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Autore: Fuuma    14/03/2020    11 recensioni
Napoleon serra i denti, sulla lingua gocce di ferro rosso e in gola boli di saliva e respiro che si mescolano e lo soffocano. L’ha sentito quel suono, così sgraziato da essere irritante, e si rifiuta di accettarlo come proprio, così come rifiuta di lasciare la presa alla mano che stringe e che lentamente lo sta trascinando giù dal tetto.
{ napollya; scritta per l'event Il mio profilo del gruppo FB C'era una volta un prompt }
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Illya Kuryakin, Napoleon Solo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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warning: slash; h/c; established relationship

I personaggi appartengono agli aventi diritto.

 

     Every time your hand fits in mine      

 

L’urlo ha infranto una notte turbata dalla sventagliata di proiettili – cariche tedesche svuotate sulle loro teste. Un suono gutturale, rotto, un verso animale che gli è esploso tra i timpani.

Napoleon serra i denti, sulla lingua gocce di ferro rosso e in gola boli di saliva e respiro che si mescolano e lo soffocano. L’ha sentito quel suono, così sgraziato da essere irritante, e si rifiuta di accettarlo come proprio, così come rifiuta di lasciare la presa alla mano che stringe e che lentamente lo sta trascinando giù dal tetto.

La pioggia annacqua i rigagnoli di sangue che tratteggiano i contorni delle tegole. Sotto di sé qualcuna si è rotta, unghiate di terracotta lo trafiggono al costato e giura – giura! – che se gli hanno rovinato anche la camicia, tornerà indietro da quel branco di nazi Kartoffelmampfer[1] troppo pompati e la vendicherà con le proprie mani.

Il pensiero gli increspa le labbra. Il sorriso nasce storto, nasce morto, ucciso da un gemito e da una sfiatata sibilante che sa di polmoni perforati. No, coraggio, sono solo un paio di costole rotte, ha visto di peggio.

Ha visto…

«Cowboy, lascia presa.»

Una risata si suicida tra le labbra di Napoleon; camuffa male il colpo di tosse e gorgoglia sangue che cola dal labbro spaccato. Frammenti di maschera rovinano a terra, si aprono spiragli, crepe in cui si rivela il dolore sotto al volto del playboy incallito, la paura dietro all’indifferenza di chi ha sempre un piano di riserva.

Non questa volta.

Il braccio in tensione trema e la pioggia non dà tregua, grasse gocce incazzate e traditrici battono sulla loro testa, sulla schiena, sulla pelle. Napoleon aveva capelli perfetti fino a dieci minuti fa; ora l’accecano finendogli negli occhi.

E tutto scivola un po’ più giù. Lui, loro, la mano di Illya.

«E il tuo piano quale sarebbe, eh, Peril?» Non la lascerà. Dovesse perdere il braccio, crepare o tornare a casa trascinandosi sulle ginocchia nella polvere e nel fango come il verme che ha giurato che non sarebbe mai più stato[2]… Non la lascerà. «Sei di ferro, ma non sei immortale. Da quest’altezza anche i supersoldati della Madre Russia si spezzano l’osso del collo.»

Parla troppo e se ne pente. Vorrebbe potersi rimangiare le parole, insieme all’ossigeno che si son portate via.

Tossisce, impreca, scivola.

E Illya penzola. Un peso morto un mastodontico peso morto che dondola sul vuoto delle strade di una Parigi in nero e rosso sangue, braccio rotto e tutto il resto.

Se Napoleon avesse ancora voce da sprecare – i polmoni bruciano e presto soffocherà nel suo stesso sangue – gli direbbe che è colpa sua, perché va bene essere superumani, va bene essere i pupilli del KGB, ma doveva per forza essere così alto? Così grosso? Doveva pesare come i gargoyle che, accovacciati su Notre-Dame, li sbeffeggiano per esser nati senza ali?

È colpa sua, perché essere il suo partner non gli dà il diritto di farsi rompere il braccio pur di difenderlo. È una scelta idiotica, che li ha portati dove, eh? Fuori da un maledetto bunker antiatomico, a sfracellarsi al suolo a causa dell’architettura questionabile dei tetti della città.

Un altro urlo gli incrina i timpani.

Napoleon si chiede come sia riuscito a gridare così forte quando ha la bocca e la gola che traboccano sangue; ma guarda in basso e vede Illya, labbra spalancata in un verso feroce, gli occhi che si incidono nei suoi – resisti, resisti, resisti – e lo stridio di ossa frastagliate che si sollevano.

Illya inghiotte dolore e col braccio rotto si issa sul cornicione, dove sotto i tacchi dei suoi stivali ritrova una superficie solida.

Napoleon ha ancora la sua mano tra le proprie dita e i motivi per stringerla sono appena cambiati.

«Vai a Parigi,» gorgoglia «città dell’amore e del peccato… dicevano… nulla è più adatto a te...»

Illya lo guarda di scorcio, le dita sussultano. «Nessuno mai detto questo. Nostra presenza qui è solo per missione, lo sai benissimo.»

Napoleon serra la presa per lui; dev’essere quello il segnale che il dolore ha finalmente trovato il modo di aggirare qualsiasi programma d’insensibilità i russi abbiano ficcato nella testa di Kuryakin.

«Peril… per quanto ami discutere con te… ti dispiace? Sto cercando… di processare…» agita la mano libera, un cenno svogliato che doveva compiere un cerchio in aria e che invece cede alla gravità a metà percorso.

Il resto della frase gli resta incastrato tra le ciglia, insieme alla pioggia. Nulla che il russo non possa immaginare: qualche battuta sul loro status, sul microchip che avrebbe voluto consegnare direttamente tra le mani di Waverly, per convincerlo a dargli un aumento – o rimborsargli l’abito ormai da buttare.

E se Illya è furbo quanto crede, sa anche che deve andare, perché quelli dietro di loro sono cani in divisa che hanno odorato la traccia di sangue.

Lo sa anche Napoleon, ma per qualche motivo, non riesce a lasciare la sua mano e Illya non fa nulla per liberarsi della presa: si piega su di lui, invece, e lo copre col proprio corpo, con la pioggia che gocciola dagli abiti, dai capelli e s’infrange intorno al volto dell’americano, senza più toccarlo.

 

- - -

 

L’urlo è un’eco lontana, un puntino di luce nella notte che si spegne quando quella argentata della luna cola come rugiada sulle palpebre di Napoleon e l'uomo apre gli occhi.

La stretta di una benda intorno al petto e la testa gonfia d’aria, ma vuota di pensieri voglion dire una cosa sola: ospedale & morfina.

È vivo. Bene. Napoleon settantacinque – Vecchia Signora zero. Sarà per la prossima volta.

L’aria della stanza è calda, profumata. Sul comodino c’è un vaso pieno di rose chiare; non sono rosse, né bianche e con la poca luce che filtra dalla finestra Napoleon azzarderebbe un giallo. È il colore che sceglierebbe Gaby.

Quando fa per muoversi, la stretta al petto lo riporta al punto di partenza. Oltre le bende, c’è un braccio che lo stringe e, sdraiato dietro di sé, ci sono occhi azzurri che puntano la sua nuca e Illya che si è svegliato insieme a lui.

Dannazione, pensa. Napoleon ventiquattro – Peril venticinque. E chissà quanto ancora andranno avanti, prima che arrivi il giorno in cui uno dei due fallisca nel salvare l’altro.

Sorride.

Ma oggi non è quel giorno.

La mano risale l’avambraccio di Illya, scorre per la manica del pigiama ospedaliero, aggira l’ago canula collegato alla flebo e si assicura di non incastrarvi il proprio. «Come hai fatto?» chiede e intreccia le dita con le sue, stringendosele al petto.

Illya scrolla le spalle e strofina il mento contro l'incavo del suo collo. Ha un sorrisetto minuscolo, uno di quelli da tronfio comunista che ha appena dimostrato l’eccellenza dei metodi russi.

«Io fatto niente. Gaby è venuta a prenderci con elicottero, ci ha trovato in tempo.»

Napoleon lo osserva meglio. Il buio gioca brutti scherzi: non è un sorriso tronfio quello di Illya; è timido e contento, perché Napoleon lo crede ancora in grado di fare miracoli e a questo si riferisce quando il suo sospiro soffia sul collo e la sua voce gli attraversa la pelle, raggiungendogli direttamente le vene e tuffandosi nel sangue per farlo ribollire. «Ma mentre un certo cowboy svenuto, io ha fatto tutto il lavoro: caricato sull’elicottero e consegnato microchip. Americani è come loro giocattoli: non affidabili

Napoleon annuisce e tasta sulla lingua una risata; si aspetta papille invase di metallo e invece c’è solo aria e la nota sensuale della sua voce. «Intendi dire che hai consegnato il microchip a Gaby e che ci ha pensato lei a metterlo in salvo?»

Un attimo di silenzio è quello che precede lo sbuffo di Illya: «…precisamente.»

«Ricordami di farle un regalo, quando ci dimetteranno.»

«Puoi ricordare da solo.»

Napoleon ride, il costato non fa più tanto male – forse perché dal collo in giù non sente quasi niente, solo macchie di calore là dove la mano sana di Illya si posa con cautela. «Non c’è bisogno di essere geloso, ne farò uno anche a te.»

«No, grazie.»

«Preferisci un cesto di frutta?»

«Preferisco tuo silenzio.» borbotta il russo, ma le labbra si posano a quelle di Napoleon. Un bacio asciutto, che sa di morfina. «Preferisco tua vita…»

Napoleon ricalca le ossa della mano di Illya con la propria.

«Ce l’hai, Peril. Ce l’hai…»

Ce l’hanno entrambi, stretta l’una nelle mani dell’altro.

 

[ 1.391w ]



[1] nazisti mangia patate.

[2] Ho ricordi vaghi di un’intervista con Hammer e Cavill, in cui Henry parlava del background di Napoleon e del fatto che suo padre fosse un inserviente irlandese immigrato in America. (potevo non costruirmi headcanon anche su questo? Bitch, pls!)



La verità è che avrei potuto far finire tutto per il meglio già sul tetto di Parigi, potevo evitare la scena all’ospedale perché ne ho già scritta una simile e perché chissà come mai questi due finiscono sempre in letti ospedalieri… ma, suvvia, lo sappiamo come mai: fanno le spie di lavoro, ok? Rischiano di crepare una volta sì e l’altra pure! Quindi ho tutte le scuse del mondo per continuare a ripetermi! *_*

Move on!

Non so perché ho questo debole per Napoleon che si lamenta e non perde occasione di giudicare qualsiasi cosa; siamo pure arrivati alla millesima fic (seah, magari!) dal suo POV. La prossima volta la farò dal tuo POV, Illyabear, lo prometto! *mente e lo sa*

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Scritta per Il mio profilo @C'era una volta un prompt - prompt di Bacinaru: TMFU, Napoleon/Illya, Illya cade oltre il bordo del tetto e l'unica cosa che gli impedisce di capitolare giù incontro a morte sicura è la mano di Napoleon stretta attorno alla sua. E Napoleon non ha intenzione di mollare la presa. Poco importa se ha un paio di costole rotte e il dolore è così intenso da fargli quasi perdere i sensi.

   
 
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