto tutto al suo posto e corro a cambiarmi.
 L'indirizzo della nuova scuola è sul foglio di iscrizione. Dal navigatore comprendo che dista poco meno di un chilometro, il più sta scendere dalla collinetta. Il cielo è di un azzurro sfacciato, il mare in lontananza è calmo, le case a valle si succedono lungo le strade per lo più strette e contorte. Il verde degli alberi è intenso, il profumo delle caffetterie è ovunque, diverse schiere di ragazzi mi precedono lungo un viale più ampio e mi rassicurano: non ho sbagliato indirizzo.
 L'edificio della “Crown” è piuttosto classico. Largo e squadrato, con un cortile antistante che mi ricorda le scuole giapponesi degli anime, un ingresso pieno di ragazzi, chi euforico, chi annoiato e quello che sembra un piccolo parco alle sue spalle.
 Mi avvicino con calma. Nonostante sia tendenzialmente pacata e molto brava a mantenere la calma, l'approccio ad un ambiente nuovo, popolato da occhi che ti squadrano dalla punta delle scarpe a quella delle ciglia, metterebbe ansia anche a una statua di marmo.
 Supero gli sguardi indagatori e entro. I corridoio sono tappezzati di armadietti arancioni. Il mio è fortunatamente intonso. Non è ammaccato né arrugginito ai lati. Ci trovo soltanto qualche scritta sul fondo. Poso la mia roba e prendo alcuni libri: la mia prima lezione è nell'aula di letteratura moderna.
 Quando entro la trovo piena per metà. Scorgo una ragazza, nel fondo, dai lunghi capelli ricci e vaporosi, di un biondo angelico. Ha un piccolo viso triangolare, dei grandi occhi azzurri e l'espressione di una bambina smarrita. Mi conforta il suo sentirsi più a disagio di me, così le vado vicino e mi siedo al banco accanto al suo. Nel farlo le sorrido e lei fa lo stesso di rimando.
 Dopo pochi minuti entra il professore. È un tipo sulla cinquantina, con gli occhiali spessi, i capelli neri e arruffati, una combinazione di abiti improbabile, forse perché scelti tra gli unici puliti e stirati che aveva. Ci dà il buongiorno, si siede e, prima ancora di aprire il registro, la porta si apre e in aula entra una ragazza. È alta e magra, ha il viso ovale, gli occhi sottili truccati con un nero molto carico, la bocca sottile e un piercing ad anello nel centro esatto del labbro inferiore. Indossa una maglietta a strisce molto aderente, una giacca di pelle, dei jeans a vita alta neri e degli scarponcini con la zeppa. Mi colpiscono le sue braccia così lunghe e filiformi, proprio come le gambe, il suo zaino tutto scritto e imbrattato, il chewingum che mastica con svogliatezza e il cenno di saluto che fa alla ragazza dai capelli angelici seduta accanto a me. Ebbene sì, la piccola e dolce figura spaventata al mio fianco aspettava proprio lei.
 «Quanto ci hai messo?» Le chiede sottovoce.
 «Mi sono svegliata tardi... » le sussurra la tipa alternativa.
 «Stavo per perdere il posto.» La rimprovera con dolcezza.
 Il mio spiarle viene bruscamente interrotto dal professore, il quale ha ignorato l'entrata tardiva della ragazza e ha già fatto il mio nome a voce alta. Mi giro a guardarlo e mi accorgo che tutta la classe si è voltata nella mia direzione.
 «Allora Mizu Allen... vuole presentarsi agli altri?»
 Ho sempre detestato parlare di me stessa, soprattutto agli estranei. Per cercare di accorciare quel momento il più possibile, prendo fiato, mi alzo e come una macchina pronuncio: «Mi chiamo Mizu e vengo da Shallville. Vivo a casa di mia zia, Rebecca Allen, ma i miei genitori sono rimasti a Shallville. Spero di ambientarmi subito. Grazie per avermi accolta. Cercherò di dare il meglio. Grazie.»
 Detto questo, mi siedo e il professore resta a fissarmi. Nel nominare mia zia, mi sono accorta che la ragazza alternativa ha strattonato l'amica da un braccio, e ha strabuzzato gli occhi.
 «Molto bene... grazie. Allora iniziamo... » il professore prende parola e finalmente inizia con la sua prima ora di lezione.

 Al suono della campanella, tutti si alzano e si stiracchiano, come se un'ora di fermo sia troppo dopo due mesi di vacanze. Metto i miei libri nello zaino e aspetto che i primi escano. Intanto vedo la tipa alternativa avvicinarsi.
 «Ehi... ciao! Io mi chiamo Fely e lei è Greta. Piacere.» Mi dice, indicando la ragazzina bionda al suo fianco.
 «Piacere mio... sono Mizu.»
 «Sì... che nome particolare. Sei per metà orientale?»
 Greta la strattona.
 «Non è carino.» Le dice.
 «Tranquilla... sì, mia madre è giapponese. Mizu l'ha scelto lei. Significa acqua.»
 «Wow! Davvero forte... e tua zia è davvero Rebecca Allen?»
 Greta la strattona di nuovo.
 Io sorrido. «Sì.»
 «Non ci posso credere... io adoro quella donna! È una diva. È forte, intraprendente e affascinante. Ha carisma e carattere e... ha potere, soldi, rispetto, un'auto bellissima. È il mio idolo!»
 «Ti ringrazio... » le rispondo divertita dal suo entusiasmo. Non immaginavo che mia zia avesse dei fan.
 «Come mai ti sei trasferita qui? Proprio l'ultimo anno?» Mi chiede ancora.
 «Adesso basta. Smettila! Scusala Mizu... è davvero maleducata.» Greta prende parola e fa indietreggiare l'amica mettendosi tra di noi.
 «Nessun problema... sono nuova e non conosco nessuno. Mi fa piacere parlare con voi.» Nel risponderle cerco di sviare l'argomento. Sono contenta che si siano approcciate a me, ma non ho voglia di montare su delle false scuse.
 «Che lezione abbiamo adesso?»
 «Due ore di biologia... vieni con noi? Possiamo pranzare insieme nella mensa, più tardi, così te la mostriamo e poi ti facciamo fare un giro nell'istituto.» Risponde Greta.
 «Ah, grazie! Sì, in effetti dovrebbero avermi già assegnato un tutor per la visita della scuola... ma... »
 «Tranquilla. Ci pensiamo noi... ci parlo io con la tipa della segreteria.» Fely indossa il suo zaino e mi mette una mano sulla spalla. Il suo fare così disinibito e spontaneo mi mette allegria.
 Usciamo dall'aula e ci dirigiamo verso il piano inferiore.
 «Devi sapere che questa scuola è popolata da secchioni tristi e noiosi, da galline agghindate ogni giorno come se fossero sul red carpet e da giocatori di football che vanno dietro alle galline. Poi ci sono le tipe in gamba che conquisteranno il mondo, come me e Greta, immerse in un mare di tanti altri volti anonimi, di cui nessuno si ricorda. Hai avuto fiuto nello scegliere di sederti accanto a noi. Questo ti dà punti.» Continua Fely.
 «Beh, i secchioni, le galline e i giocatori di football sono praticamente in tutte le scuole americane.»
 «Ma non le tipe in gamba come noi. Posso assicurartelo.» Mi fa l'occhiolino e entriamo in aula.
 La lezione di biologia scorre rapida e il professore sembra piuttosto simpatico. Osservo le due ragazze sedute davanti a me, e non posso far altro che sorridere. Sembra l'accoppiata di uno spettacolo televisivo, dove l'una è l'opposto dell'altra e insieme si compensano. Greta piccola e delicata come una bambola di porcellana, Fely irrequieta e grossolana come uno scimpanzé in gabbia. Spero tanto che non perdano la voglia di conoscermi e di diventarmi amiche.
 A fine lezione, ci dirigiamo verso il cortile esterno.
 «Ora ti mostriamo i giardinetti dove si può studiare o stare nelle pause. Quando il tempo è bello, preferiamo portarci il vassoio fuori e mangiare all'aperto.» Dice Greta, avvicinando alla mia destra.
 «In realtà non perdiamo occasione di isolarci dagli altri e tenerli a debita distanza.» Aggiunge Fely alla mia sinistra.
 «Beh, anche io preferisco mangiare all'aperto.» Affermo
 «Fantastico! Il tuo punteggio sale.»
 «Di che punteggio parli?» Chiedo a Fely ridendo.
 «Lasciala stare... è una sua invenzione. Non ascoltarla.» Interviene Greta.
 «È un ottimo meccanismo di selezione! Ci sono i punti positivi e quelli negativi. In genere li raccogliamo durante la prima settimana di conoscenza. Se quelli positivi superano quelli negativi, allora sei dei nostri. Altrimenti... »
 «Non mi parlerete più?»
 «Smettila Fely!»
 «Sì, esatto.» Fely fa un gesto di stizza e mi fa capire che non scherza.
 «Quindi deduco che in questi quattro anni nessuno abbia accumulato più punti positivi dei negativi.»
 «Ah no, ti sbagli. Lei ne aveva più positivi.» Dice Fely indicando Greta.
 «E poi qualcun altro c'è stato, ma... sai... chi si è trasferito, chi ha cambiato giro... » Continua.
 «Betty e Sarah se ne sono andate per colpa tua.» Irrompe Greta.
 «Non è colpa mia se hanno preferito la compagnia delle galline alla nostra! Ci hanno sfruttate fintanto che erano sole e che nessuno le considerava!»
 «Si può essere amiche di più persone... te l'ho già spiegato.»
 «Non nel mio club.»
 «Non hai nessun club!»
 «Questo lo dici tu. Magari c'è ma non ne fai parte.»
 Mentre Fely e Greta discutono in modo bizzarro, rallento attratta da un gruppo di tre ragazze molto appariscenti, che sopraggiungono dal cortile. La prima delle tre spalanca le porte ed entra con la stessa solennità con cui Beyoncè sale sul palco a cantare.
 «Chi sono quelle?»
 Fely smette di sbraitare e si volta a guardarle.
 «Ah... nulla di importante. Sono le galline superiori. Quelle più potenti di tutte...»
 Ci passano accanto senza rivolgerci lo sguardo e tutti i ragazzi presenti in corridoio si scostano per farle passare. La scia del loro profumo ci travolge e mi toglie quasi il fiato.
 «La prima è Sasha. È la figlia del sindaco, ha un sacco di soldi e un cervello grosso quanto una noce. Il primo anno ci siamo picchiate per un posto in mensa.» Aggiunge Fely.
 Le seguo con lo sguardo e noto che rallentano all'avvicinarsi di un altro gruppo, tutto maschile.
 «Ah... e quelli sono i giocatori di football. L'incontro ufficiale è avvenuto, ora possono partire le danze.» Sbuffa Fely.
 Nell'osservarli, uno di loro attira la mia attenzione e resto imbambolata a guardarlo.
 «Ehi... Mizu?» Fely sventola la mano davanti ai miei occhi.
 Quel ragazzo ha qualcosa di familiare, qualcosa negli occhi e nella bocca che mi ricorda qualcuno.
 «Come si chiama quello?» Chiedo
 «Chi?»
 «Quello più alto, biondino... » il suo modo di sorridere, di tenere le mani sui fianchi e spingere il bacino in avanti...
 «Si chiama Andy... Andy Tyler. È il ragazzo di Sasha.» Greta risponde con un sottilissimo velo di malinconia.
 «Perché? Non dirmi che ti piace.» Ruggisce Fely.
 «No... » affermo dopo aver finalmente ricordato tutto.
 «Ma lo conosco bene... eravamo amici da piccoli. Per la precisione... lui era il mio miglior amico

   
 
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