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Autore: Mahlerlucia    06/03/2020    3 recensioni
{Sequel de ‘Il mio gioco preferito’}
… Forse è stato il tempo
forse quella solitudine
che ci portiamo dentro
troppo grande per noi…
(‘Se tornerai’ - 883)
[Semi x Shirabu]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu, Reon Ōhira, Wakatoshi Ushijima
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Accetto miracoli'
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Anime/Manga: Haikyuu!!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico
Rating: giallo
Avvertimenti: Lime, What if?
Note: Spoiler!, Tematiche delicate
Personaggi: Eita Semi, Kenjirō Shirabu (Wakatoshi Ushijima, Reon 
Ōhira)
Pairing: SemiShira
Tipo di coppia: Yaoi

 
  

 
Se tornerai
 
 

Ti ricordi quell'estate
in moto anche se pioveva
tentavamo un po’ con tutte

cosa non si raccontava
ci divertivamo anche con delle cose senza senso
questo piccolo quartiere ci sembrava quasi immenso...


 
“No, non posso venire.”

Bugiardo.

“Non ti preoccupare, la guarderò da casa... se riesco.”

Recidivo.

“Intendo dire che potrei avere un impegno. Forse torno a lavorare.”

Come sarebbe a dire... forse? Hai un’alternativa valida per poter sopravvivere? 

“Ok, ti faccio sapere. Ciao Reon.”

Eita aveva riattaccato sospirando rumorosamente. Restò per qualche istante con lo sguardo fisso sullo schermo dello smartphone, per poi scaraventarlo sul divano e mettersi ancora una volta alla ricerca del pacchetto di sigarette. La fortuna voleva che si trovasse proprio sul tavolino che stava al tuo fianco, assieme a quell’accendino ornato dal disegno di una strana fenice; probabilmente doveva appartenere a qualche marchio di tabacco statunitense a te ancora sconosciuto.

“Fermo! Prima di riempirti i polmoni di alcaloide parasimpaticomimetico, parliamo a proposito di quello che ho appena avuto modo di sentire.”

“Senti, non sto andando a bucarmi. Voglio solo fumarmi una sigaretta in santa pace.”

Si avvicinò ulteriormente con fare minaccioso, ma con l’unico scopo di allontanarti per agguantare ciò che gli apparteneva di diritto. Ma tu non ci potevi stare ad essere trattato in maniera meno considerevole di uno dei più stupidi tra i suoi mille vizi: non gliel’avresti data vinta con così tanta facilità.

“Mi stavo riferendo proprio a questo.”

Mise entrambe le mani lungo i fianchi, con fare spazientito. Sbuffò per lasciarti intendere di non aveva alcuna voglia di mettersi a discutere con te per una stupidaggine del genere, per quanto apprezzasse lo sforzo.
I tuoi occhi si posarono sulle sue braccia colorate da strani segni tribali e creature mitologiche di ogni genere, sui suoi capelli chiari e ancora spettinati – una rarità! –, su quella maglietta la cui aderenza lasciava ben poco spazio all’immaginazione. Nonostante il periodo di scarsa propensione all’attività fisica, Semi aveva mantenuto un fisico asciutto e tonico. Cosa che invece non si poteva dire parlando di te, dato che nell’ultimo periodo di praticantato i pasti saltati avevano di gran lunga surclassato quelli portati a termine come gli dèi comanderebbero.
Eri a corto di tempo da poter dedicare a te stesso, non certo di appetito.

“La smetti di fissarmi in quel modo?”

Le sue parole ebbero lo stesso effetto di una secchiata d’acqua gelida arrivata d’improvviso in pieno faccia. Ai suoi occhi eri più trasparente di una sottile lastra di vetro, come aveva già avuto modo di farti notare in svariate occasioni, a partire dai primi battibecchi nati sul campo in tempi non sospetti.

“E perché non potrei?”

“Semplice: mi stai praticamente scopando con gli occhi. Non che mi dispiaccia, ma dovresti imparare ad essere un po’ meno ‘ovvio’.”

Aveva ragione. Aveva spudoratamente ragione e non potevi nemmeno permetterti di ammetterlo per non concedergli soddisfazione. Il suo ego ne aveva di certo bisogno, ma restava pur sempre da salvaguardare l’orgoglio. Non era da te arrenderti al primo attacco sferrato dall’alto della sua maggiore esperienza in fatto di erotismo e segnali ad esso annessi. Le sue godurie se le sarebbe comunque dovute guadagnare.

“Se non ti dispiace... allora perché dovrei smettere?”

“Perché poi ti fai prendere dall’imbarazzo, dottore! Ora dammi le mie sigarette!”

“Vieni a prendertele!”

Senza alcun preavviso, la tua età mentale pareva essere regredita ai tempi della scuola primaria. La tua reazione fu esattamente quella di un bambino che voleva provocare il solito bulletto della classe, colui che pretendeva di avere tutto senza dover nemmeno chiedere l’autorizzazione agli insegnanti. Peccato che ti trovavi nel posto sbagliato e in assenza di qualcuno pronto a difenderti. Ma forse nemmeno t’importava.
Avevi iniziato a girare in tondo attorno al divano, sperando di trovare una soluzione più idonea a quella piccola fuga. La portafinestra che dava sul terrazzo era rimasta leggermente aperta, non potevi non approfittarne. Una volta arrivato alla balaustra avevi direttamente lanciato quel piccolo involucro oltre la siepe che divideva la strada frontale dal campo incolto che ricopriva gran parte di quel piccolo rione di Sendai.

“Brutto nanerottolo, cos’hai fatto? Ora vedrai!”

“Cosa...”

Non ti aveva lasciato il tempo di prendere atto delle sue reali intenzioni. Ci pensò il rumore sordo degli infissi che s’incastravano perfettamente tra loro a rendere l’idea.
Eri stato chiuso fuori, al freddo, con indosso solamente una leggera maglia a maniche lunghe incapace di contrastare le temperature di quel periodo dell’anno. Il dito medio innalzato come unico trofeo messo a sua disposizione fece poi il resto.

“Eita-san, vedo che non comprendi. Io salvo il tuo sistema cardio-respiratorio dai mali più estremi dell’Universo e tu mi lasci fuori al gelo. Chiunque al mio posto potrebbe dire che non è esattamente la stessa cosa.”

“Non me ne frega un emerito cazzo! Ti sta bene!”

Dovevi restare calmo. Osservarlo oltre quella vetrata si sarebbe potuta rivelare la strategia migliore.
L’ex setter della Shiratorizawa Academy appariva così risoluto nella sua posizione di prestigio, con le braccia conserte e le gambe leggermente divaricate, lo sguardo fiero e gli occhi tronfi puntati sul tuo viso sempre più scocciato da quell’assurda situazione. Paradossalmente, ne eri persino l’unico responsabile.
Avevi portato entrambe le mani a contatto con quella superficie liscia e gelida che ti consentiva ancora di desistere dall’impulso di tirargli un pugno in pieno volto. Un attimo dopo ti eri ritrovato a poggiare anche la fronte, restando in attesa di una sua qualunque reazione; unico requisito richiesto dal tuo intelletto, che fosse quantomeno sensata.
Il silenzio stava diventando assordante per entrambi. Lo avevi realizzato dal momento in cui Eita iniziò ad avvicinarsi mettendosi nella tua stessa – e assurda – posizione. I palmi tagliuzzati delle sue mani si stamparono sui tuoi, mentre la sua fronte si posò alla stessa altezza della tua, per quanto potesse permettersi di arrivare qualche centimetro più in alto.
Sentivi freddo e caldo allo stesso tempo, rabbia ed amore che non avresti mai saputo spiegare a nessuno, specie alla tua coscienza, la stessa che in quel frangente sembrava essersi smarrita ad anni luce di distanza. Era esattamente questo l’effetto che Eita Semi generava su di te e sulle tue fragilità. Nel corso del tempo le aveva scovate ed analizzate tutte, fino ad arrivare ad ingegnarsi al fine di poterle usare a suo favore. In passato eri tu il padrone del campo, ora è Eita che ha in mano le redini di un gioco piuttosto pericoloso, per lui in primis.

“Un po’ di tempo fa mi avevi promesso che avresti smesso di fumare. Non l’hai mai fatto.”

“Probabilmente quel giorno non ero in grado d’intendere e di volere.”

Il ritmo delle sue parole era risultato meno incalzante e il tono si era come rabbuiato. Parlare del tunnel umorale in cui era entrato così tante volte lo aveva reso melenso, quasi privo di quelle difese sarcastiche delle quali stava abusando fino a un attimo prima. Le sue labbra si unirono al vetro, schiudendosi per far posto alla lingua e a quel piercing argentato che mostrava sempre con un certo orgoglio, ai limiti del tedio. Sapeva bene che non eri mai stato favorevole all’aggiunta di quel gingillo nella tua bocca.
Il ribrezzo provato di primo acchito fece presto spazio ad un impercettibile gemito dovuto a quell’erezione impudente che si stava facendo largo nel tuo bassoventre. Avresti potuto alzarti, afferrare l’attizzatoio che avevi visto appoggiato alla parete esterna, tra le scope e le palette, e ridurre in frantumi ciò che ancora osava dividervi. Gli avresti tranquillamente mollato qualche sonoro ceffone scaraventandolo sul pavimento; ti saresti vendicato a dovere mordendo la sua pelle chiara e godendo dei suoi rimbrotti così come dei segni lasciati. Lo avresti baciato e ti saresti fatto trasportare a tua volta in un altro mondo, sconosciuto a tutti se non a voi. E al termine di quel vortice di carne e graffi, di sospiri e lussuria, avresti goduto della visione del suo viso devastato dal sudore e dal piacere, di quello strano lamento che accompagnava ogni volta il raggiungimento del suo orgasmo. Una liberazione di cui non necessitavano solamente i vizi dettati dal suo giovane corpo in costante fermento.

Semi doveva aver percepito qualcosa all’interno di quei tuoi pensieri impuri. In fondo, altro non erano che un contorno speziato rispetto alla portata principale rappresentata dal marasma d’intenzioni che vagavano per la sua testa.
Il suo braccio si allungò sino alla maniglia interna e ridiscese poco più sotto, dove si trovava la piccola chiave che ti aveva ‘incastrato’ sul terrazzino. Il tac che ne seguì ti fece saettare in piedi per consentirti di aprire il prima possibile la porta, onde evitare che l’infame potesse decidere di richiuderla e pensare addirittura di andarsene.
Eita finì a terra, preso in contropiede da quello scatto liberatorio che finalmente ti rendeva padrone del momento. La botta sulla fronte non era stata indifferente, ma fortunatamente sembrava essere ancora integro. Il suo gremito repertorio d’insulti a te dedicato era stato consultato minuziosamente.

“Quindi il tuo obbiettivo era quello di spaccarmi la testa?! Beh, ci sei quasi riuscito!”

“Nah! La tua zucca è troppo dura per potersi rompere. Non mi va di averti sulla coscienza!”

Cazzo!
Si rimise a sedere a fatica mentre il suo sguardo si faceva sempre più vacuo. Un sorriso bugiardo si fece largo tra le sue guance, come se avesse voluto rassicurarti senza rendersene pienamente conto.
Certo, avevi sicuramente parlato troppo, oltrepassando determinati limiti emotivi che sarebbero dovuti rimanere invalicabili; ma non lo avevi fatto con intenzioni malevole od offensive.
Stava di fatto che tu non avevi la benché minima idea di cosa volesse dire ‘avere qualcuno sulla coscienza’ e forse sarebbe stato meglio evitare di tirare fuori il discorso, seppur non ci fosse stato nessun riferimento diretto a Satori e al terribile incidente che aveva causato la sua dipartita.

Semi sembrò aver recepito la cosa e tornò ad annuire e a scrutarti con una serietà che non notavi in lui da tempo.
Le sue dita sottili afferrarono un lembo dei tuoi pantaloni mentre ti stavi allontanando per andare al bagno. La combinazione tra il tuo movimento e la sua presa inaspettata ti fece perdere clamorosamente l’equilibrio, portandoti a ruzzolargli addosso con tutto il tuo dolce peso. Il tuo gomito finì direttamente sul suo viso, causando la comparsa di un piccolo rivolo di saliva mista a sangue tra i suoi incisivi.

“Maledizione! Mi dispiace... non volevo...”

“Di questo passo non arrivo vivo a stasera!”

Si passò la lingua tra i denti, trattenendo a fatica una smorfia dovuta all’inevitabile dolore provato. Non avrebbe mai ammesso che quando volevi, sapevi essere piuttosto pericoloso.
Il suo sguardo fintamente imbronciato t’inchiodò a lui e ai sensi di colpa che stavano cominciando a generarsi tra i tuoi pensieri sempre più offuscati dagli eventi. Il colpo di grazia arrivò quando realizzasti la presenza di un vistoso bernoccolo sulla parte sinistra della sua fronte.

“Se tu non mi avessi chiuso fuori... tutto questo non sarebbe successo.”
 
“Certo, ora la colpa sarebbe mia se ti salta in mente di lanciare i miei averi dal mio terrazzo!”

“Mio, mio, mio! È tutto tuo qui?”

Non eri riuscito a comprendere cosa fosse sfuggito al tuo controllo in quegli attimi, ma le sue labbra s’impressero sulle tue con una certa arroganza; la sua lingua si fece spazio tra i tuoi denti lasciandoti pregustare quel sapore doppiamente metallico fatto di ferraglia ed emoglobina condivisa. Una contatto che avrebbe potuto suscitare il tuo più recondito disgusto, se solo non lo avessi trovato ancor più intimo di una qualunque penetrazione tra le natiche.
In quanti corsi di virologia ti avevano detto di prestare sempre attenzione ai liquidi altrui e alla quantità di batteri e virus che possono portare e trasmettere? Troppi. E in fondo, a te cosa importava in quel momento? Niente. In quel frangente il tuo ruolo non era quello del bravo tirocinante che s’impegnava per ottenere buoni voti agli esami ed eccellenti raccomandazioni da parte dei suoi superiori. Eri semplicemente l’oggetto del suo desiderio, l’appiglio a cui si stava aggrappando con audace disperazione per non perdersi nei suoi rimandi al passato, nei suoi rimorsi e nei suoi rimpianti; il suo presente, come aveva amato definirti quella stessa mattina.

“Sì, tutto. Compresi gli intrusi.”

Intruso... a chi?!”

Eita ti rispose con un sorriso sgangherato dei suoi, sicuro di voler confermare il suo mero obbiettivo di provocarti ad oltranza. Quel gioco di resistenza psicologica lo rendeva euforico e padrone del contesto, libero e prigioniero delle tue reazioni allo stesso tempo. Un sovraccarico di contraddizioni che gli si addiceva da tempo immemore, esattamente da quando aveva iniziato a detestare l’idea di doverti concedere il suo posto in campo, senza però mai perdere occasione per consigliarti e spronarti a fare del tuo meglio, in un walzer di distanze che tendevano ad aumentare o ad accorciarsi a seconda dell’umore della giornata.
Lo afferrasti per le spalle sino a portarlo al pavimento, facendo attenzione a non risultare ancora una volta troppo irruento ed impulsivo. Non era il caso di fargli perdere completamente i sensi, soprattutto considerando quelle che erano le tue prospettive per l’immediato futuro.

“Perché hai rifiutato la proposta di Ōhira-san?”

Le sue enormi iridi grigie decisero di fartela immediatamente pagare per quella domanda inopportuna e dalla risposta piuttosto scontata, almeno per ciò che ti riguardava. Abbandonarono la loro fissità sul tuo volto per perdersi su di un punto indefinito del soffitto. Il suo sorriso fece altrettanto, dissolvendosi tra le piccole piaghe della sua pelle diafana. Sollevò una mano e con una discreta forza ti attirò a sé, lasciandoti ricadere nell’incavo tra il suo collo e la spalla senza mai liberarti dalla sua presa.
Temeva un’eventuale fuga? Dove saresti potuto andare per sfuggire da lui? E, soprattutto, a che scopo?

“Wakatoshi non sarebbe contento di vedermi sugli spalti.”

Avresti voluto sollevare il capo per poterlo guardare dritto negli occhi e fargli intendere quanto fosse mastodontica la cazzata che aveva appena avuto il coraggio di sentenziare. Eri assolutamente convinto del fatto che fosse stato lo stesso Ushijima-san a procurare i biglietti ai suoi ex compagni di liceo in vista della super-sfida tra Schweiden Adlers e Black Jackals. Indipendentemente da quelli che erano stati i loro trascorsi.
Fece forza con il braccio per non consentirti di muoverti e tu, di tutta risposta, avevi reagito con un graffio deciso che si era poi disperso tra quei piccoli e grandi schizzi d’inchiostro. Si stava implicitamente vendicando di tutti i tuoi precedenti attacchi fisici... e non solo.

“Te l’ha detto lui?”

Una leggera risata pregna di malinconia si fece largo in quel piccolo salotto di Sendai. Eita non poteva davvero immaginare che tu gli stessi chiedendo una cosa del genere, anche se sapeva bene che in quella domanda c’era un messaggio indiretto da parte tua. Una paternale o una pacca sulla spalla? Non era esclusa nemmeno una legnata in testa, visto e considerato l’andamento della giornata.
La sua risata aveva un suono melodioso in grado di confutare quelli che erano i reali sentimenti che stava provando nel profondo del suo animo. Il suo profumo ti stava inebriando come quello dei sakura all’inizio di ogni primavera che si rispetti. Dopotutto, privarlo in maniera coercitiva di quell’odiosa nicotina stava producendo i suoi primi effetti benefici, specie sulla sua salute.

“Che domanda idiota, Shirabu-kun.”

“La tua risposta conferma proprio quello che volevo sentirmi dire. Sono tutte delle stupide paranoie dietro cui ti nascondi per non affrontare la realtà. Ushijima-san non si è mai permesso di dire nulla sull’incidente e-”

La sua mano si posò sulla tua bocca con impeto, lasciandoti deliberatamente intendere che non avrebbe avuto la pazienza necessaria per ascoltare una sola parola in più. Un gesto che ti aveva quasi fatto sentire di troppo non solo tra voi, ma anche – e soprattutto! – all’interno dei rapporti d’amicizia presenti tra i suoi ex senpai.

La quiete si era fatta largo tra voi, rafforzando quel muro d’incomprensione che nelle ultime ore sembrava essersi leggermente abbassato. Semi si era voltato dalla parte opposta per evitare di mostrarti ancora una volta le sue lacrime amare, per non dover stare a spiegarti che la crepa che si era generata nel suo cuore non si era mai davvero rigenerata dal giorno in cui Tenodu aveva esalato il suo ultimo respiro, dal giorno in cui l’intero Universo era caduto sulle sue fragili spalle impedendogli persino di tornare a respirare liberamente come un tempo.
Un’aquila reclusa dalle sue stesse distrazioni, un ragazzo afflitto da mille lame sottili capaci di centellinare ogni goccia di sangue liberata, prolungando il suo dolore in un’agonia che pareva non avere mai realmente fine.
 
***
 
“Ma hai visto che spettacolo di match?! E pensare che tu non avevi nemmeno intenzione di venire!”

“Già...”

Eita aveva deciso di seguire il tuo consiglio e aveva raggiunto Ōhira alla Kamei Arena di Sendai.
Aveva deciso di optare per un look decisamente simile a quello che metteva in mostra durante i live show che organizzava nei locali con i Raijin. La sua appariscente presenza fisica lo avrebbe aiutato a camuffare al meglio il suo umore, così come il suo infondato timore di non essere più ben visto dalle catene portanti della sua turbolenta adolescenza. Wakatoshi su tutti.
I tuoi impegni – come avevi giustamente preventivato – non ti avevano concesso la possibilità di assistere dal vivo a quella straordinaria partita. Rivedere Ushijima-san all’opera non ti sarebbe affatto dispiaciuto. La ciliegina sulla torta era poi arrivata nel momento in cui lo stesso Semi ti aveva scritto di aver incontrato anche il buon vecchio mister Washijō, da sempre in prima linea quando si trattava di osservare e commentare eventi sportivi di quella portata. E il suo amore per la pallavolo, si sapeva, talvolta sembrava persino più grande di quello che provava verso sé stesso.
Con lui si era parlato di quasi tutti quelli che un tempo erano i suoi ragazzi della Shiratorizawa Academy. Chi studiava, chi lavorava, chi ancora si dedicava allo sport e alla pallavolo. Eita aveva persino riso di gusto pensando a quanto ci fossi rimasto male per aver scoperto, solo pochi giorni prima, di essere stato ‘incastrato’ in un turno di ben dodici ore al reparto di cardiologia pediatrica. Ma non potevi assolutamente permetterti di saltarle, dato che mancavano solamente due mesi al termine del praticantato in quel ramo medico così ‘delicato’.
Sì, si era parlato di tutti... tranne che di Satori Tendou. Washijō non aveva avuto alcuna intenzione di ferire i suoi allievi con parole che potevano essere tranquillamente evitate, specie in un contesto chiassoso e colorito come quello in cui si erano deliberatamente incontrati. Erano tutti lì per sostenere Wakatoshi e la sua squadra. Del resto si sarebbe potuto disquisire anche in seguito.

“Strano che mister Washijō non abbia fatto ‘strani’ commenti sul tuo look!”

“Eh?! Cos’avrebbe il mio look di così anomalo? Washijō non ha mai detto nulla di particolare in passato sul modo in cui mi vesto.”

“Suvvia, sembri appena scappato da un concerto di gothic rock, altro che pallavolo di prima divisione!”

“Ti permetti di deridere il gothic rock? Ma sai almeno cos’è o ti stai limitando a dare fiato alle tue inutili corde vocali?”

La risata di Reon sembrava voler porre fine a quell’assurda diatriba tra vecchi compari. Erano passati anni, ma Semi era ancora capace di offendersi per commenti irrisori di quel genere. Poteva generare discussioni di ore intere col solo intento di esporre le sue teorie su questioni che a lui premevano particolarmente o sulle quali si sentiva più o meno ferrato. E il gothic rock rientrava sicuramente tra queste.
In generale, la musica era la sua vera passione. Suonava tutte le tipologie di chitarre, il basso, la tastiera e la batteria, tanto che all’occorrenza poteva permettersi persino di sostituire qualunque altro elemento della sua band. Ma soprattutto, cantava divinamente. La sua voce non era né dolce né dura; non rientrava in nessun canone prestabilito ma spesso veniva definita come ‘graffiante’ o ‘sporca’, oltre che capace di adattarsi ad ogni nota e tonalità scelta. Colpiva per la brama che trasudava ad ogni verso e per l’emotività che mostrava quando si ritrovava ad interpretare canzoni che lo portavano indietro nel tempo, a quei giorni in cui la vita per lui appariva come un’enorme montagna russa da percorrere all’unico scopo di provare quel brivido capace di dare un senso a tutto il resto.
I suoi testi erano sempre stati un mistero. Da quando Satori non c’era più non aveva più osato cantare o suonare qualcosa scritto o composto di suo pugno, anche se la sua attività d’autore si era notevolmente intensificata; e non solo per ciò che concerneva i brani musicali.

“Boh, mi ricordo solo che ascoltavi sempre cose strane. C’è stato un periodo che avevi portato nella dark side anche il povero Satori...”

“Che cazzo dici?!”

Il sorriso mostrato da Ōhira riuscì a tranquillizzarlo solo in parte. Ogni volta che saltava fuori l’argomento con gli amici di sempre, Eita veniva inevitabilmente sconvolto dal ricordo di quella terribile sera.


 
La radio a tutto volume, il ritornello di una vecchia canzone dei Foo Fighters, lui che muoveva le dita all’unisono da una parte all’altra, al ritmo di quel fracasso.

“Semi-Semi, questa me la canti quando verrò al tuo prossimo concerto? Ti giuro che porterò anche lei!”

“La devo cantare a lei o... a te?”

Un incrocio, un semaforo... lo schianto. L’auto che si capovolse più volte, vetri in frantumi ovunque.
Gli occhi di Eita si aprirono per qualche istante, giusto il tempo necessario per realizzare quello che era appena successo. Il rumore incessante della sirena di un’ambulanza era sempre più vicino, ma Satori non si trovava da nessuna parte. Il suo corpo era stato scaraventato fuori e schiacciato dall’auto stessa.
Non c’era stato niente da fare sin dal primo istante.

Quella domanda era rimasta senza risposta.
 
 
“Semi, mi fa piacere che tu sia venuto.”

Wakatoshi!
Eita non ebbe la forza di voltarsi nell’immediato, ma non pensò nemmeno di fuggire. Strinse i pugni e digrignò i denti, provando in tutti i modi a non farsi sopraffare dalle emozioni negative che stavano riaffiorando in lui. Trattenne a fatica le lacrime cercando di darsi un contegno.
In quel momento avrebbe voluto averti al suo fianco, non importa come. Si sarebbe accontentato anche di un’altra testata o di un morso pur di condividere con qualcuno di fidato quell’angoscia imminente.

“Ah, Wakatoshi! Gran bel match! Sarebbe stato un peccato perderselo, non credi?!


La smorfia apparsa sul viso di Ōhira non lo aveva minimamente impressionato. Non era necessario sottolineare quanto avesse dovuto insistere per convincerlo ad essere lì quel giorno.
Nemmeno la reazione di Ushijima alla visione dell’abbigliamento e del volto contrito del suo primo setter riuscì ad impressionarlo più del dovuto. In fondo, non si vedevano proprio dal giorno del funerale di Tendou.
Era stato proprio quel silenzio prolungato tra loro ad aver innescato in lui la convinzione di essere considerato come l’unico responsabile della tragedia.

“Ma abbiamo perso.”

“Dettagli!”

“No Semi, a volte i dettagli contano. Contano, eccome.”

In cuor suo Eita sapeva che Wakatoshi stava tornando a riferirsi alla morte del vostro amico.
L’istinto lo portò ad indietreggiare di qualche passo. In lontananza una voce ‘conosciuta’ urlava per farsi notare da qualcuno che, come lui, si era recato alla Kamei Arena per assistere alla partita del suo primo ed unico capitano. Avresti voluto essere accolto anche tu a quel modo, ma non sarebbe stato da Ushijima. Le capriole e gli strepiti meglio lasciarli a uno come Bokuto Koutarou.

“Cosa vorresti dire?”

“Quella sera... il semaforo era verde. È stato quell’idiota sul SUV a passare quando non avrebbe dovuto. Tu non c’entri.”

Semi abbassò lo sguardo e mosse il capo più volte da destra a sinistra e viceversa. Per un attimo fu sfiorato dall’idea di urlare, desiderò sovrastare la voce di quel baccano che stava a pochi metri per far sentire anche a loro quanto stesse male e quanto avesse bisogno di sfogare la rabbia e il dolore dovuti alla sua perdita. Ancora non aveva un’idea definita di quali fossero i sentimenti che provava per Satori e poco importava se tra loro c’era stato qualcosa in più dell’amicizia. Il vuoto che provava sarebbe rimasto incolmabile in ogni caso.
Se avesse bevuto meno, se lo avesse obbligato a mettersi la cintura...

“C’entro eccome... ma ti ringrazio per la comprensione.”

Nessuna replica esagitata, nessun bisogno di controbattere con negazioni della realtà dei fatti o insulti.
Una folata di vento spettinò i capelli di quel gruppo di amici; probabilmente qualcuno che non poteva esprimersi in altro modo voleva far notare la sua presenza tra loro.
Se solo gli fosse stato concesso diritto di parola avrebbe potuto chiedere al suo Semi-Semi di non essere triste per lui, di continuare ad andare avanti con la sua vita, con il suo amore per la musica, con quel lavoro che finalmente si era deciso a riprendere in mano; persino con te, alla faccia della gelosia che aveva sempre provato.

 

Promettimi che mi ricorderai come un momento bello della tua vita.
 

Una frase detta durante una festa di compleanno, dopo che Satori aveva scartato il pacchetto regalo che conteneva quella felpa nera che tanto avrebbe adorato negli anni a venire.
Una frase che con ogni probabilità avrebbe voluto sentirsi dire ancora da quell’amico per lui così importante.
Una persona talmente speciale da essersene follemente innamorato.










 

Angolo dell'Autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere e recensire questa mia piccola storia! :)

E siamo giunti al quarto ed ultimo ‘episodio’ di questa breve serie di one-shot dedicate a Semi e Shirabu della Shiratorizawa.
Spero di avervi in qualche modo coinvolto nelle vicende di queste due teste calde (ognuna a modo suo) e di avervi lasciato qualcosa, specie in queste ultime due parti che mi hanno devastata sia in fase di stesura che di revisione. L’idea della dipartita di Tendou come collante del loro rapporto mi è venuta strada facendo, nulla di precedentemente programmato. Forse il tutto sarà sembrato troppo avventato o potrà aver spinto il lettore a pensare ad un’altra ‘ship’... Vi dico che su questa cosa ho riflettuto a lungo e alla fine mi son detta che va bene anche così. Ognuno tifi per la coppia che preferisce e legga tra le righe quello che ritiene più opportuno o, meglio ancora, più vicino al suo ‘mondo’.
Alla fine abbiamo anche un cameo di Ushijima (oltre che di Ōhira) che rivela come siano andate davvero le cose proprio quella sera. Chiaro, non era presente. Ma dato che tiene tantissimo ai suoi amici, è andato a fondo della vicenda e ha scoperto la verità. Questo non solleverà completamente Semi dal suo profondo senso di colpa, ma perlomeno lo aiuterà a comprendere che i suoi amici credono ancora in lui, a partire proprio da Shirabu (che ha organizzato il tutto ;D).
Grazie per essere arrivati fin qua e per i bellissimi commenti che avete lasciato alle 3 puntate precedenti.
Spero di tornare a scrivere di loro molto presto. Per ora mi attende un nuovo progettino BokuAka (che non potevo non accennare anche in questa storia in cui, teoricamente, non c’entrerebbero un tubo! XD) che ho in mente da un po’ di tempo.
Ci si rilegge lì! <3

Il testo è scritto in seconda persona (il pov è quello di Shirabu per l’intera narrazione) e al tempo passato.
Il titolo della serie di cui questa one-shot fa parte è ‘Accetto miracoli’, tratto dall’omonima canzone di Tiziano Ferro.
Il testo della canzone che riporto nella prima parte della storia è ‘Se tornerai’ degli 883. Dal titolo del brano ho ricavato anche il titolo della storia.

Grazie ancora a chiunque passerà di qua. **

Alla prossima ‘avventura’,

Mahlerlucia
 
   
 
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