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Autore: Crudelia 2_0    15/03/2020    5 recensioni
«Ginny» iniziò tormentandosi le mani e senza avere il coraggio di guardare l’amica «non metterò quell’abito, è troppo piccolo».
«Ma che dici, Hermione? Abbiamo la stessa taglia» Ginny la guardava con le sopracciglia corrugate, uno strano presentimento aveva iniziato a farsi strada nella sua mente.
«C’è un motivo se ho scelto di non frequentare Hogwarts il prossimo anno e dare soltanto gli esami».
«Lo so. Non mi hai ancora voluto dire di cosa si tratta, ma so che c’è un motivo» sussurrò Ginny. All’improvviso sostenere quella conversazione ad alta voce era diventato troppo difficile.
«A villa Malfoy, dopo che Bellatrix aveva finito con me, mi ha dato in mano a Greyback » disse Hermione con tono incolore.
«Sì» rispose Ginny con la bocca asciutta. Incrociò lo sguardo dell’amica e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non aveva finito, ma già aveva capito.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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Note: ecco il nuovo capitolo! È piuttosto importante, in realtà, quindi se notate errori o, al contrario, vi è piaciuto fatemelo sapere e io sarò felice.
Ancora una cosa: visto il periodo che tutti stiamo vivendo mi impegnerò affinché possa esserci un altro capitolo pronto per metà settimana (e vi avverto, sarà il mio preferito finora!). Quindi, visto che io sarò buona con voi, voi siatelo con me (perché in fondo, gente, non possiamo uscire di casa: che vi costa lasciarmi una recensione?Sconfigge la noia!)
Detto questo, un abbraccio
Crudelia
 
 
 
 
 
 
Reazioni e...
 
 
 
 
«È già andato via?» chiese Kathleen affacciandosi al salotto.
«Uhm» Hermione scosse la testa, sbattendo le palpebre. Era rimasta a guardare il punto in cui era scomparso per una decina di secondi buoni, prima che la figlia la riscuotesse. «Sì, è già andato via» bisbigliò chiudendo la porta. Com'era possibile che ad ogni loro incontro la lasciava con più domande di quante ne avesse in precedenza?
Era la quintessenza dell'ermetismo, quell'uomo.
«Come ti senti?» chiese a Kathleen, che ne frattempo era tornata alla sua occupazione precedente.
«Bene» rispose la bambina prendendo la matita arancione. «Ma puzzava davvero tantissimo. Era come...» alzò gli occhi al soffitto cercando la parola giusta. Fu una pausa piuttosto lunga, durante la quale Hermione si accomodò in poltrona con un libro fra le mani. Evidentemente la volta chiara non era in grado di offrire un termine adeguato. «Un broccolo marcio!» disse infine, soddisfatta.
«Un broccolo marcio?» Non sapeva come le fosse venuto in mente un paragone simile, sicuramente Hermione non lasciava marcire la verdura in casa.
«Puzzava» rispose la bambina, annuendo e guardandola con gli occhioni neri sgranati.
«Ma tu li mangi, i broccoli» disse Hermione, cercando di comprendere.
Kathleen si strinse nelle spalle: per lei era chiaro. C'erano volte in cui diceva ad Hermione che non poteva capire perché era grande, quella era probabilmente una di quelle volte.
«Comunque, cambio di programma questa sera» cambiò discorso. «Dormi con me»
Kathleen scattò in piedi con un salto. «Davvero?» gridò.
Hermione annuì, sorridendole.
«Evvai!» saltò la bambina. «Hai sentito, Scuro? Si dorme nel lettone di mamma stasera» disse al cane peluche facendolo volare e riprendendolo tra le mani.
 
 
 
Kathleen aveva un mucchio di cose preferite, pensava mentre si avvicinava al petto di sua madre per farsi abbracciare sotto le coperte. C'era Scuro: il suo peluche preferito, il viola: il suo colore preferito, i pancakes come colazione della domenica e la storia prima della nanna. Quello era il suo momento della giornata preferito: la mamma non la lasciava finché non si addormentava, ma spesso Kathleen non riusciva ad ascoltare la storia fino alla fine.
Comunque tra le sue cose preferite c'erano anche delle persone. Teddy, ad esempio, che era suo amico. Però in quel caso si diceva migliore amico, non preferito, anche se non sapeva il perché. In fondo, Teddy era l'amico che lei preferiva, non il migliore. Infatti non le regalava mai la merenda come Phil faceva con Violet all'asilo.
Avrebbe potuto chiedere alla mamma perché si diceva migliore amico e non preferito, ma immaginava che le avrebbe fatto un discorso sull'uso delle parole che non l'avrebbe soddisfatta. La mamma però era l'unica che sapeva tutto, solo una persona sembrava sapere più cose (ma ancora non ne era sicura. Avrebbe dovuto controllare, perché la sua mamma sapeva davvero tante, tante cose). Avrebbe dovuto chiedere al professore, pensò sentendo il caldo avvolgerla. Al professore vestito di scuro, che era andato a trovarle quella sera, che le aveva dato la pozione che puzzava di broccolo e che si era dimenticata come si chiamava.
 
 
 
Hermione fu svegliata da qualcosa che tremava. Un terremoto, pensò. Ma poi si accorse che a tremare non era il letto, ma qualcosa nel letto.
La seconda cosa che realizzò - troppo poco per essere un pensiero, troppo per essere una sensazione - fu il caldo. Qualcosa davanti a lei stava andando a fuoco.
Aprì gli occhi e il suo cervello ci mise un attimo a far convergere i suoi pensieri con l'immagine che li confermava e smentiva tutti.
È Kathleen.
È Kathleen. Sta tremando. È bollente.
Kathleen sta tremando ed è bollente.
«Oh Dio» forse lo pensò, forse lo disse, scattando in ginocchio sul letto e scostando con un solo gesto il lenzuolo e la coperta sottile. Toccò la fronte della bambina e ritrasse le dita come scottata.
Si sporse ad accendere la lampada sul comodino e le si bloccò il respiro. Kathleen stava in una pozza di sudore: i capelli appiccicati alla fronte e le guance rosse. Tremava talmente tanto da sembrare scossa dalle convulsioni.
«Kathleen» la scosse leggermente, cercando di svegliarla. «Kathleen, amore, svegliati»
Dio, le tremavano le mani.
«Kathleen!» e la voce.
No, no, no! Doveva mantenere la calma.
Doveva abbassare la temperatura, per prima cosa. Subito.
Si alzò e corse in cucina. Svoltò l'angolo troppo in fretta, scivolò e colpì la porta con la spalla e con il fianco. Non se ne curò. Mise una ciotola a riempirsi sotto l'acqua fredda e nel frattempo prese dei cubetti di ghiaccio.
Quando tornò in camera, non più di un minuto dopo, le sembrò di aver perso ore.
Bagnò la fronte della bambina, parlandole piano come a confortarla.
Cambiò l'acqua due volte quando si ricordò di avere una bacchetta, che l'acqua avrebbe potuto appellarla, ma, soprattutto, che quella reazione non era normale.
Non a giugno, non se fino a qualche ora prima stava bene.
Reazione. Reazione, reazione, reazione...
Non si può mai sapere in fase di sperimentazione.
«Oh.»
 
 
 
Non ci aveva riflettuto molto prima di impugnare la bacchetta e materializzarsi. Che poi fosse sconsigliato farlo con una bambina così piccola e che fosse un'ora imprecisata tra le due e le quattro di notte non è che le importasse più di tanto.
Aprì il portone con un Alohomora così potente che rischiò di scardinarlo, ma non si fermò finché non arrivò davanti alla sua porta. Premette il campanello e non lo lasciò finché non la vide aprirsi.
Kathleen, tra le sue braccia, non aveva smesso di tremare. Come se non bastasse, aveva iniziato a farfugliare frasi e parole che Hermione non riusciva ad afferrare.
«Faccia qualcosa» disse appena incontrò i suoi occhi. Una supplica, ma, ancora, cosa le importava?
Piton aprì di più la porta e tese le braccia.
«No» ringhiò Hermione, stringendosi la bambina al petto.
L'uomo strinse le labbra, ma non commentò. «Nel mio letto» disse soltanto, scostandosi quanto bastava.
Hermione superò esitante il laboratorio, poi si infilo nella stanza dalla quale si intravedeva un letto. Le coperte erano spostate da un lato, segno che l'uomo stava dormendo fino a poco prima. Con premura, coricò la bambina al centro del materasso. Per un attimo l'immagine della donna che le aveva aperto la porta la prima volta le balenò nella mente, e si chiese cosa facesse Piton nel letto in cui aveva appena posato sua figlia.
Scosse la testa per scacciare il pensiero e si concentro sul togliere i capelli dalla faccia di Kathleen. La treccia in cui li aveva legati prima che andassero a dormire si era già tutta scomposta, come al solito.
«Spostati, Granger» una mano ferma sulla sua spalla la costrinse ad allontanarsi. «E apri la finestra»
Come se avesse sempre saputo dove trovarla, Hermione si diresse verso la finestra. La spalancò e tornò in fretta vicino alla figlia Piton le stava picchiettando leggero sulla fronte con la bacchetta.
«Bisogna abbassare la temperatura» disse. Con un altro colpo di bacchetta fece comparire una ciotola e delle pezze. Lui, evidentemente, di avere una bacchetta non se n'era dimenticato.
Hermione si ritrovò un fazzoletto in mano e, come aveva fatto in precedenza, iniziò a passarlo sulla fronte e sul viso della bambina. Piton fece lo stesso con i polsi e le caviglie, poi sparì.
Tornò poco dopo, Hermione stava risciacquando il fazzoletto.
«Da quanto tempo sta così?» chiese, la voce bassa e tranquilla.
«Mezz'ora, forse di più» rispose Hermione.
«E pensavi di aspettare ancora un po' di più, Granger?»
Hermione alzò gli occhi su di lui e lo guardò per la prima volta. Fu il tono sarcastico a scuoterla, o forse il fatto che Piton la stesse rimproverando pur non avendo idea del panico che provava una madre. Sentì una vampata di rabbia avvolgerla e subito dopo si sentì, finalmente, sveglia. Ma soprattutto, libera dal terrore che da quando si era svegliata si era ancorato al suo stomaco rendendole difficile anche respirare.
Piton, in ogni caso, era tornato a chinarsi sulla bambina.
«Non basta» sussurrò, parlando a se stesso.
 
«Granger?» cercò i suoi occhi, ma la donna li aveva tutti rivolti alla figlia.
«Hermione?» riprovò. E funzionò.
«Sì?» chiese lei, suonava e sembrava stanca. E giovane.
«Bisogna spogliarla. Non può stare così»
Hermione strinse le labbra, ma annuì dopo un secondo di esitazione. Lui aspettò, le mani congiunte tra loro: non si sarebbe mai permesso di toccare la bambina.
Hermione tolse prima i pantaloni, quando fu il turno della maglia alzò gli occhi verso i suoi.
«Mi aiuti»
Severus si sedette al bordo del letto, sull'altro lato della donna. «Come?»
«La sostenga» disse semplicemente. Prese la figlia sotto le ascelle e spinse in posizione seduta, appoggiandola contro l'uomo. Severus sentì il suo peso contro il braccio. La sostenne con l'altro mentre Hermione iniziava a sfilarle un braccio. Si perse ad osservare i movimenti della donna: ogni gesto faceva trasparire amore e attenzione verso quella bambina, quel fagotto che appoggiato al suo braccio sembrava ancora più caldo, più piccolo, più fragile. Sentiva il suo profumo di bambina raggiungerlo, i suoi tremori vibrargli fino alla cassa toracica.
«Mamma» biascicò la bambina quando Hermione le sfilò la maglietta dalla testa.
«Sono qui, amore» sussurrò in risposta. Severus ammirò come il tono rimase tranquillo e rassicurante, ma non fu quello a fargli mancare un battito. L'aveva riconosciuto. Il modo, le parole, una donna si era rivolta a lui con la stessa attenzione e le stesse parole così tanti anni prima da essere doloroso ricordarlo.
Hermione piegò il pigiama, ma l'uomo non osò muoversi. Quando le mani della donna allontanarono Kathleen dal suo braccio incontrò i suoi occhi, un muto ringraziamento nello sguardo. Annuì, alzandosi, sentendo freddo dove fino a un attimo prima il corpo della bambina l'aveva scaldato e ricordandosi solo in quel momento di non essersi ancora rivestito del tutto.
Lo attraversò fugacemente il pensiero di dover ringraziare una qualsiasi entità perché la bambina non si era appoggiata al suo braccio sinistro.
Si schiarì la voce, chinandosi per prendere la boccetta che aveva recuperato poco prima. Per dargliela, comunque, fu costretto a sedersi nuovamente.
«Kathleen» la chiamò, mentre con una mano sorreggeva la sua nuca, così piccola.
«Kathleen» ripeté, e questa volta vide le sue iridi scure lampeggiare sotto le palpebre.
«Mamma» disse ancora una volta la bambina.
«No, non proprio» disse. «Sono il professor Piton. Bevi questo, Kathleen»
La bambina aveva gli occhi pesanti, la stava già perdendo. «Kathleen» la chiamò ancora una volta. «Bevi questo» le avvicinò la boccetta alla bocca, sfruttando il lampo che le vide negli occhi.
Lei capì, si sforzò.
«Brava, così. Bevi» sussurrò, e continuò finché non fu vuota. «Brava, Kathleen. Sei stata brava» le ripeté, lasciandole andare lentamente la testa. Ma lei non se n'era accorta: stava già dormendo.
 
Hermione aveva trattenuto il fiato. Pensava che, respirando, avrebbe rotto l'incantesimo.
Perché lo era, un incantesimo.
Piton aveva tranquillizzato la figlia, l'aveva svegliata, l'aveva fatta bere. L'aveva curata.
E tutto con un'attenzione che lei non gli aveva creduto possibile. Sembrava si fosse dimenticato di lei in quei momenti, del tutto assorto dal suo lavoro. Ma poi l'aveva visto drizzarsi e alzarsi. Era andato a chiudere la finestra e lei non era stata in grado di distogliere gli occhi, rimproverandosi perché lo stava fissando sfacciata.
«Vieni, Hermione» la chiamò quando fu davanti alla porta. Un chiaro invito, ma lei non voleva accettare. Posò gli occhi su Kathleen e finalmente la vide tranquilla. Niente scosse, niente caldo innaturale. Solo la sua bambina.
«Dormirà fino a domani, non si sveglierà» spiegò.
Hermione esitò ancora un momento, poi si alzò. Posò un bacio sulla fronte di Kathleen, ringraziando di sentirla soltanto tiepida, e seguì l'uomo, che chiuse silenziosamente la porta alle sue spalle.
Si fece guidare in salotto, ancora un po' scossa. Le malattie di Kathleen erano all'ordine del giorno, ma mai l'aveva vista così. La luce soffusa di una lampada che illuminava l'ambiente la fece sentire meglio, infondendole un'aria di familiarità e sicurezza.
Si passò la mano tra i capelli, ancora scompigliati dal sonno e si accorse di com'era vestita: era partita così in fretta da non prendere nemmeno la vestaglia e le scarpe. Sarebbe arrostita, ma la voce dell'uomo non gliene diede il tempo.
«Tieni» disse semplicemente. Hermione alzò lo sguardo e lo vide porgerle un bicchiere pieno per metà di una sostanza trasparente che subito reputò alcolica.
«Grazie, ma non...» la frase le morì in bocca. Stava osservando il bicchiere teso nella sua direzione quando la sua attenzione era stata catturata da ciò che era impresso sulla pelle dell'uomo. Pensava che il Marchio Nero fosse sparito con la sconfitta di Voldemort, invece eccolo lì: leggermente sbiadito, ma con i contorni di un nero quasi violaceo, come una ferita infetta, rigettata.
Deglutì. «Non bevo» sussurrò.
Piton si strinse nelle spalle, allungandosi per posare il bicchiere sul basso tavolino e offrendole così ancora una volta la vista del suo corpo.
Come lei, era scalzo, ma non fu questo a sconvolgerla. Era particolarmente informale, come un babbano appena uscito dalla palestra. I pantaloni neri, larghi, lo coprivano fino alle ginocchia e insieme  alla maglia a maniche corte, aderente, lasciavano scoperti la pelle pallida e i muscoli sodi, longilinei. Percorse con gli occhi l'addome piatto, le spalle larghe, il collo sfregiato da segni biancastri e, infine, incontrò i suoi occhi.
Piton alzò in sopracciglio ed Hermione si sentì avvampare. Si era accorto del suo esame e aveva aspettato che lo concludesse. Lo vide prendere un sorso dal bicchiere con quello sguardo beffardo che le fece asciugare la bocca.
Per stemprare la tensione Hermione si avvicinò al tavolo e prese il bicchiere che prima le era stato offerto. «Ho cambiato idea» farfugliò prima di ingollare un sorso.
Pessima, pessima idea. Il liquore le bruciò la gola e l'esofago, fino allo stomaco, facendole sentire a fuoco non solo le guance, ma tutta se stessa.
Si schiarì la gola per evitare di tossire come una ragazzetta scoperta a fumare la sua prima sigaretta, ma dall'angolo della bocca di Piton che vide curvarsi verso l'alto immaginò di non esserci riuscita. Ma poi, dannazione, possibile che ogni gesto di quell'uomo dovesse essere sempre lento, elegante, quasi lascivo?
Era sua la colpa, benedetto Godric.
Ma per quanto ne dicesse i suoi occhi continuavano imperterriti a tornare sulla figura dell'uomo, mollemente appoggiato allo schienale del divano e intento a guardarla. Pareva godersela un mondo, a vederla a disagio.
Hermione prese un altro sorso, senza rischiare di strozzarsi, questa volta, e decise di ricambiare lo sguardo. Quello che sentiva nello stomaco non era solo il caldo del liquore, ma un tepore gentile, accogliente che sembrava avesse tutte le sfumature della gratitudine. Di nuovo.
E sentiva quella parola, quel grazie, in fondo alla gola come un boccone troppo grosso da ingoiare, ma impossibile da sputare fuori.
Prese un ultimo sorso, posò il bicchiere, si fece coraggio e parlò. «È strano vederla vestito in questo modo.» Decisamente, non era quello che voleva dire. Diede la colpa all'alcool, al poco sonno.
Piton sbuffò una risata. «Da quando ho il piacere di dormire senza il timore di essere chiamato dall'Oscuro Signore ho scoperto il piacere di dormire... comodo» disse l'ultima parola in un sussurro, appoggiando le labbra al bordo del bicchiere e fissandola negli occhi con un lampo di malizia. Ad Hermione sembrò che quel comodo volesse essere un sinonimo di nudo, e lo stomaco affondò in una parte imprecisata del pavimento sotto i suoi piedi. Quando lo vide avvicinarsi, poi, il cuore iniziò a battere impazzito.
Piton, tuttavia, si fermò distante da lei e posò il suo bicchiere, vuoto.
Hermione si schiarì un'altra volta la gola, chiedendosi perché lei fosse in fiamme mentre l'uomo sembrava pienamente padrone di sé e della situazione.
«Volevo...»
«È tardi, Hermione. Torna da tua figlia» le disse.
Hermione annuì, senza discutere. Era tornato ad essere il professore, sebbene il tono secco cozzava con la delicatezza con cui aveva pronunciato il suo nome.
«Buonanotte, professore» si congedò con un sorriso appena accennato.
Piton annuì. «Buonanotte.» Ed Hermione immaginò il suo nome scivolargli ancora una volta dalla bocca.
   
 
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