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Autore: Bluelectra    21/03/2020    9 recensioni
Sequel de "IlDestinoNonÈUnaCatenaMaUnVolo".
Dal Caos primordiale, in cui nessuna forma di vita poteva essere ospitata, nacquero le stelle. E solo grazie alla loro luce e al loro calore fu possibile concepire la vita.
Il Caos dentro di sé, i dolori a stento sopportabili, le peggiori cose della vita possono essere trasformate in gocce di splendore, in stelle in grado di illuminare la notte più buia e riportare a casa i dispersi.
Ritornano dopo quattro anni Angelique, Albus, James, Scorpius e tutti gli altri.
Dal Cap.16:
“Avanti Gigì, ora devi iniziare a comportarti in modo carino. Insomma deve essere almeno possibile il fatto che tu sia attratta da me!” ribatté James sporgendosi oltre il tavolino che condividevano.
Angie fece lo stesso, avvicinandosi a lui fino ad avere il suo viso molto vicino.
“E che cosa dovrei fare?” chiese sorridendo in modo delizioso.
“Beh per esempio potresti darmi un bacio, ci sono giusto quattro o cinque ragazzine che ci stanno guardando proprio adesso…” mormorò lui continuando a fissarla con i suoi occhi magnetici.
“Oppure potrei darti un pugno sul naso.” propose Angelique inclinando il capo.
“Oh Gigì, ma questo non è per nulla carino.”
“Io lo troverei adorabile!”
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Cap.37 Fix you

Cap.37 Fix you

“Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto

Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono

Supererò le correnti gravitazionali

Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

Ti salverò da ogni malinconia

Perché sei un essere speciale

Ed io avrò cura di te

Io sì, che avrò cura di te”

Franco Battiato, La Cura.

 

“Se mi costringono a restare un altro giorno ferma in questo maledetto letto, do fuoco all’infermeria.”

“Non ti agitare che ti torna mal di testa.”

“Giusto, ripetimi invece ciò che sai sulle Maledizioni Senza Perdono.”

“Oh cavolo Martha, avevi proprio ragione! Ecco che arriva il mal di testa.”

“Nana, c’è poco da scherzare, tra un mese ci sono i G.U.F.O. Dobbiamo farti recuperare tutto quello…”

“Ah, che dolore!”

Elena si accasciò teatralmente contro i cuscini del letto, con una mano sulla fronte. Rimase immobile per parecchi secondi, sotto lo sguardo scettico delle due amiche, e quando sbirciò con un occhio attraverso le dita della mano, Angie inarcò un sopracciglio con cipiglio severo.

Elena sospirò, arrendendosi al proprio fato. Si rimise a sedere e, grattandosi la testa, disse:

“Ti sbattono in gattabuia, se ne scagli una.”

“Sintetica, ma efficace, non c’è che dire. Quali sono e che cosa provocano?” proseguì Angelique imperterrita.

E mentre Nana riassumeva le proprie conoscenze sul Crucio, che avrebbe tanto voluto usare sull’amica, Martha si accigliò ad osservarla.

Dopo il risveglio dal coma, Nana aveva spesso delle emicranie molto dolorose. Secondo i Medimaghi, che erano venuti a visitarla, era una conseguenza abbastanza frequente del tipo di trauma che aveva subito. Le avevano anticipato che avrebbe potuto avere anche delle piccole amnesie, di fatti accaduti poco prima o di episodi passati, ma che non si sarebbe dovuta preoccupare. Era stata molto fortunata ad essersi svegliata praticamente illesa.

Raccontarle che cosa le fosse successo era stata la parte peggiore, poiché Elena aveva ammesso di non avere un ultimo ricordo preciso, ma una massa indistinta di flash dei giorni precedenti all’aggressione. La cosa più strana di tutte era che non ricordava assolutamente nulla dei Cavalieri di Santa Brigida e delle sue ricerche, come se il coma si fosse portato via tutti i ricordi.

Martha aveva dovuto descrivere come meglio poteva la visione che aveva avuto e l’intervento della madre di Nana, o del suo fantasma se così si poteva definire. Non si era stupita di vederle chinare il capo e piangere sommessamente.

Poteva solo immaginare che cosa si fosse mosso nell’animo di Elena sapendo che la madre, che credeva l’avesse abbandonata preferendo rinunciare alla propria vita, avesse trovato il modo di salvarla, scavalcando i confini della morte. Era qualcosa che a stento riusciva a comprendere lei che era stata il tramite di Ophelia Zabini e che conosceva la potenza della Magia Primordiale.

Martha era altresì convinta che quella catena di eventi avesse un significato più profondo e, con ogni probabilità, più oscuro di quello che sembrava. Non sapeva come definire la sensazione che la pervadeva quando ci pensava, ma era come un brivido sotto la pelle, una lieve scossa di inquietudine nelle braccia e lungo la schiena. Evitava di rimanere incastrata in quei pensieri, che portavano la sua mente lontana dal presente, facendo esercizi extra di Occlumanzia.

Non sapeva se fosse per la gratitudine di essere viva e in salute, per le rivelazioni su sua madre, per l’affetto un po’ impacciato ma sincero con cui il padre si stava occupando di lei, per Berty o forse per tutto l’insieme, ma nei grandi occhi di Nana l’ombra di malinconia era quasi sfumata del tutto. Sembravano tornati quelli che Martha ricordava di aver visto al primo anno.

 “Brava, ti ricordi tutto. Quindi ora possiamo passare alle tecniche di sopravvivenza in un attacco acquatico.”

Angie si era tolta le scarpe e aveva posato i piedi sul letto di Nana. I suoi capelli erano raccolti in un gonfio chignon sulla sommità del capo e brillavano come tanti fili d’oro nella luce del pomeriggio. Teneva lo sguardo fisso sugli appunti e con le dita sottili aveva preso a stuzzicarsi il labbro inferiore, strappando pellicine probabilmente inesistenti.

“Oppure possiamo passare ai ringraziamenti.” Nana parlò con voce leggera, ma il suo sguardo si era fatto serio.

Angelique sollevò la testa stupita e agitò in aria la mano destra.

“Non devi ringraziarmi, serve anche a me ripassare e poi…”

“Non sto parlando di Difesa Contro le Arti Oscure, ma di quello che avete fatto per me.” La interruppe Elena. “Berty mi ha raccontato tutto, della tua visione Martha, della sonda nel naso di Angie, delle giornate intere che avete passato su quelle sedie di plastica a farvi venire il culo quadrato, solo per parlare con me, per restare qui. Non so che cosa io abbia fatto per meritarvi, però… grazie, davvero.”

Martha sentì la vista offuscarsi e distolse lo sguardo, cercando in tutti i modi di trattenersi dallo sciogliersi in un fiume di lacrime. Dopo qualche secondo di silenzio, Angelique fissò uno sguardo scintillante di commozione e di felicità su Elena, sorridendole sorniona.

“Lo hai fatto apposta, vero?”

Elena ricambiò il sorriso e si strinse nelle spalle, con aria colpevole.

“Forse solo un pochino. Adoro vedere che vi sciogliete per me… Ah Angie, sembrerebbe che tu ti sia sciolta anche per qualcun altro.” La voce di Elena era intrisa di un profondo divertimento, come se non avesse visto l’ora da molto tempo di tirare fuori quell’argomento. Angelique dal canto suo avvampò e si affrettò a rispondere con un tono distaccato.

“Non direi proprio.”

“Ah sì? E come mai sabato sera ti ha accompagnata fin qui?” la incalzò Nana sorridendo sempre di più, mentre l’altra annaspava farfugliano parole indistinte per giustificarsi.

Martha, segretamente divertita dalla confusione in cui gettava Angie anche solo sottintendere Potter, decise di approfondire l’argomento tabù.

“Guarda che non c’è nulla di male nel fatto che ti piaccia qualcuno… Anzi direi che è proprio arrivato il momento di fare nuove esperienze.” Le disse con un lieve sorriso, nascondendo la voglia di sogghignare come Elena.

Le ciglia di Angelique sfarfallarono per qualche secondo e la ragazza chiese con un filo di voce:

“In che senso nuove esperienze?”

“Oh Merlino, ma è sempre stata così tonta o sono diventata intollerante io alle perdite di tempo?” sbottò Elena.

“Ehi!” Angelique prese una benda dal letto accanto e la tirò verso Elena, colpendola sul braccio.

“Angie, intendiamo uscire con un ragazzo che non sia fidanzato, né tra l’altro con un padre psicopatico, possibilmente che ti piaccia pure.” Chiarì Martha osservando attentamente l’amica, che inaspettatamente inclinò le labbra carnose in un sorriso sotto i baffi.

“Oh beh… Io non è che abbia esattamente pensato a uscire con lui… Però ho invitato Jessy al ballo di venerdì, vale come nuova esperienza?”

“Per la giarrettiera di Morgana! Certo che vale, che cosa aspettavi a dircelo?” Se solo le fosse stato permesso, Elena si sarebbe lanciata fuori dal letto per esultare. Da anni faceva il tifo per James Potter, elogiando qualunque lato della sua persona, in particolare quello posteriore.

Il sorrisetto di Angelique tuttavia si spense quasi subito e la ragazza scosse il capo dubbiosa.

“Io… Non lo so. Ho agito d’istinto, ma non sono molto convinta che sia stata una buona idea.”

“Penso che ormai tu abbia accettato il fatto che ti piaccia Potter, quindi qual è il problema?” la incalzò Martha.

“Pensa te, quante cose che mi sono persa!” Elena sembrava sinceramente divertita, ma Angie si mise a fissare la parete di fronte a lei e il suo sguardo si fece lontano.

Aveva sempre pensato che Angie avesse dentro di sé un’energia particolare, una sorta di luce che non era immediatamente percepibile, nascosta sotto i sotterfugi con cui lei tentava di mascherare la propria natura. Secondo Martha, era l’essenza dell’amica, la stessa per cui Potter l’amava in quel modo viscerale e ostinato. Da quando Schatten aveva spezzato il suo cuore e le sue speranze, ogni tanto quella luce se ne andava via. Capitava che nel bel mezzo di un sorriso o di un discorso, da un momento all’altro Angie perdesse ogni espressione. I suoi occhi venivano catapultati in un modo inaccessibile e doloroso, e in quei momenti Martha sapeva che lei stava ricordando Derek.

“Ho paura.” Ammise Angie con un filo di voce. “Ho paura che non vada bene, di sbagliare ogni cosa, di farlo scappare a gambe levate, di rovinare quello che c’è ora. Ma più di tutto ho paura che vada bene. Ho paura di provare ancora cose che mi sono costretta a dimenticare, perché erano diventate intollerabili. Ho paura di accorgermi che voglio di più da lui e non so se sono davvero pronta per… tutto. Non so come sia uscire normalmente con un ragazzo, non so come ci si provi con un ragazzo! Non so niente, le mie esperienze sono al limite del surreale e… Mi sento inadeguata.”

“Beh… Tu sì che sai come prendere le cose con leggerezza!” Le parole di Elena indussero Angelique a voltarsi verso l’amica con ancora negli occhi l’ombra dei ricordi, ma dopo qualche secondo si mise a ridere.

Ciò che le era stato fatto, probabilmente se lo sarebbe portato dietro per tutta la vita. Le parole che aveva appena pronunciato ne erano la prova, tuttavia non poteva vivere nella paura di provare ancora emozioni, altrimenti sarebbe finita sotto una perenne campana di vetro. Senza che nessuno potesse più toccarla e senza poter toccare a propria volta. Mentre Angie aveva un disperato bisogno di contatto e di amore, sincero e pulito, come aria fresca nei polmoni dopo una lunga apnea.

“Lo so che cosa hai passato a Natale e i mesi dopo, Angie. E posso solo immaginare quanto tu sia terrorizzata all’idea di sentirti ancora come quando vegetavi davanti al camino per ore, anche perché non eri un bello spettacolo, lasciatelo dire… Però ricordati che James non è Derek e tu non sei più la stessa persona. Quello che è successo ti ha cambiata. È tutto diverso questa volta, non lasciare che il passato ti rubi il presente. Tu sei qui ed ora.” Le disse Martha prendendole una mano e stringendola tra le proprie.

Angie annuì pensierosa e le rivolse un timido sorriso. Elena le diede un buffetto sulla testa e le disse:

“Ah, nel tuo immediato presente limonalo durissimo.”

A quel punto Martha non resistette più e scoppiò a ridere, mentre Angie agguantava un cuscino dalla brandina accanto e lo tirava addosso a Nana.

***

Rose Weasley aveva pensato nei primi anni della sua vita ad Hogwarts che lo smistamento di Dom fosse stato un errore. Osservando la sua perenne aria trasognata, i suoi interessi per la cosmesi, la botanica e altre discipline babbane, la sua propensione ad applicarsi solo in ciò che stimolava la sua curiosità, Rose aveva pensato che sarebbe stata una perfetta Corvonero.

Quanto era stata ingenua.

La verità era che Dominique era dotata della personalità più subdola e manipolatrice del mondo, in grado, con un’esclamazione in francese e un sorriso smagliante, di convincerti a scendere nelle bolge infernali per fare un pic-nic in sua compagnia e a portare pure il cestino.

Dominique era perfida, una vera Serpeverde, che si approfittava delle debolezze altrui per ottenere ciò che voleva. E l’opinione che aveva in quel momento della cugina non c’entrava nulla col fatto di essere stata incastrata, proprio per niente! Sicuramente non c’entrava col fatto che stesse aspettando Malfoy in biblioteca, come una poiana con la sua preda.

Più che una poiana si sentiva un piccione. Goffo e poco sveglio.

Lo vide entrare nella sala studio col solito passo cadenzato ed elegante, teneva il libro di Trasfigurazione stretto nella mano sinistra, mettendo in evidenza i tendini sulla pelle nivea.

Ne incrociò lo sguardo quasi all’istante e si chiese come poter resistere alla tentazione di prendere a schiaffi quel faccino pallido, sui cui anche il più semplice sorriso assumeva le sfumature di una beffa.

Rose si alzò dalla propria sedia mentendo il contatto visivo e gli fece un cenno del capo verso gli scaffali alle sue spalle.

Già una volta in quello stesso luogo lei si era ritrovata tra le sue braccia, sperando con tutta sé stessa che la baciasse, ma lui non l’aveva accontentata. Questa volta veniva da due sconfitte brucianti e Rose non sopportava perdere.

“Ciao Weasley.”

“Malfoy.” Rispose voltandosi verso il ragazzo una volta lontani dagli altri studenti.

Sarebbe stato sciocco da parte sua negare l’effetto che le faceva averlo così vicino. Non le era mai accaduto prima, ma Scorpius riusciva a farle perdere la ragionevolezza, la calma, la saggezza, tutte doti che l’avevano resa il punto di riferimento delle cugine. Con lui invece le sembrava solo di essere in balia degli ormoni impazziti che le urlavano in ogni angolo del cervello di saltargli addosso.

“Non ti ho vista alla festa di sabato.”

Poi lui parlava e le rendeva tutto più semplice. Bastava poco per ricordarsi che era solo un arrogante e presuntuoso, che pensava di poter avere tutto e subito.

“Questo perché io non avevo alcuna intenzione di vedere te.” Gli rispose con tono asciutto appoggiandosi al mobile alle sue spalle e incrociando le braccia sotto il seno.

Gli occhi grigi di Scorpius scintillarono per quella provocazione gratuita, ma il luccichio dell’offesa durò solo qualche istante. Il giovane inclinò un lato della bocca, in un sorriso sbieco e socchiuse gli occhi.

“È interessante che tu continui a negare quello che c’è fra di noi, nonostante come reagisci quando poi io ti bacio” le disse con tono apparentemente leggero.

“Io non nego nulla. E non sono io quella che è scappata l’ultima volta, o sbaglio?” questa volta fu il turno di Rose di sorridergli con insolenza, mentre lo osservava inclinando il capo verso la spalla.

Malfoy si mosse verso di lei e Rose trattenne inconsciamente il fiato mentre le sue braccia la intrappolavano contro la libreria, posandosi ai lati del suo corpo. La testa bionda del giovane si chinò verso di lei e le sussurrò all’orecchio:

“Non sbagli, e sai perché l’ho fatto?”

“Oh, Malfoy. Ogni tanto mi fai tenerezza con le tue tattiche di conquista contorte. Pensi davvero che basti baciarmi a sorpresa per farmi confessare il mio amore eterno, cadendo ai tuoi piedi?” gli rispose tentando di nascondere dietro il sarcasmo i brividi che sentiva camminarle lungo le gambe.

Il ragazzo si scostò per poterla guardare in viso. Aveva un’espressione divertita, ma che celava una certa una certa rabbia, ma non abbastanza da ingannare lei.

“Non me ne faccio nulla di una ragazza che cada ai miei piedi. Io voglio te, io voglio questo.” E indicò quella loro strana posizione, a metà tra la sfida e l’attrazione. “Ma tu questo lo sai da tempo, Rose, io non mi sono mai nascosto dietro le bugie. Tu invece che cosa vuoi da me?”

Rose abbassò per un istante lo sguardo e cercò di non sorridere con troppa sfacciataggine.

“Beh, visto che me lo chiedi con tanta gentilezza, vorrei che consegnassi un messaggio.”

“Che cosa?” il tono e il volto di Malfoy erano semplicemente sbigottiti.

Rose tirò fuori dalla divisa una busta bianca e la sospinse contro il petto del giovane.

“Vorrei che consegnassi questo a un certo uomo argentino, che mi pare sia tuo ospite. E che mi portassi una risposta, per favore.” Gli disse col tono più amabile di cui era capace.

Scorpius afferrò la lettera e questa volta non celò minimamente la rabbia, che irruppe nei suoi lineamenti trasfigurandolo.

“Davvero Rose, è tutto qui?” Malfoy stava facendo un evidente sforzo per non urlare, ma a lei non importava. La sua furia, le sue reazioni finalmente esagerate erano rigeneranti per Rose. Se ne stava beando a dirla tutta.

“Sì, grazie. Sei molto gentile” gli rispose e lo allontanò da sé, liberandosi dalla gabbia delle sue braccia attorno al proprio corpo.

Gli voltò le spalle, fermamente intenzionata a non voltarsi, ma dopo i primi passi un pensiero le pungolò la mente. Se lui poteva permettersi di prendere senza permesso ciò che desiderava, perché anche lei non poteva fare altrettanto?!

Si voltò di scatto e tornò indietro, ritrovandolo nella medesima posizione in cui lo aveva lasciato, scuro in viso per la contrarietà. Malfoy aggrottò la fronte vedendola venire verso di lui con tanta decisione, ma non si mosse di un millimetro.

“In realtà, ora che ci penso, voglio anche un’altra cosa.” Gli disse prima di posare con decisione una mano sulla nuca del ragazzo e attirarlo verso di sé.

Scorpius era più alto di lei di parecchi centimentri, per questo per raggiungerlo dovette alzarsi sulle punte e indurlo a chinarsi verso di sé. Posò la bocca sulla sua, imprimendo in quel contatto quella massa confusa di emozioni che lui le faceva provare ogni volta. Lo baciò come più ne aveva voglia, con poca delicatezza, con urgenza, assaporando nella propria bocca il sapore della sua. E Scorpius rispose per le rime, afferrandole i capelli, intrecciando le gambe con le sue fino a far scontrare i loro bacini. Si ritrovò schiacciata tra il suo petto e la libreria, nell’impeto di quell’abbraccio in cui nessuno dei due sembrava voler lasciare spazio all’altro per fuggire. Nemmeno respirare aveva troppa rilevanza di fronte alla necessità di stringersi ancora e sentirsi attraverso i tessuti della divisa.

E nonostante il desiderio lancinante che provava per lui in quell’istante, Rose si fece forza e interruppe il loro divorarsi di baci. Gli diede un ultimo bacio sulla guancia e poi gli sorrise con un pizzico di malizia. Lo allontanò posando con decisione le mani sul suo petto e lo guardò dritto negli occhi.

“Buona giornata, Scorpius.” Si stupì non poco di essere riuscita a produrre un tono di voce quasi nomale. Col mento sollevato in una posa orgogliosa gli diede le spalle e se ne andò.

E quasi non riuscì a credere alle proprie orecchie quando ormai alla fine del corridoio lo udì sbellicarsi dalle risate.

***

Mon petit chou, mi passeresti la cartelletta che hai alla tua destra per favore?”

“Quale Dom?”

La testa bionda di Dominique si sollevò e strizzando appena gli occhi gli indicò con un gesto vago.

“Quella color lampone.”

James strabuzzò gli occhi e osservò perplesso i molteplici raccoglitori che per lui ricadevano nella medesima categoria di “rosa”.

“E di grazia, ma chère, come potrei capire quello che desideri in questa massa indistinta di colori identici.”

“Sei un tipo abbastanza brillante, sono sicura che riuscirai a paragonare il colore di un lampone a quelli che trovi proprio sotto il tuo naso.”

James prese una cartelletta a casaccio e la portò alla cugina.

“Jimmy… Questo è rosa cipria!” sibilò lei con un’occhiata torva.

James sbuffò sonoramente e ritornò verso il letto della cugina, che fungeva momentaneamente da archivio. Sollevò in aria uno per uno i raccoglitori mostrandoli all’altra finché non riuscì ad identificare il fantomatico “color lampone”. 

Mentre lo porgeva alla Weasley lesse le parole “Viaggio di nozze” vergate con la grafia svolazzante e sottile di Dominique. Sentì una fitta di dolore per lei, che non riuscì a nascondere abbastanza in fretta quando lei alzò di sfuggita il capo per ringraziarlo. Gli rivolse un sorriso dolcissimo, sfiorandogli la mano con la propria in un muto gesto di rassicurazione.

Era andato da lei per cercare di placare l’agitazione che lo pervadeva all’idea che si stesse avvicinando il 2 di maggio, ma come spesso accadeva, si era ritrovato a dover assistere al silenzioso massacro che ogni giorno si svolgeva nell’anima di Dom.

Aveva sempre saputo del suo amore per Teddy, forse prima ancora che se ne rendesse conto lei. Aveva visto come la consapevolezza della gravità dei propri sentimenti avesse lentamente e in modo irreversibile trasformato Dominique. Lei, che da bambina era quanto di più cristallino e trasparente esistesse, aveva trovato il modo di proteggere i propri segreti dietro uno scudo completamente impenetrabile.

Lei era diventata imperscrutabile, come la decisione di organizzare il matrimonio della sorella con il ragazzo che entrambe amavano. E conoscendola non poteva certo essere mero masochismo, no, Dom non era certo il tipo di persona che avrebbe buttato via la propria vita a struggersi per un amore impossibile.

“Perché lo fai?” le chiese di punto in bianco attirando la sua attenzione.

Dom comprese immediatamente quale fosse l’argomento di discussione. Gli occhi turchesi della ragazza si socchiusero e lei posò la penna d’oca con cui stava scrivendo gli appunti.

“Perché li amo entrambi, con tutto il mio cuore.”

“E dove trovi la forza di sopportare questo amore?” incalzò lui.

“Da ciò che di bello c’è nella mia vita, Jimmy. Dalle persone che mi vogliono bene e a cui posso volerne a mia volta, senza sentirmi un mostro. Primo tra tutti tu.”

James respirò a fondo, scosso dalla forza d’animo di Dominique, che agli occhi del resto del mondo altro non era che una ragazza sempre di buon umore e un po’ frivola.

“Mi sembra che tu sia più turbato di me per questo matrimonio, Jimmy.” Dom aveva posato i gomiti sui braccioli della sedia e lo osservava con attenzione.

“Lo sono, infatti. Ma al contrario di chiunque altro nella nostra famiglia, che pensa al futuro di Victoire e Teddy, io penso al tuo. Mi chiedo, mentre ti destreggi tra prenotazioni e piani, quanta desolazione sentirai il giorno del loro matrimonio. Quando gli altri guardano loro due, io guardo te e so che il cuore ti sta sanguinando nonostante tu continui a sorridere. E allora mi chiedo quando arriverà il giorno in cui potrai essere amata e amare senza che senta che stai morendo un poco alla volta.” James si morse le labbra pentendosi all’istante di aver dato voce alle proprie angosce.

Gli occhi di Dom si fecero lucidi per le lacrime trattenute e gli tese una mano che lui afferrò al volo, stringendola nella propria.

“Ma io sono contenta che nessun altro a parte te possa vedere tutto questo. Non potrei sopportare il peso dell’angoscia e della preoccupazione degli altri. Non capirebbero, mentre tu puoi accettare quello che sono.”

“Non è giusto! Tu meriti di essere felice.” James si rese conto di quanto infantile fosse la propria affermazione solo dopo che un sorriso ironico si aprì sul viso di Dom.

“Beh, merito anche le nuove borse della collezione di Hermes, ma non per questo mi sciolgo in lacrime se non posso averle.” Gli disse lei facendogli l’occhiolino e suscitando una lieve risata. “Che ti prende Jimmy? Oggi sei molto pensieroso.”

James sospirò profondamente e le rivolse uno sguardo angosciato.

“Non sono mai stato così vicino a Gigì come in queste ultime settimane. Ma più lascio che lei veda chi sono e più lei mi mostra chi è diventata, più ho paura che svanisca tutto come fumo nell’aria.”

Dominique annuì, comprendendo perfettamente le sue preoccupazioni, e gli diede una stretta più forte alla mano prima di riprendere la propria penna d’oca. Si passò lentamente la punta della piuma sul labbro superiore e parlò con tono sommesso:

“L’amore ci rende vulnerabili, ma non per questo ci deve necessariamente ferire.”

E James di fronte a quelle parole, tanto calzanti e veritiere, pensò che non ci fosse nulla da aggiungere.

***

Il Ballo per la commemorazione della Battaglia di Hogwarts era da un lato un evento molto atteso dagli studenti e dall’altro molto temuto. La data segnava simbolicamente l’inizio del periodo peggiore della vita scolastica: quello degli esami di fine anno, che avrebbero impegnato tutti gli studenti in una lotta all’ultimo sangue con la propria memoria. La sera del Ballo costituiva l’ultimo momento di svago, prima dei giorni passati a studiare e ripassare implorando perché Merlino, Morgana e i Quattro Fondatori la mandassero buona.

Se avesse dovuto scegliere tra sostenere immediatamente i GUFO e prepararsi per quella serata, Angelique non avrebbe avuto dubbi: si sarebbe presentata davanti alla commissione in accappatoio piuttosto che fronteggiare quell’ansia divorante che le faceva tremare le mani.

Osservava dubbiosa il proprio armadio, scartando meccanicamente ogni possibile abito. Troppo lungo, troppo pesante, troppo chiaro, troppo vestito.

“They say I'm too young to love you/ I don't know what I need/ They think I don't understand/ The freedom land of the seventies.” La voce di Martha udì dalla porta chiusa del bagno, tra il rumore dell’acqua della doccia. Stava cantando Brooklyn Baby di Lana del Rey, doveva essere di ottimo umore, al contrario di lei.

Angie si strinse l’accappatoio sul petto e si sedette sul letto. Immaginò James nella sua camera nella Torre Ovest intento a vestirsi, la camicia bianca che scivolava sopra le sue braccia, i bottoni color madreperla che coprivano un pezzo alla volta il suo addome. Un crampo, come un piccolo morso, si fece sentire nelle sue viscere e le comunicò che come sempre la sua immaginazione le stava giocando pessimi scherzi.

Quel pomeriggio lo aveva visto per la consueta ora di ripetizione ed era stata tesa come una corda di violino per tutto il tempo. Aveva cercato di concentrarsi al massimo sulla Trasfigurazione, ma il suo turbamento si era tradotto in uno scarso rendimento durante l’esecuzione degli incantesimi. Il fatto era che continuava a pensare senza sosta a quello che era successo, o meglio quello che non era successo, durante i festeggiamenti alla Buca per il campionato di Quidditch.

Ricordava con precisione ogni dettaglio: il calore delle sue mani, il tocco delicato delle sue labbra sulla guancia, il suo odore che le faceva venire i brividi e quella sensazione… Quel sentirsi così leggera che avrebbe potuto prendere il volo al primo salto, lo stomaco sottosopra, le membra irrequiete che trovavano pace solo nel contatto con Jessy, il cuore che batteva nel suo petto frenetico.

Quando lo vedeva serio e concentrato, quando osservava il suo polso piegarsi in un movimento lento e preciso perché lei potesse capire appieno, quando la toccava per correggerla, tutto ciò le riesplodeva nel cervello, lasciandola stordita nel desiderio insoddisfatto per lui. Non sapeva se avesse mai provato nulla di simile. Con Derek tutto quello che sentiva era macchiato dalle ombre della colpa che non l’abbandonavano mai. 

“Che fai ancora coi capelli bagnati?!” la cover-band di Lana del Rey aveva finito di cantare in bagno e Martha ne era finalmente emersa, guardando con aria di rimprovero l’asciugamano in cui i suoi capelli erano ancora avvolti.

“Mi sembra di non aver nulla di decente da mettermi…” pigolò lei con voce mogia, rimpiangendo di non essere andata a fare shopping ad Hogsmeade in tempo.

Gli occhi di Martha si addolcirono subito e la ragazza si avvicinò facendole segno di voltarsi. Angie, come sempre, sciolse i capelli sulla schiena e lasciò che l’amica le asciugasse i lunghi ricci.

“Vuoi pettinarli in qualche modo?” chiese Martha mentre le sue dita si inoltravano con delicatezza nella massa bionda per districare le ciocche umide.

Angie ripensò a quando per il Bello del Ceppo aveva passato un’ora a lisciare i propri capelli e nello specchio aveva ritrovato un’estranea.

“No… Lasciali così.” Rispose spontaneamente.

Stasera sono solo io, niente maschere. Con lui posso essere me stessa, sempre.

Dopo poco sentì il getto di aria calda spegnersi e Martha la voltò verso di sé.

“Sarà una serata complessa. Almeno il vestito, sceglilo semplice.” Le consigliò sorridendole complice.

Guidata da quelle parole rovistò nuovamente nell’armadio. Non ci vollero che pochi secondi per scegliere l’abito con cui si presentò nella Sala d’Ingresso, dove aveva appuntamento con James. Nero, dalla scollatura quadrata e senza maniche. Semplice, come la camelia bianca che si era appuntata dietro l’orecchio. Semplice, in contrasto con tutto quello che provava.

“Sei molto bella.” Si complimentò Albus con un gran sorriso, che derivava probabilmente dal fatto di avere a braccetto Martha. Lei d’altro canto era semplicemente mozzafiato. I capelli ramati erano stati raccolti in alto sul capo, liberando il collo esile e bianco. Aveva scelto un abito verde smeraldo che metteva in risalto i suoi colori da irlandese, dalla chioma alla carnagione. Sorrideva in continuazione; che fosse per dire qualcosa ad Al o salutare qualche conoscente, un sorriso luminoso fioriva sul suo viso.

Angie li invidiò molto. Invidiò la timida sicurezza con cui si stringevano le mani, le occhiate sottecchi con cui comunicavano silenziosamente i loro desideri non troppo celati, ma più di tutto invidiò quel sorriso che sembrava impossibile da reprimere. Un vero sorriso di felicità.

Angie invece era un fascio di nervi, sentiva lo stomaco far capriole al solo pensiero di incontrare Jessy. Per di più poteva imputare solo sé stessa come una unica colpevole per quella situazione, visto che in un impeto di follia pura aveva chiesto a James di andare al ballo con lei.

Si congedò dai due amici e iniziò a cercare il ragazzo nella folla, compito sempre piuttosto semplice vista la stazza del soggetto. Incrociò Svitato e suo fratello Lysander ma non si fermò troppo a chiacchierare. Voleva trovare la propria Piaga d’Egitto, tutto il resto passava in secondo piano.

I suoi occhi si muovevano per la sala puntando le teste più alte, zigzagava tra le persone assiepate, aveva quasi mal di collo a furia di guardarsi attorno, ma di lui nessuna traccia. Sembrava proprio che non fosse ancora arrivato.

Sentì il rumore dei battenti della Sala Grande aprirsi e il vociare concitato dei ragazzi aumentare. Per un breve istante si sentì delusa dal fatto che Jessy non si fosse presentato puntuale, come se non avesse dato grande importanza a quella serata. Tuttavia, mentre gli altri studenti si muovevano come un grande fiume verso la festa, sentì il suo sguardo su di sé.

Fu una sensazione strana, come se James stesso l’avesse sfiorata per chiamarla. Seppe che la stava fissando prima ancora di voltarsi per vederlo appoggiato al muro, con le braccia conserte, intento a guardarla. Angie si ricordò di quando lo aveva medicato tempo addietro, dopo la partita di quidditch, lavando via il suo sangue e guarendo la ferita sul labbro. Ricordò di aver pensato che fosse come un lupo a caccia, proprio per l’intensità degli occhi ambrati, che anche in quel momento la studiavano da cima a fondo.

Angie si compiacque di come riuscì a camminare sui tacchi in quel breve tragitto verso di lui, senza sembrare un T-rex ubriaco; mantenendo invece un minimo di femminilità, cosa non semplice visto che sentiva le ginocchia molli come budino.

Si trovarono uno di fronte all’altro e nonostante l’ampio spazio attorno a loro, ad Angie parve di non avere più aria da respirare. Jessy, che indossava un completo blu scuro, la osservava in un modo difficile da definire. Sembrava stesse studiando qualcosa in lei che occupava tutte le sue energie. Lei non aveva idea di che cosa fare e l’emozione rischiò di sopraffarla, tanto che probabilmente si sarebbe data alla fuga entro pochissimo se James non avesse parlato.

“Fulgida stella.” Mormorò dal nulla, stupendola per la stranezza del saluto.

“Come dici?” gli chiese inarcando un sopracciglio. James sorrise e chinò lo sguardo prima di riportarlo sul suo viso.

“Una delle poesie di Keats che mi ha sempre fatto pensare a te si chiama Fulgida stella.”  

Se si sentì lusingata per il fatto che Jessy avesse pensato a lei leggendo simili poesie? Certo che sì, e poco ci mancò che gongolasse spudoratamente. Le venne voglia di sentire i versi di Keats pronunciati dalla sua voce.

“Recitamela, per favore.”

Non si stupì del fatto che la sapesse a memoria, lo aveva dato quasi per scontato considerata la sua passione per la poesia. Il tono caldo delle sue parole che recitavano Keats la irretì come un vero e proprio incantesimo. Aveva una bella voce, dalle sfumature profonde, che la facevano fremere per il desiderio di sentire quelle labbra sulla propria pelle.

“… Sempre desto in un dolce eccitamento a udire sempre, sempre, il suo respiro attenuato, e così viver sempre, o se no, venir meno nella morte.”

Rimase colpita dal significato delle parole della poesia a cui Jessy l’aveva associata. Dopo la serata alla Buca era consapevole che James ricambiasse l’attrazione che sentiva per lui, ma non aveva mai riflettuto sul fatto che forse anche lui provasse qualcosa di più.

“Io chi sarei, quella distaccata e fredda o quello che si strugge per un qualcosa che non potrà mai ottenere?” gli chiese in tono leggero per nascondere il proprio turbamento.

Il ragazzo scosse la testa e le sorrise misterioso.

“Nessuna delle due, non più.” E dopo quelle parole la prese per mano, chiudendo nel palmo grande e caldo le sue dita tremanti.

***

Lucy vegetava nel letto di Lily osservando i drappeggi del baldacchino rosso. Gli appunti di Trasfigurazione e Incantesimi erano sparpagliati attorno a lei, come grandi fiori di carta ingiallita attorno al cadavere della sua voglia di studiare. Ragionò sul fatto che per diventare cadavere la sua intraprendenza negli studi dovesse essere stata viva a un certo punto, il che chiaramente non era mai avvenuto, per questo il termine cadavere era improprio. Il suo aborto di voglia di studio forse era più calzante.

Si chiese quanti studenti avessero rinunciato alle gioie della festa offerta dalla scuola per rimanere a deprimersi su questioni inutili nel letto della cugina più piccola, aspettando di venir bocciati a tutti gli esami MAGO di giugno.

Lei e basta probabilmente.

Tre giorni prima aveva compiuto diciotto anni. Non era stato il compleanno che aveva immaginato per molti mesi. Non aveva potuto festeggiare alla Taverna delle Lucciole, circondata da uomini ruttanti e donne allegre, bevendo firewhisky e mangiando i manicaretti del Bruschetta. Non aveva potuto scegliere di passare la notte tra le lenzuola insieme a Benji. Non aveva potuto dimenticare il trascorrere delle ore languendo tra le braccia del suo uomo.

No, niente di tutto ciò.

Si era dovuta svegliare a fatica come ogni mattina. Aveva cercato di sorridere con entusiasmo alla colazione a letto che le sue piccole fangirl del terzo anno avevano preparato. Era andata a lezione e aveva fatto un compito in classe di Incantesimi che probabilmente avrebbe meritato una nuova classificazione nei voti scolastici, qualcosa come un TD, abbreviazione per Troll Demente. Aveva pranzato con le Menadi, sforzandosi per tutto il tempo di partecipare alle loro conversazioni, di ridere delle loro battute sferzanti, senza perdersi nei propri pensieri. Le aveva ringraziate per il bellissimo regalo, una giacca di pelle nera molto rock. E poi in qualche modo era riuscita a trascinarsi fino a sera, per poter crollare a letto e smettere di recitare.

Recitare il ruolo di quella sé stessa che non si sentiva più, perché più in generale non sentiva proprio più nulla.

La lettera che i suoi genitori le avevano scritto giaceva intonsa insieme al loro regalo sulla scrivania di Lily, ingombra di mille altre fogli di pergamena, libri, piume mezze distrutte e ciarpame vario. Non le importava nulla di ciò che avevano da dirle, così come non voleva il loro regalo. Ad essere sincera non voleva proprio nulla dal momento che non poteva avere l’unica cosa che il suo cuore realmente desiderava. Si sentiva semplicemente spenta.

“Pensavo di trovarti affogata in un barile di Firewhisky. Sono contenta che non sia così, la puzza di alcool impregna tutti i vestiti!”

La voce di Dominique le colpì le orecchie come uno schiaffo. Lucy si voltò sorpresa verso la porta del dormitorio del terzo anno e una visione di nauseante bellezza le si impresse nelle retine. Dom avanzò verso di lei camminando su un paio di tacchi alti come se fosse stata a piedi nudi, eterea nel suo vestito di chiffon azzurro pastello.  

“Non me lo posso permettere, un barile di Firewhisky, nonostante ne avrei davvero bisogno ora.”

Dominique le sorrise sorniona e solo in quel momento Lucy si rese conto che teneva entrambe le mani dietro la schiena.

“Allora ho fatto bene a portene un po’.” Le mostrò di avere una fiaschetta di metallo nella mano sinistra e poi proseguì. “Perché credo che ti servirà per leggere questa.” Nella sua mano destra comparve una busta di carta avorio con delle decorazioni sugli angoli, la cui qualità era visibile anche a un metro di distanza. Una di quelle cose inutili che sarebbero piaciute tanto a sua cugina.

E a Benji.

Lo stomaco le si serrò in un crampo forte e improvviso, mentre le mani guantate di Dominique le porgevano quei due oggetti e lei li riceveva con presa malferma.

Sulla carta porosa erano vergate le parole “Per L” con una grafia obliqua e ordinata, che avrebbe riconosciuto dovunque.

“Avrei voluto che arrivasse per il tuo compleanno, ma serviva più tempo per rendere sicuro il canale di comunicazione. Buon compleanno, Lucie.” Dom si era seduta sul letto, facendosi spazio tra le sue cartacce, e la osservava con uno sguardo pieno di tenerezza.

La gola di Lucy era serrata dall’angoscia. E se aprendola avesse trovato le parole che confermavano le sue peggiori paure? E se lì in quella busta Benji le avesse scritto che era stata la peggior sciagura della sua vita averla incontrata, che non desiderava mai più rivederla? Che cosa avrebbe fatto in quel caso?

“Rose gli ha scritto per raccontargli che cosa è successo quel pomeriggio nell’ufficio della McGranitt, anche se dubito che non lo avesse già capito. È un tipo sveglio il tuo Benjamin. E gli ha detto che potevamo farti avere una sua lettera… Perché hai tanta paura di aprirla?”

Due grosse lacrime le scivolarono sulle guance prima che potesse fermarle e con voce rotta rispose:

“Perché ho paura di averlo perso.”

“E quando mai la paura ti ha fermata dal fare ciò che volevi?!”

Mai.

E non lo avrebbe fatto nemmeno quella volta. Aveva bisogno di sapere se credere ancora in loro due, aveva bisogno della verità.

Così le sue dita armeggiarono con la carta, fino a far scivolare sul copriletto scarlatto le pagine scritte ordinatamente in inchiostro nero.

Cara Ragazzina,

Vorrei iniziare dicendoti che sei la creatura più testarda che abbia mai conosciuto, la più generosa e la più coraggiosa. Non oso immaginare quanta forza ti abbia richiesto affrontare l’inferno in cui sei stata gettata all’improvviso, ma sono certo che lo stai facendo a testa alta.

Non ti tedierò descrivendoti la mia vita da recluso, ma sappi che sono trattato con tutti i riguardi e le premure possibili, nonostante la solitudine sia una compagna pungente… il che dovrebbe aiutarmi a sentire meno la mancanza della tua insolenza! Tuttavia non è così.

Non passa giorno in cui non ripercorra ogni centimetro del tuo viso nella mia memoria, sforzandomi di riprodurre con precisione millimetrica anche le tue lentiggini. Non passa ora in cui non cerchi di evocare la sensazione delle tue mani nelle mie, della tua voce che mi graffia l’anima, dei tuoi occhi che si perdono nei miei, della nostra pelle che si appartiene. Non passa istante in cui non senta la mancanza lacerante della tua intelligenza colorata dal sarcasmo, del tuo odore, del modo in cui guardi le cose che ti stupiscono, della tua risata, di ciò che sei. E in questa lunga attesa che ci separa, intervallata solo dal dolce strazio di ricordarti per sentirti vicina, mi preparo. È un lento accumulo di energie, un’introspezione continua, una minuziosa conta delle mie forze, un inverno di preparazione che mi scava l’anima, ma che mi è necessario.

E ora che hai ancora tempo per riflettere, che sei ancora in tempo, forse, per scegliere diversamente, devo chiederti di preparati a tua volta.

Sì, perché il giorno in cui ci rivedremo, il giorno in cui potrò vedere se davvero sotto l’occhio destro hai quella lentiggine che sempre dipingo nella mia mente, io quel giorno ti chiederò di venire con me. E se vorrai essere al mio fianco, non ci volteremo più. Ci lasceremo alle spalle questi attimi di miseria e dolore, ma anche i legami che abbiamo qui.

Rifletti con attenzione e scegli senza rimpianti.

Tu sei la donna che ho atteso per tutta la vita, Lucy, a prescindere da quale sarà la tua scelta.

Tuo in ogni mio respiro.

Benjamin.

Lucy finì la lettera singhiozzando tanto forte da far tremare il letto. Non aveva minimamente provato ad asciugare quelle lacrime così liberatorie, che le avevano inzuppato il maglione. Si immerse in quella sensazione indicibile di amore e di dolore e di gioia e di nostalgia, che sembravano scaturire da un punto al centro del petto. Quel punto specifico del suo corpo che le doleva come se si fosse rotto e qualcosa dentro di lei stesse provando ad allargare la ferita per uscirne, perché solo da ciò che si apre o si crepa si può vedere la luce. E lasciò che accadesse, lasciò che l’angoscia, la paura, i sogni infranti, le speranze disattese se ne andassero da lei per sempre, attraverso quello squarcio che la penna di Benji aveva inciso.

Quando terminò quel pianto catartico, vide che Dominique le porgeva la fiaschetta stappata.

“Sarebbe stato il caso di farsi un goccetto prima di diventare una fontana.”

Lucy rise asciugandosi gli occhi e ingollò una generosa sorsata di firewhisky.

“Mi sembri la fata turchina conciata così.” Le disse indicando col mento il suo vestito, per il solo gusto di irridere un po’ tutta quella bellezza studiata nei minimi dettagli.

Dominique socchiuse gli occhi e sollevò in aria il naso sottile, con fare indignato.

“Beh, avevamo già stabilito che ci fossero delle somiglianze tra te e Cenerentola. Io sono quella che deve fare miracoli coi tuoi stracci. Senza contare che hai la faccia conciata come un’anguria: gonfia, rossa e umidiccia. Ah, non azzardarti a protestare! Ora ci penso io a te.”

***

La prima volta che aveva avuto il coraggio di prenderla per mano era dicembre, nevicava e le sue dita erano congelate. Erano passati mesi, il tempo era diventato mite, ma le sue mani continuavano ad essere fredde. Ne intuiva la ragione, la stessa per cui lui si sentiva l’intero corpo percorso da un’energia unica, quasi elettrica.

I loro passi erano in armonia, nonostante la differenza di altezza e la tensione vibrante tra loro. I loro piedi di posavano sulla pietra antica del pavimento nello stesso istante e poi la lasciavano in perfetta coordinazione, come se lo avessero fatto da sempre.  

Erano in silenzio da qualche minuto, aspettando di entrare nella Sala Grande, ma non si sentivano a disagio. In mezzo al rumore degli altri studenti, loro si concentravano solo sulle loro mani unite, sugli avambracci che si toccavano, sulla sensazione di essere vicini più di chiunque altro in quella sala.

C’era la musica dal vivo come ogni festa ad Hogwarts, e James non riuscì a non pensare a quando, chiuso in uno sgabuzzino puzzolente in compagnia della O’Quinn, aveva sentito quella canzone bellissima e triste. Osservò con la coda dell’occhio il profilo di Gigì al suo fianco e sorrise per l’assurdità del loro destino, percorso da linee che continuavano a mostrare disegni simili, ma sempre diversi. Loro due a un ballo, che indossavano diversi tipi di maschere, che raccontavano bugie agli altri ma si facevano dono reciproco dell’onestà; loro due che appena si avvicinavano davvero venivano separati. La sua mano si serrò istintivamente più forte attorno a quella di Gigì, la quale lo guardò interrogativa.

“Hai fame?” le chiese senza riflettere. In generale il cibo era un ottimo argomento di discussione tra loro, a parte quando parlavano delle praline al cioccolato per cui lei aveva un’insana passione.

Un sorriso si aprì sul suo viso e lei confessò con un’aria semi colpevole:

“Ho un buco nello stomaco! Non ho nemmeno fatto merenda oggi.”

Anche James sorrise e, sfruttando la propria altezza e le spalle ampie, si fece strada in mezzo alla folla fino al punto della Sala Grande dove avevano allestito il buffet, senza mai lasciare la mano di Angelique.

E non seppe quando successe, ma successe.

Mangiando si rilassarono, iniziarono a parlare, a scherzare come ormai facevano da settimane e semplicemente il tempo iniziò a fluire attorno a loro. Sedevano vicini, le loro ginocchia si sfioravano con casualità ma non troppa, la musica alta era la scusa perfetta per avvicinare i volti per parlare. E quando James si rese conto che stavano effettivamente flirtando quasi scoppiò a ridere incredulo.

Le sue mani ormai formicolavano dal desiderio di toccare la pelle delle braccia di lei, il suo cervello stava compiendo sforzi eroici per non perdersi nella linea morbida delle labbra di Gigì, il suo olfatto era inebriato dal profumo delle mimose e della lavanda.

Stava per proporle di andare a fare una passeggiata, quando il destino, per la prima volta in quella loro improbabile storia, gli venne incontro. Riconobbe allibito le prime note di una canzone babbana un po’ vecchia, ma perfetta.

Semplicemente perfetta.

Si alzò e porse la mano a Gigì, che con un’occhiata ironica la prese, convinta forse che volesse fare come alla Buca, con balli assurdi e mosse buffe per farla ridere; ma James non aveva più voglia di scherzare.

Quando furono sulla pista, l’attirò a sé con decisione, posando una mano sulla sua schiena. Gli occhi verdi si spalancarono, mentre i loro corpi combaciarono prima di iniziare a muoversi lentamente, a ritmo con la musica. E guardandola negli occhi le sussurrò le prime parole della canzone:

“Quando provi a fare del tuo meglio, ma non ci riesci. Quando ottieni ciò che vuoi, ma non ciò di cui hai bisogno. Quando sei così stanco, ma non riesci a dormire. Non riesci ad andare avanti.”

Il capo di Gigì era leggermente inclinato indietro per poterlo guardare dritto negli occhi, così che il suo collo e le sue spalle formassero un'unica linea aggraziata, interrotta solo dai suoi respiri, che facevano affiorare l’ombra del seno dalla scollatura. Lo guardava con una serietà e una profondità che per poco non gli fecero mancare la voce; ma lui aveva una storia da raccontarle.

“E le lacrime iniziano a scendere sul tuo viso. Quando perdi qualcosa che non puoi riavere.”

Entrambi avevano perso parti di sé che non avrebbero mai più avuto indietro. Avevano però scoperto che potevano costruirne di nuove per proprio conto o insieme. Avevano scoperto che nella perdita si trovava una forza inattesa; che lasciando andare quello che li aveva feriti erano potuti andare avanti, fino a trovarsi uno di fronte all’altra, senza più maschere, senza più bugie.

“Quando ami qualcuno, ma tutto viene buttato via. Potrebbe andare peggio?”

Angelique trattenne il fiato e i suoi occhi si riempirono di lacrime. E James seppe che stava iniziando a vedere davvero tutte quelle pagine che avevano scritto insieme e che lei non aveva mai letto. Stava iniziando a mettere al proprio posto tantissimi frammenti che le erano rimasti tra le mani inutilizzati, e improvvisamente combaciavano tra loro. Stava capendo.

“Le luci ti riporteranno a casa. Ed infiammeranno le tue ossa. E io proverò a guarirti.”

E lei, che aveva lo spirito di una guerriera e le mani di una guaritrice, aveva sanato le sue di ferite, con le stesse armi con cui lo aveva massacrato.

Avrebbe voluto continuare a sussurrarle il resto della canzone, ma Gigì non glielo permise.

“Eri tu, vero? Eri tu alla festa delle Menadi?” gli chiese con voce roca.

Loro due, un ballo, delle maschere, le mezze verità. Sempre la stessa storia.

Tu sei il mio astro, dall’altra parte del cielo che non posso raggiungere. Tu sei il mio supplizio e la mia rinascita, ogni giorno.” Le ripeté le stesse parole che aveva usato quella notte lontana, sorridendo perché in realtà, come già le aveva detto, lei non era più la fulgida stella.

Gigì deglutì a fatica, schiacciata dalla consapevolezza. Erano abbracciati sulla pista da ballo, il viso così vicino che potevano sentire sulle labbra il respiro dell’altro. James si rese conto che erano immobili in mezzo a tutte le altre coppie che ballavano. Nella sua testa rimbombarono le parole “Ora o mai più.”

Ma Gigì, ancora una volta, gli rovinò i piani. Sciolse l’abbraccio e afferrò saldamente la sua mano. Osservò per un istante le loro dita intrecciate, poi gli rivolse un’occhiata risoluta.

“Andiamo via.”

***

Il cuore le batteva tanto violentemente contro la gabbia toracica che sembrava un uccellino desideroso di evadere. Le sue gambe si muovevano leggere, come se avesse potuto prendere il volo da un momento all’altro, e l’unica cosa che l’ancorava ancora al terreno era la mano di Jessy, chiusa attorno alla sua. Ridevano senza un particolare motivo e correvano insieme verso le ombre protettive del parco. Sapeva che stava per succedere e sentiva i brividi correrle per tutto il corpo.

Gli istanti che precedono un primo bacio sono un soffio di magia. Ogni terminazione nervosa è all’erta, ogni centimetro di pelle ipersensibile, il corpo intero si prepara come se si stesse lasciando andare nel vuoto. Se quell’incontro di labbra, calore, lingue, mani e corpi raggiunge la giusta armonia la magia si trasforma in incantesimo. Tutto quello che segue è più naturale, più facile di quel primo passo. Allo stesso modo se qualcosa nella formulazione dell’incantesimo va storto c’è il rischio che tutto finisca come una bolla di sapone, una silenziosa esplosione che non lascia alcuna traccia.

James voltò verso destra, uscendo dal sentiero segnato, e immediatamente i tacchi delle sue scarpe si piantarono nel terreno del prato.

Putain.” Le sfuggì a mezza voce e sentì Jessy ridere per quella volgarità gratuita.

In un secondo si sfilò le scarpe e affondò i piedi nell’erba umida, emettendo un mugolio di piacere per il sollievo datole da quel contatto fresco. Avrebbe voluto chinarsi per prenderle, ma James la trascinò via e pensò che potevano fottersi pure le scarpe in quel momento.

Il parco era talmente affollato da altri con le loro stesse intenzioni, che si spinsero fino alle rive del Lago Nero prima di trovare la pace che cercavano.

L’aria all’esterno del castello era frizzante e si frangeva sulla pelle delle sue braccia, aumentando i brividi che già sentiva. In lontananza si sentiva il brusio indistinto della festa. Il castello, illuminato a giorno per l’occasione, rendeva visibile il parco quasi fino a loro. Angie istintivamente si immerse nel lago fino alle caviglie; ne contemplò la superficie scura e liscia, come un manto di seta nera. Jessy la raggiunse dopo poco, in silenzio, e anche lui scalzo probabilmente, mettendosi alle sue spalle.

Le dita di James percorsero con delicatezza i palmi delle sue mani e la pelle del lato interno dei polsi, lentissimo.

“Sai che nelle camere di Serpeverde ci sono degli oblò?” ma perché? Perché non poteva rimanere in silenzio e basta?! Stupido, stupido cervello che andava a ottocento all’ora senza la sua autorizzazione.

“Ah sì?” Jessy parlò contro la piega del suo collo e il sussurro della sua voce la fece tremare.

Le sue mani erano risalite verso i gomiti e lì sostavano per disegnare piccoli cerchi.

“Già. In realtà spesso è troppo buio per vedere qualcosa, a volte d’inverno non arriva nemmeno un raggio di luce. Inoltre, gli oblò sono piccoli. Però ogni tanto si vede uno dei tentacoli della piovra, oppure i pesci nuotare. Elena sostiene di aver visto anche le sirene, ma non le credo. E… Jessy, ti prego, fammi stare zitta.”

Aveva raggiunto le spalle e aveva iniziato a giocherellare con il bordo dell’abito. Più lui la irretiva con quei movimenti calmi e ipnotici, più lei perdeva il controllo sul suo cervello.

Sapeva essere tanto delicato che Angie dimenticava quanta forza si celasse nel suo corpo. Ne ebbe un assaggio quando affondò le dita nelle sue spalle e la fece voltare verso di sé, quasi che fosse stata inconsistente.

Il viso di James era rischiarato solo in parte dalle luci siderali sopra le loro teste, ma Angie avrebbe riconosciuto anche al buio il luccichio dei suoi occhi ambrati.

E, per fortuna, non ci furono più parole tra loro, in fondo ce n’erano state fin troppe in quei cinque anni.

Angelique sfiorò una ciocca dei suoi capelli neri, estendendo il movimento fino a farlo diventare una carezza. James socchiuse gli occhi al suo tocco e si chinò verso di lei.

Il contatto tra le loro labbra al principio fu delicato, quasi che entrambi avessero paura di andare in mille pezzi se solo avessero osato di più. Increduli per quello che stava accadendo rimasero immobili per parecchi secondi, finché uno dei due esasperato dall’attesa non decise di approfondire il bacio.

Dopo aver passato settimane a negare, nascondere e cercare di spegnere il desiderio che provava, Angelique si lasciò andare e quelle labbra, che si muovevano sulle sue con decisione e abilità, erano la porta verso la libertà. Le braccia di James la avvolsero fino a che non aderì al suo corpo, una delle sue mani le risalì la schiena per intrufolarsi tra i suoi ricci e stringerne le ciocche.

Era caldo, accogliente, generoso. Tutto in lui le faceva venir voglia di averne ancora, senza sapere se le sarebbe mai bastato.

Fu la prima a forzare le sue labbra, chiedendo accesso a quella bocca che aveva infiammato i suoi sogni e torturato i suoi pensieri di giorno. E quando si toccarono, scivolando l’uno nell’altra, invadendo finalmente i confini dei reciproci corpi, il ventre di Angie si contrasse in uno spasmo di piacere. Ansimò per quella sensazione e James colse al volo l’occasione per aumentare il contatto tra loro, incastrando una gamba tra le sue.

Le mani di Angie, animate di vita propria, si aggrapparono ai suoi capelli indisciplinati, al bavero della sua giacca, alle sue spalle larghe, per portarlo più vicino, per inondarsi del calore che lui emanava anche attraverso i vestiti. Si sentiva come magma fluido e incontrollato, pronta a rimodellarsi ad ogni movimento in una danza senza fine.

In un lampo di razionalità si ricordò che non era il loro primo bacio. Non aveva mai dimenticato quando, poco più che bambini, lui aveva posato le sue labbra sulle sue in un confuso e fallimentare tentativo di consolarla. Quante cose erano cambiate.

“Stai ridendo?” la voce arrochita di Jessy le fece aprire gli occhi.

Lui era passato a baciare la mandibola e il collo, con una dedizione che aveva dell’encomiabile. E che le rendeva molto difficile ragionare.

“Stavo ripensando a quando mi hai baciata al primo anno. Ti ho odiato tantissimo.” E rise ancora perché in quell’istante non avrebbe potuto sentire sentimento più lontano.

James sorrise sulla sua pelle, poi affondò con studiata lentezza di denti alla base del suo collo. Lei chiuse gli occhi estasiata e dalle sue labbra uscì un suono di pura soddisfazione.

In passato aveva pensato che Jessy fosse l’unico in grado di dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato; ora sembrava che avesse trasformato questa dote in una molto più interessante, ovvero quella di riuscire a fare la cosa giusta al momento giusto.

“Eri una ragazzina intrattabile.”

“Tu eri un prepotente.”

“Non sapevo come avvicinarti.”

“Beh, mi sembra che tu abbia capito.”

E le loro labbra si ritrovarono subito dopo, chiedendo perdono per gli errori commessi, ringraziando per quello che avevano in quell’istante e pregandosi l’un l’altra di non smettere.

***

“Non ci posso credere…” gli occhi azzurri di Rose guardavano stupefatti le due figure uscire dalla Sala Grande correndo.

“Ci sono riusciti… davvero?” chiese Lily alzando un solo lato della bocca, a metà tra lo schifato e l’incredulo.

“Mah, per il momento stanno semplicemente camminando.”

“Sì, Lucy, ma stanno camminando mano nella mano!” esclamò Dominique indicando James e Angelique ormai lontani.

“E stanno andando verso il Parco.” Aggiunse sempre più stupita Rose.

“Oh, sono così felice che potrei mangiare dei carboidrati.” Dominique si sentiva davvero elettrizzata, tanto che le veniva voglia di saltellare per tutta la sala.

“Le fate turchine non si nutrono solo di sogni e tè verde?” Lucy che faceva nuovamente del sarcasmo… musica per le sue orecchie.

“No cara, ma le nostre puzzette sanno di violetta.”

Lucy scoppiò a ridere fragorosamente e un paio di ragazze vicine a loro si voltarono a guardarle. Quando riconobbero la maggiore delle Weasley, i loro visi ben truccati assunsero simultaneamente un’espressione precisa, un misto tra lo scandalo e il timore.

Dominique si spostò di qualche centimetro e piantò in viso alle due la peggior occhiata gelida che fosse in grado di produrre. Come prevedibile, distolsero immediatamente lo sguardo, allontanandosi poco dopo.

Lucy non si accorse di nulla e Dom le rivolse un sorriso compiaciuto.

Il mondo stava davvero raggiungendo nuovi equilibri. Lucy tornava a fare sarcasmo, Angie e Jimmy andavano a limonare nel parco, Rose saltava addosso a Malfoy (già da parecchio tempo, ma d’altra parte era la più intelligente di tutte loro), Lily non aveva ancora fatto esplodere nessuna ala del castello insieme ai suoi due compari Grifondoro e lei aveva finito tutte le prenotazioni per il matrimonio di Vic e Teddy.

Sorseggiò soddisfatta la propria Burrobirra.

Non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, però non attuare piani in effetti portava a incredibili successi.

 

 

Note dell’Autrice:

Non so nemmeno quanto tempo sia passato dall’ultimo aggiornamento, però eccomi di nuovo qui. In questi tempi tragici abbiamo tutti bisogno di sperare e l’unico modo che io conosco di dare speranza è scrivere. Non ho molto da dire, solo spero che questo capitolo renda un po’ più piacevole il vostro tempo in quarantena.

Vorrei ringraziare in modo particolare coloro che hanno lasciato una recensione nello scorso capitolo: cescapadfoot, truegattara, Idiot, Cinthia988, thetwinsareback, carpethisdiem_ e Rarity94.

Grazie mille anche a tutti coloro che continuano a leggere e seguire.

Vi mando un abbraccio.

Bluelectra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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