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Autore: LazySoul    16/03/2020    0 recensioni
[Terzo libro della serie "Mai scommettere col nemico", si consiglia la lettura dei due libri precedenti]
Trama:
Hermione Granger è tornata a scuola.
Il mondo magico non è più lo stesso dopo l'ultima guerra, quella contro Voldemort, che ha portato morte e sofferenza nei cuori di molti studenti di Hogwarts.
Hermione però non è sola, ha i suoi amici, oltre a Draco Malfoy, il ragazzo di cui è innamorata.
Non è facile però tornare alla solita e tranquilla routine scolastica.
Non lo è per Hermione, ma non lo è soprattutto per Pansy Parkinson, che sembra essersi allontanata molto dai suoi amici Serpeverde dopo lo scontro della settimana precedente, impedendo a chiunque di avvicinarsi più del dovuto.
Per non parlare di Luna e Blaise, ora una coppia a tutti gli effetti, sempre pronti a condividere la loro saggezza dando preziosi consigli a Daphne Greengrass e Padma Patil, che sembrano continuare a rincorrersi senza mai trovarsi.
Saranno vere le voci che girano? Bellatrix Lestrange vuole davvero vendicare la morte di Voldemort o sono solo pettegolezzi privi di fondamento?
Buona lettura ;)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Il Secondo Trio (Neville, Ginny, Luna), Il trio protagonista, Padma Patil, Serpeverde | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mai Scommettere col Nemico'
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2. Revelation



·≈· HERMIONE'S POV·≈·

 

«Parkinson!», esclamai, cercando di attirare l'attenzione della ragazza.

La Serpeverde era appoggiata ad una colonna del cortile interno, stretta nel mantello scuro, gli occhi che scrutavano l'orizzonte, pensierosi. La sigaretta che stringeva tra le dita era quasi interamente consumata e lo smalto color malva era smangiato in più punti.

«Parkinson?», la chiamai nuovamente, in attesa di avere una reazione di qualsiasi tipo da parte sua.

La ragazza lasciò cadere a terra la sigaretta, pestandola con la punta della scarpa; mi dovetti mordere con forza il labbro inferiore per non riprenderla.

«Non dovresti...», iniziai, non riuscendo a trattenere la Caposcuola che era in me.

«Cosa vuoi, Granger?»

Il suo tono di voce era vuoto, privo di inflessioni. Non c'era rabbia, dolore, disprezzo o tristezza. Solo apatia.

«Volevo...», cominciai, ma ancora una volta venni interrotta dalla Parkinson.

«Volevi aggiungermi all'elenco di casi umani che ti senti in dovere di salvare?», chiese la Serpeverde, dedicandomi una smorfia di disprezzo, prima di tornare all'indifferenza precedente: «Tornatene nella favola a lieto fine da cui sei venuta e lasciami vivere in pace».

Aprii bocca, poi la richiusi; ero certa che una risposta arguta non sarebbe servita a migliorarle l'umore.

Mi trattenni dal raccogliere da terra la sigaretta, decidendo che l'avrei fatto appena lei se ne fosse andata e sollevai lo sguardo, scrutando a mia volta la pioggia sottile e i nuvoloni scuri che ingrigivano il cielo.

«Non ti arrendi mai, Granger?»

«No».

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, lasciandoci cullare dal cadenzato ticchettio della pioggia. 

La Parkinson aveva un aspetto orribile. Profonde occhiaie a circondarle gli occhi arrossati per il pianto e il poco sonno, il volto più scarno e affilato a causa del suo digiuno, i capelli sfibrati e poco curati.

«Lo so che...», iniziai, ma venni interrotta dalla sua voce: «No, Granger, non lo sai».

Cadde di nuovo il silenzio, poi la Parkinson prese un profondo respiro e si voltò verso di me: «Non hai idea di come ci si senta», iniziò, i lineamenti distorti da una sofferenza che faticavo a comprendere: «Non ho bisogno della tua compassione».

Prima che me ne potessi rendere conto la Serpeverde si era già voltata e stava percorrendo con passo spedito il corridoio. Feci un passo in avanti, intenzionata a seguirla, poi mi bloccai.

Strinsi forte le mani a pugno e mi costrinsi a non inseguirla.

La Parkinson aveva ragione. Non sapevo come si sentiva. Potevo immaginarlo, provando a mettermi nei suoi panni, ma non avrei mai potuto comprenderla totalmente.

Feci evanescere la sigaretta a terra, poi tornai a scrutare la pioggia alla mia sinistra.

Sospirai, osservando il mio respiro condensarsi in una nuvola, per poi disperdersi nella nebbia.

«Hai fame?», chiese una voce alle mie spalle, facendomi sorridere tristemente.

«Andiamo insieme a pranzo?», ribattei, incontrando gli occhi verdi di Harry.

«Come ai vecchi tempi», disse Ronald gettandomi un braccio intorno alle spalle e sorridendomi con affetto.

Circondata dai miei amici, mi diressi verso la Sala Grande, chiacchierando con loro della nuova professoressa di Pozioni e ascoltandoli discutere del tempo e degli allenamenti di Quidditch imminenti.

Per una frazione di secondo sembrò che la guerra e la sofferenza non avessero mai disturbato il sereno vivere di Hogwarts e tutti e tre ci ritrovammo a sorridere, felici.

Poi calò il silenzio tra di noi, ognuno perso nei propri pensieri, nella propria sofferenza.

Ronald aveva perso suo fratello, Harry aveva perso Sirius (*).

Avevamo perso Albus Silente, Lavanda Brown, Remus Lupin, Ninfadora Tonks, Theodore Nott...

Il male era stato sconfitto e il Signore Oscuro era soltanto un brutto ricordo, ma il prezzo che avevamo dovuto pagare per la pace era stato altissimo.

«Ho una fame da lupi!», esclamò Ron, massaggiandosi lo stomaco con aria assorta.

Bastò così poco per riportare un po' di serenità tra di noi.

«Sei sempre il solito», borbottai, mentre Harry rideva di gusto.

Una volta arrivati in Sala Grande raggiungemmo la nostra tavolata.

«Oh, c'è il polpettone!», esultò Ronald, sedendosi accanto a Neville Paciock, mentre Harry si sedeva vicino a Ginny. 

Prima di sedermi a mia volta spostai lo sguardo verso la tavolata verde-argento, dove trovai subito gli occhi chiari di Malfoy scrutarmi da lontano. Gli feci un cenno con il capo e lui rispose con un sorriso e un occhiolino.

Rincuorata da quel semplice scambio mi accomodai accanto a Ginny e mi servii una generosa porzione di patate arrosto.

L'atmosfera in Sala Grande era meno tetra rispetto ai giorni precedenti. Cominciava a respirarsi l'aria spensierata tipica delle settimane che precedevano il Natale. Poche decorazioni erano già state allestite e un manto di neve candida aveva spolverato di bianco il parco durante la notte, facendo sospirare di felicità alcun studenti.
Dean Thomas chiuse di scatto la "Gazzetta del Profeta", scuotendo il capo con aria cupa: «Ancora non ci sono tracce di Lestrange», disse, facendo calare un silenzio teso.

E addio all'aria spensierata che avevo respirato fino a pochi secondi prima.

«Possibile che gli Auror non riescano a fare niente? Mi sembra incredibile che ancora non abbiano idea di dove si possa essere nascosta», commentò Seamus, con tono petulante.

«Di sicuro stanno facendo il possibile!», s'intromise Calì, guardando con aria di sfida l'irlandese.

«La guerra è finita da poco», commentò Harry, attirando l'attenzione di tutti: «Bellatrix e Mulciber verranno catturati, è solo questione di tempo».

La sua sicurezza allietò gli animi, interrompendo la discussione.

Seamus annuì, poco convinto e introdusse un nuovo argomento di conversazione.

Osservai il profilo del mio migliore amico e notai con rammarico le rughe di preoccupazione che solcavano il suo giovane viso. 

Da quando la guerra era finita Harry Potter era diventato un punto di riferimento per l'intero mondo magico. Il "Bambino che era sopravvissuto" era riuscito a riportare la pace, uccidendo il Signore Oscuro e permettendo alle autorità di incarcerare la maggior parte dei Mangiamorte.

Kingsley Shacklebolt, il nuovo Ministro della Magia, non aveva perso tempo, riportando una parvenza di ordine nel mondo magico. Molti Mangiamorte erano stati incarcerati dopo lunghi processi, altri erano ancora in attesa di giudizio, altri ancora erano stati completamente scarcerati, come i genitori di Draco, grazie alle testimonianze che dimostravano la loro collaborazione con L'Ordine e gli Auror prima e durante la guerra finale.

Harry Potter dalla fine della guerra si era ritrovato con il peso della popolarità sulle spalle. Una popolarità ancora maggiore rispetto a quella che l'aveva sempre accompagnato fin da quando, all'età di un anno era riuscito, grazie all'amore di sua madre, a sfuggire alle grinfie del Signore Oscuro.

All'interno della scuola non correvano pettegolezzi sul suo conto, la gente semplicemente si fermava e zittiva appena lui appariva; come se fosse stato una divinità e non un semplice ragazzo su cui, come sempre, si stavano gettando sulle spalle troppe responsabilità. Anche i Serpeverde evitavano di attaccare briga come loro solito, limitando le loro battutine e dispetti al minimo indispensabile.

Harry Potter, il Bambino sopravvissuto, il Salvatore del Mondo Magico, portava sul viso i segni di una popolarità che non aveva mai cercato o bramato. Aveva rughe di preoccupazione agli angoli di occhi e bocca, occhiaie profonde e espressioni quasi sempre corrucciate.

In quanto sua amica avevo a mia volta sperimentato sulla pelle parte della sua popolarità; intuivo come si dovesse sentire e non l'avrei augurato nemmeno al mio peggior nemico.

Un ragazzo costretto a vivere la vita decisa per lui da un destino crudele; sempre sotto i riflettori, costretto a valutare ogni suo gesto così da non essere giudicato male da tutti per un semplice errore.

«Dopo abbiamo Erbologia», borbottò Ron, scuotendo la testa affranto: «Solo all'idea di attraversare il prato innevato sto male».

«Sei sempre il solito esagerato, Ronald», commentai, sollevando gli occhi al cielo: «Sono certa che se invece di lezione avessi gli allenamenti di Quidditch, non ti lamenteresti così tanto».

Le orecchie del rosso si colorarono di un rosa acceso, mentre cercava di negare: «Non è vero, mi lamenterei comunque!»

«Smettila di mentire, Ron, non ne sei capace», commentò Ginny, mentre Harry distendeva lo sguardo in quello che sembrava un sorriso accondiscendente.

«Non è giusto! Ve la prendete sempre con me», borbottò, abbassando lo sguardo sul suo piatto ancora pieno di cibo.

«Bravo, affoga i tuoi dispiacere nel cibo», rincarò la dose Ginny, allungandosi per scompigliare la chioma del fratello maggiore, il quale la fulminò con lo sguardo.

Tutti spalancarono gli occhi quando videro parte dello spezzatino che si trovava nel piatto di Ronald compiere una perfetta parabola e finire sulla divisa immacolata di Ginevra.

Un silenzio di tomba calò sulla tavolata rosso-oro.

La più piccola di casa Weasley spostò lo sguardo dalla macchia al viso del fratello.

«Sei morto», disse, afferrando con sicurezza la bacchetta e puntandola contro Ronald.

Harry si sentì in dovere di intervenire in difesa del suo migliore amico e portò le braccia intorno alla vita sottile della sua ragazza, sussurrandole qualcosa di indecifrabile all'orecchio.

Ginny abbassò l'arma e utilizzò la bacchetta per pulirsi la divisa, mentre Harry continuava a massaggiarle delicatamente le spalle e le braccia; sembrava che stesse ammansendo una bestia selvatica e non una semplice ragazza.

Ronald, stupito di averla scampata, tornò a pranzare con un ghigno vittorioso sulle labbra.

Conoscevo Ginny ed ero certa che la vendetta si sarebbe abbattuta su Ron quando meno se la sarebbe aspettata, molto probabilmente non appena Harry non si fosse trovato nei paraggi.

Con il sorriso sulle labbra mi alzai da tavola appena finii pranzo, attirando su di me gli sguardi dei miei amici.

«Vado in bagno, ci vediamo tra qualche minuto all'ingresso per andare a lezione», dissi, dirigendomi verso l'uscita della Sala Grande.

Mentre percorrevo i corridoi, diretta ai servizi più vicini, notai in lontananza una figura distesa a terra.

Preoccupata aumentai la velocità dei miei passi, così da raggiungere in pochi secondi quella che scoprii essere Pansy Parkinson.

La Serpeverde aveva il volto contratto in un'espressione di puro dolore e dalle labbra socchiuse provenivano gemiti bassi e sofferenti. Provai a svegliarla, scuotendole le spalle, ma non aprì gli occhi.

Senza pensarci due volte la sollevai grazie ad un incantesimo di levitazione e la trasportai in Infermeria, dove trovai Madama Chips intenta a riordinare i suoi scaffali di medicinali.

«L'ho trovata per terra», dissi, mentre adagiavo il corpo sul lettino più vicino: «Non so cosa le sia successo, ma sembra soffrire molto».

Madama Chips mi raggiunse in un battito di ciglia, abbandonando a metà il suo operato.

Con il suo tipico cipiglio severo visitò Pansy, mentre io rimanevo poco distante ad osservare con orrore il volto sempre più pallido di quella che, malgrado le circostanze avverse, avevo finito col considerare mia amica.

Madama Chips somministrò alla Serpeverde una pozione, il cui contenuto aveva le stesse proprietà di una flebo babbana e un antidolorifico.

«La signorina Parkionson si dovrebbe riprendere a momenti, sembra che abbia avuto un semplice svenimento, dovuto ad un calo di zuccheri, ma dovrò svolgere ancora alcune analisi prima di esserne completamente certa», disse, prima di ritirarsi nel suo studio con un paio di campioni di sangue.

Mi sedetti sulla sedia che si trovava accanto al lettino e afferrai la mano fredda della Parkinson.

Una vocina nella mia testa mi suggerì che sarei dovuta andare a lezione, che stare accanto alla Serpeverde non avrebbe giovato a nessuno, sopratutto alla mia carriera scolastica, ma l'idea di abbandonarla lì, da sola... Non ne ero semplicemente in grado.

Tirai un sospiro di sollievo quando notai il pallore delle sue guance scomparire, sostituito da un colorito più roseo e sano. 

«Lo so che non deve essere facile, Parkinson, ma non puoi lasciarti morire d'inedia», mormorai: «Perdere Nott, essere poi attaccata da Greyback... Non oso immaginare la tua sofferenza, ma tenerti tutto dentro è sbagliato, dovresti parlarne con qualcuno, sfogarti...»

«E fammi indovinare, Granger: tu ti offriresti volontaria per la causa?», chiese con tono debole, mentre socchiudeva gli occhi scuri e mi scrutava, caustica.

«Non sarebbe la prima volta, vorrei ricordarti che ti sei già confidata con me in passato», dissi, stringendo maggiormente le mie dita intorno alla sua mano: «Come ti senti?»

«Cos'è successo?», chiese, guardandosi intorno.

«Sei svenuta, ti ho trovato per caso e ti ho portato subito in infermeria. Madama Chips dice che...» mi interruppi notando l'infermiera emergere dal suo studio.

«Oh, signorina Parkinson, vedo che si è svegliata! Come si sente?», chiese la donna, avvicinandosi a noi.

«Meglio», rispose la Serpeverde, districando la sua mano dalle mie.

Non mi risentii e portai le mani al mio grembo, mordendomi le labbra per non commentare il suo comportamento infantile.

«Signorina Granger, potrebbe lasciarci sole un istante? Dovrei parlare con la signorina Parkinson in privato», disse Madama Chips, .

Non rimasi particolarmente stupita da quella richiesta e mi diressi verso l'uscita dell'infermeria. Una volta fuori però, presa dalla curiosità non potei evitare di origliare la conversazione tra Madama Chips e Pansy Parkinson.

«Signorina, il suo svenimento non è stato frutto del calo di zuccheri come pensavo inizialmente», disse l'infermiera: «Non soltanto, almeno».

«Immaginavo», disse la Serpeverde.

Ero stupita da quella conversazione. Cosa stava succedendo? Cos'aveva la Parkinson?

«Confido nel fatto che la Preside sia a conoscenza della sua situazione...»

«Sì, la McGranitt sa che il morso di Greyback mi sta tramutando in un licantropo e la professoressa Bing creerà per me la Pozione Antilupo. É tutto sotto controllo».

Sbarrai occhi e bocca, sconvolta da quella rivelazione, mentre mi allontanavo dalla porta dell'infermeria, smettendo di origliare.




 

(*) Per chi non si ricordasse mi sono presa la licenza poetica di non far morire Sirius nel quinto libro come aveva decretato la Rowling, ma è comunque deceduto durante la battaglia finale di Hogwarts, quindi per Harry è una ferita ancora fresca.
 

  
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