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Autore: smalljojo    17/03/2020    0 recensioni
Quali sono gli intricati percorsi del tempo e dello spazio? C'è qualcuno che ne riesce a tracciare una mappa e manovrarli a proprio piacimento? sono domande astruse e capricciose, che però hanno segnato il corso della mia vita. Non so ancora molte cose della mia stessa vicenda, non troppo dissimile a quella del saggio Tiresia, ma essa merita lo stesso di essere raccontata.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender
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Emanuel Karr era stravaccato sul divano stile Luigi XIII, dai piedi di mogano corti e dal broccato bordeaux intenso con ricami di filigrana d’oro fiorati ormai usurati dall’incuria e dagli anni. Il suo appartamento è quello che all’epoca era considerato la moda per gli artisti: pareti senza carta da parati, ma con appesi disordinatamente da chiodi arrugginiti opere di inestimabile valore, quadri di Rubens, bassorilievi ellenici, opere di vario tipo. I mobili erano stracolmi di oggetti di ogni forma e tipo, vasi cinesi pregiati sbrecciati o addirittura rotti, ceramiche di Palissy, bozzetti di opere di pittori, busti di imperatori e pretori romani e quadrati di stoffe damascate, di velluto, di lino, dai colori sgargianti. Appeso a un trespolo di fianco al divano una ulteriore stravaganza, un pappagallo dal piumaggio esotico era legato da una sottile catenina di argento, quasi invisibile. Emanuel Karr mi aspettava circa verso le tre di quel caldo giorno di agosto.

Parigi si era svuotata, i giovani di Montmartre si erano spostati a gozzovigliare, sempre con le stesse compagnie, sulle rive della senna, alla Grenouillère. Io avevo deciso di rimanere a Parigi per riuscire a scrivere un ultimo pezzo da mandare al giornale, poi in serata avrei raggiunto i miei amici e le loro accompagnatrici sul ristorante galleggiante.

Appena mi vide Emanuel Karr mi fece segno di sedermi accanto a lui: stava aspirando da una sottile pipa scura di foggia orientale, e la luce limpida di Parigi che inondava la camera dalla finestra si rarefaceva nella nuvola bianca di fumo che circondava come bruma immobile il salotto.  I colori blu rosso e verde del pappagallo si distinguevano senza confini troppo definiti. Un odore acre aleggiava nella stanza come la scia di profumo della pelliccia di una nobile signora a cui lasci il passo all’entrata del teatro. Mi sedetti su una poltrona sfondata e ricoperta da panni blu che affiancava il largo divano.
- oh Maurice, sei tu- mi disse il mio amico, prima di aspirare un’altra boccata dall’aggraziato tubicino incandescente.

Il caldo asfissiante della città, unito alla mancanza di ispirazione per il mio articolo mi avevano reso quella giornata particolarmente odiosa, e rimpiangevo di non essere come tutti gli altri alla gara di canoa, con le spalle bianche come il ventre di un pesce esposte alla calura e ai raggi del sole.

-Lo senti anche tu Maurice? Milton sta parlando…- il pappagallo aveva cominciato a gracchiare -dice che le formiche che sono sul tavolo si stanno organizzando-.
Karr mi passò la pipa e trassi anche io una vigorosa boccata. Le volute di fumo uscirono dalle mie labbra come cerchi da cui tigri di sogno saltavano ubbidendo a un ammaestratore fantasma. I cerchi andavano poi ad allargarsi in forme elicoidali disperdendosi verso il soffitto.

- Maurice, le formiche si stanno organizzando, vogliono fare una piscina…-

-Dove la vogliono fare amico mio?- la figura di Karr era quasi onirica nella nebbia acre, e pur cercandolo non riuscivo a fissare il suo sguardo.

-Maurice, le formiche si stanno facendo il bagno nel bicchiere con lo zucchero, e dicono che fa molto caldo…-

In effetti sul tavolino da caffè di fronte al divano una fila compatta di formiche stava marciando intorno a un bicchiere di acqua e zucchero per metà rovesciato.
Cominciai anche io ad avvertire una emozione strana, come se fossi osservato da qualcosa sul soffitto, accompagnata da una sensazione quasi di prurito sulla nuca. Avrei voluto grattarmi, ma le mani giacevano inermi sui braccioli della poltrona. Appoggiai quindi il capo all’indietro. Il soffitto era blu.

 -Karr, quando hai dipinto il tuo soffitto di blu? Non era forse nero?- prima di riuscire a rispondere Karr fu interrotto dall’improvvisa apparizione di un altro mio caro amico, il compositore Franz Brum; si era aperto un varco attraverso la parete, che poi si era subito richiuso.

- Beh cari compagni, adesso vi vedete senza nemmeno invitarmi? Male, anzi malissimo!-

Alchè non potei fare a meno di chiedere -ma Franz, come hai fatto a salire fino al secondo piano visto che sei entrato dalla parete?-

La risata grassa e piena da ungaro di Franz riempì di suono l’aria ferma dell’alcova.

-Maurice! Quanto mi sei mancato vecchio mio! Che il diavolo ti porti!-

Visto che Franz non aveva alcuna intenzione di rispondere alla mia domanda, e nemmeno Karr voleva dirmi quando aveva dipinto il soffitto di blu, anzi i due si erano messi a parlare animatamente di demoni ed esoterismo, decisi di guardare meglio il colore del palco. Era blu, si, ma non era uniforme. Macchie nere in continua espansione si distribuivano su tutta la superficie, e a un certo punto mi accorsi che non si trattava più di una superficie piatta, bensì del cielo notturno. Stelle piccole e bianche punteggiavano questa apertura sul firmamento. Scendevano su una strada di luce una comitiva di fantasmi luminosi di ogni epoca, in tunica o in vesti egizie, damine settecentesche e cavalieri in armatura. In men che non si dica tutta questa parata cominciò ad aggrapparsi alla modanatura delle pareti, che negli angoli era più arzigogolata e quindi di più facile appiglio. Alcuni stavano semplicemente lì seduti, altri volevano buttarsi giù per raggiungerci. Una donna in particolare mi colpì.

Pareva per la sua bellezza una statua greca policroma: i capelli erano biondi come quelli di una nordica valkiria, il naso dritto, la pelle eburnea dalle sfumature dell’aurora boreale, le guance tinte e fresche. Le labbra disegnate da un pittore fiammingo erano strette e inespressive, lo sguardo gelido era posato su di me e le lunghe ciglia chiare creavano una ragnatela di ombre sullo zigomo candido. Il delizioso piede sporgeva dalla modanatura e ricordava il marmo per la sua perfezione di seta.
Questa visione mi spinse per la prima volta in vita mia quasi ad innamorarmi, e non potendo più resistere vinsi quella forza che mi pesava addosso tenendomi fermo per allungare una mano verso la Willa.

Chiusi gli occhi sopraffatto dall’emozione e quando li riaprii non ero più a casa di Emanuel Karr.
   
 
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