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Autore: T612    17/03/2020    1 recensioni
È scientificamente provato che anche l’organismo apparentemente più perfetto al mondo – con tutte le contraddizioni del caso e le implicazioni scomode delle singole parti – può raggiungere il collasso, basta trascurare un singolo tassello infinitesimale per far strada ad un’infezione così ramificata da poter raggiungere ogni singolo centimetro dell’ospite, spingendo l’anima a ribellarsi ad un corpo asmatico, psicotico e tachicardico.
È semplice, è basilare… è Anatomia, per risolvere il problema basta solo sapere dovere incidere ed intervenire. L’unico dilemma è il chi tiene il bisturi dalla parte del manico.
[Avvertenze: cinematograficamente canonico fino a TWS, Civil War (Comic Verse // Fix-it), “Infinity War/Endgame” sono un miraggio lontano lontano che non scriverò mai.]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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PRIMA PARTE - CUORE

 

TACHICARDIA: Cura
Nessuna cura, ma in casi gravi è richiesta una terapia farmacologica o chirurgica.





 

«Fermo! Steve fermati un minuto!» strepita James a corto di fiato, puntellandosi alle ginocchia inalando ossigeno a grosse boccate. 

«Ti stai seriamente sentendo male?» chiede suo fratello guardingo raggiungendolo di corsa, soppesandolo dall'alto in basso con espressione pacifica, come se fosse reduce da una tranquilla passeggiata e non da una maratona a sessanta chilometri all'ora costanti. 

«Io invecchio peggio di te, Mr Perfezione.» replica James piccato fulminandolo con lo sguardo, arrancando lontano dal marciapiede e lasciandosi cadere di peso sul prato di Central Park, contando i secondi tra un respiro e l'altro tentando di normalizzare il battito cardiaco che era stato messo sotto uno sforzo eccessivo. «Dio, mi sembra di avere il cuore in gola… era da una vita che non succedeva.»

«Quante sigarette hai fumato questa settimana?» lo interroga Steve con tono saccente e prevenuto lasciandosi cadere al suo fianco, premendogli una mano sul torace per accertarsi che il suo cuore non schizzi realmente fuori dal petto. 

«Non provare a dare la colpa al fumo.» lo minaccia James accartocciando respiri sempre più regolari sulla lingua, nonostante fosse fin troppo consapevole che l'aver consumato un intero pacchetto di Marlboro in meno di due giorni non aiutava per niente la situazione catastrofica in cui versavano i suoi polmoni. «Ti nego il permesso di farlo.»

«Permesso o meno, scommetto che se non fosse per la tua variante del siero saresti già tre metri sotto terra… potresti tranquillamente asfaltare una strada con tutto il catrame che hai in corpo.» brontola Steve con aria esasperata, staccandogli la mano di dosso dichiarandolo fuori pericolo. «Nat non aveva iniziato a buttartele via?» 

«Mh-m. Mi nasconde anche i fiammiferi, ma ciò non mi impedisce di ricomprarli.» replica con una finta punta di orgoglio nella voce, ridendo di gusto quando Steve alza gli occhi al cielo in risposta. 

«Come vanno le cose tra di voi?» chiede suo fratello con qualche secondo di scarto ed una vaga reticenza nel porre la domanda, studiando a distanza la sua reazione prima di continuare con la conversazione o meno, considerato l'argomento chiamato in causa. 

«Vanno che preferirei parlare del catrame nei miei polmoni.» sbuffa lapidario chiudendo gli occhi, concentrandosi unicamente sulla sensazione del sole che filtrava tra le fronde degli alberi scaldandogli la pelle. 

Era passata a malapena una settimana da quando Natasha aveva sganciato la bomba a mano che aveva ridotto la loro camera da letto in un acquario dove ristagnavano lacrime vecchie di sei decenni, concedendosi entrambi una debolezza che li aveva esauriti fino ad addormentarli sfiniti dal pianto, mettendo giù i piedi dal letto la mattina dopo pretendendo che non fosse successo nulla di eclatante dando una parvenza di normalità all'intera situazione… scelta che non aveva fatto altro che sottolineare una mancanza di fondo, gravitandosi attorno alla ricerca di un tasto reset da cui ripartire seriamente, non trovando altro se non situazioni banali che si sforzavano di riempire un vuoto che di fatto c'era ma in realtà non era così ingombrante. James non voleva sembrare indelicato nell'affrontare per primo il discorso per toglierselo d'impiccio, ma non voleva nemmeno dare la parvenza che la situazione non gli importasse abbastanza cercando una distrazione volando nuovamente a Madripoor, limitandosi a spiare la moglie mentre volteggiava in punta di piedi in salotto, controllando che mangiasse e dormisse in quantità adeguate… ma dopo giorni interi di quella logorante tiritera gli sembrava di impazzire, alimentando una rabbia repressa vana e fine a sé stessa, chiudendosi in un mutismo che Natasha non osava rompere perché entrambi consapevoli delle azioni e delle scelte attuate dall'altro, le quali non potevano rappresentare in alcun modo una vera e propria fonte di biasimo. 

Prima di quel momento James non aveva mai pensato o desiderato seriamente dei figli, dopo tutto ciò che gli avevano fatto usandolo come cavia da laboratorio non era nemmeno sicuro se fisicamente potesse ancora averne e non gli interessava saperlo, ma scoprire che quella remota possibilità si era verificata in modo tangibile e gli era stata strappata via a forza gli toglieva il terreno da sotto i piedi… e la parte che lo disorientava di più era l'incapacità di identificare e direzionare quel sentimento indefinito che si agitava in fondo al suo stomaco, non riuscendo in nessun modo a condannare la moglie per averglielo tenuto nascosto – la sua probabile reazione all'epoca l'avrebbe sicuramente portato alla morte e condannato Natalia di conseguenza –, macerando un risentimento generale che non riteneva giusto sfogare con o su di lei, ripiegando su attività meccaniche silenziando del tutto il cervello – scandendo la pausa sigaretta con l'addestramento reclute, l'allenamento al poligono e, dopo aver distrutto tutti i bersagli della palestra ed aver ultimato la sua scorta di proiettili, il correre dietro a Steve si era rivelato un adeguato palliativo.

«Voglio fare qualcosa per farla stare meglio, qualcosa di normale… per staccare la spina, spedire di nuovo le punte in fondo all'armadio e smettere di pensarci.» annuncia James senza filtri dopo diversi secondi di silenzio, sollevandosi sui gomiti cercando lo sguardo del fratello nascondendo una tacita richiesta d'aiuto in fondo alle iridi color ghiaccio. 

«Cosa cerchi? Un consiglio da parte mia?» replica Steve fissandolo stranito dalla novità di vederlo aperto al dialogo su quel determinato argomento, ricevendo un cenno affermativo sbrigativo in risposta. 

La mattina dopo la nottataccia trascorsa in lacrime James, con tutta la sua buona volontà di allestire una maschera di bronzo decente tra i muri del Complesso, si era ritrovato entro fine serata a confessarsi in terrazzo con il fratello, ricevendo una pacca sulla spalla ed un silenzio che valeva più di mille parole… non che ci fosse molto da dire dopo una sentenza del genere, grato che Steve fosse semplicemente rimasto al suo fianco senza perdersi in stupidissime frasi fatte del tutto inutili, chiudendo un occhio permettendo a Clint di sostituirlo a Madripoor obbligandosi a qualche giorno di ferie. Peccato che il permesso strappato a Hill fosse quasi scaduto, lui e Natasha non avevano ancora trovato il coraggio di affrontare il discorso e la soluzione a quella situazione indefinita era tutto fuorché dietro l'angolo. 

«Portala a cena fuori.» getta il sasso Steve condividendo i propri programmi per la serata analoghi a quelli proposti al fratello, ottenendo un occhiata di profondo scetticismo in risposta, sottoscrivendo un appunto che richiedeva un'attività diversa da quella assegnata per default al pretesto per farsi perdonare dalla moglie quando combinava una qualche cazzata. «Okay, niente uscita a quattro… un film allora? Che te ne pare?» 

«Steve, mi serve qualcosa di inedito, non qualcosa di abitudinario.» replica James scocciato, sbuffando allegandoci un'occhiata esasperata al cielo. 

«Con film intendo cinema, non il catalogo di Netflix. Idiota.» spiega Steve spazientito dal suo comportamento prevenuto, lasciandolo a corto di parole perché la sua non era una proposta poi così malvagia come aveva dedotto inizialmente. «Uscite, vi perdete nella storia di qualcun altro e al massimo se la trama è noiosa scommetto che sai benissimo cosa fare… prima pagina del manuale del rimorchio, sono le basi Buck, stai davvero perdendo colpi.»

James reagisce alla provocazione scoppiando a ridere all'improvviso, costringendosi a ritornare sdraiato a terra tentando di placare la tosse, annotando mentalmente di doversi seriamente dare una regolata con le sigarette per permettere al siero di espellere le tossine e non lasciarlo morire asfissiato in vista della prossima missione, puntando un dito contro Steve con sguardo minaccioso sfidandolo ad aprir bocca per proferire un imminente e meritatissimo "te l'avevo detto". 

«Ad essere sincero non mi ricordo nemmeno più quand’è stata l’ultima volta che ho messo piede in un cinema.» ammette James una volta ripreso abbastanza fiato per riuscire a parlare, chiudendo gli occhi sforzandosi di ricollegare le istantanee frammentate della propria memoria alla ricerca della risposta, passando in rassegna scenari sempre uguali di labbra senza nome perse nell'ultima fila di un cinema alla flebile luce di un proiettore, fino a raggiungerne la fine estrapolando il ricordo nitido di Rebecca [1] che si protendeva verso lo schermo con sguardo trasognato, messa a carponi sulla poltroncina abbracciata al secchiello dei popcorn, vantando un sorriso da orecchio ad orecchio. «È stato per il… tredicesimo compleanno di Becca, o sbaglio?» 

«Se ti aiuta a rinfrescarti la memoria ti avevo rubato il tabacco e l'avevo barattato al botteghino per dei popcorn.» avverte il sorriso di Steve nelle parole di conferma espresse, figurandoselo con la sua tipica espressione malinconica di quando riviveva un ricordo piacevole ad occhi aperti, macchiando quella fantasia con una tacca di consapevolezza dolce-amara nella voce. «Siamo due fossili Buck, "Biancaneve" è uscito nel '38.»

James vorrebbe replicare all'osservazione con una battuta sagace, ma la sua mente si prende il diritto di deragliare dai binari sicuri e prestabiliti, eclissando la voce di Steve con un vociare confuso che riemerge dirompente dagli angoli bui della sua memoria, collegando più puntini di quelli necessari, associando l'inverosimile all'impensabile...

Oh, qui non mi troverà mai… (внушайте страх)... e se mi fate restare mi occuperò della casa… (внушайте страх)... Laverò, stirerò, cucirò, cucinerò… (внушайте страх). [2]

«Bucky?» 

James riapre gli occhi di scatto scuotendo con forza il capo, scacciando dalla propria testa il rumore tipico della bobina che girava a vuoto sul proiettore, soffocato dalle voci squillanti di una ventina di tredicenni dai polsi martoriati intente a perfezionare l'accento inglese ripetendo meccanicamente il copione della principessa, mentre gli aloni delle parole внушайте страх comparivano sull'immagine ogni sette fotogrammi sedimentando un concetto impossibile da rimuovere… avevano solo tredici anni, le bambole assassine.  

«Ehi Bucky, tutto bene?» chiede Steve con la voce venata da una preoccupazione latente, la mano calda e salda a stringergli la spalla sana per non far scivolare la sua mente in mezzo alla steppa siberiana macchiata di sangue. 

«Scusami… è che ho imparato ad odiare Biancaneve e compagnia cantante.» concede una spiegazione alla nube temporalesca che gli aveva attraversato il volto, ritraendosi dalla presa del fratello, stampandosi un sorriso da schiaffi sul volto atteggiandosi in modo teatrale. «E parla per te, fossile… i miei quasi 103 anni li porto da Dio.»

«Cinque minuti fa sembrava dovessi sputare i polmoni.» replica Steve lapidario scoccandogli uno sguardo in grado di giudicargli l'anima, reprimendo a forza una risata di fronte al suo completo menefreghismo coscienzioso. 

«Ora non fossilizzarti sui tecnicismi, per favore.»

«Idiota.» suo fratello non riesce più a trattenersi scoppiando a ridere spudoratamente, rialzandosi in piedi qualche secondo più tardi allungando una mano come incentivo a seguirlo. «Forza fratellone, vediamo se per l'ultimo paio di chilometri riesci a farmi mangiare la polvere… senza morire asfissiato nel mentre magari.»

«Non istigarmi Stevie, sai che poi te ne faccio pentire.» replica alla frecciatina lasciandosi trascinare in piedi, controbilanciando la spinta per portarsi subito in vantaggio, scaraventando Steve all'indietro facendolo crollare a terra con un leggero pugno sinistro al diaframma, perdendosi un insulto alle spalle ed avvertendo i piedi del fratello che iniziano a pestare il marciapiede con nuova determinazione tentando di recuperare il paio di metri persi in partenza. 

«Così è giocare sporco!» lo apostrofa Steve furente quando lo raggiunge al traguardo, puntellandosi alla ringhiera dell'accesso della metropolitana leggermente a corto di fiato, premendosi una mano sul punto colpito. 

«Non hai mai specificato se c'era una qualche regola da seguire.» si stringe nelle spalle James con un sorriso angelico ad incorniciargli le labbra, voltandogli le spalle iniziando a scendere le scale con nonchalance. «Ho semplicemente reso la sfida ad armi pari, il livido dovrebbe spariti tra una decina di minuti.»

«Sei un-...» inizia Steve con un sorriso malcelato sull'angolo delle labbra, sporgendosi dalla ringhiera per non perderlo di vista e continuare a fulminarlo con lo sguardo. 

«Non iniziare ad insultare la mamma fratellino, non ti si addice.» lo rimbecca James sorridendogli da sopra una spalla, liberando una mano dalle tasche sollevando il braccio accennando un saluto, dirigendosi verso la linea sotterranea che portava a Little Ukraine. «Ci vediamo domani mattina al Complesso!»

Il viaggio in metropolitana è veloce ed indolore, dondolando appeso alla maniglia sul soffitto della carrozza accusando tutta la stanchezza che aveva tenuto a bada durante l’allenamento con Steve, trascinandosi fino alla propria porta di casa con passi stanchi scalciando via le scarpe appena varcata la soglia, attraversando il salotto scoccando uno sguardo a metà tra il risentito e il sollevato alle scarpette da ballerina che facevano capolino da sotto i cuscini del divano appurando che Natasha non le aveva spostate dal punto in cui lui le aveva nascoste la sera prima, richiamando Liho in cucina come d’abitudine facendo tintinnare i croccantini nella scatola prima di riempirgli la ciotola, assistendo all'entrata in scena di una palla di pelo nero che lo squadra da capo a piedi prima di concedergli un ondata di fusa come ringraziamento.

«звезда моя, sei già tornato?» prorompe la voce di Natasha attirandolo verso la loro camera da letto, facendole sollevare lo sguardo dalle pagine ingiallite di uno dei taccuini di Tania quando si affaccia sulla soglia puntellandosi allo stipite. «Ti sei sfinito per bene, vero?»

«E tu non ti sei mossa da qui, vedo.» afferma eludendo la risposta constatandone un’altra, avvicinandosi indicando la postazione di lavoro improvvisata sul materasso che consisteva in una pila di taccuini impilati ordinatamente sopra il copriletto ed il computer adagiato sul grembo della donna. «Hai pranzato almeno?»

La donna mugugna un verso spazientito di assenso in risposta, mentre James accarezza l’idea di posticipare la doccia calda in favore dell’istinto di abbandonarsi sul materasso e concedersi qualche istante di debolezza… soprattutto se Natasha era così dannatamente invitante, rannicchiata scomposta al centro del letto con quello che passava per un pigiama ancora indosso – una delle magliette trafugate dal suo armadio rigorosamente di un paio di taglie troppo grande, che lasciava scoperte per sua immensa gioia chilometri di gambe – lasciandosi cadere di peso sul letto sparpagliando gran parte dei taccuini sul pavimento e strappandole di mano il computer, facendosi spazio usandola deliberatamente come cuscino umano in una non proprio velata richiesta di coccole. 

«James… sei sudato, e puzzi.» lo ammonisce Natasha tempestiva arricciando il naso infastidita in un blando tentativo di scollarselo di dosso, sbuffando rassegnata alla propria sorte quando lui non accenna a muoversi nemmeno di un centimetro dalla posizione assunta, rifiutandosi tuttavia di assecondarlo puntellandosi ai cuscini nascondendo le mani dietro la schiena. «Ti vai a fare una doccia e poi ne riparliamo.»

«Ho una proposta.» la contraddice sorridendo con un ghigno volutamente malizioso, ruotando su un fianco sistemandosi meglio nella conca formata dal ventre di Natasha, allungando un braccio cingendole la vita e scivolando con le dita sotto la maglietta.

«Non vengo a farti compagnia sotto la doccia, ho da fare.» lo placa lei fulminea afferrandogli la mano sana che stava risalendo a passo di dita le sue vertebre, sorridendogli candida mentre gli storceva il polso. «Ritenta.»

«Antipatica... volevo solo giocare un po’.» si lamenta lui in risposta passando al contrattacco iniziando a farle il solletico per vendicarsi dell’effusione negata, finendo scaraventato sul pavimento di malagrazia e ritrovandosi ad osservare la compagna dal basso mentre si sporgeva oltre il bordo del letto per controllare le sue condizioni, anticipandola. «Sto bene.»

«Te la sei cercata.» infierisce Natasha studiando guardinga i suoi movimenti mentre si rimetteva in piedi, inginocchiandosi sul materasso afferrandogli i polsi in forma preventiva quando si avvicina intrecciando le dita sul retro della sua nuca. «Allora, questa proposta? Quella vera.»

«Andiamo al cinema stasera?» sorride James smagliante, sforzandosi di suonare convincente seguendo il consiglio di Steve, ma preparandosi una scusa pronta sulla lingua per ritrattare tempestivo nel caso che quella della moglie si rivelasse una sentenza negativa.

«Cinema?» ribatte Natasha inarcando un sopracciglio ad arte e schermandosi dietro ad un sorriso reticente, combinando i lineamenti nella giusta dose di scetticismo e diffidenza.

«Hai presente quel posto con un mega schermo, le poltroncine e i popcorn? Esisteva prima di Netflix, sei abbastanza vecchia per ricordartelo.» scherza facendola ridere, scadendo in una battuta pessima che allenta di poco il nodo d’ansia formatoglisi nello stomaco all'idea di porle la richiesta e vedersela negata. «Allora, verdetto?»

«Avrei da fare…» tentenna appena la donna scoccando uno sguardo di sbieco verso i taccuini sparpagliati a terra ed il computer abbandonato in un punto pericolante del materasso, lasciando trasparire il chiaro intento di terminare la catalogazione e porre un punto definitivo all’intera faccenda, accarezzandole una guancia e scoccandole uno sguardo adorante che riusciva a corromperla a discapito di ogni malefatta progettata od accidentale, costringendola ad assecondarlo tacitamente liberando un mezzo sospiro. «Sei un fottuto rompiscatole.»

«E tu un casino di donna… dai ‘Tasha, voglio una serata normale, non casca mica il mondo se per una sera facciamo una pausa dall'Archivio.»

«Facciamo? Te ne sei lavato le mani e me lo sono dovuto accollare tutto io, James.» 

«Dettagli.»

Natasha sbuffa esasperata di fronte alla sua scrollata di spalle noncurante, cedendo definitivamente liberandolo dalla presa ai polsi, puntandogli i palmi al petto spingendolo all’indietro. «Andata, ma il film lo scelgo io… e tu ora per favore ti vai a fare una doccia.»

«Con te?» riprova James con un ghigno malizioso ad incorniciargli le labbra, indietreggiando di un passo verso la porta del bagno, scivolando con i polpastrelli lungo le sue braccia dalle spalle fino ai polsi, tirandola leggermente.

«Senza di me.» sentenzia Natasha lapidaria, liberandosi dalla presa puntando l’indice perentoria contro la porta, passando alle minacce come incentivo. «Scelgo il film più melenso che trovo in programmazione se non ti dai una mossa.»

«Dio, ti prego no.» replica con un espressione fintamente terrorizzata dipinta sul volto, appendendosi alla maniglia aprendo la porta di peso con fare teatrale. «Sparisco.»

«Ecco, bravo.» sorride Natasha recuperando il computer aprendo la pagina internet per prenotare i biglietti. «E ti conviene non finirmi tutta l'acqua calda, altrimenti finisci di catalogare tu da solo quello che resta dell'Archivio, sono stata chiara?»

«Signorsì signora.»

 

***

 

Steve aveva ormai perso il conto di quante volte aveva dominato l’impulso di ammazzare James su due piedi da quando lo conosceva, mordendosi la lingua per non insultarlo limitandosi a fulminarlo con lo sguardo mentre scompariva in mezzo alla calca di gente che assediava l’ingresso della metropolitana, premendosi una mano sul punto colpito accusando più ferite nell’orgoglio che nel fisico… intrappolando sulle labbra un timido sorriso alla consapevolezza confortevole che in un mondo in cui tutto cambiava radicalmente dal giorno alla notte, il temperamento di Bucky era rimasto stupidamente invariato in quel secolo di conoscenza e nove decadi a fasi alterne di esasperata convivenza. 

Si stiracchia contro la ringhiera accusando l'ennesima fitta al diaframma, sedando l’impulso di iniziare a progettare il come vendicarsi arrancando fino alla panchina più vicina, massaggiando la parte lesa aspettando che il siero terminasse il suo lavoro di ricostituente con calma, chiudendo gli occhi e reclinando la testa beandosi del tenue calore del sole che gli scaldava la pelle… spalancando lo sguardo allarmato quando qualcosa lo afferra per il tessuto dei pantaloni tirandolo leggermente, identificando una bambina sui quattro anni che lo fissava con un sorriso elettrizzato e due zaffiri luccicanti al posto degli occhi, sorridendole con gentilezza di rimando.

«Tu sei Capitan America, vero?» chiede conferma la bimba schermando le iridi cerulee dietro le folte ciglia, raddrizzando la schiena in risposta e puntellando i gomiti alle ginocchia per portarsi alla sua stessa altezza. «Sono abituata a vederti solo in TV con la maschera e lo scudo.»

«Anche i supereroi hanno i giorni di riposo.» ammette con una risata leggera conquistando un sorriso da parte della bimba, mettendola a suo agio ormai avvezzo alle orde di bambini che lo fermavano ogni volta chiedendogli autografi e foto quando lo incrociavano casualmente per strada. «Posso fare qualcosa per te?»

«Forse posso farlo io per te...» ammette la piccola con sguardo speranzoso, attorcigliando nervosamente una ciocca di capelli castana intorno all’indice, provocandogli un lampo di confusione nel volto di fronte a quella strana risposta. «La tua mamma ti ha cercato così a lungo… mi ha mandato qui apposta per riportarti a casa.»

«Ho perso la mia mamma… entrambe le mie mamme un sacco di anni fa, piccola.» mormora Steve un’obiezione con confusione crescente, avvertendo una morsa spiacevole attanagliargli le viscere, sentendosi messo in soggezione dallo sguardo apprensivo della bambina… realizzando che era sola, senza nessun adulto o tutore a sorvegliarla, mentre una brezza leggera agita la fronde degli alberi in concomitanza con i lineamenti corrucciati della piccola.

«No.» si oppone la bambina con convinzione, bloccando la sua richiesta di delucidazioni sulla soglia delle labbra quando vede i suoi occhi scintillare e la radice dei suoi capelli sbiancarsi di colpo, premendogli gli indici sulle tempie con un sorriso rassicurante impresso sulla piccola bocca a forma di cuore. «Shh, va tutto bene Steven… ti aiuto solo a ricordare

«Non capisco...» replica con voce costretta, mentre una tacca di vaga paura gli colora la voce di fronte ai capelli completamente bianchi della bambina che iniziano ad agitarsi come serpenti, perdendosi nel vortice scoppiettante celato in fondo ai suoi occhi cerulei.

«Non c’è nulla da capire, Steven… va tutto bene, ora aggiusto io le cose.»

 

Brooklyn, 1924: un'idea malata

 

Avevano cambiato casa… ora che il suo papà era finalmente morto la sua mamma non poteva più permettersi l’appartamento in cui vivevano, Sarah Rogers glielo aveva comunicato con un sorriso triste in volto e gli occhi rossi dal pianto, in mezzo ai quattro scatoloni che contenevano tutti i loro averi riempiendo l'intero spazio del loro nuovo salotto minuscolo... e Steve contro ogni aspettativa si era scoperto in colpa per sentirsi felice, perchè ora non c’erano più urla, porte chiuse a chiave e pugni troppo piccoli per fare qualcosa contro a quell’omone burbero che tornava a casa in licenza puzzando di alcol, riempiendo di lividi la sua mamma ogni volta.

Pensava che le cose sarebbero cambiate, migliorate in qualche modo, dato che c'erano tutti i presupposti per sperarlo… ma era stato uno sciocco ad illudersi in quel modo, in fondo la mancanza di suo padre si era rivelata un'arma a doppio taglio, perché insieme alle percosse e le urla era sparita anche la loro principale fonte economica. Sua madre continuava a ripetere di cercare il lato positivo, lato che si era palesato con una torta di mele recapitata dalla signora Barn-… Sinclair

– Concentrati Steven, ricorda Steven –

La signora Sinclair... abitava sull'altro lato della strada, era una stimata insegnante che aveva avuto la disgrazia di trasformarsi in una delle tante giovani vedove della Grande Guerra e nel vicinato si vociferava che anni addietro fosse stata anche la segretaria di un uomo molto potente negli alti ranghi dell'esercito americano, ma invece di costruirsi una carriera in quell'ambiente dopo la fine della guerra era stata rispedita a casa sola con una misera medaglia al valore da appendere al muro per i servizi resi alla patria. Con il passare dei mesi Elisa si era rivelata un aiuto prezioso per sua madre, offrendo le sue competenze in fatto di insegnamento in cambio di qualche sporadico lavoretto nei weekend, aiutando Steve con i compiti e sostituendosi volentieri alle maestre quando si ammalava, cosa che succedeva talmente spesso da dargli l'illusione di frequentare una scuola privata, finendo per affezionarsi alla donna al punto da arrivare a chiamarla per nome eleggendola a seconda mamma, procedendo con la propria vita dall'esistenza ciclica senza accusare alcun tipo di scossone particolarmente eclatante. 

Era stato all'alba dei suoi quattordici anni che la vita monotona di Steve era stata stravolta, piangendo lacrime amare mentre Elisa gli stringeva affettuosamente una spalla di fronte ad una tomba aperta, cullandolo in un abbraccio mentre inalava a fondo il suo profumo alla violetta, sentendosi promettere che le cose si raddrizzeranno, che staranno bene, informandolo che negli ultimi mesi di malattia Sarah Rogers aveva stilato un testamento che eleggeva la donna a suo tutore… e poi era scoppiata la guerra, quella di cui tutti bisbigliavano ma a cui nessuno voleva credere, cancellando qualunque altro futile problema quando era diventata estremamente reale inviando le prime lettere per l'arruolamento. 

Ad un paio di mesi dai suoi vent'anni Steve si era ritrovato a fronteggiare la triste realtà dei fatti: sua madre era una stratega, una spia dell'SSR ed era stata richiamata in servizio in tempi di crisi, mentre lui… lui aveva l'asma – insieme ad una quantità indicibile di altri piccoli problemi di salute – e quando Elisa gli aveva proposto di metterlo in lista per il Progetto Rinascita aveva firmato ad occhi chiusi ogni singolo pezzo di carta che gli veniva messo sotto il naso pur di partecipare e rendersi utile. Era stato deludente scoprire che "utile" significava dover fare la scimmia ammaestrata per riempire le tasche dell'esercito consacrandosi alla propaganda, trovando un minimo di conforto nell'idea che così facendo era sempre aggiornato sull'operato dell'agente Sinclair, rispondendo alle sue lettere ogni volta che poteva mentre era in viaggio con la tournée per tutti gli accampamenti d'Europa. 

La mancanza di lettere era stato il primo campanello d'allarme, il secondo un tenente scuro in volto che gli aveva recapitato una missiva in carta bollata ed il terzo il decifrare le parole "copertura compromessa" e "cattura" nel giro della stessa frase, cedendo all'istinto furioso raccattando un nutrito manipolo di uomini scellerati per mettere a ferro e fuoco la Germania pur di rintracciarla. 

Era stato in queste circostanze inusuali che aveva conosciuto Barnes – ribattezzato "Bucky" da Dum Dum Dugan perché "che razza di nome è James Buchanan" –, scoprendolo uno spirito affine dalla personalità diametralmente opposta, quel genere di uomo che viveva sulle note di un'orchestra cercando la compagna di danze perfetta, quello che ripuliva tutti a poker solo per permettersi sigarette e francobolli per rispondere alle lettere inviategli dalla sorella, bruciando un punto diverso del foglio con il mozzicone imprimendo una chiave di decriptazione conosciuta solo a lui e a Rebecca perché la prudenza non era mai troppa. 

Gli Howlings Commandos avevano aiutato Steve a decimare le forze dell'HYDRA, ma dopo un anno inoltrato di scontri iniziava a perdere le speranze di riuscire a rintracciare Elisa… era stato un pessimo scherzo del destino perdere quello che era diventato il suo migliore amico nella stessa settimana in cui gli era stata recapitata una lettera di sua madre, rediviva e risposata con uno degli ufficiali tedeschi che la tenevano prigioniera, confidandogli per iscritto che il neo-marito era un disertore e che per l'incolumità di tutti era meglio incontrarsi di persona a guerra conclusa. 

Steve aveva combattuto valorosamente con tutte le sue forze, illudendosi che la fortuna finalmente gli stesse sorridendo quando aveva guidato il battaglione lungo i boulevard proclamando a gran voce la liberazione di Parigi, facendone un vanto che voleva vendicare Bucky e costituire un palliativo per mitigare l'attesa di stringere sua madre tra le braccia e saperla al sicuro… ma evidentemente all'universo piaceva giocare a dadi, seppellendolo sotto a metri e metri di ghiaccio ad un passo dalla proclamazione ufficiale di un "cessate il fuoco". 

Quando aveva riaperto gli occhi su New York – dopo aver corso a piedi scalzi fino a Times Square in preda alla confusione più totale ed essersi fatto spiegare per filo e per segno cosa diavolo gli fosse capitato – aveva fatto richiesta per scoprire dove fosse stata sepolta sua madre, ma evidentemente ai tempi Elisa Sinclair era stata lungimirante e per precauzione aveva abbandonato il cognome da nubile, perdendosi di proposito in mezzo alla folla di tre generazioni di sconosciuti con un documento falso in tasca e la convinzione che il suo unico figlio adottivo era morto sul campo di battaglia… così Steve Rogers aveva perso la sua mamma, tra l'atlante e le pieghe del tempo, e non l'aveva più ritrovata. 


«Vieni, la tua mamma ti aspetta.» sussurra la bambina dai capelli bianchi al suo orecchio, afferrandogli una mano trascinandolo in piedi. 

«La mamma…?» la interroga scuotendo la testa, mentre la sua mente viene invasa da una vaga reminiscenza delle proprie mani minuscole protese in avanti, spostando le lenzuola stese alle corde tese sul tetto del condominio con foga, rincorrendo un James di sette anni con un sorriso finestrato ad incorniciargli le labbra. 

Jimmy, per l'amor del cielo, finirete per cadere giù dal tetto di questo passo! Sarah digli tu qualcosa, ti prego… 

«Sì Steven, la mamma.» conferma la bambina trascinandolo lungo il marciapiede, incespicando sui propri passi, gli occhi velati dal ricordo di un'istantanea di Sarah Rogers che sorrideva ad una donna alta, mora e dagli occhi color azzurro ghiaccio, mentre la aiutava a piegare e riporre nella cesta i panni asciutti. 

Lasciali fare Winifred, sono solo bambini… 

«Elisa, Steven. Elisa.» ripete la piccola sorridendo rassicurante, indicandogli una donna dai capelli castani e dagli occhi scuri che si stava puntellando alla portiera di un suv parcheggiato sul ciglio della strada, interrompendo la sua attesa di un qualcosa sollevando uno sguardo luminoso su di lui iniziando a corrergli incontro con le lacrime agli occhi… accartocciando la flebile istantanea di due iridi color ghiaccio che facevano ancora resistenza tra le pareti del suo cervello, dissolvendosi in cenere sostituite da un paio di occhi nocciola penetranti ed amorevoli, lasciandosi la bimba dai capelli bianchi – ora tornati castani – alle spalle, prendendo la rincorsa senza rendersene conto mentre il cuore inizia a battergli all'impazzata. 

«Steven, oh mio Dio…» piange la donna gettandogli d'impulso le braccia al collo, infossando la testa contro la sua spalla inglobandolo in un abbraccio, stringendola a sé a sua volta inalando a fondo il suo profumo alla violetta… ed è giusto, i vestiti della sua mamma adottiva profumavano sempre di violetta. «Ti ho cercato così a lungo, mi sei mancato da impazzire…»

«Mi sei mancata tanto anche tu, mamma.» mormora contro i suoi capelli trattenendo a stento le lacrime, eclissando qualunque altro pensiero al cospetto della miracolosa consapevolezza di essere finalmente riuscito a rintracciarla. 

«Shh, va tutto bene Steven, torniamo a casa.»

 

***

 

«Tony, sono a casa!» esclama Pepper dal salotto preceduta dal lieve ding dell’apertura delle porte dell’ascensore, abbandonando la borsa sulla penisola del divano e perdendo i tacchi nel tragitto verso la cucina. 

Appena la voce della madre raggiunge le orecchie di sua figlia, Morgan H. Stark pensa bene di spalancare la bocca per cacciare un urletto di richiamo, dando l'occasione d'oro a Tony di farle inghiottire l'intero cucchiaio di omogeneizzato, beccandosi un'occhiata truce da parte della piccola in risposta, la quale tuttavia inghiotte il boccone e si limita a manifestare il proprio disappunto gettando a terra il sonaglio dal seggiolone. 

«Vedi che non fa poi così schifo?» ironizza Tony riempiendo un altro cucchiaio con fare perentorio, ricevendo una linguaccia in cambio alla propria contestazione. «Dai Maguna, non facciamola più complicata di com'è in realtà.»

«Ehi amore.» lo saluta Pepper entrando in cucina depositando due cartoni della pizza sul tavolo, aggirando il seggiolone per posare un bacio sui capelli di Morgan e uno sulle sue labbra, allungando un braccio strappandogli il vasetto di omogeneizzato dalle mani. «Lascia, faccio io, tu cena.»

«A L.A. stanno tutti bene?» chiede cedendo il vasetto senza troppi rimpianti, trascinando una sedia vicino all’altro lato del seggiolone, spostando il cartone aperto contenente la pizza di Pepper alla sua portata di braccio, aprendo il proprio ed addentando la prima fetta.

«Tutti a meraviglia.» la donna liquida l’argomento in fretta con l’accenno di un sorriso, evitando in scioltezza di annoiarlo con faccende che non riguardavano una sua supervisione o coinvolgimento diretto, rigirandogli la domanda appena espressa. «Tu invece? Ti sei messo a lavorare su qualcosa di interessante mentre non c’ero?»

«Fury mi ha commissionato una nuova A.I. per lo S.W.O.R.D., tipo J.A.R.V.I.S., ma con uno spettro di utilizzo più ampio… devo ancora pensare ad un acronimo decente [3].» ribatte con un vago cenno della mano, cercando lo sguardo di Pepper e soffermandosi ad osservarla mentre sollevava il cucchiaio in direzione di Morgan inarcando un sopracciglio con fare velatamente minaccioso, la quale spalanca la bocca senza troppi capricci ed inghiotte l’intera cucchiaiata senza un singolo lamento.

«Questa è un’ingiustizia bella e buona, signorina!» afferma Tony con espressione comicamente allibita, puntando il dito contro la figlia con aria fintamente offesa, ottenendo una seconda linguaccia come replica, voltandosi verso la moglie con aria esasperata alla ricerca di un minimo di supporto che si vede negato con l’accenno di un risolino impresso all’angolo delle labbra. «Pep, almeno tu...»

«Non guardare me, l’hai abituata tu così.» replica Virginia Potts con una scrollata di spalle, rifilando una terza cucchiaiata alla figlia ed allungando la mano ora libera per afferrare ed addentare una fetta della propria pizza, abbassando lo sguardo sullo schermo del suo palmare che si illumina segnalando una chiamata in entrata da parte di Sharon.

«Ciao cugina, a casa Rogers non si mangia a quest’ora?» apre la chiamata Tony con tono canzonatorio saltando in tronco i convenevoli, ricevendo una sbuffo sonoro in risposta.

«Dovevamo andare a cena fuori Tony, ma Steve deve ancora farsi vivo, non ti chiamo a quest’ora solo perchè mi va di romperti le scatole… per caso è lì al Complesso?» lo interrompe Sharon dall’altro lato della cornetta, tradendo una nota preoccupata nella voce, spingendolo inconsciamente a rendersi collaborativo. «E prima che tu lo chieda, ha il cellulare staccato e ho già sentito Nat e Sam, non si trova né a Little Ukraine né a Hell's Kitchen.»

«Hai visto Steve in giro mentre arrivavi qui?» rinuncia ad una qualsiasi battuta di spirito ponendo la domanda a Pepper distanziando il cellulare dall’orecchio, ottenendo un cenno di negazione con il capo ed uno sguardo vagamente confuso da parte della moglie, sollevando gli occhi al soffitto ricorrendo velocemente ad altri mezzi. «F.R.I.D.A.Y., per caso il Capitano Rogers è qui al Complesso rintanato da qualche parte?»

«Negativo Capo, è uscito oggi pomeriggio con il Sergente Barnes e non ha fatto più ritorno.» risponde l’A.I. con tono efficiente, attorcigliando lo stomaco di Tony in forma preventiva al primo vago cenno di effettiva preoccupazione. 

«Shar, facciamo una cosa del genere...» sospira velocizzando i propri pensieri alla ricerca di una soluzione immediata per arginare i possibili problemi, stringendosi la radice del naso tra pollice ed indice. «Prima di proclamare la caccia all’uomo lasciami fare una veloce ricerca via satellite, intanto raggiungimi… ti offro la mia pizza, se vuoi.»

«Sono già per strada, arrivo.» replica l’agente Carter con tono forzatamente leggero, avvertendo la porta di casa che veniva chiusa sbattendo ed il rumore di accensione dell’auto in sottofondo. «Lasciami almeno una fetta però, non farmi promesse a vuoto.»

«Non ti faccio mai promesse a vuoto, Shar.» chiude la telefonata alludendo a tutt’altro tipo di garanzie, trattenendo un’imprecazione tra le labbra, sollevando lo sguardo sull’espressione ancora confusa di Pepper e quella vagamente curiosa di Morgan, spingendo la metà pizza rimasta sul cartone verso il centro del tavolo. «Forse abbiamo un problema. Forse.»

«Il genere di problema che prevede una riunione di famiglia organizzata su due piedi?» Pepper aggira il depistaggio inarcando un sopracciglio ed andando dritta al punto, facendogli cenno con la testa verso il tavolo olografico in salotto. «Vai, hai del lavoro da fare.»

Tony non se lo fa ripetere due volte, alzandosi da tavola chiedendole scusa con lo sguardo, dirigendosi a passo spedito verso il ripiano olografico innalzando la proiezione della barra di ricerca, sfregandosi le mani tradendo una punta di nervosismo ragionando a voce alta nel mentre. 

«Vediamo se il nuovo progettino per Fury funziona… F.R.I.D.A.Y. potresti accedere alle nuove risorse, recuperarmi i filmati delle telecamere stradali e ricostruire i movimenti di Rogers da quando se ne è andato da qui, per favore?» chiede rivolgendosi al soffitto, venendo prontamente accontentato mentre una decina di schede olografiche passano in rassegna tutto il circuito stradale dall’Upstate fino a Manhattan, impilando in un angolo della schermata tutti i fotogrammi in cui era visibile Steve o Barnes, ricostruendo lentamente i loro movimenti passeggiando avanti e indietro davanti al tavolo selezionando questa o quella sezione di filmato iniziando ad ordinarle manualmente, annotando mentalmente il dover potenziare la velocità di caricamento dei dati della nuova A.I.

«Tones.» si annuncia Sharon sovrastando il ding dell’apertura delle porte dell’ascensore, raggiungendo il salotto a passo di marcia abbandonando cappotto e borsa sullo schienale del divano attratta dalle schermate in funzione sospese per aria, notando solo in un secondo momento la figura di Pepper sdraiata sul tappeto a terra mentre porgeva i pezzi dei lego ad una Morgan concentratissima nell’edificare un qualche edificio di dubbia stabilità. «Ehi Potts, sei tornata stasera?»

«Si, Tony ti ha lasciato un po’ di pizza se hai fame.» replica la donna sorridendole dal pavimento indicandole con il mento il cartone abbandonato sopra il tavolino, venendo interrotta da un urletto di saluto da parte di Morgan che assomigliava vagamente ad un “zia”, agitando le mani in aria pretendendo un abbraccio.

«Ciao tesoro… perdonami, ma la zia sta morendo di fame.» Sharon si inginocchia a terra assecondando il volere della nipote perdendo i tacchi nel mentre, posandole un bacio tra i capelli prima di rialzarsi quanto bastava per agguantare una fetta di pizza.

«Dalla fame che hai sembra che non mangi da giorni.» tenta di sdrammatizzare Tony scrutandola da sopra una spalla, beccandosi un’occhiataccia in risposta ed un dito accusatore puntato contro.

«Sono nervosa, okay?» si giustifica la cugina, mordicchiando la crosta tentando di darsi un contegno, facendo leva sulle ginocchia rimettendosi in piedi spolverandosi il vestito dalle briciole, lisciando le pieghe con le mani prima di affiancarlo. «Tu piuttosto, hai trovato qualcosa?»

«Ci sono quasi, il nuovo sistema richiede più tempo del solito per analizzare i dati, è ancora in fase sperimentale.» commenta insofferente assottigliando lo sguardo di fronte alla barra di caricamento ferma a 99,9% da trenta secondi buoni, tendendo le labbra in un vago sorriso soddisfatto quando la scansione dati si riordina automaticamente da sola qualche secondo più tardi, trasmettendo i filmati ad alta velocità iniziando a seguire Steve con l’indice ragionando a voce alta. «Okay… è uscito da qui con Barnes, hanno raggiunto Central Park… F.R.I.D.A.Y. manda avanti veloce fino a quando non smettono di correre… Barnes riprende la metro per tornare a casa…» 

«Rallenta F.R.I.D.A.Y. c’è qualcosa di strano.» lo blocca Sharon tirando indietro il filmato di una decina di secondi, assottigliando lo sguardo puntando l’indice contro la bambina che stava parlando con Steve. «Guarda gli alberi Tones, non c’era un filo di vento ed iniziando a muoversi di colpo… e subito dopo i capelli della bimba cambiano colore.»

«Cosa diavolo...» mormora Tony confuso notando come le ciocche scure della piccola sbianchino di colpo iniziando ad agitarsi mosse da un vento che stando al meteo non era previsto, trascinando Steve in piedi dirigendosi lungo il marciapiede afferrandogli una mano, indicandogli una donna puntellata alla portiera di un suv parcheggiato a bordo strada. «F.R.I.D.A.Y. chi è lei

«Un secondo, prego.» afferma l’A.I. con fredda efficienza, fornendo il risultato nei tempi promessi. «Scansione facciale eseguita con successo: Elisa Sinclair, attuale Leader Supremo di Madripoor. Non ci sono altre informazioni di alcun genere sul suo conto.»

«Cercala sul database del Triskelion, per favore.» replica Tony all'istante con tono diffidente, covando l'amara speranza di riuscire a rintracciare la donna tra le fila dell'HYDRA, considerato che era altamente improbabile non scovare mai il nome di un Capo di Stato come Elisa Sinclair su un qualsiasi tabloid esistente. 

Sharon lo ignora e non stacca gli occhi dalla finestra di ricerca, iniziando a mordicchiarsi le unghie quando vede il compagno salire a bordo del suv e sparire in mezzo al traffico. 

«F.R.I.D.A.Y. chiama Bucky, subito.» ordina la cugina con tono granitico di fronte alla schermata nera della registrazione conclusa in un vicolo cieco, mentre il segnale della chiamata in uscita suona cristallino tra le mura del Complesso. 

«Io e Natalia abbiamo la serata libera fino a prova contraria, Stark.» irrompe la voce di James all’altro capo della telefonata qualche secondo più tardi – dimostrandosi puntualmente un grandissimo fan del convenevoli saltati –, restando palesemente interdetto quando avverte la voce di Sharon in risposta e non quella di Tony.

«Dobbiamo parlare con tutti e due, hai lì Nat?»

«James sta guidando, siete in vivavoce.» interviene la voce di Natasha con tempismo a tratti inquietante, data l'assenza di rumore di fondo nella frequenza di chiamata trasmessa. «Che sta succedendo?»

«Conoscete una certa “Elisa Sinclair”?»

«È la Leader Suprema di Madripoor, ma al di fuori di questo… dovrei?» afferma dubbiosa Natasha palesando un interrogativo nel tono della voce.

«Non la conosco di persona, ma Jessàn Hoan non ne parla benissimo… perchè?» conclude il discorso James accavallandosi alle parole della moglie, tradendo una nota di tensione a colorargli la voce, lasciando intendere un abisso di maldicenze dietro al superficiale “non ne parla benissimo” della Direttrice dell'orfanotrofio di Madripoor.

«Steve è salito in macchina con lei ed è scomparso.» afferma Tony lapidario, breve e conciso, sentendosi rispondere con una imprecazione telefonica da parte di entrambi.

«Capo.» interviene F.R.I.D.A.Y. placando la discussione in atto, accedendo sia al sistema vocale del Complesso sia all'impianto audio dell’auto condividendo i risultati della ricerca avviata in background, gelando il sangue nelle vene di tutti i presenti nel giro di una semplice frase. «Stando alla nostra copia della banca dati del Triskelion, il nome Elisa Sinclair è correlato a Heinrich ed Helmut Zemo.» 

«La madre. Steve è salito in macchina con Elisa Zemo.» sbotta James con qualche secondo di scarto necessario ad elaborare la frase recepita, sovrastando uno stridio di gomme sull’asfalto ed una cacofonia di clacson in reazione alla probabile inversione dell’auto da lui guidata. «Come diavolo è successo?»

«Se te lo spieghiamo per telefono non ci crederesti.» interviene Sharon pragmatica placando gli animi, incasellando il nuovo pezzo del puzzle in tempi record prendendo il controllo dell’intera situazione. «Noi prepariamo il Quinjet, le tenute e le armi, voi...»

«Noi avvisiamo Yelena e Clint, ricevuto.» la anticipa Natasha staccando la chiamata, sovrastando il motore dell’auto che stava andando sempre più su di giri.

«Siamo di nuovo in partita...» mormora la donna respirando a fondo, animandosi di colpo voltando le spalle al cugino dirigendosi a passo spedito verso l’ascensore chiamando il piano per l’armeria, tenendogli aperta la porta scoccando uno sguardo di scuse in risposta a quello rassegnato a Pepper. «Odio chiedertelo, ma sei dei nostri Tones?»

«Torna intero.» lo anticipa la moglie evitandogli l’incombenza di fingersi combattuto, ormai consapevole dopo anni trascorsi al suo fianco che lui non sarebbe mai stato in grado di restare a casa con le mani in mano, soprattutto se c’era Steve di mezzo e lo scontro implicava il coinvolgimento diretto della cugina. «Solo… torna tutto intero.»

«Senza nemmeno un graffio.» sospira Tony guadagnandosi un bacio a stampo quando raggiunge Pepper ai piedi del divano, posandone uno sulla fronte di Morgan a sua volta. «Papà torna presto, promesso.»





 

Note:

1. Rebecca Barnes, la sorella minore di Bucky e Steve, dopo la morte dei genitori James si era preso la custodia. L'intera storia verrà sviluppata meglio nei prossimi capitoli, per ora vi basti sapere che i tre erano molto legati, rispetto a questo arco narrativo Rebecca è cronologicamente morta circa un paio di anni prima ed hanno presenziato entrambi al funerale. 

2. Traduzione dal russo: "instilla paura". La bobina di Biancaneve con i fotogrammi per il lavaggio del cervello sono visibili nella 1x05 di Agent Carter. 

3. Angolo speculazioni: E.D.I.T.H. a mio avviso è un sistema di sicurezza troppo sofisticato per un Tony Stark che canonicamente ha deciso di appendere l’armatura al chiodo, quindi – tralasciando l’utilizzo opinabile che se ne fa in Far From Home – ho riconvertito l’A.I. in una commissione da parte del Signor Paranoico per avere un accesso facilitato a qualunque struttura, portale, o arma senza passare necessariamente per lo SHIELD o il Complesso, considerato che ora come ora – sia nei miei scritti, che nel MCU – Fury se ne sta rintanato sulle Mura (AKA quello che presumo sia lo S.W.O.R.D. e si vede nel post-credit del film sopra citato) a controllare tutti i suoi pargoli dall’alto dello spazio. Va da sé che l’acronimo differisce di troppo dall’uso finale, quindi il nome del nuovo giocattolino targato Stark resterà a navigare nel vuoto e va a vostra discrezione il come rinominarlo.



Avvisi dalla regia:
Se siete arrivati qui in fondo credo siate poco inclini a sorbirvi un secondo papiro, ma credo che a questo punto della storia un paio di parole siano doverose.
Ringrazio di cuore chiunque ha seguito questo "progetto mastodontico" fino a qui inserendolo nelle proprie liste o lasciando qualche commento, come credo possiate ben ipotizzare siamo giunti alla conclusione della prima parte di quattro e da questo momento in poi si entrerà nel vivo della storia, quindi mi auguro che la narrazione sia di vostro gradimento e come al solito qualunque commento/opinione è sempre ben accetto!

Detto questo, considerato il periodo che stiamo affrontando, mi auguro anche che voi tutti stiate bene e mi piace illudermi che nel mio piccolo vi ho saputo intrattenere strappandovi una risata, un mezzo infarto o aver suscitato una qualsiasi emozione che possa essere fonte di distrazione dal clima che si respira negli ultimi giorni. Principalmente per questo motivo vi annuncio che ho scoperto di avere un sacco di tempo libero (in realtà non così tanto, come i miei "amabili" professori hanno voluto precisare intasandomi la casella di posta con una quantità esorbitanti di progetti, ma questi sono dettagli), quindi la pubblicazione del prossimo capitolo potrebbe avvenire prima delle fantomatiche due settimane. Considerata l'aria che tira non escludo nemmeno l'idea di riuscire a concludere quest'ultimo "progetto mastodontico" prima della data di uscita del film di "Vedova Nera" (causa prevedibile, annunciato e puntuale rinvio della pellicola).
In ogni caso io sono sempre a disposizione per scambiare quattro chiacchere, in caso contrario ci risentiamo su questi schermi tra una settimana (probabilmente)!
Un abbraccio virtuale forte forte,
_T :*

   
 
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