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Autore: Sapphire_    15/03/2020    1 recensioni
Tutti abbiamo un professore che odiamo in particolare, così anche Amelia.
Nel suo caso lui si chiama Alessandro Angelis, insegna matematica e fisica, è troppo bello ma anche troppo stronzo - e gode da matti a rifilarle insufficienze.
Il vero problema però si presenta quando la povera ragazza finisce per ritrovarselo a cena con i suoi genitori e l'unica cosa che può pensare, mentre lo guarda, è cosa abbia fatto di tanto male per meritarsi una punizione del genere.
~
Dal testo: "«Sto pensando di rimanere sempre sullo studio linguistico.» rispose.
«Fai bene, non credo che l’ambito scientifico possa offrirti concrete possibilità.» commentò con nonchalance Alessandro.
«Beh, a dire il vero» iniziò Amelia, mentre un pacato sorriso si apriva nel suo volto «sono contenta di non essere portata per le materie scientifiche. Secondo la mia esperienza sono adatte agli stronzi senza cuore.» fece candida e angelica.
Aveva appena dato dello "stronzo senza cuore" al proprio professore. Che la odiava."
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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È passata esattamente una settimana dall’ultimo capitolo pubblicato, in pratica come facevo all’inizio, quando avevo cominciato a pubblicare i capitoli di questa storia.
Ebbene, siamo arrivati all’ultimo capitolo dopo tanto tempo – non esattamente l’ultimo, manca l’epilogo che però sarà giusto un capitolino breve (penso).
So che sono stata parecchio incostante con questa storia alla fine, mi dispiace ma purtroppo la vita vera mi ha chiamato spesso a sé e il tempo da dedicare alla scrittura era sempre poco. Avrei preferito continuare con i miei regolari aggiornamenti, anche perché ho notato che molti lettori affezionati non hanno continuato la storia e questo mi dispiace parecchio.
Spero, comunque, che un giorno o l’altro desiderino terminarla e in quel caso il capitolo è qui, pronto per voi.
Vi auguro una buona lettura in compagnia di Amelia e Alessandro.
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 


 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo ventisei
~
Di mare e rivelazioni
 
 
 
I tramonti al mare di agosto erano sempre stati i preferiti di Amelia.
Forse perché avevano il sapore degli ultimi, e quindi la nostalgia la attanagliava in una morsa che aveva il sapore di salsedine e crema solare, o forse perché i colori le apparivano più intensi del solito.
Non era sicura, comunque, e a quel punto preferiva lasciar correre i pensieri mentre si godeva gli ultimi raggi del sole distesa nel lettino azzurro che faceva pandan con il suo costume turchese.
I vari bagnanti erano quasi tutti andati via, solo dei giovani si attardavano sulla spiaggia – un gruppo che aveva messo musica su una cassa da un po’, ma che per fortuna non la infastidiva, e che faceva girare delle bottiglie di birra accuratamente messe in un sacchetto di plastica una volta finite. Si stavano preparando per una serata sfrenata, evidentemente.
Ma Amelia, al pensiero di una nottata del genere, si sentiva ancora più pesante.
Si era fatta la sua dose di divertimento in quelle settimane e quei giorni alla casa al mare di famiglia aveva intenzione di passarli in totale relax, godendosi il mare tutto il giorno, passando il tempo a fare il bagno, abbronzarsi, leggere e mangiare fino a scoppiare. Le sembrava giusto, soprattutto in previsione di quello che l’aspettava con l’arrivo dell’università.
Ah, l’università.
I dubbi che l’attanagliavano erano tanti, in primis l’ansia di andare per la prima volta via di casa.
Come sarebbe stato vivere totalmente da sola?
Certo, aveva già provato alcune esperienze del genere, già altre volte i suoi avevano deciso di fare un viaggetto di coppia lasciandola a casa in solitaria – “Tu hai scuola, tesoro, non puoi fare assenze!” – e non aveva mai avuto problemi. Era una persona autonoma, non aveva problemi a farsi da mangiare, lavarsi i vestiti o cose del genere. C’era però da dire che i suoi le lasciavano sempre cibo a sufficienza, e le poche volte che andava a fare la spesa con i suoi finiva per chiedere snack e cioccolatini come una bambina di dieci anni.
E quando sarebbe stata male?
Quando aveva l’influenza, sua madre mostrava la mamma chioccia che era dentro di lei: non poteva alzarsi, muovere un muscolo, doveva riposarsi, mangiare un brodino caldo e fare attenzione alle correnti, stando attenta però a far cambiare l’aria nella stanza. E poi le medicine: doveva prenderle in maniera corretta, ma se le fossero finite e fosse stata ancora male, come avrebbe fatto a comprarle?
Un’altra domanda importante che la premeva era: come sarebbero state le sue coinquiline?
Si riteneva una persona tranquilla, pulita e rispettosa degli altri, ma sapeva bene che non tutti fossero come lei. E se invece, più semplicemente, non fosse andata a genio agli inquilini con cui avrebbe coabitato?
Tutto questo la spaventava e le faceva chiedere se sarebbe stata in grado di vivere da sola, veramente in autonomia.
Sospirò e cercò di scacciare via quei pensieri.
Non ha senso tormentarmi ora. Inoltre, se ce l’hanno fatta gli altri, perché io non dovrei esserne in grado?
Con quell’idea in testa si alzò da lettino, scosse il telo da eventuali granelli di sabbia per poi riporlo dentro la spaziosa borsa colorata da mare e chiuse il lettino, decisa a dirigersi verso casa – erano già le otto passate, i suoi genitori di sicuro avevano iniziato a preparare la cena.
Con il lettino in una mano e la borsa nell’altra, si diresse verso casa; era fortunata, non era molto lontano, e in pochi minuti a piedi raggiunse la graziosa casetta al mare. La luce del tramonto rendeva il giallo chiaro dell’edificio più dorato e le sue sfumature venivano rese più accese dai colori dei teli da mare e dei costumi appesi al filo per il bucato.
Appena varcò il piccolo cancello d’entrata e mise piede in giardino, l’odore di pesce grigliato le solleticò le narici, facendole spuntare inevitabilmente un sorriso.
«Mamma, sono tornata!»
L’urlo non fu molto apprezzato dalla madre, che subito si affacciò dal balcone del piano superiore.
«Cosa sono questi modi di urlare? Non ci siamo solo noi!»
Il fatto che avesse appena urlato lei stessa non sfiorò particolarmente Serena, e Amelia evitò di discutere per una semplice questione di propria serenità.
«C’è il pesce arrosto a cena?»
«Sì, ti conviene sbrigarti se vuoi farti una doccia, è quasi pronto.»
Non fu necessario dire altro: la mora entrò rapida dentro casa, si diresse nella propria camera per prendere un cambio di vestiti e dopo un quarto d’ora era già in comodi e leggeri vestiti da casa, i capelli umidi che le solleticavano le spalle nude e la pancia che iniziava a brontolare.
La cena si prospettava tranquilla e serena come tutte le altre precedenti, eppure Amelia doveva aspettarselo.
Doveva aspettarsi che i suoi genitori, bravi com’erano a combinare stronzate, avessero già in mente un’idea che, se per loro fosse sembrata fantastica, per la loro amabile figlia sarebbe stata disastrosa.
Ma Amelia aveva abbassato la guardia da un po’ e pensava che certe cose fossero finite da un pezzo.
«Sai, Amelia» Davide catturò la sua intenzione mentre la mora era intenta a pulire con attenzione il pesce di fronte a sé – odiava quando le capitavano spine per sbaglio «Ho sentito Michele e Margherita proprio oggi, e li ho invitati per questo fine settimana qui alla casa al mare. Tanto abbiamo una stanza in più.» l’uomo mandò giù il boccone e le sorrise «Non è un problema per te, vero?»
Eccola.
Eccola lì, la stronzata.
Amelia si chiese perché tutto quello non fosse ancora successo, dato che la sfiga con lei sembra vederci così bene da fare canestro da oltre metà campo.
Ma io dico, che cazzo ho fatto di male?
Prima di dire qualsiasi cosa, però, la domanda che le uscì fu tutt’altra.
«Ci sarà anche il professore?»
Fu dura trattenersi dal dire Alessandro al posto di professore, dovette praticamente mordersi la lingua, ma ce la fece e sentì il proprio cuore perdere giusto un paio di battiti – che cos’erano, in fondo? Sarebbe al massimo morta qualche decennio prima.
Forse era solo nella sua testa, ma sembrò che il tempo si fermasse mentre attendeva la risposta di suo padre.
«No, tesoro, purtroppo Alessandro ha detto che non sarebbe potuto venire. Ovviamente gli abbiamo detto che, se avesse cambiato idea, le porte erano sempre aperte.» Serena intervenne al posto del marito e Amelia si girò rapida verso di lei.
Dentro di sé la sua mente e il suo cuore si divisero in due.
Era felice perché non ci sarebbe stato, o triste per lo stesso motivo? Cosa vinceva, dentro di lei?
Abbassò gli occhi e cercò di concentrarsi sul pesce, alla ricerca di altre spine.
«Ah, meglio così» il tono fu piuttosto asciutto, ma per fortuna nessuno dei due genitori parve accorgersene e Amelia poté continuare a torturare il povero branzino che, con gli occhi privi di alcuna luce, sembrava che la fissassero.
«Che poi, ormai non è neanche più tuo professore, quindi non avrebbe neanche senso rifiutare per una motivazione del genere.»
Serena continuava a commentare la cosa, ma Amelia aveva staccato la testa dalla realtà in fretta e lasciava che i suoi pensieri divagassero mentre mangiava con un insolito scarso appetito.
Per quanto si fosse sforzata in quei mesi, il suo sentimento non era ancora sparito. Per niente. Non si era affievolito e questo faceva sì che il suo cuore fremesse ancora ai ricordi di loro due, dei loro baci e delle carezze scambiate al sicuro della casa dell’uomo.
Fu automatico sentire un brivido lungo la schiena che cercò di dissimulare con nonchalance – per fortuna i suoi genitori erano troppo impegnati con il proprio piatto per rendersi conto di qualcosa.
Sospirò e le fu automatico per lei immaginare come sarebbe stato ritrovarselo lì, magari in costume, fuori dall’acqua dopo una lunga nuotata, o anche seduto al suo fianco a cenare, il vino che gli faceva arrossare le guance e i capelli arricciati dal sale dell’acqua di mare.
Devo smetterla. Ormai è finita, è tutto finito. Anche volendo, non si potrebbe recuperare un bel niente… Non starà ancora pensando a me, probabilmente avrà già conosciuto qualche affascinante trentenne che può presentare ai suoi genitori senza nessun problema, con cui può uscire e scambiarsi baci in pubblico senza l’ansia che qualcuno possa vederli…
«Scusate, ma non ho tanta fame. Credo di aver preso troppo sole oggi, non sto troppo bene.»
La classica bugia del “non mi sento bene”.
Serena se accorse subito, perché fu rapida a lanciarle uno sguardo inquisitore.
«Tutto bene, tesoro?» non sembrava però voler insistere e si limitò a guardarla dubbiosa.
Cercò di fare un sorriso tranquillo.
«Sì, sì, è solo che mi gira un po’ la testa e mi si è chiuso lo stomaco, scusate.»
I genitori non insistettero oltre: la guardarono leggermente preoccupati e, dopo le varie avvertenze quali “chiamaci se hai bisogno”, la lasciarono andare senza insistere ulteriormente.
Dentro camera sua, l’aria era quasi fresca. La portafinestra era spalancata e la zanzariera lasciava fuori tutti gli eventuali mostri che potevano cercare di entrare. Non accese la luce, da fuori ne proveniva abbastanza da creare una vaga penombra nella stanza e il cielo non era ancora del tutto scuro – in lontananza, all’orizzonte, si poteva ancora vedere l’ultima striscia arancione del sole ormai tramontato.
Si buttò nel letto così com’era e l’odore morbido delle lenzuola la avvolse, facendola subito sentire confortata – era il profumo della casa al mare, quello, non lo avrebbe confuso con nessun altro.
Immerse la faccia nel cuscino e ne sentì la morbidezza e freschezza, ma riuscì a rimanere così per poco, poi si alzò con uno slancio deciso e prese una sigaretta dal pacchetto accuratamente nascosto in camera – conosceva abbastanza i suoi genitori da sapere che non sarebbero saliti in quel momento, o perlomeno non avrebbero cercato di andare da lei, ma per sicurezza chiuse la porta a chiave decisa, in caso, a far finta di essersi addormentata per sbaglio.
La fortuna della sua camera era che aveva una portafinestra che conduceva a un balcone di modeste dimensioni che si affacciava sul lato del mare, permettendole così di gustarsi una vista mozzafiato. Più volte, in quegli anni, aveva passato la notte con le cuffie alle orecchie a fissare il cielo che, in quel luogo, era particolarmente terso tanto da osservare un cielo stellato come si deve.
Il fumo della sigaretta si disperdeva nell’aria in volute biancastre ma, se altre volte Amelia avrebbe finito per rimanerne incantata, in quel caso aveva occhi soltanto per la distesa blu che si scuriva sempre di più mostrando le varie stelle più deboli che avevano bisogno di maggiore oscurità per essere viste.
Non sapeva a cosa pensare.
La sua mente percorreva sempre più rapida tutti i momenti passati con Alessandro in maniera ripetitiva. Non riusciva a distogliere la testa da quei momenti e passava da uno all’altro senza alcun filo logico, lasciandosi guidare solamente dalle sue emozioni.
Fu senza rendersene conto che iniziò a piangere.
I ricordi si facevano più intensi e sentì lo stesso dolore che aveva provato i primi giorni in cui avevano chiuso quella storia troppo complicata – gli sguardi imbarazzati a scuola, il disagio provato, il desiderio di sparire e il preparare quelle interrogazioni che diventavano la peggiore tortura della sua vita.
Era riuscita a passare tutto quello, eppure perché in quel momento si ritrovava a piangere al pensiero di lui in quella casa, magari abbracciato a lei nel telo per la spiaggia, loro due che nuotavano insieme e i baci bollenti che si sarebbero scambiati la notte?
Perché sono ancora totalmente, inutilmente e stupidamente innamorata di lui.
 
 
 
La mattina dopo arrivò più rapida di quanto si aspettasse.
Aprì gli occhi che mancavano pochi minuti alle nove e, decisa a non perdersi neanche un minuto di sole, si alzò con uno sbadiglio per poi scendere al piano di sotto dove i suoi già preparavano il caffè – l’aroma amarognolo solleticò le sue narici svegliandola già in parte.
«Buongiorno tesoro.» la voce di Serena l’accarezzò leggera, rispose con un grugnito assonnato e lanciò un occhio fuori dalla finestra notando che il padre era occupato a fare qualcosa in giardino.
Rimase in silenzio ad ascoltare la tv e poco dopo la madre le pose sotto il naso la tazzina fumante di caffè più i soliti dolci da colazione – era più tipa da colazione salata, ma anche un bel toast con la crema al cioccolato non si disdegnava mai. Passarono alcuni minuti di relax prima che la madre si voltasse verso di lei, impegnata anch’essa nella sua colazione.
«Amelia, Michele e Margherita oggi arriveranno per l’ora di pranzo, quindi cerca di essere puntuale, ok?»
Merda.
Sbuffò un cenno di assenso e continuò a fare colazione in silenzio.
Averli intorno sarà una tortura. Spero solo di riuscire a distrarmi quanto basta.
Quei pensieri la angustiavano più del dovuto, e così fecero per tutto il resto della mattinata: dal momento in cui uscì di casa con il suo costume color pesca, il prendisole bianco e la borsa di paglia colma del necessario – più, ovviamente, il fidato sdraio – la sua testa non riuscì a distogliersi da quei pensieri.
Quando riuscirò a farmela passare? Anzi, ci riuscirò mai?
Insomma, questo fu il registro dei suoi pensieri per tutta la mattina e non ci poté fare molto, nonostante le nuotate, la musica alle orecchie e il libro che le faceva compagnia.
L’ora di pranzo arrivò in fretta e mentre il cellulare squillava, già sapeva chi fosse.
«Pronto, mamma?»
«Amelia! Muoviti a tornare, sono già qui!»
«Se non mi chiamassi farei più in fretta, sai?»
La madre non le rispose: le chiuse il telefono e Amelia fece una smorfia – doveva essere lei, la figlia adolescente, a chiudere la chiamata, non la madre!
Non poté fare molto però, e dopo una rapida sigaretta si incamminò verso casa. Mai come in quel momento avrebbe preferito che il tragitto fosse più lungo.
Invece fu come al solito e in breve tempo notò il cancello che la conduceva all’entrata del giardino, più una macchina posteggiata lì di fronte che riconobbe come quella dei genitori di Alessandro.
Magari anche lui è qui. Magari ha cambiato idea. Magari ha deciso che vuole vedermi.
I pensieri le si affollarono rapidamente in testa, e allo stesso modo il suo cuore iniziò a sfarfallare impazzito mentre la speranza si faceva strada in lei – e nulla pareva poterla fermare.
Amelia nemmeno si accorse di aver accelerato il passo verso casa, mentre sentiva un vociare scherzoso provenire dal retro, e in pochi istanti entrò dentro casa, poggiò la borsa in tutta fretta – se la madre l’avesse vista entrare in quel modo, senza preoccuparsi di togliersi i residui di sabbia dai piedi, le avrebbe gridato contro – e si diede un’occhiata di fronte allo specchio. I capelli erano ancora più ricci a causa dell’acqua salata del mare, la pelle era dorata e piuttosto luminosa, gli occhi brillanti. Il mare le faceva bene.
Non stette di fronte allo specchio troppo a lungo, dentro di sé fremeva per la speranza di poterlo rivedere lì – e sarebbe stato come mesi prima, con i loro battibecchi, i loro litigi che però nascondevano un qualcosa che all’inizio non si riusciva a definire.
L’apice della sua ansia fu proprio l’istante in cui poggiava il piede sul retro.
Ma tutto sfumò nel nulla assoluto, quando vide soltanto i suoi genitori, Michele e Margherita; i quattro stavano in piedi, un bicchiere di vino bianco in mano, ridendo e scherzando tra di loro.
Sentì il palloncino dentro di lei che l’aveva portata su per pochi ed emozionanti secondi sgonfiarsi inevitabilmente, e il sorriso luminoso che aveva stampato sul volto perse luce e allegria.
«Amelia, tesoro!»
La prima a vederla fu Margherita che si voltò verso di lei con un enorme sorriso; la donna subito si avvicinò a lei per abbracciarla con calorosità. Per un attimo, le sembrò di sentire il profumo di Alessandro su di lei, poi eliminò velocemente quel pensiero.
«Margherita, quanto tempo.»
La sua voce suonò meno carica di entusiasmo rispetto all’altra, ma nessuno parve farci caso e salutò anche Michele che, in maniera più composta, si era avvicinato a salutarla.
«Come stai?» chiese Michele.
«Bene, dai, mi rilasso in vista dell’inizio dell’università.» rispose facendo spallucce e con un lieve sorriso.
«Hai deciso di studiare lingue, quindi?» continuò Margherita.
«Sì, continuerò sul tedesco e tenterò il russo, ho già una buona base per l’inglese e il francese e mi piacerebbe imparare nuove lingue.» spiegò semplicemente.
La conversazione, da quel momento in poi, si spostò su altri discorsi e Amelia lasciò che gli adulti conversassero tra di loro mentre con una scusa andava al piano di sopra.
Dentro camera sua le tapparelle erano a metà per evitare che il caldo sole dell’ora di pranzo riscaldasse troppo la stanza, una piacevole penombra non le ferì gli occhi e si buttò sulla sedia con il sorriso che scemava definitivamente dal suo volto.
Sono un’illusa senza speranze.
Non ci riusciva. Era più forte di lei, non le sarebbe passata.
E, come le capitava da un po’, una lacrima le solcò il viso.
 
 
Anche quella giornata volò, ma meno rispetto alle altre.
La sua mente finiva sempre per correre al medesimo pensiero: Alessandro. Non riusciva a smettere di immaginare lui che arrivava lì senza preavviso, per finalmente dichiararle il suo imperituro amore nei suoi confronti. Poi finiva per ridere tra sé e considerarsi una scema.
Non succederà, Amelia, mettiti il cuore in pace.
La notte arrivò rapida, ma, una volta che il buio calò sulla casa e le chiacchiere furono esaurite anche tra i suoi genitori e gli altri ospiti, si ritirò nella propria camera e da quel momento in poi non fu che tormentata.
Passava il tempo a fissare il soffitto, a fumare l’ennesima sigaretta, a cercare di leggere aspettando il momento in cui le palpebre si facevano più pesanti – eppure nulla di tutto quello servì, continuò a rotolarsi tra le coperte come un’anima in pena e riuscì a sonnecchiare massimo un’oretta scarsa.
L’alba arrivò con i suoi colori aranciati e rosati in maniera lenta, come la marea che lentamente si alza e si abbassa seguendo la luna. Allo stesso modo, Amelia prese la decisione di alzarsi dopo interminabili minuti in cui vedeva le ombre della stanza allungarsi lungo le pareti.
In quel quasi totale silenzio si mise il costume, quel giorno nero, e il prendisole bianco del giorno prima, scese al piano inferiore e si fece il caffè.
La cucina, alla luce scarsa del sole, assumeva i toni di una cartolina d’epoca e mentre osservava i contorni delle tende, che si facevano più nitidi grazie alla luce che filtrava sempre di più, sorseggiò il caffè appoggiata al bancone di marmo.
Quando diede un’occhiata all’orologio, si stupì che fossero le sette meno due minuti. Nessuno era ancora sveglio e pensava che i suoi genitori avrebbero dormito per ancora un paio di ore – per questo motivo decise di scrivere un biglietto in cui li avvisava che era già andata in spiaggia da presto e lo lasciò sul tavolo vicino alla zuccheriera. Dopo questo, si lavò velocemente i denti in bagno e a quel punto uscì di casa cercando di fare il meno rumore possibile – non che i suoi rischiassero davvero di svegliarsi.
La strada verso la spiaggia era praticamente deserta se non per qualche raro runner solitario che voleva evitare le più calde ore successive e Amelia si poté godere in pace la passeggiata con le cuffie alle orecchie, che diffondevano un sottofondo piuttosto malinconico ma adatto al proprio stato d’animo.
Quando arrivò alla spiaggia, il paesaggio che le si presentò davanti era più spettacolare di quanto non si aspettasse – erano parecchi anni che non si godeva realmente la spiaggia deserta e albeggiante. Il mare non era ancora di quel tono azzurro vivo che avrebbe assunto durante il resto della giornata, ma di varie sfumature che spaziavano dal tenue grigio-azzurro, al pesca e al dorato. Qualche gabbiano gracidava in lontananza e non c’era nemmeno una nuvola, così come nemmeno un bagnante. Amelia non ci mise molto a decidere di abbandonare tutte le sue cose sulla sabbia, ancora fredda dopo la notte, levarsi il prendisole e farsi una nuotata.
Appena si avvicinò al bagnasciuga una piccola onda si allungò il necessario per bagnarle i piedi e un brivido le corse lungo la schiena – l’acqua era abbastanza fredda, ma decisa ignorò quel dettaglio e si inoltrò nell’acqua.
Le onde erano lente ma abbastanza forti da schizzarle addosso qualche gocciolina d’acqua che le creava una fastidiosa pelle d’oca. Fu con fermezza che si tuffò nell’acqua, sentendo mille spilli che la trafiggevano – ma fu solo pochi secondi, poi fece qualche bracciata e sentì il corpo riscaldarsi e adattarsi a quella temperatura.
Non seppe per quanto tempo nuotò, ma quando uscì sentiva il corpo pesante e la testa più leggera – le sembrò di aver abbandonato la zavorra che custodiva dentro di sé nel mare, ma sapeva che la sensazione non sarebbe durata a lungo. La spiaggia non era più vuota, ma vi era qualche anziano che, con la propria fidata sedia da spiaggia, sostava vicino all’acqua a godersi l’aria fresca e pulita.
Amelia si diresse verso le proprie cose che erano rimaste nella stessa posizione in cui le aveva lasciate, distese il proprio asciugamano e si sedette su di esso, sentendo il sole che già iniziava ad asciugare le piccole goccioline d’acqua che permanevano lungo il suo corpo.
Quello era il suo momento preferito: godersi il calore che la asciugava, il sole negli occhi che finiva per tenere socchiusi, il rumore delle onde come perfetta colonna sonora e nient’altro.
Avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre, eppure sapeva che non poteva essere così. Però non c’era nulla di male a goderselo appieno.
Le ore passarono così, nel silenzio che pian piano si trasformava in brusio, e poi in rumore vero e proprio con l’arrivare cospicuo di famiglie, coppie e gruppi di amici. Quando furono le dieci, decise di alzarsi e andare via: le ore di sonno mancanti iniziavano a farsi sentire e non voleva addormentarsi lì, in mezzo a tutte quelle gente. Si alzò con calma e, dopo aver preso tutte le proprie cose, si incamminò verso casa.
E fu in quel momento, mentre girava l’angolo che precedeva la propria via, che una macchina spuntò dal lato opposto rischiando di investirla.
«Ehi, coglione!»
L’urlo le uscì più alto e nervoso di quanto non le sarebbe uscito in altre situazioni, ma la stanchezza giocava brutti scherzi, tra cui l’irritabilità. Si voltò a guardare il genio che l’aveva quasi investita – insomma, era un paesino di mare con strade strette e più pedoni che auto, era ovvio che bisognasse andare piano, invece quel deficiente si sentiva in autostrada!
Ripensandoci in un altro momento, avrebbe detto che fu quello il momento in cui il suo cuore si fermò.
O, meglio, fu quando riconobbe prima l’auto e poi il coglione che c’era dentro, che in quel momento era fermo sul sedile del guidatore, gli occhi fissi su di lei e una espressione che non avrebbe mai potuto decodificare.
Alessandro.
Fu come in un sogno, o forse come nelle sue più imbarazzanti fantasie, però non si concluse allo stesso modo: sentì le gambe traballarle e dopo un mezzo passo incerto rischiò di cadere a terra se non fosse stato per il muso dell’auto davanti a lei, a cui si poggiò con un tonfo che fece una brutta impressione per la carrozzeria.
No, ok, sono un’idiota, fu il suo primo pensiero. Il secondo fu…
Cazzo.
Non riusciva a muovere un muscolo. Era così stupita, sorpresa, stupefatta che non sapeva cosa fare.
La stessa cosa valeva per Alessandro, perché anche l’altro rimaneva immobile – non accennava a spegnere il motore, a scendere dall’auto o a spostare lo sguardo da lei.
Per qualche secondo fu come se il tempo si fosse fermato o, almeno, questa fu l’impressione che ebbe Amelia e che avrebbe poi raccontato in seguito. Ma poi tutto si sbloccò quando una macchina dietro Alessandro iniziò a suonare con impazienza. L’incantesimo si spezzò in fretta e l’uomo fece una smorfia che fece nascere uno spontaneo sorriso nella ragazza, che si affrettò poi a nasconderlo.
Si spostò il necessario per far passare le auto e osservò la scena di Alessandro che andava avanti per accostare poco prima dell’auto dei suoi genitori e la macchina dietro di lui, guidata da un vecchio signore dall’aria spazientita, che andava avanti berciando qualcosa che non riuscì a sentire.
Ma fa veramente così caldo?
Il suo corpo sudava come se fosse in una fornace e non riusciva a capire se fosse il caldo del sole o il cuore che batteva all’impazzata dentro di lei – forse entrambe, o comunque era l’opzione più probabile.
Quando vide l’uomo uscire dall’auto non poté evitare di fissarlo – non era un sogno, vero? Quella era la realtà, dovevaesserla. Se no sarebbe stato orribile.
Lo vide con quei jeans leggeri, una maglietta a maniche corte che gli toglieva qualche anno dall’età, degli occhiali da sole inforcati tra i capelli scuri e disordinati – e poi si voltò e la guardò, e ad Amelia sembrò di trovare un po’ di sollievo in quella calura estiva, sollievo provocato dalla freschezza di quegli occhi così chiari.
In quel momento non riusciva ancora a muoversi, ma per l’altro non sembrava la stessa cosa dato che si avvicinò a lei – per fortuna, se no sarebbero stati lì a fissarsi tutto il giorno.
«Ciao.»
La sua voce è più bella di quanto mi ricordassi.
Amelia non riuscì subito a rispondere.
«…Ciao.»
La voce le uscì strozzata e indecisa. Alessandro le fece un sorriso che ebbe il potere di tranquillizzare lei e il suo cuore in pochi istanti; fu come riprendere a respirare dopo minuti di apnea totale.
«Come stai?»
La domanda, se in altri casi sarebbe potuta sembrare di circostanza, sembrava carica di qualcosa che la giovane non riusciva a identificare appieno.
Si schiarì la gola prima di rispondere, un gesto fatto apposta per prendere tempo e sapeva che lui se n’era accorto.
«Emh, bene. Grazie.» tacque, indecisa su cosa dire «Tu?»
Che diavolo ci fa qui? Perché ha sempre la straordinaria capacità di illudermi?
«Diciamo bene, sì.» la sua risposta fu altrettanto semplice e Amelia non rispose, non sapendo cosa aggiungere.
Dio santo, dì qualcosa. Non stare qui fermo immobile a fissarmi, mi viene solo voglia di baciarti, cazzo.
Non sapeva se questi pensieri trasparissero dalla sua espressione, sperò di no, ma l’altro era sempre stato bravo a leggerle dentro.
«Io…»
Alessandro iniziò a parlare proprio nel momento in cui il cellulare di Amelia iniziò a squillare all’impazzata, facendo sobbalzare entrambi e impedendo qualsiasi tentativo di discorso.
«Scusa.» bofonchiò la mora, per poi frugare dentro la sua borsa per cercare il telefono; quando finalmente lo trovò e vide il nome sullo schermo dovette fare appello a tutta la sua forza per non mettere giù.
Ottimo tempismo, mamma.
«Pronto?»
«Tesoro, tutto bene? Ho letto il tuo biglietto prima, volevo sapere se va tutto bene.»
«Sì, va tutto alla perfezione.» si impegnò parecchio per non far trasparire del sarcasmo nelle sue parole, ma non dovette riuscirci appieno perché notò con la coda dell’occhio Alessandro che finiva per trattenere male un sorriso.
«Bene, tesoro, comunque ti volevo dire che proprio poco fa mi ha avvisato Margherita che sta arrivando anche Alessandro, quindi cerca di non tardare a tornare a casa, così ci sei anche tu per salutarlo.»
Amelia proprio non riuscì a trattenere l’espressione sardonica.
«Ma no, davvero, sta arrivando anche lui?» fece ironica. La madre ignorò il suo tono.
«Non tardare, ok?»
Amelia fece appena in tempo a dire di sì prima che la madre la salutasse frettolosamente per chiuderle il telefono.
Cinque minuti. Cinque minuti prima e mi sarei preparata psicologicamente a tutto questo, o almeno avrei avuto il tempo per fuggire in un posto molto lontano.
Osservò Alessandro, che aveva chiaramente sentito tutta la conversazione ma che aveva avuto la decenza di tacere, e rimase in silenzio. Il moro le sorrise.
«Sorpresa?» fece, con tono incerto.
«Che diavolo sei venuto a fare?»
Non poté trattenere quella domanda sgarbata e carica di confusione – perché, per quanto lo volesse lì, non aveva il minimo senso che ci fosse, a patto che non volesse farsi qualche giorno di mare a scrocco.
«Io…»
«Tu un cazzo.» lo frenò bruscamente la ragazza «Una chiamata per avvertirmi? O hai perso il mio numero?» continuò sarcastica «Non mi sembra proprio il caso che tu sia qui, sinceramente, quindi ti chiederei di andartene se sei qui soltanto per divertiti alle mie spalle.»
Dire quelle parole le costò più di quanto volesse ammettere e da un lato si chiese perché le avesse pronunciate – insomma, fino a poche ore prima stava desiderando come una disperata che arrivasse lì, e ora lo cacciava via in quel modo?
Ma la verità era che averlo di fronte a sé dopo aver bruciato qualsiasi speranza tra di loro era soltanto orribile e straziante.
Alessandro sospirò per poi fare un mezzo sorriso – era sempre così dannatamente bello.
«In qualche modo, sapevo che avresti reagito in questo modo. Corrermi incontro non sarebbe stato nel tuo stile.»
«Perché, avresti voluto che lo facessi?» rispose piccata e subito le braccia corsero al petto, in un tentativo blando di proteggersi e proteggere il proprio cuore.
«No.» fu la risposta netta – e parecchio dolorosa, dovette aggiungere «Ma solo perché non è nel tuo stile, e io preferisco quando tu sei te stessa.» rispose in modo semplice.
Amelia sentì distintamente il proprio cuore accelerare i battiti e fece un profondo respiro nel tentativo di calmarsi.
«Senti…»
«No, senti tu.» la interruppe Alessandro. I suoi occhi si erano fatti improvvisamente seri.
«Quando i tuoi hanno esteso l’invito anche a me, ho rifiutato subito perché non avevo la minima idea che ci fossi anche tu – ero convinto che fossi in vacanza con i tuoi amici, o qualcosa del genere, non chiedermi il perché. Poi i miei mi hanno detto che invece c’eri, e a quel punto sono entrato in crisi.» si fermò per prendere un respiro profondo e poi continuò.
«Morivo dalla voglia di vederti, di parlarti. So cosa ci siamo detti l’ultima volta, ma in questi mesi mi sono reso conto che non riuscivo a toglierti dalla mia testa, che l’unica cosa che volevo fare era baciarti ancora e mandare a fanculo tutto. Mi sono trattenuto nonostante il giorno dopo in cui abbiamo chiuso volessi baciarti di fronte a tutti e fregarmene, perché sapevo che sarebbe stato un grosso problema per te. Poi, ho creduto che il tempo avrebbe fatto passare tutto questo, che ti avrei dimenticata – perché tu continui a essere molto più piccola di me, i miei genitori e i tuoi mi ucciderebbero per questo, ma sinceramente mi va bene prendermi i loro insulti se anche tu vuoi ancora stare ancora con me. Se hai cambiato idea, io prendo la macchina e me ne vado, non mi sentirai né vedrai mai più e tutto questo diventerà un imbarazzante ricordo da raccontare alle tue amiche.» si interruppe e la guardò in un modo così intenso che Amelia si sentì davvero mancare.
«Però, se provi gli stessi sentimenti di prima…» sembrò perdere le parole, ma fu solo un attimo «Se è così, vorrei un’altra possibilità per noi.»
Sembrò che il tempo si fermasse.
Che il mondo tacesse all’improvviso.
Che tutto finisse e riprendesse in quell’istante, in quel secondo in cui il masso che aveva avuto dentro di sé per tutto quel tempo improvvisamente sparisse in una nuvola di vapore.
Puff, sparito.
Lo guardò e soltanto quando notò i suoi contorni offuscarsi si rese conto che aveva gli occhi velati di lacrime.
«Amelia…?»
«Ti amo.»
Fu così diretta e chiara che Alessandro non ebbe il minimo dubbio. E il bacio che ne seguì fu, forse l’istante migliore di tutta la loro vita.
 
 
«Mi uccideranno.»
«Ci uccideranno. Ci sono anche io, sai.»
«Ma tu sei la ragazzina traviata e io l’adulto ammaliatore, puniranno me!»
Lo schiocco secco dello scappellotto anticipò un “ahi” molto poco virile e Amelia lanciò un’occhiataccia ad Alessandro.
«Ragazzina? Ho diciannove anni, ho l’età sufficiente per votare e non per scegliere consapevolmente il mio ragazzo?»
L’uomo fece una smorfia.
«Beh, in ogni caso sono io il più grande, so che se la prenderanno con me.» tagliò corto.
Amelia sospirò e non rispose. Sapeva che in parte era vero, anche se sua madre non le avrebbe lasciato passare la cosa così facilmente – ma, in ogni caso, sarebbe stato Alessandro a beccarne di più.
Le sfuggì una risatina.
«Che ridi?»
«Confermo. Ti ammazzeranno.» dichiarò. Poi scoppiò a ridere e vide Alessandro assumere un’espressione disperata.
Erano nel grande giardino all’entrata della casa, i loro genitori erano sul retro e la ragazza già sentiva il buon profumo di carne grigliata che il padre preparava. Sentiva il vociare degli adulti e l’ansia le montò addosso ancora più di prima.
Avevano deciso di dirglielo, perché continuare a nascondere tutto sarebbe stato solo peggio – inoltre, prima lo sapevano prima lo avrebbero accettato.
Non erano propriamente d’accordo sulle modalità: secondo Amelia avrebbero dovuto omettere completamente la parte in cui tra di loro vi era stata una relazione illegale, secondo Alessandro sarebbe stato meglio essere completamente sinceri.
Ovviamente, alla fine aveva vinto Amelia anche se l’altro continuava ad avere delle riserve.
In quella luce aranciate del tramonto, la ragazza finì per osservarlo con attenzione mentre il moro era perso a scrutare qualcosa in lontananza.
Il suo profilo era perfetto. Non le sembrava vero che fosse di nuovo al suo fianco, le sembrava di vivere in un sogno e, se fosse stato quello il caso, avrebbe tanto voluto dormire per l’eternità. Quella giornata era stata magica e ancora non le sembrava vero – avevano passato tutto il tempo insieme in spiaggia e, per fortuna, nessuno dei loro genitori aveva commentato la cosa in qualche maniera.
Vorrei che tutti i giorni fossero così.
«Mi fissi?»
Alessandro aveva notato il suo sguardo insistente e ora la guardava con un sorrisino divertito che la fece arrossire – si ricordò all’improvviso di quando, a scuola, quel suo sguardo la faceva tremare da capo a piedi.
«Recupero il tempo perduto.» rispose ironica. L’altro scoppiò a ridere.
«E ne abbiamo tanto da recuperare. Tante notti, soprattutto.»
L’insinuazione fece arrossire Amelia, ma non ci fu altro tempo per dire nulla dato che Serena sbucò all’improvviso.
«Oh, siete qui! Venite, è pronto a tavola!»
I due si alzarono mentre la donna tornava nel retro. Si fissarono.
«Glielo diciamo subito?» chiese Amelia.
«Ma no, aspettiamo dopo cena. Così almeno li facciamo mangiare in pace.»
«Però, via il dente via il dolore, no?»
«Sì, beh…»
«Dai.»
Il moro sospirò ed entrò dentro seguendo la ragazza.
Arrivati nel retro del giardino il profumo della carne si fece ancora più forte; la tavola era già imbandita, i bicchieri già pieni e i genitori forse un po’ brilli.
«Ma solo a me sembra…?» Amelia non finì la frase, notando la madre ridere leggermente più forte del solito.
«Sì.» rispose con una finta aria esasperata l’altro.
La mora poi gli diede una gomitata.
«È l’occasione perfetta! Sono un po’ brilli, è questo il momento giusto!»
«Cosa?»
«Sì, dai! Avanti!»
«Amelia, aspetta…»
Non ci fu tempo, proprio per nulla, perché Amelia si schiarì la voce e, praticamente, iniziò ad urlare.
«Mamma, papà, Michele e Margherita! Vorrei dire una cosa!»
Lo strillò ebbe subito il potere di far tacere tutti. Il silenzio improvviso fu alquanto strano, soprattutto perché tutti si voltarono contemporaneamente.
«Amelia! Ti sembra il modo di urlare?» subito Serena la rimproverò.
«Scusa, mamma, ma Alessandro voleva dire qualcosa.»
Sentì chiaramente l’occhiata di fuoco che l’altro le lanciò, ma decise di ignorarle e si voltò verso di lui con un sorriso dolce.
«Prego, Ale.» fece con un tono zuccheroso.
«Emh…»
A quel punto tutti gli sguardi si posarono su di lui.
«È successo qualcosa, ragazzi?» chiese Margherita con un tono perplesso.
Amelia tacque e fissò ancora l’uomo.
Dai, parla.
Alessandro fece un profondo sospiro.
«Beh, a dire il vero c’è una cosa importante su cui dovreste essere informati…» si zittì, come se improvvisamente avesse avuto un’idea geniale. E a quel punto fu il suo turno sorridere con perfidia – lo stesso sorriso che usava avere quando le metteva una nota sul registro. Non presagiva nulla di buono.
«Direi che così sarà più chiaro a tutti.»
A quel punto, nessuno ebbe il tempo di fare qualcosa, men che meno Amelia: fu afferrata per la vita con delicatezza e tirata dal moro verso di lui. Vide soltanto il suo volto avvicinarsi e fu spontaneo chiudere gli occhi e attendere il bacio.
E si baciarono. Di fronte ai loro genitori.
«Cosa?!»
Ci fu un tonfo, qualcosa cadde o forse qualcuno svenne, ma Amelia continuò a godere di quelle labbra soffici.
Beh, almeno ora lo sanno.
  
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