Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Harriet    20/03/2020    1 recensioni
Di come una ricca ereditiera brava con i numeri decise di lasciare l'agio e la sicurezza per una vita fatta di scienza e illegalità.
[Steampunk e vigilanti.]
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dietro le quinte della rivolta'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Partecipa al COW-T di Landedifandom. Missione 5, prompt: utilizzare una citazione latina per il titolo. La mia citazione significa "Chi ha i soldi naviga con il vento a favore" ed è tratta dal "Satyricon" di Petronio.
Go, team Kulutrek!
Questa storia fa parte di una serie, "Dietro le quinte della rivolta". Trovate anche le altre sul sito, e la serie è in aggiornamento. Se volete saperne di più su Ilran, sull'incontro misterioso del finale e su quel "cinque"...
Grazie per essere qui!



 
Quisquis habet nummos secura navigat aura
 
 
 
 Avrebbe potuto dire il costo di ogni ornamento che decorava la casa, di ogni gioiello che splendeva su sua madre e sua sorella, di ogni singolo ingrediente con cui era stato preparato il banchetto.
            Il costo della cascata di candele che percorrevano l’intero perimetro del salone. Il costo delle lanterne a reazione bio-movente che ondeggiavano nella brezza leggera, in giardino. Il costo del nuovo lampadario che pendeva al centro dell’atrio. Il costo delle nuove camelie di cui era stato riempito il giardino. Delle corone di fiori che riempivano la casa di un odore gredevole solo se ti dimenticavi che c’era. Il costo delle delicatezze sui vassoi che i domestici portavano nel salone, senza fermarsi un attimo. Il costo dei lavoratori in più, assunti solo per quell’occasione. Il costo delle gemme che i suoi genitori avevano regalato a lei e a sua sorella minore, da sfoggiare con tutta l’arrogante sapienza di chi sta mettendo in mostra il proprio ruolo, il proprio rango, il proprio posto nella scala della società, la propria ricchezza senza alcuna vergogna.
            Lilis sfiorò la sua, di pietre. Era rossa, incastonata in un girocollo d’argento lucido. Era interessante, quella scelta: si vestiva sempre di verde o di blu e i gioielli che portava erano sempre stati color oro, bronzo o rame. Ma era sicura che i suoi genitori non se ne fossero mai accorti. A Saira invece avevano donato un ciondolo blu intenso. A una che non aveva niente di più scuro di un rosa salmone. Ma certo era più semplice aprire un portafoglio che tenere a mente come si vestivano le tue figlie.
            Saira girellava tra le stanze, leggera ed euforica. La festa era per loro due, e lei non vedeva l’ora di godersela in pieno, sfruttando ogni singolo piacere e vantaggio che questa avrebbe portato. Saira, del resto, era stata cresciuta per sposarsi bene e piantare la radice familiare in qualche altra famiglia abbiente di Adraen. Lilis invece era la primogenita, quella che avrebbe gestito le fortune familiari insieme al fratello secondogenito. Per lui si prevedeva la carriera politica. Per lei c’era il ruolo di contabile e amministratrice. Da qui la sua dimestichezza con i numeri. Ogni cosa aveva un costo e lei era stata educata fin da piccola a conoscerlo, studiarlo, stimarlo, indovinarlo con sempre maggiore precisione. Sapeva tutto su come tenere i conti, calcolare entrate e uscite, dominare quelle infinite liste di numeri, imbrigliarli e imprigionarli in tabelle che andavano avanti per pagine e pagine, a perdita d’occhio.
            Si fermò sotto una delle lanterne a reazione bio-movente. Millesettecento monete. Ma non era quella l’unica cosa che Lilis sapeva dire sull’oggetto.
            La reazione bio-movente si basava sull’interazione tra quattro elementi, che, rinchiusi insieme in una piccola provetta inserita nella lanterna, reagivano costantemente tra sé, modificando la loro composizione e producendo così una luminescenza violacea molto potente. Quella reazione poteva andare avanti per settimane, finché gli elementi non cominciavano a deteriorarsi. Il bello di quelle lanterne era la semplicità dell’utilizzo: le accendevi e via. Non si spegnevano per un bel po’. Non erano pericolose – a meno che qualcuno non rompesse la provetta e decidesse di leccarne l’interno. E in quel caso, beh, non sarebbe certo stata colpa della lanterna, se la persona avesse avuto dei danni. Le provette con la reazione costante non erano troppo costose: si trovavano lumi con quel sistema anche al prezzo di cinquanta monete, un qualcosa di abbordabile anche per qualche famiglia di media fortuna. Il costo spropositato di quei lumi veniva dalla splendida fattura in ferro battuto anticato delle lanterne.
            Lilis proseguì il suo giro del giardino, appesantita dalla lunga e ampia gonna a sei strati. I tacchi degli stivali si impigliavano nel suolo umido a causa del periodo di pioggia terminati solo due giorni prima. Per ogni lampada avrebbe potuto dire non solo il prezzo, ma anche il meccanismo che la teneva in vita. Così anche per tutti macchinari che arricchivano la casa e miglioravano la vita dei suoi abitanti.
            L’avevano costretta ai numeri fin da piccola, e lei si era appassionata a un altro aspetto di essi. Non gliene fregava niente dei prezzi, delle entrate e delle uscite: lei voleva sapere come i numeri si combinavano per creare l’essenza delle cose. Matematica, fisica, scienze naturali, astronomia… Tutto era numeri, tutto era leggibile attraverso la scienza, che disegnava mappe meravigliose dell’esistenza. Potevano anche metterle davanti tabelle e conti da fare, ma lei in quei numeri aveva sempre visto ben altro.
            Era una serata bellissima, il ritorno di uno sprazzo di stagione gentile in mezzo a piogge e tempeste. Non c’erano ritmi fissi, lì, e quella era una delle molte cose drammatiche di Adraen che però potevano diventare interessanti, attraverso il filtro della scienza. Come sopravviveva la loro città, costruita su un incrocio di mondi e separata da tutto il resto, preda di temporali che straziavano la terra e di una nebbia velenosa e malaticcia che di tanto in tanto si estendeva su tutte le cose? Da dove venivano la luce solare, i guizzi delle varie lune, gli stralci di cielo stellato, i venti quasi impossibili da catalogare? Com’era possibile che quel posto sopravvivesse da secoli? Come mai la tecnologia, di tanto in tanto, andava riscritta da capo, perché sembrava che le leggi stesse della fisica, della chimica e della natura decidessero di mutare?
            Se avesse potuto, Lilis avrebbe dedicato la vita a quelle cose. Quello sì, che sarebbe stato un buon motivo per vivere.
            Non aveva alcun interesse a esistere dentro quella casa immensa, gloriandosi di avere più soldi della maggior parte della gente di Adraen e facendo pesare quel destino su chiunque non ne avesse uno altrettanto fortunato. Non aveva interesse a piegare i numeri alle crudeli leggi dell’economia e del mercato, né a forzarli dentro le celle di una tabella. Erano fatti per ben altro.
            I numeri erano fatti per ben altro.
            Lilis era fatta per ben altro.
            Immobile, al centro del giardino, ascoltò i rumori delle voci di coloro che cominciavano a fluire nella casa addobbata e imbandita. Riconobbe lo squillo del timbro materno e il roboante tono di suo padre, poi la voce ridanciana di suo fratello e infine il gorgheggiare di soprano gentile di sua sorella. E poi le voci dei servitori che riverivano e omaggiavano ogni singolo ospite. Scalpicciare di piedi veloci, rumore di tacchi e bastoni che percorrevano i pavimenti della casa, frusciare di vesti. Presto l’illusione di pace che le offriva il giardino sarebbe stata infranta.
            Presto tutte quelle persone sarebbero entrate nella casa.
            Presto quel mondo avrebbe fatto irruzione nella sua vita.
            Se Lilis fosse stata un numero, quella era la sera in cui l’avrebbero messa nella sua casella dentro a una tabella, dentro a un libro mastro, dentro un raccoglitore, dentro a un cassetto, dentro alla stanza dedicata alla cura delle finanze familiari.
            Li ascoltava invadere la sua casa come un esercito ridente e confusionario. Li aspettava, con la rassegnazione del soldato avversario che è rimasto l’ultimo del suo schieramento, e vorrebbe arrendersi ma in fondo sa che nessuno gli mostrerà alcuna pietà.
            Li aspettava come un numero ancora imprigionato nell’inchiostro, che sta per essere scritto al suo posto, per sempre.
            Arrivarono, com’era ovvio, e prima che potesse decidere una qualche strategia di sopravvienza, erano già tutti intorno a lei, trascinandola da un parte e dall’altra, offrendo omaggio e sottomissione, cercando di comprarsi il suo favore o di impressionarla.
            «Sei una donna splendida, Lilis!»
            «Ventisei anni? Non ne dimostri venti!»
            «La casa prospererà quanto sotto tuo padre, quando comincerai a prendere in mano le cose, vedrai.»
            «È vero che sai guidare i mezzi a motore? Un’attività insolita, per una persona del tuo rango, ma tutto può tornare utile.»
            «Ma che vestito splendido!»
            «Questa pietra rossa è un portento!»
            «Certo, è un po’ strano, un gioiello rosso su un abito verde e marrone, ma di sicuro ne sai più tu, di moda, no?»
            «Dicono che tu sia davvero bravissima, a fare i conti. Ti servirà. Contare tutti i soldi della tua famiglia deve essere un lavoraccio, eh?»
            «Sei bellissima Lilis. Vedrai che la fortuna sarà sempre dalla tua parte.»
            «Quando si ha un patrimonio come la tua famiglia, si ha sempre la fortuna dalla propria parte.»
            «E dimmi un po’: di fidanzamento non se ne parla?»
            «Non ti sarai fatta contagiare dalla moda di quelli laggiù in fondo di fare la donna indipendente e non sposarti?»
            «Per carità! Ci credi che c’è qualcuna che non vuole fare figli?»
            «E lo dicono come se fosse un vanto!»
            «Ma che vuoi che facciano? Sono popoli inferiori, quelli. Perlomeno noi abbiamo gli antenati nel mondo giusto.»
            «Ah, sicuro! Ci siamo portati un po’ di civiltà, dal nostro mondo.»
            «Esatto. Adraen l’abbiamo costruita noi!»
            «Sentito, Lilis? Facci un po’ di bravi figli con i valori giusti. Adraen ne ha bisogno!»
            «Sentito, Lilis?»
            «Non è vero, Lilis?»
            «Ma insomma, qual è il tuo prossimo progetto, Lilis?»
            Le risposte erano selezionate in una rosa di cinque, opportunamente revisionate ogni volta, per renderle adatte alla domanda.
            «Vedremo, vedremo.»
            «L’importante è guardare al futuro.»
            «Ho molti progetti.»
            «Prevedo grandi cose.»
            Un sorriso particolarmente caldo e uno sguardo apparentemente complice.
            All’occorrenza le risposte si potevano anche combinare, e con l’aggiunta di un tocco sul braccio, un complimento ben piazzato e una risatina ogni tanto, Lilis riuscì ad arrivare fino alla fine della cena.
            Era davvero un bravo numero, Lilis, nella sua casella, nella sua tabella, nel suo librone infernale dal quale non si poteva scappare.
            Poi la notte si fece più profonda e tutti uscirono in giardino a ballare. C’erano quattro strumentisti eccezionali. Lilis sapeva dire il costo del loro ingaggio e il costo di ogni strumento. Sapeva dire il ritmo della musica che suonavano, la quantità di note in ogni battuta. Sapeva dire il funzionamento degli strumenti, i principi della fisica su cui quelle meraviglie erano costruite.
            Le melodie erano tutte note: erano i pezzi scritti dai compositori che condividevano una storia comune con quel tipo di persona che affollava la sua casa. Erano canzoni di appartenenza a un popolo, canzoni che narravano di fortuna e successo, canzoni che esaltavano i pilastri di un certo stile di vita.
            A un certo punto però qualcosa cambiò. Tra un inno solenne e una canzonetta amorosa, ecco spuntare fuori un pezzo assai insolito, per quell’occasione. Era un brano struggente, che cominciava con una cascata di note suonate su corde pizzicate, a cui poi si aggiungevano archi malinconici e un canto quasi sussurrato. Dove l’avevano trovato?
            No, la domanda era un’altra. Dove l’aveva già sentita, quella perfetta partitura di numeri che s’inseguivano per regalare la magia di una canzone?
            Se lo ricordava. Un artista di strada, qualche mese prima. Quello era un pezzo che piaceva alla gente laggiù in fondo, ai disperati di Adraen. Quella canzone era una ninna nanna rassegnata e al tempo stesso un grido di battaglia clandestino. Chissà perché i musicisti l’avevano voluta inserire nel loro repertorio.
            Ma non li avrebbe mai ringraziati abbastanza per questo.
            Rise più di prima, danzò con tutti quelli che glielo chiedevano e sollevò il bicchiere per cento brindisi.
            Poi lasciò il giardino.
            Non ci avrebbe messo piede mai più.
            Andò in camera e trovò una borsa, che riempì con una certa cura, sebbene di fretta, ponderando bene cosa le sarebbe servito. Si tolse il gioiello con la pietra rossa, sedette alla sua scrivania e scrisse una breve lettera ai suoi familiari.
 
            Non dubitate mai del mio amore o della mia gratitudine, ma per il bene della mia pace mentale, non posso più rimanere qui. Rinuncio ai miei beni e al nome della mia famiglia, non per disprezzo verso di voi ma per onorare ciò in cui credo.
            Non sono nata per incasellare i numeri e calcolare il prezzo delle cose. Servirò i numeri in un altro modo.
            Vi prego di non cercarmi. Sappiate che parto libera e soprattuto felice.
            Auguro a ciascuno di voi la stessa libertà, la stessa felicità.
 
            (Non più) Lilis
 
            Si svestì e indossò i suoi abiti più comodi e amati. Per il momento mise gli stivali di cuoio nella borsa, che mise a tracolla. Scavalcò la finestra e si arrampicò lungo il glicine, vecchio e resistente, con i suoi forti rami che tante volte aveva saggiato, salendo e scendendo. Inebriata dal profumo dei fiori e dal battito del suo cuore, che solo in quel momento realizzava pienamente la sua scelta, discese lungo la pianta tanto amata e balzò giù, sull’erba del giardinetto secondario sul retro della casa. Trovò la porticina che conduceva fuori da lì. Aveva lasciato in camera tutte le altre chiavi della casa che possedeva, tranne quella. La aprì e uscì, poi la richiuse, prese la rincorsa e la lanciò dall’altra parte del muro. Non voleva avere più nessun modo per tornare indietro. Si fermò a calzare gli stivali, respirò a fondo e poi cominciò a camminare.
            Non sarebbe più tornata a casa.
 
            Per dodici giorni visse tra stanzette solitarie in locande fuori mano e passeggiate sulla spiaggia. Per dodici giorni visse senza nome. Poi trovò un nome e un obiettivo.
            Il nome era quello della prima scienziata che aveva studiato il cielo di Adraen, un secolo e mezzo prima. Ilran. Quello era davvero un nome che le assomigliava. Il cognome non le sarebbe servito.
            L’obiettivo in realtà era un sogno strano, un desiderio inopportuno che qualche volta, in passato, era venuto a visitarla, a notte fonda.
            Aveva vent’anni e camminava da sola attraverso un mercato – un posto approvato dalla sua famiglia, considerato degno di lei. Ma non è detto che un posto sia sicuro, anche se è frequentato da persone ricche. E infatti lì c’era un uomo ricco con il suo seguito, che aveva qualche problema con suo padre. E quale modo migliore per danneggiare un uomo, se non rifarsi sulla sua famiglia?
            Ilran, che allora era ancora Lilis, era stata accerchiata e trascinata nell’ombra. Forse vi sarebbe rimasta per sempre, nell’ombra, se non fosse spuntata una donna dai capelli rossi, che con due proiettili e un calcio ben assestato era riuscita a strappare via Lilis al suo destino.
            Solo dopo molte indagini e domande Lilis aveva scoperto chi fosse quella donna: il capo di un’accozzaglia colorata di vigilanti, gli Aedi. Combinavano guai, se la prendevano con qualche corrotto, di tanto in tanto salvavano qualcuno da un orribile destino.
            Anni dopo il loro capo era stato catturato e ucciso. La notizia aveva stranamente ferito Lilis, che conservava ancora il ricordo di riccioli rossi e foga irruenta. Però gli Aedi non si erano fermati. Anzi, erano come rinati, dalle ceneri della loro guida, diventando piò organizzati e temibili – o così dicevano quelli che li consideravano dei nemici.
            Ma c’erano state notti insonni in cui, cercando un’illusione da inseguire per acchiappare il sonno, Lilis aveva pensato che sarebbe stata una vita interessante, quella del vigilante.
            Adesso Ilran aveva la possibilità di viverla.
 
            Trovare gli Aedi fu una lunga avventura. Ilran domandò ovunque, e da tutte le parti le dissero che sarebbe stata ricontattata proprio da loro. Ma poi tutto si perdeva e lei non ne sapeva più nulla. Era logico che fossero ben nascosti e protetti, però a un certo punto si era quasi scoraggiata. Forse sarebbero rimasti per sempre un bel sogno a cui aggrapparsi nelle notti insonni.
 
            Aveva trovato un lavoro come apprendista nella bottega di un riparatore di meccanismi di vario tipo. Lavorava lì da due mesi e tutti la consideravano già molto più brava del suo capo. Non portava più i capelli corti, ma vi aveva attaccato lunghissime treccine fucsia e rosa, e si truccava di colori non concessi in casa: verde intenso, bianco, oro. Non portava più occhiali dalle ampie lenti cerchiate d’oro, ma ne aveva un paio dalla fine montatura color rame, di forma esagonale. Sulla pelle nera del braccio sinistro spiccava un tatuaggio: un motore, e non uno a caso. Il motore che animava l’organo a doppia trazione, uno degli strumenti musicali che le avevano sussurrato la canzone giusta per sfuggire al suo destino di incasellamento.
            Un giorno stava lavorando in cortile, quando si trovò davanti una persona giovane, dall’aria apparentemente smarrita. Una figura androgina ed elegante. Non di grande altezza, con un corpo esile e un viso dolce e delicato, occhi neri allungati, sopracciglia arcuate e fini. La bella bocca era dipinta con una sfumatura di rosso scuro. I capelli erano neri e mossi, e arrivavano alle spalle. Vi erano intrecciati dei fiorellini azzurri. La persona indossava un abito blu notte su cui era stata cucita una distesa di perline cangianti. Un cielo stellato semovente.
            «Buongiorno. Desideri qualcosa?»
            «Tu sei Ilran, vero?» domandò, con una voce cupa, intrisa di miele. L’aria smarrita scomparve, lasciando posto a un sorriso sicuro.
            «Sono io.»
            «Mi è giunta voce che saresti interessata a una carriera un po’ diversa da questa.»
            «Non sono sicura di aver capito.»
            «Credo che ti piacciano gli avventurieri, i mercenari dotati di senso dell’onore e le persone che tentano di dare una parvenza di civiltà a questa nostra disgraziata città. O mi sbaglio?»
            «No, no, hai ragione.» Si fermò, realizzando con quanto impeto le fossero uscite quelle parole.
            «Allora sei la persona giusta.»
            «Sono io. Vi ho cercati tanto.»
            «Lo so. È per questo che sono qui. Hai cercato nel modo giusto. Perdonami per averti fatta aspettare, ma il mondo è pieno di nemici. È difficile, districarsi e capire chi sono gli amici. Dimmi, Ilran: cosa vuoi fare?»
            «Essere una di voi.»
            «Proviamoci. Per il momento continua a fare la tua vita. Sei una riparatrice molto stimata. Ogni tanto ti chiameremo. E se vorrai aiutarci, ne saremo ben contenti. Poi… Vedremo come tutto evolverà. Ci sono molti modi in cui si può essere amici degli Aedi.»
            «Va bene.»
            «Qualche domanda?»
            «Come ti chiami?»
            «Te lo dirò più avanti.»
 
            Glielo avrebbe detto tre mesi dopo. Si chiamava Yedra. Era il capo degli Aedi. Glielo disse nella stessa occasione in cui le propose di diventare un pezzo più importante dell’organizzazione.
            Sei mesi dopo diventò il suo braccio destro.
            Un anno dopo il loro legame aveva cambiato nome e c’era una storia tutta nuova da scrivere. Ilran era amica dei numeri, e il numero cinque per lei cominciò a significare famiglia e amore.
            Con i soldi, la fortuna era dalla tua parte. Con gli amici e un ideale, dalla tua parte c’erano solo la sfiga più nera e un bel po’ di sofferenza.
            Ma non c’erano caselle, tabelle, libri mastri, raccoglitori, cassetti, stanze chiuse a chiave.
            Ilran si svegliava tutti i giorni e toccava un pezzettino di libertà. E per quello, valeva la pena di sopportare tutto il resto.

 





Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Harriet