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Autore: Roscoe24    12/03/2020    7 recensioni
“Non mettere alla prova la mia pazienza, Maryse. Ne ho poca. Molto poca.”
Maryse sospirò.
Era il suo ultimo tentativo, quello. Aveva provato di tutto, negli anni. Magie di ogni tipo, ma nemmeno l’Angelo aveva potuto aiutarla. La sua condizione era irreversibile. Tutti gliel’avevano detto, tranne il libro bianco.
Il Grimorio Proibito aveva detto che dove non arriva la magia angelica, arriva quella demoniaca.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Maryse Lightwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alec stava girovagando per il castello. Da quando, una settimana prima, Magnus gli aveva dato il permesso di poterlo fare, aveva cominciato ad esplorare il luogo dove ormai viveva da due settimane. Alcune stanze sembravano uscite direttamente da un museo: al piano di sotto, se si seguiva il corridoio di ingresso, si arrivava ad una stanza piena di opere d’arte. C’era di tutto: statue, quadri, reliquie e libri antichi. Ce n’era uno in particolare che era custodito dentro ad una teca ed era completamente ingiallito. Alec aveva provato a leggere cosa ci fosse scritto nelle due pagine che venivano mostrate, ma era una lingua che non conosceva. Più di una volta si era mentalmente appuntato di chiedere a Magnus di cosa si trattasse, se lui conoscesse quella lingua e se poteva, eventualmente, tradurgliela.
Per quanto quel libro suscitasse il suo interesse, tuttavia non era la sua opera preferita.
La sua preferita era quella che stava al centro di quella stanza. Una statua che raffigurava un giovane riccioluto. Era in piedi, e il suo sguardo puntava dritto davanti a sé. Trasmetteva una certa fierezza. Ad Alec piaceva come un materiale freddo come il marmo fosse stato modellato fino a creare un essere umano, e trovava oltremodo affascinante che la mano dell’artista fosse stata in grado di riuscire ad estrapolare un’espressione umana da un blocco di pietra.
“Antinoo.”
Alec sussultò, voltandosi alle sue spalle. Magnus lo stava fissando con un sorrisetto. Non era niente di derisorio, sembrava più qualcosa simile alla… tenerezza.
Alec arrossì al solo pensiero e lo scacciò. “Come?”
“La statua. Raffigura Antinoo.” Magnus si staccò dallo stipite d’ingresso, dove non c’era una porta, e si avvicinò ad Alec. Si sistemò al suo fianco e il Nephilim venne invaso dal suo profumo. Non sapeva cosa fosse, sapeva solo che gli piaceva – e che tutti i bagnoschiuma di Magnus avevano quell’odore, lo stesso che da qualche giorno permeava anche sulla pelle di Alec.
“La sua morte rotea intorno a circostanze abbastanza misteriose. È annegato nel Nilo, ma non si sa ancora se è stato un incidente. Alcuni studiosi pensano di sì, altri pensano invece che si sia trattato di un suicidio, altri invece ritengono che potesse essere stato ucciso per poter compiere un sacrificio umano.”
Magnus spostò lo sguardo dalla statua ad Alec, che lo stava già osservando, standolo attentamente ad ascoltare. “Quando è morto, l’imperatore Adriano ha fondato un culto in suo nome, che ben presto si diffuse in tutto l’impero. Riesci a crederci? Adriano l’ha amato così tanto che l’ha trasformato in un dio.”
“Loro erano…”
“Amanti, Alexander. Sì.”
Alec guardò di nuovo il volto del giovane riccioluto e, per un attimo, provò invidia per lui. Invidia per il suo coraggio, dal momento che aveva apertamente amato un altro uomo, davanti ad un impero intero, ma soprattutto, invidiò l’amore di cui era stato oggetto. Era stato amato così tanto che era stato addirittura divinizzato. Quanto può essere grande, l’amore di una persona, se arriva a trasformare l’altra in un dio?
Alec si chiese se sarebbe mai stato amato in maniera simile, nella sua vita, e si rispose di no, molto probabilmente. E questa volta il fatto che fosse relegato ad Edom non c’entrava niente. Nella sua dimensione, non sarebbe mai stato possibile per lui avere una storia d’amore simile. Non gli sarebbe mai stato permesso di innamorarsi di un uomo, di essere amato da un uomo.
Provò una profonda tristezza.
“Non riesco ad immaginare un amore tanto forte.” sussurrò impercettibilmente. Non aveva il coraggio di guardare Magnus. Aveva paura che, guardandolo, avrebbe associato a lui tutte le emozioni che gli faceva provare anche solo standogli vicino: il cuore che accelerava, le mani che sudavano e iniziavano improvvisamente a formicolare, come se gli stessero suggerendo di sfiorarlo, di soddisfare una curiosità che gli aveva più volte fatto domandare se la sua pelle fosse liscia come sembrava, o quanto calore trasmettesse.
“Non ti sei mai innamorato?”
“Credo che tu conosca la risposta.”
“Dimmelo tu, Alexander.”
Alec alzò gli occhi sullo Stregone, incontrò l’oro brillante delle sue iridi, striate di verde, in alcuni punti. Erano occhi innaturali, che avrebbero dovuto fargli paura, ma non era così. Non riusciva ad averne paura perché ne era tremendamente affascinato. Magnus aveva degli occhi bellissimi, i più belli che avesse visto.
“No, ovviamente. Sai benissimo che il Clave me l’avrebbe proibito con ogni suo mezzo a disposizione.”
Alec abbassò lo sguardo. Per quanto fosse stato cresciuto nel rispetto delle leggi, proprio non riusciva ad accettare la rigidità di certe vedute del Clave. L’avevano sempre fatto sentire sbagliato. E ogni volta che aveva quel pensiero, Alec sentiva nascere dentro di sé un misto di rabbia e tristezza. “Non potrò mai amare apertamente un altro uomo. Nella mia storia, non c’è un imperatore che mi ama tanto da farmi diventare un dio. La mia storia finirebbe con la mia derunizzazione e l’esilio.”
Magnus istintivamente gli afferrò una mano – e Alec, stranamente, non si ritrasse. La mano di Magnus era calda, in netto contrasto con il freddo metallo dei suoi anelli, e la sua pelle era liscia, proprio come Alec se l’era immaginata.
“Che si fotta il Clave. Tu meriti un impero intero, meriti tutto ciò che il tuo giovane cuore desidera. Meriteresti la Luna, se solo la desiderassi.”
Alec arrossì violentemente e abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello di Magnus. Tenne gli occhi fissi sulle loro mani incrociate, sul contrasto netto delle loro pelli. La sua, diafana e piena di cicatrici, e quella di Magnus, di un caldo color caramello, perfettamente curata e immacolata.
“E tu?” gli domandò, con un filo di voce, tenendo ancora gli occhi bassi. Non sapeva come reagire a ciò che Magnus gli aveva appena detto – e in gran parte il motivo era il fatto che il suo cuore si fosse piazzato prepotentemente nella sua gola, impedendogli di formulare una frase più elaborata – così decise di spostare l’attenzione da sé.
“Io cosa?”
“Ti sei mai innamorato?”
“Sono un demone, Alexander. I demoni non si innamorano.”
“Sei demone solo per metà. L’altra metà è umana. E gli umani si innamorano.”
Magnus si lasciò andare ad un profondo respiro. Accarezzò con il pollice il dorso della mano di Alec. Era così giovane, nutriva ancora delle speranze in lui. Se solo avesse saputo cosa significava per Magnus… se solo avesse saputo che la sua capacità di provare sentimenti dipendeva a lui…Magnus non si era mai innamorato perché, nonostante la sua parte umana, non aveva mai avuto un briciolo di umanità, in sé.
Suo padre l’aveva cresciuto come un demone, non come un uomo. Per quello avrebbe dovuto esserci sua madre, ma lei… lei si era tolta la vita.
Magnus, quindi, aveva sempre e solo avuto Asmodeus. E lui era un Demone Superiore per intero, di conseguenza, era in grado solamente di crescere un demone.
“È un discorso più complicato di così, zucchero.” Magnus lasciò andare la presa sulla mano di Alec. Quasi come se la fine di quel contatto stabilisse anche la fine di quella conversazione. Alec lo percepì, per questo non si stupì delle parole che in seguito lasciarono la bocca di Magnus. “È ora di pranzo. Hai fame?”
Alec annuì, anche se non aveva fame. Assecondò Magnus, evitando di insistere. “Prepariamo qualcosa noi.”
Magnus lo guardò con stupore. “Vuoi cucinare?”
“Sì. È divertente farlo, e c’è più gusto a mangiare qualcosa che hai fatto con le tue mani, rispetto a mangiare qualcosa che hai miracolosamente fatto comparire con la magia.”
Magnus non prendeva in considerazione un’idea simile da… secoli. Non ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva cucinato, anziché schioccare le dita e far comparire i suoi pasti. E di solito, preferiva di gran lunga la magia, perché se non altro era un modo veloce ed efficace per ottenere subito ciò che desiderava, ma… se era Alec a chiedergli di fare qualcosa, dirgli di no gli risultava difficile.
“D’accordo. Cucineremo.”
Alec gli regalò un sorriso spontaneo, così luminoso che Magnus sentì il cuore che si scaldava. “Grazie.”
Lo Stregone ricambiò il sorriso e gli fece un cenno del capo. Passarono un altro secondo l’uno negli occhi dell’altro, poi Magnus si incamminò verso la cucina. E Alec, questa volta, anzi che seguirlo, rimase al suo fianco.




 
 
“Cosa vorresti preparare?” Domandò Magnus, una volta arrivati a destinazione.
Alec si guardò intorno, quasi come si aspettasse di trovare un cambiamento in quella cucina. Non ce n’erano, ovviamente. E, dal momento che aveva già curiosato in precedenza, sapeva perfettamente che la dispensa e il frigo erano vuoti.
“Non lo so, decidi tu.”
“È stata tua l’idea di cucinare, zucchero. Fosse per me avrei fatto comparire delle crepes.”
Alec lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure. “Quindi hai voglia di crepes. Potevi dirlo apertamente, senza provare a lanciare questa inutile frecciatina.”
“Non inasprirti, tesoro. Sei più piacevole, quando non sei pungente.”
Alec evitò di dirgli che era ovvio che le persone fossero più piacevoli quando non facevano commenti fastidiosi, ma evitò per due motivi. Uno: voleva sforzarsi di essere gentile, come Magnus si stava sforzando di esserlo nei suoi confronti. Due: avendo risposto in modo simile, avrebbe ammesso di essere lui stesso fastidioso, e non voleva dare questa soddisfazione a Magnus.
Di conseguenza, optò per una scrollata di spalle. “Le vuoi dolci o salate?”
Magnus si picchiettò il mento con l’indice. Portava un anello, a quel dito, notò Alec. Era abbastanza vistoso e quadrato, sulla cui superficie di metallo era incisa una M. Alec ne notò anche un altro, all’anulare, vistoso pure quello, ovviamente, la cui superficie era rotonda e sulla quale era incisa una B.
“Dolci.” Affermò infine Magnus, e Alec sorrise. “Ti faccio ridere?”
“Non sto ridendo, sto sorridendo. C’è differenza, Magnus.” Disse Alec, facendo eco alle parole che lo Stregone gli aveva rivolto qualche giorno indietro.
“Ah, adesso mi citi anche?”
“Solo quando non dici stupidaggini.”
Magnus assottigliò lo sguardo, riservandogli un’occhiata tagliente. Certi commenti erano ancora difficili da accettare – e sebbene sapesse che Alec non lo diceva con cattiveria, lui era sempre stato abituato a non tollerare nemmeno un minimo comportamento irrispettoso nei suoi confronti. Per questo fu difficile per lui non rispondergli a tono, magari indurendo la voce e mettendo subito in chiaro chi fosse quello che comandava.
Ma, si rese conto, con Alec non doveva assumere comportamenti simili. Con Alec non era il Sovrano di Edom. E, inoltre, in quelle due settimane, una delle cose che aveva capito del Nephilim era che non avrebbe mai guadagnato il suo rispetto, o la sua fiducia, con il terrore. L’avrebbe fatto con la gentilezza.
Magnus non era più abituato alla gentilezza da… quattro secoli. Sua madre era stata l’unica persona gentile con lui. Era stata l’unica a prendersi cura di lui, a fargli conoscere l’affetto.
Con lei, era scomparsa anche la speranza che Magnus potesse essere anche altro, oltre ad un demone.
“Io non dico mai stupidaggini, tesoro. Ogni parola che esce dalla mia bocca è intrisa di una saggezza profonda.”
Alec tirò le labbra all’interno della bocca per trattenere un sorriso. “Mh-mh, come dici tu.”
“Stai ancora ridendo di me? Piccolo insolente. Si può sapere perché ti faccio tanto ridere?”
“Non mi fai ridere, Magnus. Mi fai sorridere. Te l’ho già detto. E come hai detto tu, pozzo di saggezza, c’è differenza.”
Magnus incrociò le braccia al petto, infastidito e allo stesso tempo intrigato da come Alec l’avesse raggirato. “E allora sentiamo: perché ti faccio sorridere?”
Alec scrollò le spalle. “Non lo so, in realtà. È una reazione spontanea al tuo modo di fare.”
“Ah, sì?”
Alec annuì. “Sì. Quanti anni hai davvero? Cinquecento? Seicento? Eppure, a volte hai dei comportamenti che non rispecchiano quell’età. A volte, come ad esempio adesso che hai dovuto scegliere cosa mangiare, sembri un ragazzo. Con tutti i dilemmi che la giovane età porta con sé, tra cui cosa scegliere da mangiare.”
Magnus sciolse l’intreccio delle proprie braccia per alzare un indice verso Alec. “Prima di tutto non sono così vecchio come credi, e cercherò di non offendermi per queste tue insinuazioni solo perché sei carino.” Fece una pausa, aspettando che le sue parole sortissero l’effetto sperato. E infatti, le guance di Alec si colorarono immediatamente. Era bellissimo sempre, ma quando arrossiva c’era una sfumatura in lui che lo rendeva prezioso. Magnus non aveva mai provato imbarazzo, i complimenti su di lui non avevano lo stesso potere che avevano su Alec – e questo perché lui era abituato a riceverli, giustamente. Alec no. Lui non era abituato ad essere il centro delle attenzioni di qualcuno e Magnus reputava che fosse un tremendo peccato perché solo il viso del Cacciatore si sarebbe meritato tutte le odi che i poeti di ogni mondo ed epoca fossero stati in grado di scrivere. E lui ne avrebbe aggiunta anche una decina sui suoi addominali perfetti, ma questo era un altro discorso ancora.
“E secondo,” riprese parola Magnus, dopo aver passato qualche istante a guardare i lineamenti arrossati di Alec, “La mia indecisione sul cibo mi accompagna da sempre. Non c’entra niente la mia età. Mi piace pensare a cosa mangerò per essere completamente sicuro che sia effettivamente quello che voglio mangiare.”
Magnus schioccò le dita e sul tavolo comparvero tutti gli ingredienti necessari: uova, latte, farina, delle ciotole vuote, frutta, crema e crema di nocciole.
Alec non ribatté. Si diresse verso le uova e ne ruppe alcune dentro ad una delle ciotole. Magnus si diresse verso la dispensa e da un cassetto tirò fuori una forchetta, che porse ad Alec.
Il Cacciatore l’afferrò e cominciò a sbattere le uova nella ciotola.
“Quanti anni hai in realtà?” Gli domandò di punto in bianco.
Magnus lo guardò lavorare per qualche istante, poi si sedette sul tavolo. Erano uno accanto all’altro, Alec in piedi e Magnus seduto, con le gambe che penzolavano nel vuoto.
“Sai che i gentiluomini non chiedono mai l’età?” Magnus si sporse leggermente verso di lui, sfiorandogli la spalla con la propria. Alec smise di mescolare e alzò lo sguardo su Magnus. Lo trovò più vicino di quanto si aspettasse, ma con sua grande sorpresa non sussultò, ne provò l’istinto di allontanarsi.
“Non sono un gentiluomo, Magnus. Ma se non vuoi rispondermi, basta dirlo.”
Magnus sospirò, arrendendosi nuovamente a quell’istinto che nasceva dentro di sé ogni volta che era Alec a chiedergli una cosa e che lo portava sempre a volerlo accontentare.
“Ho quattrocento anni.”
“E ti reputi giovane?” Commentò Alec, con un sorrisetto sulla faccia. Magnus lo guardò con la bocca spalancata e gli occhi sgranati.
“Rimangiatelo, brutto insolente!”
Alec ridacchiò – una risata quasi trattenuta che gli fece scuotere solo le spalle, ma Magnus riuscì chiaramente a vedere il suo sorriso. Ed era così bello, che gli fece dimenticare persino che Alec gli aveva appena detto che era vecchio. Il suo sorriso gli illuminava tutto il viso e arrivava fino agli occhi, facendo ridere persino quelli.
“D’accordo, d’accordo. Scusami.” Alec alzò lo sguardo su Magnus e il suo sorriso si spense un poco, ma non per tristezza, semplicemente per non fare altro che non fosse guardare l’uomo vicino a sé. Non era difficile immaginare Magnus che cammina tra le epoche e attira l’attenzione di ogni singolo passante. Non era difficile immaginarlo dominare qualsiasi scena, sprigionare fascino e guardare l’effetto della sua personalità su altre persone. Lo stesso Alec ne era diventato una preda inconsapevole. Era difficile non farsi ammaliare da Magnus. E non solo perché fosse bellissimo, ma perché sprigionava un’energia forte, qualcosa che ti spinge necessariamente ad avvicinarti a lui. E Alec era ancora spaventato da tutto ciò, perché non si era certo dimenticato dove si trovasse e quali fossero le circostanze della sua presenza in quel luogo, ma… continuava a sentire quella sensazione forte e impossibile da ignorare che continuava a dirgli che c’era di più, c’era dell’altro, in Magnus.
Non è solo un demone.
No, era anche un uomo. E Alec sapeva che era con l’uomo che stava legando. E di conseguenza, anche il demone che era in Magnus gli faceva meno paura. Anzi, non gli faceva paura affatto. E non perché lui fosse un Cacciatore di Ombre, semplicemente perché davanti all’uomo che Magnus avrebbe potuto essere, il demone scompariva, si annullava.
“Per quello che vale,” sussurrò Alec a mezza voce, “Te li porti bene, i tuoi quattro secoli.”
“Grazie, pasticcino. Questo è quella che io chiamo una ripresa con i fiocchi.”
Alec sorrise. “Dico davvero, Magnus.”
“Lo so,” Magnus gli rivolse un sorrisetto astuto. Si sporse di nuovo verso di lui e si fermò a due centimetri dal suo viso. “Ho fame, Alexander.” Soffiò, guardando ogni dettaglio del volto di Alec, soffermandosi giusto un po’ sulla sua bocca carnosa, prima di tornare a guardare i suoi occhi. “Puoi gentilmente sbrigarti?”
Alec aveva caldo. La gola gli si era seccata e i palmi delle sue mani avevano cominciato a sudare in modo imbarazzante. Era sicuro che le sue guance avessero assunto una tonalità di rosso intenso e aveva la certezza che se avesse parlato, la sua voce avrebbe tremato. Di conseguenza, si limitò ad annuire e a finire di preparare da mangiare.
Di certo, Magnus riusciva a fargli un certo effetto – ormai questo non poteva più negarlo. Soprattutto a se stesso.





Alec finì di preparare l’impasto e poi, atteso il tempo necessario alla posa, si era messo a cuocere le crepes. Magnus aveva una cucina priva di qualsiasi genere alimentare, ma piena di utensili e oggetti. Alec non ne capiva il motivo, ma era contento che fosse così, almeno poteva utilizzarli.
Cucinò una pila di crepes, che Magnus si impegnò a farcire in vari modi senza l’uso della magia. Quando tutto fu pronto, si sedettero a tavola, uno di fronte all’altro. Magnus afferrò una crepes con la crema e le fragole, Alec una con la crema di nocciole.
“Sono buone,” Cominciò lo Stregone.
“Perché sembri stupito?”
“Perché non trasudi esattamente fiducia, in cucina.”
Alec lo guardò malissimo e si allungò sul tavolo per afferrare il piatto di Magnus e tirarlo verso di sé. O almeno, quelle erano le sue intenzioni, ma Magnus gli impedì di portare a termine quel gesto, perché sistemò una mano sopra alla sua e tirò verso di sé.
Alec sentì un formicolio sulla pelle, come una scossa elettrica, leggera e piacevole. Era il contatto con Magnus. La sua vicinanza gli provocava sempre quel formicolio, quasi come se fremesse all’idea di essere sfiorato, e quando Magnus lo faceva, come in quel caso, il formicolio si propagava per tutto il suo corpo sotto forma di elettricità.
“Non ti meriti le mie crepes dopo quello che hai detto.” Alec tirò il piatto verso di sé.
Magnus, con la mano ancora su quella di Alec, lo tirò invece nella sua direzione. “Mi hai detto che sono vecchio, direi che per amore della par condicio, ti meriti un piccolo insulto.”
“Io non ti ho insultato. Ho detto la verità. Sei vecchio. Invece la tua è solo una calunnia, visto che le mie crepes sono buone!”
Magnus lasciò la mano di Alec, smettendo di litigare per il piatto. Il Cacciatore sentì l’elettricità dentro di sé affievolirsi fino a sparire.
“L’hai ridetto.”
Alec gli sistemò il piatto davanti, ponendo fine a quella piccola discussione, nata come uno scherzo. “Sì, l’ho ridetto. Non sapevo che gli Stregoni fossero così sensibili sull’età.”
“Non lo siamo. Ma è fastidioso sentirsi dare del vecchio due volte di seguito nel giro di poco tempo.”
“Mi dispiace, scusami.”
Magnus fece un cenno di dissenso con la testa. “Non mi bastano le tue scuse.”
“E cosa vorresti, allora? Che mi mettessi in ginocchio?” Ribatté Alec, irritato. Il suo era nato come uno scherzo, perché Magnus doveva prenderlo così sul serio?
Magnus alzò entrambe le sopracciglia, e si afferrò il labbro inferiore con i denti, cogliendo una sfumatura maliziosa nelle parole di Alec, che lui colse solo dopo, ovviamente. Magnus vide chiaramente il momento in cui realizzò uno dei possibili significati di quell’affermazione: granò gli occhi e guardò altrove, le guance che diventavano paonazze.
“Sarebbe di certo uno spettacolo interessante per me.” Rincarò la dose Magnus, perché in fondo sapeva di essere dispettoso. “Ma no, grazie. Vorrei solo che tu ripetessi ciò che hai detto prima. Se lo pensi davvero.”
“Perché dovrei farlo?”
“Perché hai ferito il mio ego.” Magnus sbatté le ciglia in modo teatrale e congiunse le mani sotto al mento. Fu quel gesto che fece accendere una lampadina nel cervello di Alec. Lo stava facendo apposta. Tutto quel suo comportamento altro non era che una farsa. Magnus aveva messo in piedi tutto quel teatrino per divertirsi alle spalle di Alec, vedere le sue reazioni, farlo sentire in colpa e spingerlo ad esporsi di nuovo, proprio come aveva fatto poco prima.  
“Tu! Brutto manipolatore!”
“Manipolatore di certo, tesoro, ma brutto? Quello proprio no!”
“L’hai fatto di proposito! Volevi che mi sentissi in colpa per spingermi a ridire ciò che ti ho detto prima!”
“Potresti avere ragione, lo ammetto. Non mi piace sentirmi dire che sono vecchio, ma non è così importante. Volevo solo che tu ridicessi ciò che ha detto prima.”
“E perché?”
“Perché mi ha fatto piacere.”
La sincerità con cui Magnus pronunciò quelle parole spiazzò Alec. “Ci sono altri modi per ottenere un complimento, sai?”
“Dagli altri? Sicuramente. Da te? Non credo proprio. Non ti esponi perché ammettere certe cose ti spaventa. Non diresti mai di tua spontanea volontà qualcosa, bisogna portarti a dire quel qualcosa.”
“Prima non ero costretto a dirti niente, mi pare. E te l’ho detto, perché in quel momento lo pensavo davvero. Come vedi, credi di capirmi, ma non mi capisci affatto.”
Magnus vide la durezza nello sguardo di Alec, quella durezza che non gli piaceva vedere. Quella durezza che precedeva la sua dipartita. Si aspettava già di vederlo alzarsi e andarsene.
Con sua grande sorpresa, tuttavia, però, Alec non si mosse.
“Mi dispiace.” Disse Magnus, una frase che non aveva mai lasciato le sue labbra, non in quel secolo, almeno. “Non sono abituato a…”
“A non comportarti da demone?”
“Sì. Manipolare è nella mia natura. E non sto cercando una giustificazione, non ti meriti che ti tratti così.”
Alec lo guardò ancora per qualche istante, come se stesse pensando a cosa fare. Furono degli istanti in cui Magnus trattenne il respiro e solo quando la mano di Alec si posò sulla sua tornò a respirare.
“D’accordo. Hai sbagliato, ma sbagliamo tutti. L’importante è rendersene conto e non farlo più.”
Magnus guardò la mano di Alec che copriva la propria. “Non voglio costringerti a dire cose che non vuoi dire, o ad essere qualcosa che non sei. Devo rispettare il tuo carattere.”
“Lo apprezzo, grazie.” Alec ritirò la mano e gli rivolse un sorrisetto. “Adesso mangia, Magnus.”
Lo Stregone ricambiò quel sorriso e tornò alle crepes. Mentre mangiava e guardava Alec di tanto in tanto, si rese conto totalmente del potere che aveva su di lui. Non solo possedeva la sua umanità, e la capacità di risvegliarla, ma era anche in grado di cambiarlo – e, forse, di migliorarlo.
Era una cosa che lo terrorizzava a morte, ma che lo incuriosiva, anche. Era come guardare un precipizio dal bordo di un burrone e provare il desiderio di saltare giù per scoprire se durante il volo si aprirà un paracadute o se, invece, alla fine finirà tutto in una catastrofe.
Magnus non lo sapeva.
Ma era deciso comunque a scoprirlo.




Dopo mangiato, Alec aveva insistito per lavare i piatti, ma Magnus aveva risolto la cosa con un movimento della mano e un lampo di magia. Tutto era tornato pulito al suo posto. Alec aveva storto il naso davanti a quel modo di risolvere la situazione – e Magnus gli aveva fatto notare che non doveva necessariamente sempre fare il soldatino in ogni dannatissima situazione.
“La disciplina non è una cosa sbagliata.”
“Vero, ma se si tratta di due piatti, puoi anche chiudere un occhio, Alexander.” Disse Magnus, mentre usciva dalla cucina diretto chissà dove. Alec lo seguì.
“Dove vai?”
Magnus si fermò in mezzo al corridoio e poi si voltò verso Alec. “In camera mia. Devo prepararmi.”
“Perché?”
“Perché ti interessa?”
“Rispondi e basta, Magnus.”
Lo Stregone sospirò. Se quel tono fosse stato usato da altri, avrebbe già preso provvedimenti. Ma, ancora, si trattava di Alexander.
Brutto rammollito. Farti comandare a bacchetta da un ragazzino.
Silenzio!

E per una volta, Magnus si trovò d’accordo con Vocetta.
“Devo prepararmi per andare ad una festa. Stamattina mi è arrivato un messaggio di fuoco…”
“Arrivano i messaggi di fuoco, qui?” lo interruppe Alec, più entusiasta del dovuto per quanto riguardava quell’informazione.
Magnus lo guardò con un sopracciglio alzato. “È ovvio. Come credi mi contattino dall’altra dimensione?”
Alec si morse l’interno delle guance, improvvisamente pensieroso. “Posso mandarne uno alla mia famiglia? Solo per fargli sapere che sto bene, per favore.”
Magnus avrebbe detto di no. I contatti con la sua famiglia non erano previsti. Se Alec non avesse lasciato indietro il suo passato, sarebbe sempre rimasto legato a loro e non avrebbe… cosa?
Non avrebbe potuto avvicinarsi a lui.
È così che vuoi che accada? Vuoi che si avvicini a te perché lo costringi ad essere l’unico con cui può avere dei rapporti?
No, certo che non voleva. Ancora una volta, Vocetta aveva ragione.
Magnus non riusciva ad essere così egoista, con Alec. Non voleva essere egoista, con Alec.  
Aveva sempre pensato che le famiglie fossero una maledizione, e questo perché la sua per lui lo era stata. Aveva avuto una madre che si era tolta la vita, quando aveva scoperto cosa fosse. Il suo patrigno era stato orribile e suo padre… suo padre era il Principe dell’Inferno.
Famiglia per Magnus significava solo dolore e sofferenza.
Per Alec, famiglia, significava avere qualcuno che ti ama, incondizionatamente. L’aveva visto negli occhi di Maryse, quando lui si era offerto volontario per seguirlo all’Inferno. Quella donna avrebbe preferito che Magnus le strappasse il cuore a mani nude, piuttosto che portarsi via suo figlio.
L’aveva visto nell’abbraccio che il più piccolo dei Lightwood aveva riservato ad Alec, quasi come se non volesse lasciarlo andare.
L’aveva visto nella reazione di sua sorella, che aveva fronteggiato un demone superiore con audacia e senza paura alcuna, con una determinazione negli occhi che avrebbe fatto impallidire anche il più valoroso dei guerrieri. La ragazza era seria, quando affermava che gli avrebbe staccato la testa, se solo lui avesse fatto del male a suo fratello.
E l’aveva visto nella reazione del biondo, che si era subito messo sulla difensiva, quando Magnus aveva detto che avrebbe portato via Alec.
Nessuno di loro voleva accettare il destino a cui Alec stava andando incontro. E nessuno di loro l’avrebbe fatto, se Alec non fosse stato così determinato a sacrificarsi, pur di salvarli.
Magnus sentì improvvisamente un peso sul cuore.
Riavvicinarsi alla sua umanità implicava anche riuscire di nuovo a sentire emozioni negative. E adesso l’unica cosa che riusciva a sentire chiaramente era un senso di colpa profondo.
Era lui la causa della sofferenza di Alec. L’aveva sempre saputo, ma prima non gli era importato. Adesso… c’era più empatia nel suo cuore, qualcosa che lo aiutava a rendersi conto di cose che prima ignorava, a provare interesse per cose che prima non gli interessavano minimamente.
“Certo che puoi. In biblioteca, sul tavolo, troverai fogli e penne. Scrivi tutto ciò che vuoi dirgli, quando tornerò farò in modo di spedirglielo.”
Alec reagì d’istinto, senza pensare se potesse essere la cosa giusta o sbagliata da fare, e abbracciò Magnus. Lo strinse forte, pieno di gratitudine. “Grazie,” sussurrò al suo orecchio, prima di lasciarlo andare. Fu un contatto così veloce che Magnus non ebbe nemmeno il tempo di ricambiare la stretta, ma l’ombra delle braccia di Alec rimase su di sé per un po’ e con essa anche la sensazione che quel contatto gli aveva provocato: calore, affetto, e la consapevolezza che avrebbe fatto di tutto, per lui, se solo questo serviva a renderlo un po’ più felice.
“Prego.” Rispose Magnus, momentaneamente disorientato dalle sue emozioni. “Ora va’, o mi farai fare tardi.”
Alec annuì e si diresse, quasi di corsa, verso la biblioteca. Magnus rimase a guardarlo fino a che non sparì lungo il corridoio, e poi si diresse in camera sua.
I suoi pensieri affollavano la sua mente, confusionari e contrastanti, ma lui decise di ignorarli. Volle, invece, concentrarsi sulla sensazione di tranquillità che gli dava la consapevolezza di aver fatto qualcosa di buono per qualcun altro, qualcuno che non fosse se stesso.




Alec non riusciva a crederci.
Quando aveva chiesto a Magnus se poteva mandare un messaggio alla sua famiglia, non sperava in una risposta affermativa. Si aspettava, invece, una reazione irritante o che gli ridesse in faccia e si facesse beffa di lui.
Invece… Aveva acconsentito. Alec era piacevolmente stupito. E fremeva all’idea di rassicurare la sua famiglia, di dire loro che stava bene e che, tutto sommato, Magnus tendeva ad occuparsi di lui.
Voleva che non fossero preoccupati.
Li conosceva. Sapeva che sicuramente adesso stavano cercando un modo per venirlo a recuperare, ma Alec non voleva che rischiassero tanto, non quando lui iniziava ad avere fiducia nel fatto che, con il tempo, avrebbe potuto semplicemente chiedere a Magnus di riportarlo indietro.
Scappare non gli sembrava più una buona idea. Se fosse scappato, avrebbe perso la poca fiducia che Magnus provava nei suoi confronti e non l’avrebbe mai perdonato.
Se invece le cose fossero state diverse, se lui e Magnus avessero instaurato un rapporto di fiducia, forse, più in là, gli avrebbe permesso di far visita alla sua famiglia.
Alec sarebbe stato come Proserpina.
Magnus sarebbe stato come Ade.
E proprio come il dio degli inferi permetteva alla sua amata di far ritorno a casa per quei sei mesi dell’anno che coincidevano con la primavera e l’estate, forse anche Magnus avrebbe permesso lo stesso ad Alec.
Hai appena paragonato due amanti a te e Magnus?
Ignorò quella domanda. Non doveva concentrarsi su quel punto. Il punto era l’analogia. Il fatto che Proserpina fosse libera di andare e tornare dagli inferi, scandendo il passaggio delle stagioni.
Ricordati perché era inverno, sulla Terra.   
Alec lo ricordava. Cerere, la madre di Proserpina, dea della prosperità, congelava il suolo terrestre per manifestare tutto il dolore che l’assenza della figlia le provocava.
Con la sua assenza, sua madre sarebbe stata come Cerere.
Detestava l’idea di farla soffrire, ma sapeva, per il momento, di avere le mani legate.
Scacciò i suoi pensieri funesti e decise di concentrarsi solo sulla felicità che gli dava poter scrivere quel messaggio. E così fece. Scrisse tutto ciò che provava, tutto ciò che sapeva sarebbe servito a tranquillizzare almeno un po’ i cuori della sua famiglia.




Alec era ancora in biblioteca quando Magnus entrò senza bussare, ovviamente. Il ragazzo aveva la testa china su un libro scritto in latino e accanto al libro ci stava il messaggio che aveva scritto per la sua famiglia. Non si era accorto della presenza di Magnus, di conseguenza, lo Stregone rimase alle sue spalle e sbirciò il contenuto del messaggio.
Alec scriveva in modo fittissimo e spigoloso, ma la sua grafia era chiara.
Ciao,
Vi scrivo per rassicurarvi. Sto bene e Magnus non è così cattivo come può sembrare. Mi tratta bene, con gentilezza. Qui c’è una biblioteca. È una biblioteca bellissima, piena di così tanti libri che non basterebbero dieci vite per leggerli tutti.
Vi prego, non state in pena per me. Non cercate di recuperarmi. Non rischiate la vostra vita per me.
Vi prego.

Il messaggio continuava, ma Magnus a quel punto distolse lo sguardo. Non riuscì più ad andare avanti. Alec aveva pregato la sua famiglia, due volte, di non compiere atti avventati, di non rischiare le loro vite per lui.
Magnus pensò che questo la dicesse lunga su come fosse fatto il ragazzo. Era protettivo nei confronti di chi amava. Ed era estremamente altruista. A lui era permesso sacrificarsi per salvare chi amava, ma a coloro che lo amavano, non era permesso sacrificarsi per salvare lui stesso.
Era un controsenso, sebbene mostrasse una certa nobiltà d’animo.
Magnus si schiarì la gola e Alec sussultò.
“Dio, come fai a prendermi sempre alla sprovvista? Dovrei avere i sensi allenati!” Alec chiuse il libro che stava leggendo e si alzò dalla sedia, voltandosi verso Magnus. Sussultò, quando posò i suoi occhi sullo Stregone. Sentì chiaramente l’aria venirgli succhiata via dai polmoni e il cuore che gli balzava alla gola.
Magnus era bellissimo. Aveva gli occhi truccati pesantemente di nero con l’eyeliner e l’ombretto glitterato che rendevano l’oro delle sue iridi ancora più acceso e le striature di verde presenti in esse ancora più marcate. Sembravano due fari in grado di illuminare anche la più oscura delle notti.
Aveva ciocche colorate di blu e viola nei capelli scuri, pettinati in una cresta perfettamente dritta. Portava una camicia fucsia di un tessuto liscio e lucido, che teneva aperta fino a metà – e Alec non seppe se quella scelta era al fine di mostrare la miriade di collane che indossava, o servisse a mostrare il suo petto definito, la cui pelle era ricoperta di minuscoli, fitti brillantini, che lanciavano brevi lampi di luce a seconda di come Magnus si muoveva. Alec si sforzò enormemente per non far scendere il suo sguardo, ma non ci riuscì, e di conseguenza notò che Magnus portava un paio di pantaloni neri, aderenti come una seconda pelle, e ornati di una fila di borchie ad ogni lato.
“Beh, spero di fare a tutti lo stesso effetto che sto facendo a te in questo momento, zucchero, perché è oltremodo appagante essere guardati in questo modo.”
Alec arrossì violentemente. Sentì improvvisamente caldo, e la vicinanza di Magnus non lo aiutava. “Io non ti guardo in nessun modo.” Borbottò.
Magnus alzò un sopracciglio, scettico. “No, infatti. La tua espressione imbambolata deve dipendere sicuramente da altro e non dalla mia stratosferica bellezza.”
Alec alzò gli occhi al cielo. “Quanto sei egocentrico.”
Magnus si sporse verso di lui e Alec cercò di indietreggiare, ma sbatté contro il bordo del tavolo.
“E tu sei così ovvio, tesoro. Ti si legge in faccia ciò che pensi.” Ribatté Magnus, con un sorrisetto soddisfatto sul viso.
Alec si passò la lingua sulle labbra, a disagio. Le sentiva improvvisamente secche, come il resto della sua bocca. “Il messaggio, Magnus. Puoi ancora mandarlo, o hai cambiato idea?” cambiò discorso, volendo distogliere l’attenzione da quanto fossero ovvi i suoi pensieri su Magnus.
“Non ho cambiato idea. Sono un uomo di parola, Alexander.” Si sporse verso il tavolo e, nel farlo, le sue collane sfiorarono il corpo di Alec, mentre il suo profumo invase le narici del Cacciatore. Era un odore così buono, intenso, che stava perfettamente sulla pelle caramellata di Magnus. E improvvisamente, Alec fu colpito da un pensiero – un irrazionale, irrefrenabile pensiero. Magnus stava andando ad una festa, vestito in un modo che lo rendeva più bello di quanto già non fosse. Alec era sicuro che avrebbe attirato l’attenzione di parecchie persone. Persone che si sarebbero avvicinate a lui, che l’avrebbero sfiorato, che gli avrebbero detto cose che lui non aveva il coraggio di dire. E provò… gelosia.
Alec avrebbe voluto scacciare quella sensazione, relegarla nella parte più recondita di sé, ma non ci riuscì.
Era geloso di Magnus. E tutto questo non aveva senso, era irrazionale, perché lo conosceva da pochissimo, perché non poteva provare già qualcosa di così forte nei suoi confronti, qualsiasi cosa fosse il sentimento che provava.
Non aveva senso. Eppure… eppure lo provava. La sua gelosia era lì, nel suo cuore, così come la consapevolezza di essere attratto da lui, fisicamente e emotivamente. Non sapeva che nome dare a quel sentimento, sapeva solo che c’era e che lo spingeva a volerlo conoscere, lo spingeva a rifiutarsi di credere che Magnus fosse solo un demone, o che fosse veramente cattivo come cercava di apparire.
Aveva fatto delle cose discutibili – e lui stesso ne era la prova, e di certo non lo giustificava per quello che gli aveva fatto, anzi con ogni probabilità una parte di lui era ancora arrabbiata con lo Stregone e sempre lo sarebbe stata, ma… in Magnus c’era altro. Alec ne era sicuro. Ed era questa sicurezza che faceva germogliare in lui un sentimento che non aveva mai albergato nel suo giovane cuore.
Un sentimento senza nome, ancora, ma con una forte impronta sull’intera anima del Cacciatore.
E forse fu proprio quel sentimento a farlo agire prima ancora che il suo cervello gli gridasse a pieni polmoni che non era una buona idea. Fu proprio il fatto che, per una volta in tutta la sua intera esistenza, Alec si lasciò andare.
Non pensò.
Non analizzò la situazione nei minimi dettagli, esaminando i pro, ma soprattutto i contro dei suoi comportamenti.
Contro ogni sua aspettativa, Alec fece ciò che la sua coscienza gli aveva suggerito di fare giorni indietro: si lasciò guidare dalle sue emozioni. E le sue emozioni volevano sfiorare Magnus.
Lo Stregone era ancora vicino a lui, era tornato in posizione eretta e teneva il suo biglietto tra le mani. Era ignaro dei pensieri che stavano attraversando la mente in subbuglio di Alec. Per questo sul suo viso si dipinse un’espressione di pieno stupore quando il più giovane gli lasciò una carezza su una guancia. Era così incerto ed insicuro, che allo Stregone fece persino tenerezza, ma non si mosse. Voleva capire quali fossero le intenzioni del giovane, cosa stesse per fare.
Alec, dal canto suo, non aveva idea di cosa stava facendo. Riusciva solo a percepire le pulsazioni costanti e irrefrenabili del suo cuore agitato, che lo spingeva sempre di più verso Magnus. Ad ogni battito, Alec si avvicinava di almeno un centimetro. E quando arrivò così vicino al viso di Magnus da riuscire a sfiorare la sua bocca con la propria, il suo cuore si fermò un istante, quasi come se avesse voluto fargli capire che era arrivato a destinazione.
Ma Alec non sapeva cosa fare, non aveva mai baciato nessuno in vita sua, così si limitò ad appoggiare le proprie labbra su quelle di Magnus. Un contatto breve, impacciato, ma dolce. Un gesto così puro e spontaneo che lasciò perplesso Magnus, che non riceva un gesto così sincero da almeno due secoli.
“Hai ragione. Sei bellissimo.” Sussurrò Alec, con le guance che avvampavamo. Si rifiutò categoricamente di ascoltare quella parte di lui che stava gridando, in preda al panico, di avere avuto un comportamento troppo impulsivo. Ascoltò solo il suo cuore, che adesso stava facendo le capriole, e stava pompando felicità in ogni fibra del suo corpo.
“Perché l’hai fatto?”
Alec provò un momento di panico, all’idea di aver fatto qualcosa di sbagliato. Forse avrebbe prima dovuto chiedere il permesso a Magnus.
“Non sto dicendo che non volevo, Alexander.” Si affrettò ad aggiungere Magnus, quasi avesse letto il panico negli occhi del più giovane. “Sono solo curioso.”
“Non lo so perché,” bugiardo, lo sai benissimo perché. Era vero. Sapeva il motivo per cui l’aveva fatto. “Non è vero,” si riprese quindi, “So perché l’ho fatto. Volevo farlo io, prima che andassi alla festa e qualcun altro lo facesse al mio posto.”
Sul viso di Magnus si aprì un sorriso così luminoso che Alec non poté fare altro che ammirarlo. Era così bello da risultare irreale.
“Sono contento che tu l’abbia fatto. E, di certo, adesso non andrò a nessuna festa.”
Alec ridacchiò sommessamente. “Chiederanno di te.”
“Sicuramente, dal momento che sono io l’anima del divertimento.”
Alec sorrise. “Preferisci rimanere qui con un Nephilim anzi che partecipare ad un raduno di Nascosti?”
Magnus con un gesto della mano infuocò il messaggio che Alec aveva scritto e che lui aveva tenuto in mano fino a quel momento. Una promessa era una promessa, ma quel gesto era stato fatto anche perché così facendo avrebbe avuto le mani libere. E avrebbe potuto afferrare il viso di Alec tra di esse, accarezzargli le guance con i pollici, e osservare come quel gesto provocasse un leggero rossore sulla sua bellissima pelle candida.
“Non voglio andare ad una festa dove tu non ci sei. Non voglio andare in nessun posto dove tu non ci sei.”
Alec arrossì ulteriormente e sorrise timidamente. Magnus gli lasciò un bacio a stampo, prima di prenderlo per mano. “Andiamo.”
“Dove?”
“A guardare un film.”
Alec sorrise e, con le dita intrecciate a quelle di Magnus, lo seguì fuori dalla biblioteca.
Era inaspettatamente felice. E, nonostante ci fosse una parte di lui che ancora gli gridava quanto fosse contraria a tutto questo, lui decise, ancora una volta, di dare ascolto al suo cuore. Quel cuore che lui aveva sempre ritenuto uno stupido, ma che adesso si stava dimostrando estremamente saggio.
Quel cuore che, in quel momento, continuava a battere fortissimo e a dirgli che la direzione giusta era quella che comprendeva lui e Magnus insieme.





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Eccomi! Come state? Spero che vada tutto bene <3
Questo capitolo mi rende insicura su tantissimi punti, tipo la velocità con cui è successo il tutto, tra di loro, ma vorrei precisare che nel prossimo capitolo specificherò tutto, approfondendo l’idea di base che vede Alec come custode ancora inconsapevole dell’umanità di Magnus.
A proposito, vorrei sapere cosa ne pensate di Alec, perché ho paura di averlo caratterizzato male e non vorrei di certo trattare male il mio archer boy preferito, quindi se lo sto rendendo troppo OOC fatemi sapere!
Credo che il prossimo capitolo sarà l’ultimo – magari verrà un po’ più lungo degli altri – però non ne sono ancora sicura. Devo vedere mentre scrivo, in realtà, come si sviluppano le idee – che a grandi linee ho in testa, ma quando poi le sviluppo magari mi vengono in mente altri dettagli. Quindi non so, potrebbero essere uno o due – e so che l’ho detto anche nel capitolo precedente, perdonatemi!
Ad ogni modo, spero che stiate tutti bene!
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, io intanto vi mando un abbraccio virtuale (a distanza) e vi ringrazio per leggere questa storia, recensirla o averla messa tra le seguite/preferite/ricordate.
Lo apprezzo tantissimo.
Grazie! Alla prossima, un abbraccio grande grande! <3 
   
 
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