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Autore: Crudelia 2_0    18/03/2020    5 recensioni
«Ginny» iniziò tormentandosi le mani e senza avere il coraggio di guardare l’amica «non metterò quell’abito, è troppo piccolo».
«Ma che dici, Hermione? Abbiamo la stessa taglia» Ginny la guardava con le sopracciglia corrugate, uno strano presentimento aveva iniziato a farsi strada nella sua mente.
«C’è un motivo se ho scelto di non frequentare Hogwarts il prossimo anno e dare soltanto gli esami».
«Lo so. Non mi hai ancora voluto dire di cosa si tratta, ma so che c’è un motivo» sussurrò Ginny. All’improvviso sostenere quella conversazione ad alta voce era diventato troppo difficile.
«A villa Malfoy, dopo che Bellatrix aveva finito con me, mi ha dato in mano a Greyback » disse Hermione con tono incolore.
«Sì» rispose Ginny con la bocca asciutta. Incrociò lo sguardo dell’amica e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non aveva finito, ma già aveva capito.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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Note: ecco, amici, il nuovo capitolo, lunghissimo! Se penso che l'ho partorito (perché di parto si è trattato: faticoso, doloroso, sudato e sanguinato) in così pochi giorni non posso crederci. Spero di non essere sprofondata nell'OOC (in tal caso fatemelo sapere) e di strapparvi un sorriso in uno di questi lunghi giorni.
Un abbraccio,
Crudelia
 
PS. a tutti coloro che hanno recensito: vi adoro!
 
 
 
 
 
 
...conseguenze!
 
 
 
 
Hermione aprì gli occhi su una parete ricoperta di libri. Il suo primo pensiero fu: ma quanti libri, quest'uomo non possiede altro.
Il secondo e il terzo pensiero furono, non in quest'ordine, ricordare chi era l'uomo in questione e Kathleen.
Si alzò di scatto, trovandosi a sedere in un letto che non era il suo con la figlia placidamente addormentata accanto. Si chinò sulla bambina e posò le labbra sulla sua fronte, sentendola fresca e asciutta. Sorrise e si alzò. Chiuse la porta alle sue spalle e camminò a piedi nudi senza fare rumore lungo il corridoio, quando arrivò al salotto lo trovò inondato della luce del sole mattutino.
Il padrone di casa, perfettamente vestito negli usuali pantaloni neri e camicia bianca (cosa che la fece pensare, nascondeva vestiti in altre parti della casa oppure era entrato nella stanza mentre lei e la bambina stavano dormendo?), era in piedi davanti alla libreria, un libro aperto tra le mani. Hermione conosceva quella posizione: la assumeva sempre quando doveva consultare un preciso dettaglio e sapeva dove trovarlo. Non un lettura di piacere, quindi.
«Buongiorno, professore» esordì, facendo qualche passo in avanti.
L'uomo non diede alcun segno di sorpresa, semplicemente annuì, come se avesse sempre saputo della sua presenza. «Granger»
Lei fece solo in tempo a pensare che era tornato al cognome, poi lui parlò di nuovo.
«È arrivata quella per te, poco fa» indicando con un gesto della testa una busta abbandonata in mezzo al tavolo spoglio.
Hermione si avvicinò e il cuore le saltò in gola quando riconobbe il simbolo che ne indicava la provenienza.
«Il Ministero!» disse, quasi strozzandosi con la parola. Lesse in fretta la missiva. Era in ritardo, in ritardo mostruoso.
«Che ore sono?» chiese alzando lo sguardo spaventato verso l'uomo.
«Le dieci» rispose pigro.
«Oh Merlino, perché non mi ha svegliato?!» chiese, la busta abbandonata tra le mani.
Finalmente Piton alzò lo sguardo su di lei. La guardò con aria di sufficienza prima di inarcare un sopracciglio. «E perché avrei dovuto?»
«Oh, Merlino» ripeté passandosi le mani tra i capelli, che erano un disastro. «Smith mi licenzierà»
Piton sbuffò, o forse fu solo una sua impressione. Non poté accertarsene, perché l'uomo aveva nuovamente chinato il volto e i capelli erano scivolati a coprirlo.
«Devo andare» bisbigliò, ma non riusciva a muoversi. «Io...»
«Sbrigati, Granger, se devi» la sollecitò Piton.
«Ma Kathleen...»
«Non la mangerò, Granger, se è questo che temi» la interruppe di nuovo.
«Oh, no, io...» possibile che qualsiasi cosa dicesse dovesse sempre finire con il sentirsi così in imbarazzo? «Non intendevo, se non vuole non...»
«Ho badato per anni a ragazzini pestiferi, una bambina non mi ucciderà»
«Non so cosa dire, io...»
«Granger» chiuse il libro di scatto, per dare peso alle sue parole. «Puoi evitare di vanificare il mio sacrificio presentandoti a lavoro ed evitando un licenziamento» la guardò eloquente e la scintilla che passò nei suoi occhi le disse che, se non fosse sparita subito e se avesse potuto, le avrebbe tolto una decina di punti.
Hermione non poté trattenere un sorriso. «Sì, signore». Prese la bacchetta e si smaterializzò, l'ultima cosa che vide fu l'uomo che alzava gli occhi al cielo.
 
 
 
Non andava. Non funzionava, e non capiva il perché. Aveva fatto tutte le ricerche e sperimentazioni del caso, non avrebbe mai dato un pastrocchio senza garanzie ad una bambina. Ma, ancora, non aveva funzionato.
Era frustrante non sapere cos'era andato storto: aveva seguito tutti i passaggi correttamente ed apportato modifiche personali. E, tendenzialmente, le sue modifiche avevano il vizio di andare a buon fine.
Non si spiegava quindi quella reazione. Immaginava che qualcosa sarebbe successo: la pozione doveva scatenare reazioni nella bambina, era ciò che voleva, ma non così, non quello. Aveva fatto bene Hermione a spaventarsi, anche se non glielo avrebbe detto: per curare la bambina le aveva dato una dose della pozione di guarigione che sarebbe stata sufficiente per un uomo adulto, in abbondanza, figurarsi per quel fagotto che non pesava trenta chili bagnato.
Mancava qualcosa alla soluzione, qualcosa di non prettamente fisico, ma magico. Qualcosa che sentiva appena al di fuori della sua portata, doveva solo...
«Dov'è la mamma?»
Piton alzò di scatto la testa e vide Kathleen all'entrata della stanza. Non si era ancora vestita e le gambe paffute e i capelli simili ad un groviglio la facevano apparire ancora più piccola. Si stava strofinando un occhio e su una guancia aveva ancora il segno rossastro di una piega del cuscino.
«A lavorare» rispose Severus tornando a leggere.
«E io?»
«Mi pare che tu non vada a lavorare». Nel silenzio che seguì Severus tornò ad immergersi nel libro, ritrovando immediatamente la concentrazione necessaria per escludere tutto ciò che non riguardava il "Trattato sulla modifica delle pozioni magiche e le loro conseguenze".
«Ho fame» fu interrotto di nuovo.
Questa volta si prese il suo tempo prima di guardarla, quando alzò gli occhi se la trovò davanti, perfettamente vestita nel suo pigiama rosa e con i capelli ancora in disordine.
Lanciò un'occhiata all'orologio. «È troppo tardi per fare colazione» disse. E con quello, per lui il discorso era chiuso. Chinò la testa, ma non aveva fatto i conti con la caparbietà della bambina.
«Ma io ho fame» disse spingendo in avanti il labbro inferiore.
Severus la guardò un secondo, intensamente. Quando capì che la bambina non avrebbe cambiato espressione si alzò, rivolgen gli occhi al cielo.
«Ti darò un'arancia» disse dirigendosi verso la cucina.
«Va bene» rispose la bambina trotterellando dietro di lui. Strano, pensò. Si sarebbe aspettato delle rimostranze.
Severus prese il frutto, un coltello e un piatto e li mise di fronte alla bambina, che ne frattempo si era seduta su una sedia. Poi si appoggiò al banco della cucina, le braccia incrociate.
Kathleen fece vagare lo sguardo dall'arancia all'uomo un paio di volte. «Me la tagli, per favore?» chiese infine.
«Un per favore apre mille porte» disse avvicinandosi e iniziando a sbucciare l'arancia con gesti rapidi e puliti.
«L'ho dice anche la mamma!» disse la bambina con un tono che Piton reputò troppo alto. Grugnì qualcosa in risposta, buttò la buccia del frutto, si lavò le mani e tornò in salotto.
Si sedette in poltrona e guardò il libro che aveva posato poco prima. Lo valutò con gli occhi, pensando a quanto sarebbe riuscito a leggere prima di venire nuovamente interrotto. Scelse di non scoprirlo, prese la tazza di caffè che ormai aveva dimenticato tempo prima e la riscaldò con un colpo di bacchetta.
Il caffè era amaro e caldo lungo la gola, ma lo aiutava a pensare. Si diresse verso la finestra e si perse ad osservare la strada sottostante. Cos'era che continuava a sfuggirgli?
«Cosa fai?»
«Penso». Non si girò neppure a guardarla.
«A cosa?» Ecco perché non gli piacevano i bambini, già si era pentito di non aver costretto la Granger a prendere la bambina e portarla a chiunque fosse più paziente di lui.
«Cose mie» disse fra i denti.
«E sono bei pensieri?» Ecco, quella era una domanda che una bambina di cinque anni non avrebbe fatto.
Abbassò lo sguardo trovando quello nero della bambina già nel suo. Alzò un sopracciglio, sorpreso.
Kathleen si strinse nelle spalle.
«Devo lavorare» borbottò dirigendosi verso la poltrona.
«E io cosa faccio?» chiese Kathleen correndogli dietro.
«Cosa vuoi, ma stai in silenzio» aprì il libro, deciso ad ignorarla finché l'appetito di uno stomaco di un bambino in crescita non sarebbe tornato ad infastidirlo.
 
Peccato che fu il suo, di stomaco, il primo ad infastidirlo e a ricordargli che era dal giorno precedente che non mangiava nulla, esclusa la sua grandiosa idea di riempirsi la pancia con l'ottimo liquore di Malfoy. Si alzò sbuffando, ignorando gli occhi della bambina che si sentiva incollati addosso.
La cucina, asettica e ordinata come il resto della casa, era di stampo meramente babbano. Aprì il frigorifero, regalo di Minerva dei tempi in cui anche solo impugnare la bacchetta gli procurava fitte lancinanti che partivano dalle dita per arrivare fino al collo, ma lo trovò desolatamente vuoto. Non che fosse una novità: i suoi pasti venivano consumati in fretta, di solito fra un lavoro e un altro, spesso in piedi. Erano passati i giorni in cui a riempirlo era Minerva, che quando non era impegnata a ricostruire e far ripartire la scuola si occupava di somministrargli pappette e medicinali. Quel compito, adesso, se l'era sobbarcato la signora Wilkes, che viveva qualche piano sotto e lo trattava come un figliol prodigo. Severus sospettava fosse stata Minerva stessa ad incaricarla, ma non aveva mai avuto modo di accertarsene. In ogni caso, ora si trovava incapace di soddisfare i bisogni suoi e del piccolo essere umano che l'aveva seguito ed era intento ad osservare i ripiani vuoti sbirciando tra la sua gamba e lo sportello aperto.
Chiuse la porta dirigendosi verso la dispensa, sicuro di poter preparare almeno due sandwiches. Di nuovo si chiese quale assurda convinzione non l'avesse fatto insistere con la Granger per portare la bambina a qualcuno più capace di lui.
Quando porse il piatto pieno alla bambina lei lo guardò diffidente, come un animale selvatico a cui per la prima volta si offre del cibo. «È il pranzo?» chiese arricciando le labbra, dubbiosa.
Severus sbuffò, non aveva fatto tutte quelle storia con l'arancia. «Sì» rispose semplicemente.
«Davvero? Un panino?» c'era un sorriso nascosto dietro la bocca aperta per lo stupore. Gli occhi sgranati, così, erano ancora più grandi del solito.
«Evidentemente» rispose l'uomo strascicando le lettere.
«Wow!» gridò la bambina spiccando un saltello sul posto. «La mamma non mi fa mai mangiare panini a pranzo!» e scoppiò a ridere in un modo che Severus non poté che catalogare come felice. Si sedette e iniziò a mangiare continuando ad osservarla, quella bambina era strana. E non si riferiva ai suoi ereditati problemi di licantropia, no, ma al modo in cui si rapportava con lui, un adulto pressoché estraneo. Era fiducia, la sua, incondizionata. Ma non quel genere di fiducia intrisa di rispetto e timore che tutti i bambini mostrano nei confronti di un uomo che non conoscono, lei si abbandonava alle sue cure come se da sempre lui si fosse occupato di lei, come se da sempre fossero stati in contatto, come se da sempre fossero stati amici.
Strana, decisamente, confermò la sua mente. Come la madre, che fra tutte le possibilità si era rivolta a lui.
Comunque, per non sprecare il tempo del pasto che era certo la bambina avrebbe riempito con vuote chiacchiere ad un volume inaccettabile, le fece la domanda che avrebbe dovuto farle da quando l'aveva vista in piedi. «Come ti senti?»
«Bene» rispose senza alzare gli occhi dal suo panino, a cui diede un altro morso con evidente soddisfazione.
«Ricordi cos'è successo questa notte?»
Kathleen annuì, la bocca piena.
«E ricordi come ti sentivi?» chiese Piton. Era una domanda difficile, se ne rendeva conto, ma tanto valeva provare.
La bambina finì di masticare e inghiottì prima di rispondere. «Ero stanca, avevo tanto mal di testa e un gran caldo» iniziò, la fronte corrugata. Severus notò senza commentare il modo di esprimersi della bambina: inusuale, per la sua età.
«Nient'altro?» insistette.
«Avevo tanto male ai denti» disse portandosi una mano alla guancia. Rimase ferma qualche secondo in quella posizione, poi parve non darvi ulteriori pensieri e finì il suo pranzo in due enormi bocconi.
Severus la guardò con un sopracciglio arcuato. «Hai finito?»
Kathleen annuì, accennando un sorriso e prendendo con entrambe le mani il bicchiere di succo di zucca che aveva davanti. Lo vuotò guardandolo.
«Fammi vedere i denti, allora» disse Severus alzandosi e avvicinandosi alla sedia della bambina, dall'altra parte del tavolo.
«Sei un dentista?» chiese Kathleen, di nuovo l'ombra del sospetto a scurire le iridi.
«No» rispose, ormai davanti a lei.
«I miei nonni lo erano»
«Apri la bocca» disse Piton, ignorando del tutto l'ultimo commento della bambina. Sicuramente si riferiva ai nonni materni, per quanto poco ne sapesse di Grayback dubitava avesse origine da una coppia con un curioso lavoro babbano. Si concentrò sui denti della bambina, ma non vide nulla di strano esclusi i canini particolarmente appuntiti.
«Hai ancora male?»
«No»
 
Severus annuì, spedendo con un gesto della bacchetta i piatti e i bicchieri a lavarsi nel lavandino senza nemmeno guardare, già voltato per metà verso l'alta stanza.
«Anche la mamma lo fa» commentò Kathleen seguendolo, sul viso sempre quell'espressione lontanamente estasiata.
«Ovvio, qualsiasi mago dotato di buonsenso lo fa» disse, stufo di essere continuamente associato alla madre.
«Non è vero, lo zio Harry e la zia Ginny non lo fanno» disse Kathleen, nella voce la sfumatura leggermente più forte di chi è solito non amare essere contraddetto. Come la madre, appunto.
«Non me ne stupisco» sbuffò Piton.
«Insegnavi anche a loro, vero?» chiese guardando. Così facendo rischiò di inciamparsi, e questo le strappò un'altra risata.
«Sì» rispose forzato Severus. Odiava le domande così sfacciatamente curiose.
«Erano bravi?» continuò Kathleen, interessata.
«No» rispose, le labbra arricciate in un sorriso sarcastico.
«Neanche la mamma?» chiese la bambina. Le domanda risuonò allungata dalla delusione, veloce ad arrivare.
Severus abbassò gli occhi fino ad incontrare quelli altrettanto scuri più in basso e vedere il labbro inferiore già pronto a sporgersi in un broncio. Ora, non era un uomo incline ai complimenti, ma avrebbe davvero distrutto l'idea che tutte le bambine covano a quell'età che la madre è la persona migliore del mondo? Una voce, nella sua mente, rispose che no, non l'avrebbe fatto.
«No, tua madre era molto brava» sussurrò, consapevole di non star mentendo solo per farle un favore. Hermione Granger era stata la studentessa migliore probabilmente dai tempi di Minerva. Kathleen si aprì in un sorriso che le illuminò gli occhi e mise in mostra le fossette.
«Lo sapevo» disse, ma era un sussurro solo per se stessa, dedicato alla sua propria soddisfazione.
Severus smise di badarci, arrivò al laboratorio e si dedicò alla pozione a cui stava lavorando. Gli ingredienti erano già ordinatamente posizionati davanti al tagliere, pronti per essere lavorati. Accese il fuoco, lento, e iniziò a tagliare le radici mentre aspettava di sentire il composto sobbollire.
«Cosa fai?» La voce di Kathleen gli arrivò da un fianco, in basso.
«Una pozione» rispose con tono ovvio, assicurandosi che tutti i pezzi tagliati fossero della stessa misura.
«Sono anguille» disse Kathleen dopo un paio di minuti di silenzio, durante i quali aveva camminato per il laboratorio semibuio e osservato gli ingredienti esposti sugli scaffali.
Severus alzò la testa e cercò la bambina con gli occhi, la fronte corrugata. Quando individuò la fonte dell'equivoco la corresse. «Sono pelli di serpente, non anguille»
«Ah» disse la bambina senza distogliere lo sguardo dal barattolo. «I serpenti sono le anguille della terra» concluse infine, proseguendo con l'esame. Severus non la corresse, non era più suo compito cercare di insegnare qualcosa a giovani testardi.
Tornò al suo lavoro: versò le radici e mescolò finché la pozione non variò colore da un verde fangoso ad uno più chiaro. Adesso avrebbe dovuto aspettare due minuti prima di passare alla fase successiva in cui doveva mescolare ininterrottamente (otto giri in senso antiorario e uno in senso orario) finché non avesse cambiato ancora colore sfumando in un giallo carico. Durante l'attesa aprì la finestra per far uscire il fumo che sapeva si sarebbe prodotto e, con gesti consumati da un'abitudine consolidata, arrotolò le maniche della camicia ai gomiti.
«Posso vedere?» chiese Kathleen e senza aspettare una risposta spostò uno sgabello, trascinandolo per tutta la stanca con un rumore sferragliante, fino a posizionarlo vicino al calderone. Ci salì in ginocchio, appoggiò i gomiti al bancone e si sporse in avanti.
«Cos'è?» chiese con espressione curiosa, ma non ottenne risposta.
«Più indietro, Kathleen» disse Severus spostando lo sgabello con una mano senza fatica.
«Perché?»
«Perché il fumo ti arriva in faccia» rispose prendendo il mestolo. Guardò l'orologio, aspettò gli ultimi dieci secondi e iniziò a mescolare.
«Posso aiutarti?»
«No» sibilò fra i denti. La bambina parve delusa, ma non perse interesse per il suo lavoro. Continuò ad osservarlo in silenzio, soffocando esclamazioni sorprese quando la pozione borbottava e cambiava colore.
«È un tatuaggio?» chiese ad un tratto.
Severus la guardò un attimo senza capire, poi seguì la direzione del suo sguardo rivolta al suo braccio sinistro.
«Sì» rispose. Non aveva pensato potesse accorgersene, era così abituato ad essere solo che compiva quei gesti sovrappensiero. Per la sua stessa salute, poi, aveva imparato ad ignorare il Marchio Nero il più possibile.
«Ma va via?»
«No» rispose riluttante. La bambina si lanciò in una spiegazione su tatuaggi babbani in grado di essere lavati, ma lui la ascoltò solo a metà, vagliando nella sua mente la bellezza della possibilità di far sparire il segno che lo uguagliava a Caino.
«E perché l'hai fatto?»
Severus si distrasse, legando i suoi occhi a quelli della bambina. Aveva porto la domanda con innocenza, senza conoscere il reale significato del Marchio, ma ne rimase colpito. Nessuno, prima, gli aveva chiesto le sue motivazioni. Non Silente, che quando avrebbe potuto farlo aveva deciso di occuparsi prima di salvare i Potter. Non Minerva, che quando avrebbe potuto farlo aveva deciso che ormai era acqua passata. Non sua madre, che quando avrebbe potuto farlo si era limitata ad abbracciarlo piangendo. E adesso veniva a chiederglielo una bambina di cinque anni, che ancora puzzava di latte e del mondo conosceva solo la parte più colorata.
Severus tornò a metterla a fuoco e per la prima volta la vide veramente: una bambina marchiata dalla bellezza della madre e maledetta dell'eredità del padre. Provò per lei un viscerale moto di empatia, entrambi segnati, ma per lei, se avesse avuto successo, c'era ancora la speranza di un futuro alla luce del sole.
 
Forse le avrebbe risposto, ma fu interrotto dal suono del campanello. Masticando imprecazioni che una bambina non avrebbe dovuto sentire, abbandonò il suo lavoro per dirigersi alla porta.
«Signora Wilkes»
«Severus, caro» la donna anziana sorrise sotto le labbra rugose. «Non vorrei disturbarti, ma il lavandin- oh, caro, non sapevo avessi una figlia!» Severus abbassò lo sguardo e vide Kathleen al suo fianco.
«Non è mia-»
«Come ti chiami, cara?» chiese con un lampo deliziato negli occhi.
«Kathleen Jean Granger» rispose tendendo la mano come aveva fatto tempo prima con Piton.
«Oh, ma che bambina educata» disse la signora Wilkes congiungendo le mani davanti al petto. «Non mi sarei aspettata niente di diverso da tua figlia, Severus, caro»
A quelle parole la bambina scoppiò a ridere. Una risata di pancia, che le fece chiudere gli occhi. Severus avrebbe ribattuto, ma vedere quella reazione lo ammutolì. Nessuno, specialmente così giovane, rideva in quel modo in sua presenza.
«Tieni, cara» disse allungandole una caramella. «E puoi chiamarmi Annie»
«Grazie, Annie» rispose Kathleen accettando il dono con un sorriso. La donna la guardò contemplativa ancora qualche attimo, poi si voltò e iniziò a scendere piano i gradini con l'aiuto del bastone.
«A presto, miei cari» si congedò.
Severus aspettò di vederla scendere la prima rampa di scale senza cadere. Quella donna era così fragile che temeva potesse spezzarsi anche solo se qualcuno l'avesse guardata troppo a lungo. Infine chiuse la porta, e tornò al suo lavoro. Kathleen lo seguì scartando la caramella e infilandosela in bocca.
«È la tua mamma?» chiese arrampicandosi sullo sgabello.
«No» rispose Severus riprendendo il mestolo in mano e cercando di ricominciare il conteggio senza errori.
«E il tuo papà?»
«Cosa?» chiese Piton. Non avrebbe risposto a domande campate in aria senza un senso logico.
«Ce l'hai?» specificò Kathleen.
«Tutti ce l'hanno»
«Io no»
«Anche tu, Kathleen. Tutti ne hanno uno» specificò, deciso.
La bambina guardò assorta la pozione prima di rispondere. «Ma il mio era cattivo»
Severus alzò gli occhi al cielo, spazientito. Di primo acchito le avrebbe risposto che anche il suo lo era, ma avrebbe dato vita ad un ciclo di domande a cui non voleva rispondere. Così scelse il silenzio, ancora una volta, e lascio che invadesse lo spazio fra i loro corpi e fra i loro pensieri.
 
Dopo un po' Severus tornò ad osservare la bambina, rimasta in silenzio. Pareva tranquilla e serena, ma l'aria appesantita del laboratorio, il caldo e il buio avevano reso pesanti le sue palpebre. Decise che avrebbe smesso fra cinque minuti, l'ultima cosa che voleva era la faccia di una bambina addormentata nel suo calderone. Aspettò il tempo deciso, poi spense il fuoco e coprì la pozione: l'avrebbe lasciata a riposare tutta la notte prima di imbottigliarla. Iniziò anche a riordinare gli strumenti, ma il trambusto diede nuova vita alla bambina, che decise di partecipare.
«Posa quel coltello, Granger» abbaiò secco.
La bambina lo lasciò cadere di scatto, colta di sorpresa. Poi si riprese. «Granger?» chiese allungando le vocali oltremodo e storcendo il naso.
«È il tuo cognome, no?»
«Ma nessuno mi chiama così!» disse la bambina ridendo divertita. Cosa ci fosse da ridere, poi, Severus non lo capiva, ma decise che non gli interessa scoprirlo mentre si dirigeva un'altra volta verso la porta alla quale avevano bussato.
«Professor Piton» lo salutò Hermione sorridendo, molto più sicura di sé nei suoi completi da lavoro.
«Granger» annuì.
«Mamma!» Kathleen arrivò urlando e si fiondò ad abbracciare la madre, che si chinò ad accoglierla fra le sue braccia.
«Ciao, amore» sussurrò fra i suoi capelli e stampandole un bacio sulla testa.
«Come si è comportata?» chiese tornado a guardare l'uomo.
«È stata...» brava, fu la parola che si incastrò sul suo palato. Se avesse voluto essere onesto l'avrebbe pronunciata, ma non si sarebbe complimentato per una bambina capace di seguire le normali regole dell'educazione. «...civile» concluse, ma dal modo in cui Hermione gli sorrise capì che lei aveva capito.
«Volevo ringraziarla, professore» iniziò. «Vuole venire a cena da noi?»
   
 
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