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Autore: Naco    06/03/2020    1 recensioni
Quando la sua professoressa di tesi propone a Lucia - seria e coscienziosa laureanda in Lettere - di dare ripetizioni di francese al proprio figlio, la ragazza capisce subito che, accettando, rischia di cacciarsi in un mare di guai: Giulio Molinari è il classico figlio di papà che pensa solo alle ragazze e assolutamente disinteressato a costruirsi un futuro Insomma, il tipo di persona che lei detesta.
Ma è davvero così impossibile che due persone così diverse possano avvicinarsi? In una girandola di battibecchi, scontri e incomprensioni, tra parenti ficcanaso e fedeli amici, tesi da preparare e lezioni di francese da seguire, Lucia e Giulio si renderanno presto conto che non sempre l’altro è poi così diverso da noi e che, forse, la nostra anima nasconde un ritratto molto più bello di quello che noi preferiamo mostrare agli altri.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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XIX


Cercare una persona in ateneo, durante il periodo delle lauree, era come trovare un ago in un pagliaio. I corridoi, infatti, pullulavano di laureandi, amici, parenti, vicini, conoscenti, professori e già risultava difficile muoversi di solito, figurarsi quando si era di fretta.
Tuttavia, io non demorsi e, tra un «Permesso!» e un «Mi scusi!» attraversai tutto il perimetro del secondo piano senza successo. Il cuore mi si strinse: era già riuscito a uscire dall'edificio? In quel caso non l'avrei mai ritrovato, non quel giorno. E io non volevo aspettare oltre. Mi maledissi per aver lasciato il mio cellulare con tutte le mie cose a mia madre: se l'avessi avuto con me, avrei potuto almeno provare a chiamarlo; certo, avrebbe potuto non rispondermi, anzi, ero sicura che non l'avrebbe fatto, ma almeno avrei potuto tentare quella strada.
Mi guardai intorno meditabonda: il palazzo dell'ateneo era una costruzione degli anni Venti del secolo scorso e, come tale, ricco di anfratti, piani ammezzati, corridoi e scale che sbucavano nei posti più assurdi. Benché frequentassi quei luoghi da anni, non era raro che mi imbattessi ancora in nuove scorciatoie mai esplorate; anzi, sospettavo che nessuno, nemmeno il mio longevo dei docenti, conoscesse la planimetria completa dell'edificio. E questo, se da una parte creava infinite strade per poter uscire dal palazzo, dall'altra mi permetteva di raggiungere il pianoterra molto più in fretta di coloro che conoscevano il luogo in modo più superficiale e che, quindi, si sarebbero ammassati sulle scale o negli ascensori per uscire dal palazzo; pregai soltanto che Giulio fosse uno di quelli.
Abbandonai i corridoi più frequentati e mi diressi verso una rampa di scale che si trovava nascosta in un'ala così poco nota che a nessuno era chiaro che uffici ci fossero. Come avevo immaginato, per le scale non c'era anima viva, così mi lanciai di volata verso il pianoterra. Più di una volta rischiai di mancare un gradino e imprecai contro quei tacchi che Andrea mi aveva costretto a comprare, pur sapendo benissimo quanto li odiassi.
All'improvviso, nel preciso momento in cui stavo scendendo gli ultimi scalini, mi parve di vedere nel corridoio una figura nota che si allontanava verso uno degli spiazzali d'ingresso dove i vari laureati stavano ormai brindando con i propri familiari, benché l’università vietasse di festeggiare all'interno dei propri spazi. Se li avesse raggiunti si sarebbe confuso tra i presenti e sarebbe stato difficile seguirlo.
Con un ultimo slancio che sarebbe stato degno di una campionessa olimpica, ma non di una persona la cui attività fisica si limitava a salire e scendere le scale dell'ateneo e del condominio in cui abitava, saltai gli ultimi tre gradini con un solo balzo. Avvertii distintamente il mio piede destro andare in fallo e il tacco perdere la presa dal pavimento, ma mi aggrappai al corrimano ed evitai di cadere per terra. Strinsi i denti e, malgrado il dolore alla caviglia, corsi all'inseguimento della misteriosa figura. Fu soltanto quando mi trovai a pochi metri da lei che razionalizzai di aver rischiato di sfracellarmi per nulla: pur avendo la stessa altezza e lo stesso colore di capelli, quel ragazzo non era Giulio.
Sfinita, mi addossai a una parete, gli occhi che mi si riempirono di lacrime per la frustrazione e per il dolore che, a causa dello sforzo, si era fatto insopportabile. Provai a fare qualche passo, ma una fitta lancinante mi attraversò la gamba e uno strano suono gutturale uscì dalla mia gola.
Mi lasciai andare e mi ritrovai seduta sul pavimento di marmo; appoggiai la testa al muro dietro di me e chiusi gli occhi, distrutta sia nello spirito che nel corpo. Mi chiesi come diavolo avessi fatto a cacciarmi in quella situazione, ma la risposta era ovvia: era stata tutta colpa mia. Come diavolo avevo potuto essere così stupida e credulona? Abbassai la testa sulle ginocchia e la nascosi tra le braccia: era il giorno della mia laurea, avrei dovuto essere con le persone a me care a festeggiare... e invece ero lì, con una caviglia forse slogata, da sola, per aver inseguito il fantasma di una persona che, se fossi stata meno stupida, sarebbe stata al mio fianco fin dall'inizio.
«Te la sei proprio andata a cercare» mi rimproverò la classica vocina nella mia testa, quella che aveva sempre avuto fiducia in Giulio e che mi guardava sprezzante dall'alto in basso trionfante. Fantastico, adesso immaginavo pure che la mia coscienza assumesse una fisionomia umana per darmi addosso.
«Lucia?»
Alzai la testa, il cuore che mi batteva a mille. Avevo sentito davvero la voce di Giulio o era ancora la mia testa a farmi brutti scherzi?
E invece no: Giulio era lì, a pochi metri da me, che mi fissava stupito.
«Giulio?»
Lui mi raggiunse e si accucciò davanti a me, preoccupato. «Che ci fai seduta qui per terra?»
Gli indicai la caviglia che ormai aveva raggiunto le dimensioni di una patata: «Sono caduta e...» Che diavolo stavo dicendo? Dovevo scusarmi, dovevo dirgli che mi dispiaceva e invece stavo parlando della mia stupida caviglia!
Lui seguì il mio sguardo. «Accidenti, hai preso una bella botta! Bisogna metterci del ghiaccio. Aspettami qui, torno subito» e corse via dalla parte opposto da cui era arrivato, dove si trovava il bar interno all’università.
Ritornò una decina di minuti dopo con una caraffa piena di cubetti di ghiaccio e un panno di stoffa; si accucciò di nuovo davanti a me e con gesti esperti mise alcuni cubetti sul panno, lo chiuse e lo posizionò sulla caviglia. Appena il ghiaccio toccò la parte dolorante provai un'intensa sensazione di fresco che mi fece mugugnare di piacere.
«Ti ho fatto male?» mi chiese Giulio con ansia, spostando la sua attenzione su di me, ma io scossi la testa; dopo, arrotolò i lembi del panno intorno alla caviglia in modo da bloccarlo.
«Meglio?» s’informò.
«Sì, grazie» e si sedette accanto a me.
Rimanemmo per qualche secondo in silenzio, molto interessati alle crepe sulla parete di fronte a noi: avrei voluto dirgli tante di quelle cose che non avevo idea di come iniziare.
«Non pensavo che qualcuno che non fosse uno studente dell'ateneo conoscesse queste scorciatoie» gli dissi, dandomi subito della cretina. Perché non arrivavo dritta al punto, invece di tergiversare in questo modo? Da quando ero diventata così codarda?
Giulio rise. Mi era mancata tanto la sua risata. «Mi piace esplorare. E l'ateneo è meglio di un castello medievale. Solo che a volte mi perdo ancora, e infatti ho girato a vuoto per un po' prima di trovare questa scala. E tu? Come ci sei finita in quest'angolo sperduto dell'università? Non dovresti essere con i tuoi a festeggiare?»
Chinai la testa e decisi che le mie scarpe erano molto più interessanti di un muro. «Ti stavo cercando. Volevo... volevo ringraziarti per il ritratto. È stupendo.»
«Sono contento che ti sia piaciuto» la voce di Giulio era calma, ma non trasmetteva alcuna particolare emozione, perciò non ero affatto sicura che avesse gradito le mie parole. «Ho saputo che andrai in Francia per il dottorato.» commentò invece «Congratulazioni. Ero certo che il tuo lavoro sarebbe stato apprezzato.»
«Oh, ma non è per niente certo» minimizzai «La professoressa Galanti vuole prima leggere tutta la tesi per potersi esprimere. Quindi, in realtà, potrebbe anche rendersi conto che in realtà non merita alcuna attenzione.»
«Sciocchezze.» Giulio si voltò verso di me. «Ho sentito la tua discussione. Sei stata fantastica: hai spiegato il tuo punto di vista in modo ineccepibile e chiarissimo. Hai convinto anche me che non ne capisco un accidenti. Te l'ho già detto, saresti un'ottima insegnante.»
Perché? Perché era così gentile con me dopo tutto quello che gli avevo detto? Al suo posto mi sarei detestata, anzi, mi sarei abbandonata in quell'angolo di università a cavarmela da sola.
«Perché?»
Giulio mi guardò incuriosito. «Perché cosa?»
«Perché mi hai dato questo bracciale dicendo che era da parte di Margherita, quando non è vero?» ebbi infine il coraggio di domandargli.
Sbuffò. «Se ti avessi detto che era da parte mia, avresti pensato che c'era sotto qualcosa, tipo che avessi lanciato qualche maledizione o l'avessi imbevuto di veleno. O sbaglio?»
«Io... ok, è vero,» ammisi mesta. «ma non hai pensato che comunque avrei potuto scoprirlo?»
«Certo. Anzi, era quello che speravo. Non sono bravo a scusarmi con le parole,» si giustificò abbozzando un sorriso. Il cuore mi si strinse: aveva un'espressione così dolce. Non sorridermi così, ti prego. Non è giusto, non me lo merito, non...
All'improvviso scoppiai a piangere e nascosi il volto fra le mani. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Avrei dovuto avere più fiducia in te, avrei dovuto crederti!»
«Ehi!» Giulio con delicatezza mi scostò le mani dal viso. «No. Non piangere, per favore. Non dico che le tue parole non mi abbiano ferito, ma avevi ragione su tutta la linea. Come potevo sperare che tu avessi fiducia in me se io per primo non ne avevo in me stesso?»
Cercò di asciugarmi le lacrime con le dita, ma io scossi la testa. Non ero disposta a perdonarmi così in fretta: «E invece no. Ti ho detto delle cose orribili. Perché malgrado tutto ti sei fermato? Perché mi hai dato una mano? Avresti dovuto lasciarmi qui da sola a maledirmi per la mia stupidità, me lo sarei meritato.»
«Che domande, perché sono innamorato di te, ovviamente» mi disse, come se la risposta fosse così scontata che non aveva neanche senso parlarne. «E da molto tempo, ormai.»
Fu solo allora che smisi di piangere. «Eh?» lo fissai incredula.
«Sì, anche se me ne sono reso conto da poco tempo.»
Non era possibile. Lui mi aveva odiata per mesi, me l’aveva detto in modo anche piuttosto chiaro e io stessa lo avevo avvertito anche solo vedendo come mi guardava. Giulio dovette pensare che non fossi convinta delle sue parole, perché «Anche se immagino che non suoni molto credibile.» aggiunse.
«Non volevo...» ma Giulio non mi lasciò il tempo di replicare, perché si sistemò meglio, in modo da volgersi del tutto nella mia direzione.
«Vedi, mia madre è rimasta subito entusiasta da te e in casa non faceva altro che parlare di questa ragazza che le aveva proposto un lavoro ai limiti dell'assurdo, ma davvero interessante. “Dovresti prendere esempio da lei”, mi aveva rinfacciato mio padre più di una volta e così volli vedere che tipo fossi. Ero certo che fossi il classico topo da biblioteca e ammetto che ti odiai ancor prima di conoscerti. Ero stato già molto spesso nella vostra biblioteca per via dei manuali di storia dell'arte greco-romana che vi avevo trovato, ma da quel giorno cominciai a essere un frequentatore più assiduo. Non ti nascondo che l'idea di infastidire mia madre con la mia presenza era un incentivo niente affatto indesiderato.» Giulio non riuscì a nascondere un ghigno.
Non avevo dubbi. «Immagino che abbia soddisfatto le tue aspettative» commentai tirando su con il naso e asciugandomi le guance con il dorso di una mano.
«Oh sì» rise «Eri esattamente come ti avevo immaginato: sempre lì, sul tuo computer o con il naso in un libro. Sono sicuro che non te lo ricordi, ma la prima volta che mi rivolgesti la parola fu per rimproverarmi per aver lasciato dei libri sul tavolo invece di rimetterli a posto prima di andar via.»
Abbozzai un timido sorriso. Aveva ragione, non me lo ricordavo, ma del resto era un rimprovero che facevo spesso agli studenti: il regolamento della biblioteca obbligava gli utenti a riporre i libri da dove li avevano presi, se erano disposti sugli scaffali accessibili al pubblico, ma in troppi facevano finta di nulla, aggravando i bibliotecari di un lavoro inutile.
«Questo non mi aiutò a cambiare opinione su di te; tutt'altro. Eppure, benché ti detestassi, non riuscivo a ignorarti: avevi una strana forza di volontà che mi attirava e non potevo fare a meno di chiedermi da dove prendessi tutta quella sicurezza. E così se da una parte non ti sopportavo, dall'altra volevo avvicinarmi a te. Inoltre, eri l'unica ragazza che se ne infischiava che fossi il figlio di una prof e mi rispondeva a tono, e per questo mi divertivo tantissimo a stuzzicarti.»
«Sembra la trama di una di quelle commedie romantiche che Andrea adora e che io evito come la peste» notai.
Rise. «Beh, in fondo, se ci pensi, da qualche parte devono aver pur preso spunto per creare i loro cliché, no?»
In effetti non aveva tutti i torti.
«Poi mia madre se ne venne fuori con quella storia delle ripetizioni di francese. Penso sia stato quello il momento in cui ti ho odiata di più.»
Oh, me ne ero accorta, eccome. Al solo ricordo dell'occhiata che mi lanciò quel pomeriggio sentivo ancora un brivido freddo lungo la schiena.
«Ma credo che sia stato anche quello in cui ho iniziato a innamorarmi di te. A posteriori, credo che il punto di non ritorno sia stato quando mi hai fissato dritto negli occhi e mi hai detto che non avresti mai accettato dei soldi per andare contro i tuoi principi.»
Inarcai un sopracciglio, perplessa: «C’è un che di masochistico in tutto questo, lo sai?»
Annui, per nulla offeso dalle mie parole. «In effetti credo di essere il re dei masochisti: ho accettato in modo passivo le decisioni dei miei, ho studiato per diventare qualcosa che non mi interessa e ho soffocato le mie ispirazioni; direi che prendermi una cotta per una ragazza che aveva minacciato di evirarmi e che, a quanto vedevo, avrebbe potuto farlo sul serio senza batter ciglio, mi sembra il minimo!»
Scoppiai a ridere. Il vociare lontano era scomparso: i vari laureati e le rispettive comitive si erano allontanati per continuare i festeggiamenti in luoghi più consoni; tuttavia, sapevo bene che una seconda ondata sarebbe arrivata molto presto.
«I giorni in cui abbiamo fatto lezione insieme sono stati i più strani della mia vita:» proseguì «da una parte mi irritava anche solo l'idea che tu prendessi una mia penna tra le mani, dall'altra non potevo fare a meno di ammirare quanto fossi testarda: un'altra persona, al tuo posto, avrebbe rinunciato da un pezzo; tu, invece, continuavi imperterrita per la tua strada. Tu eri ciò che io non ero mai riuscito a essere, e questo mi faceva rabbia. È stato in questo periodo che, in un impeto d'ira, ho detto a Valeria che avrei voluto fartela pagare, ma dubito che abbia inteso il vero motivo per cui ce l’avessi tanto con te. Direi che l'odi et amo catulliano rispecchi nel migliore dei modi la mia situazione di allora.
Penso che sia per questo che ho reagito così male quando hai visto il disegno di Marita e, soprattutto, quando hai aperto quel blocco» mi lanciò un'occhiata divertita. «Quel giorno ti ho riempita di insulti, ma nonostante questo tu hai incassato il colpo e hai continuato per la tua strada. Anche tu sai essere parecchio masochista, eh!»
Gli sorrisi: «Mi sa proprio di sì.»
«Ad ogni modo, me ne sono pentito ancor prima della nostra lezione successiva. Avrei voluto scusarmi, ma come puoi immaginare, non ne avevo il coraggio… o forse era il mio orgoglio a non volerlo trovare. Così decisi che avrei potuto usare un altro mezzo» indicò il bracciale «Ma sono stato un codardo e l'ho tenuto in macchina per giorni prima di dartelo.»
«Perché hai deciso di prestarti a quella farsa per il mio compleanno?»
«Te lo dissi, mi dispiaceva averti messo nei pasticci per quello stupido scherzo, anche se tu non credesti a una sola parola. Quando rientrasti dalla telefonata con tua nonna, eri parecchio sconvolta. Era la prima volta che ti vedevo in quello stato e la curiosità prevalse: come mai una ragazza come te, sempre così posata da risultare persino fredda, aveva avuto una reazione così esagerata? Volevo scoprirlo. Ma non avrei mai pensato che nascondessi un simile segreto. In quei giorni mi sono reso conto di quanto fossimo simili: solo che tu avevi reagito con grinta alle avversità; io, invece, avevo lasciato che gli altri decidessero per me. È stato allora che ho capito di amarti.
Quel giorno, sì, mi hai spezzato il cuore, ma hai distrutto quella barriera di apatia che non ero mai riuscito a scacciar via. La sera stessa, andai da mio padre e senza giri di parole gli dissi che, ok, avrei sostenuto la prova, ma per me, perché volevo tentare di farcela con le mie forze. Ma che fossi passato o meno, non avrei frequentato quello stupido tirocinio, perché non era quello che volevo fare nella vita. L’ho supplicato di aspettare cinque anni: se in cinque anni non riuscirò a mantenermi con le mie forze, chiuderò nel cassetto i miei sogni e inizierò a far pratica nel suo studio.»
Rimasi a bocca aperta per lo stupore. «E lui?»
«Ero sicuro che si sarebbe arrabbiato e che mi avrebbe urlato di andarmene via e di non farmi vedere mai più; invece, contro tutte le mie aspettative, mi ha stretto una mano e mi ha detto che ero finalmente diventato l'uomo che sperava diventassi. Così, il giorno dopo, comprai i libri che avevamo cercato insieme e mi misi a studiare; in più, ho iniziato a cercare sul serio di comprendere che strade potrei percorrere per realizzarmi come artista. Mio padre mi ha fatto conoscere la figlia di un suo collega che studia all'Accademia di Belle Arti. E lei mi ha aperto un mondo, un po’ come ha fatto la tua amica Claudia: ci sono un sacco di possibilità che potrei esplorare, tantissimi corsi che potrei seguire per decidere cosa fare della mia vita. Mi piacerebbe tanto presentartela, è una ragazza molto particolare: pensa che si è tinta i capelli di rosa per sentirsi più vicina ai personaggi che disegna. Chissà cosa avrà pensato di lei mio padre, la prima volta che l’ha vista!» ridacchiò.
Ecco chi era la ragazza che io e gli altri avevamo visto quella mattina. Ancora una volta, avevo tratto delle conclusioni affrettate, senza prima ascoltare la campana del diretto interessato.
«Non so ancora se frequenterò l'Accademia di Belle Arti o un corso di fumetto, se andrò a Roma o a Milano o resterò qui, ma di una cosa sono sicuro:» con decisione, Giulio prese il mio viso tra le mani «voglio cercare di avverare i miei sogni, proprio come stai facendo tu, e diventare una persona degna della tua fiducia. Mi aspetterai, vero?»
Stavolta gli occhi gli brillarono di una nuova luce e gli sorrisi: quello era il vero Giulio, la persona che volevo al mio fianco e che amavo con tutta me stessa.
«No,» allungai la mano e gli accarezzai una guancia. «non voglio aspettarti. Voglio camminare al tuo fianco» dissi e lo baciai.



Vi do appuntamento alla prossima settimana per l'epilogo!
   
 
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