Cap.37 Fix you
“Tesserò
i tuoi capelli come trame di un canto
Conosco
le leggi del mondo, e te ne farò dono
Supererò
le correnti gravitazionali
Lo
spazio e la luce per non farti invecchiare
Ti
salverò da ogni malinconia
Perché
sei un essere speciale
Ed
io avrò cura di te
Io
sì, che avrò cura di te”
Franco
Battiato, La Cura.
“Se mi costringono a
restare un altro giorno ferma in questo maledetto letto, do fuoco
all’infermeria.”
“Non ti agitare che ti
torna mal di testa.”
“Giusto, ripetimi invece
ciò che sai sulle Maledizioni Senza Perdono.”
“Oh cavolo Martha, avevi
proprio ragione! Ecco che arriva il mal di testa.”
“Nana, c’è poco da
scherzare, tra un mese ci sono i G.U.F.O. Dobbiamo farti recuperare tutto
quello…”
“Ah, che dolore!”
Elena si accasciò
teatralmente contro i cuscini del letto, con una mano sulla fronte. Rimase
immobile per parecchi secondi, sotto lo sguardo scettico delle due amiche, e
quando sbirciò con un occhio attraverso le dita della mano, Angie inarcò un
sopracciglio con cipiglio severo.
Elena sospirò,
arrendendosi al proprio fato. Si rimise a sedere e, grattandosi la testa,
disse:
“Ti sbattono in gattabuia,
se ne scagli una.”
“Sintetica, ma efficace, non
c’è che dire. Quali sono e che cosa provocano?” proseguì Angelique
imperterrita.
E mentre Nana riassumeva
le proprie conoscenze sul Crucio, che avrebbe tanto voluto usare sull’amica,
Martha si accigliò ad osservarla.
Dopo il risveglio dal
coma, Nana aveva spesso delle emicranie molto dolorose. Secondo i Medimaghi,
che erano venuti a visitarla, era una conseguenza abbastanza frequente del tipo
di trauma che aveva subito. Le avevano anticipato che avrebbe potuto avere
anche delle piccole amnesie, di fatti accaduti poco prima o di episodi passati,
ma che non si sarebbe dovuta preoccupare. Era stata molto fortunata ad essersi
svegliata praticamente illesa.
Raccontarle che cosa le
fosse successo era stata la parte peggiore, poiché Elena aveva ammesso di non
avere un ultimo ricordo preciso, ma una massa indistinta di flash dei giorni
precedenti all’aggressione. La cosa più strana di tutte era che non ricordava
assolutamente nulla dei Cavalieri di Santa Brigida e delle sue ricerche, come
se il coma si fosse portato via tutti i ricordi.
Martha aveva dovuto
descrivere come meglio poteva la visione che aveva avuto e l’intervento della
madre di Nana, o del suo fantasma se così si poteva definire. Non si era
stupita di vederle chinare il capo e piangere sommessamente.
Poteva solo immaginare
che cosa si fosse mosso nell’animo di Elena sapendo che la madre, che credeva
l’avesse abbandonata preferendo rinunciare alla propria vita, avesse trovato il
modo di salvarla, scavalcando i confini della morte. Era qualcosa che a stento
riusciva a comprendere lei che era stata il tramite di Ophelia Zabini e che
conosceva la potenza della Magia Primordiale.
Martha era altresì
convinta che quella catena di eventi avesse un significato più profondo e, con
ogni probabilità, più oscuro di quello che sembrava. Non sapeva come definire
la sensazione che la pervadeva quando ci pensava, ma era come un brivido sotto
la pelle, una lieve scossa di inquietudine nelle braccia e lungo la schiena. Evitava
di rimanere incastrata in quei pensieri, che portavano la sua mente lontana dal
presente, facendo esercizi extra di Occlumanzia.
Non sapeva se fosse per
la gratitudine di essere viva e in salute, per le rivelazioni su sua madre, per
l’affetto un po’ impacciato ma sincero con cui il padre si stava occupando di
lei, per Berty o forse per tutto l’insieme, ma nei grandi occhi di Nana l’ombra
di malinconia era quasi sfumata del tutto. Sembravano tornati quelli che Martha
ricordava di aver visto al primo anno.
“Brava, ti ricordi tutto. Quindi ora possiamo
passare alle tecniche di sopravvivenza in un attacco acquatico.”
Angie si era tolta le
scarpe e aveva posato i piedi sul letto di Nana. I suoi capelli erano raccolti
in un gonfio chignon sulla sommità del capo e brillavano come tanti fili d’oro nella
luce del pomeriggio. Teneva lo sguardo fisso sugli appunti e con le dita
sottili aveva preso a stuzzicarsi il labbro inferiore, strappando pellicine
probabilmente inesistenti.
“Oppure possiamo passare
ai ringraziamenti.” Nana parlò con voce leggera, ma il suo sguardo si era fatto
serio.
Angelique sollevò la
testa stupita e agitò in aria la mano destra.
“Non devi ringraziarmi,
serve anche a me ripassare e poi…”
“Non sto parlando di
Difesa Contro le Arti Oscure, ma di quello che avete fatto per me.” La
interruppe Elena. “Berty mi ha raccontato tutto, della tua visione Martha,
della sonda nel naso di Angie, delle giornate intere che avete passato su
quelle sedie di plastica a farvi venire il culo quadrato, solo per parlare con
me, per restare qui. Non so che cosa io abbia fatto per meritarvi, però…
grazie, davvero.”
Martha sentì la vista
offuscarsi e distolse lo sguardo, cercando in tutti i modi di
trattenersi dallo sciogliersi in un fiume di lacrime. Dopo qualche secondo di
silenzio, Angelique fissò uno sguardo scintillante di commozione e di felicità
su Elena, sorridendole sorniona.
“Lo hai fatto apposta,
vero?”
Elena ricambiò il sorriso
e si strinse nelle spalle, con aria colpevole.
“Forse solo un pochino.
Adoro vedere che vi sciogliete per me… Ah Angie, sembrerebbe che tu ti sia
sciolta anche per qualcun altro.” La voce di Elena era intrisa di un profondo
divertimento, come se non avesse visto l’ora da molto tempo di tirare fuori
quell’argomento. Angelique dal canto suo avvampò e si affrettò a rispondere con
un tono distaccato.
“Non direi proprio.”
“Ah sì? E come mai sabato
sera ti ha accompagnata fin qui?” la incalzò Nana sorridendo sempre di più,
mentre l’altra annaspava farfugliano parole indistinte per giustificarsi.
Martha, segretamente
divertita dalla confusione in cui gettava Angie anche solo sottintendere
Potter, decise di approfondire l’argomento tabù.
“Guarda che non c’è nulla
di male nel fatto che ti piaccia qualcuno… Anzi direi che è proprio arrivato il
momento di fare nuove esperienze.” Le disse con un lieve sorriso, nascondendo
la voglia di sogghignare come Elena.
Le ciglia di Angelique sfarfallarono
per qualche secondo e la ragazza chiese con un filo di voce:
“In che senso nuove
esperienze?”
“Oh Merlino, ma è sempre
stata così tonta o sono diventata intollerante io alle perdite di tempo?”
sbottò Elena.
“Ehi!” Angelique prese
una benda dal letto accanto e la tirò verso Elena, colpendola sul braccio.
“Angie, intendiamo uscire
con un ragazzo che non sia fidanzato, né tra l’altro con un padre psicopatico,
possibilmente che ti piaccia pure.” Chiarì Martha osservando attentamente
l’amica, che inaspettatamente inclinò le labbra carnose in un sorriso sotto i
baffi.
“Oh beh… Io non è che
abbia esattamente pensato a uscire con lui… Però ho invitato Jessy al ballo di
venerdì, vale come nuova esperienza?”
“Per la giarrettiera di
Morgana! Certo che vale, che cosa aspettavi a dircelo?” Se solo le fosse stato
permesso, Elena si sarebbe lanciata fuori dal letto per esultare. Da anni
faceva il tifo per James Potter, elogiando qualunque lato della sua persona, in
particolare quello posteriore.
Il sorrisetto di Angelique
tuttavia si spense quasi subito e la ragazza scosse il capo dubbiosa.
“Io… Non lo so. Ho agito
d’istinto, ma non sono molto convinta che sia stata una buona idea.”
“Penso che ormai tu abbia
accettato il fatto che ti piaccia Potter, quindi qual è il problema?” la
incalzò Martha.
“Pensa te, quante cose
che mi sono persa!” Elena sembrava sinceramente divertita, ma Angie si mise a
fissare la parete di fronte a lei e il suo sguardo si fece lontano.
Aveva sempre pensato che
Angie avesse dentro di sé un’energia particolare, una sorta di luce che non era
immediatamente percepibile, nascosta sotto i sotterfugi con cui lei tentava di
mascherare la propria natura. Secondo Martha, era l’essenza dell’amica, la
stessa per cui Potter l’amava in quel modo viscerale e ostinato. Da quando
Schatten aveva spezzato il suo cuore e le sue speranze, ogni tanto quella luce
se ne andava via. Capitava che nel bel mezzo di un sorriso o di un discorso, da
un momento all’altro Angie perdesse ogni espressione. I suoi occhi venivano catapultati
in un modo inaccessibile e doloroso, e in quei momenti Martha sapeva che lei
stava ricordando Derek.
“Ho paura.” Ammise Angie
con un filo di voce. “Ho paura che non vada bene, di sbagliare ogni cosa, di
farlo scappare a gambe levate, di rovinare quello che c’è ora. Ma più di tutto
ho paura che vada bene. Ho paura di provare ancora cose che mi sono costretta a
dimenticare, perché erano diventate intollerabili. Ho paura di accorgermi che
voglio di più da lui e non so se sono davvero pronta per… tutto. Non so come sia
uscire normalmente con un ragazzo, non so come ci si provi con un ragazzo! Non
so niente, le mie esperienze sono al limite del surreale e… Mi sento
inadeguata.”
“Beh… Tu sì che sai come
prendere le cose con leggerezza!” Le parole di Elena indussero Angelique a
voltarsi verso l’amica con ancora negli occhi l’ombra dei ricordi, ma dopo qualche
secondo si mise a ridere.
Ciò che le era stato
fatto, probabilmente se lo sarebbe portato dietro per tutta la vita. Le parole
che aveva appena pronunciato ne erano la prova, tuttavia non poteva vivere
nella paura di provare ancora emozioni, altrimenti sarebbe finita sotto una
perenne campana di vetro. Senza che nessuno potesse più toccarla e senza poter
toccare a propria volta. Mentre Angie aveva un disperato bisogno di contatto e
di amore, sincero e pulito, come aria fresca nei polmoni dopo una lunga apnea.
“Lo so che cosa hai
passato a Natale e i mesi dopo, Angie. E posso solo immaginare quanto tu sia
terrorizzata all’idea di sentirti ancora come quando vegetavi davanti al camino
per ore, anche perché non eri un bello spettacolo, lasciatelo dire… Però
ricordati che James non è Derek e tu non sei più la stessa persona. Quello che
è successo ti ha cambiata. È tutto diverso questa volta, non lasciare che il
passato ti rubi il presente. Tu sei qui ed ora.” Le disse Martha prendendole
una mano e stringendola tra le proprie.
Angie annuì pensierosa e
le rivolse un timido sorriso. Elena le diede un buffetto sulla testa e le
disse:
“Ah, nel tuo immediato
presente limonalo durissimo.”
A quel punto Martha non
resistette più e scoppiò a ridere, mentre Angie agguantava un cuscino dalla
brandina accanto e lo tirava addosso a Nana.
***
Rose Weasley aveva
pensato nei primi anni della sua vita ad Hogwarts che lo smistamento di Dom
fosse stato un errore. Osservando la sua perenne aria trasognata, i suoi interessi
per la cosmesi, la botanica e altre discipline babbane, la sua propensione ad
applicarsi solo in ciò che stimolava la sua curiosità, Rose aveva pensato che
sarebbe stata una perfetta Corvonero.
Quanto era stata ingenua.
La verità era che
Dominique era dotata della personalità più subdola e manipolatrice del mondo,
in grado, con un’esclamazione in francese e un sorriso smagliante, di
convincerti a scendere nelle bolge infernali per fare un pic-nic in sua
compagnia e a portare pure il cestino.
Dominique era perfida,
una vera Serpeverde, che si approfittava delle debolezze altrui per ottenere
ciò che voleva. E l’opinione che aveva in quel momento della cugina non
c’entrava nulla col fatto di essere stata incastrata, proprio per niente!
Sicuramente non c’entrava col fatto che stesse aspettando Malfoy in biblioteca,
come una poiana con la sua preda.
Più che una poiana si
sentiva un piccione. Goffo e poco sveglio.
Lo vide entrare nella
sala studio col solito passo cadenzato ed elegante, teneva il libro di
Trasfigurazione stretto nella mano sinistra, mettendo in evidenza i tendini sulla
pelle nivea.
Ne incrociò lo sguardo
quasi all’istante e si chiese come poter resistere alla tentazione di prendere
a schiaffi quel faccino pallido, sui cui anche il più semplice sorriso assumeva
le sfumature di una beffa.
Rose si alzò dalla
propria sedia mentendo il contatto visivo e gli fece un cenno del capo verso
gli scaffali alle sue spalle.
Già una volta in quello
stesso luogo lei si era ritrovata tra le sue braccia, sperando con tutta sé
stessa che la baciasse, ma lui non l’aveva accontentata. Questa volta veniva da
due sconfitte brucianti e Rose non sopportava perdere.
“Ciao Weasley.”
“Malfoy.” Rispose
voltandosi verso il ragazzo una volta lontani dagli altri studenti.
Sarebbe stato sciocco da
parte sua negare l’effetto che le faceva averlo così vicino. Non le era mai
accaduto prima, ma Scorpius riusciva a farle perdere la ragionevolezza, la
calma, la saggezza, tutte doti che l’avevano resa il punto di riferimento delle
cugine. Con lui invece le sembrava solo di essere in balia degli ormoni
impazziti che le urlavano in ogni angolo del cervello di saltargli addosso.
“Non ti ho vista alla
festa di sabato.”
Poi lui parlava e le
rendeva tutto più semplice. Bastava poco per ricordarsi che era solo un
arrogante e presuntuoso, che pensava di poter avere tutto e subito.
“Questo perché io non
avevo alcuna intenzione di vedere te.” Gli rispose con tono asciutto
appoggiandosi al mobile alle sue spalle e incrociando le braccia sotto il seno.
Gli occhi grigi di
Scorpius scintillarono per quella provocazione gratuita, ma il luccichio
dell’offesa durò solo qualche istante. Il giovane inclinò un lato della bocca,
in un sorriso sbieco e socchiuse gli occhi.
“È interessante che tu
continui a negare quello che c’è fra di noi, nonostante come reagisci quando
poi io ti bacio” le disse con tono apparentemente leggero.
“Io non nego nulla. E non
sono io quella che è scappata l’ultima volta, o sbaglio?” questa volta fu il
turno di Rose di sorridergli con insolenza, mentre lo osservava inclinando il
capo verso la spalla.
Malfoy si mosse verso di
lei e Rose trattenne inconsciamente il fiato mentre le sue braccia la
intrappolavano contro la libreria, posandosi ai lati del suo corpo. La testa
bionda del giovane si chinò verso di lei e le sussurrò all’orecchio:
“Non sbagli, e sai perché
l’ho fatto?”
“Oh, Malfoy. Ogni tanto
mi fai tenerezza con le tue tattiche di conquista contorte. Pensi davvero che
basti baciarmi a sorpresa per farmi confessare il mio amore eterno, cadendo ai
tuoi piedi?” gli rispose tentando di nascondere dietro il sarcasmo i brividi
che sentiva camminarle lungo le gambe.
Il ragazzo si scostò per
poterla guardare in viso. Aveva un’espressione divertita, ma che celava una
certa una certa rabbia, ma non abbastanza da ingannare lei.
“Non me ne faccio nulla
di una ragazza che cada ai miei piedi. Io voglio te, io voglio questo.” E
indicò quella loro strana posizione, a metà tra la sfida e l’attrazione. “Ma tu
questo lo sai da tempo, Rose, io non mi sono mai nascosto dietro le bugie. Tu
invece che cosa vuoi da me?”
Rose abbassò per un
istante lo sguardo e cercò di non sorridere con troppa sfacciataggine.
“Beh, visto che me lo
chiedi con tanta gentilezza, vorrei che consegnassi un messaggio.”
“Che cosa?” il tono e il
volto di Malfoy erano semplicemente sbigottiti.
Rose tirò fuori dalla
divisa una busta bianca e la sospinse contro il petto del giovane.
“Vorrei che consegnassi
questo a un certo uomo argentino, che mi pare sia tuo ospite. E che mi portassi
una risposta, per favore.” Gli disse col tono più amabile di cui era capace.
Scorpius afferrò la
lettera e questa volta non celò minimamente la rabbia, che irruppe nei suoi
lineamenti trasfigurandolo.
“Davvero Rose, è tutto
qui?” Malfoy stava facendo un evidente sforzo per non urlare, ma a lei non
importava. La sua furia, le sue reazioni finalmente esagerate erano rigeneranti
per Rose. Se ne stava beando a dirla tutta.
“Sì, grazie. Sei molto
gentile” gli rispose e lo allontanò da sé, liberandosi dalla gabbia delle sue
braccia attorno al proprio corpo.
Gli voltò le spalle,
fermamente intenzionata a non voltarsi, ma dopo i primi passi un pensiero le
pungolò la mente. Se lui poteva permettersi di prendere senza permesso ciò che
desiderava, perché anche lei non poteva fare altrettanto?!
Si voltò di scatto e
tornò indietro, ritrovandolo nella medesima posizione in cui lo aveva lasciato,
scuro in viso per la contrarietà. Malfoy aggrottò la fronte vedendola venire
verso di lui con tanta decisione, ma non si mosse di un millimetro.
“In realtà, ora che ci
penso, voglio anche un’altra cosa.” Gli disse prima di posare con decisione una
mano sulla nuca del ragazzo e attirarlo verso di sé.
Scorpius era più alto di
lei di parecchi centimentri, per questo per raggiungerlo dovette alzarsi sulle
punte e indurlo a chinarsi verso di sé. Posò la bocca sulla sua, imprimendo in
quel contatto quella massa confusa di emozioni che lui le faceva provare ogni
volta. Lo baciò come più ne aveva voglia, con poca delicatezza, con urgenza,
assaporando nella propria bocca il sapore della sua. E Scorpius rispose per le
rime, afferrandole i capelli, intrecciando le gambe con le sue fino a far
scontrare i loro bacini. Si ritrovò schiacciata tra il suo petto e la libreria,
nell’impeto di quell’abbraccio in cui nessuno dei due sembrava voler lasciare
spazio all’altro per fuggire. Nemmeno respirare aveva troppa rilevanza di
fronte alla necessità di stringersi ancora e sentirsi attraverso i tessuti
della divisa.
E nonostante il desiderio
lancinante che provava per lui in quell’istante, Rose si fece forza e
interruppe il loro divorarsi di baci. Gli diede un ultimo bacio sulla guancia e
poi gli sorrise con un pizzico di malizia. Lo allontanò posando con decisione
le mani sul suo petto e lo guardò dritto negli occhi.
“Buona giornata, Scorpius.”
Si stupì non poco di essere riuscita a produrre un tono di voce quasi nomale.
Col mento sollevato in una posa orgogliosa gli diede le spalle e se ne andò.
E quasi non riuscì a
credere alle proprie orecchie quando ormai alla fine del corridoio lo udì
sbellicarsi dalle risate.
***
“Mon petit chou, mi
passeresti la cartelletta che hai alla tua destra per favore?”
“Quale Dom?”
La testa bionda di
Dominique si sollevò e strizzando appena gli occhi gli indicò con un gesto
vago.
“Quella color lampone.”
James strabuzzò gli occhi
e osservò perplesso i molteplici raccoglitori che per lui ricadevano nella
medesima categoria di “rosa”.
“E di grazia, ma chère,
come potrei capire quello che desideri in questa massa indistinta di colori
identici.”
“Sei un tipo abbastanza
brillante, sono sicura che riuscirai a paragonare il colore di un lampone a
quelli che trovi proprio sotto il tuo naso.”
James prese una
cartelletta a casaccio e la portò alla cugina.
“Jimmy… Questo è rosa
cipria!” sibilò lei con un’occhiata torva.
James sbuffò sonoramente
e ritornò verso il letto della cugina, che fungeva momentaneamente da archivio.
Sollevò in aria uno per uno i raccoglitori mostrandoli all’altra finché non
riuscì ad identificare il fantomatico “color lampone”.
Mentre lo porgeva alla
Weasley lesse le parole “Viaggio di nozze” vergate con la grafia svolazzante e
sottile di Dominique. Sentì una fitta di dolore per lei, che non riuscì a
nascondere abbastanza in fretta quando lei alzò di sfuggita il capo per
ringraziarlo. Gli rivolse un sorriso dolcissimo, sfiorandogli la mano con la
propria in un muto gesto di rassicurazione.
Era andato da lei per
cercare di placare l’agitazione che lo pervadeva all’idea che si stesse
avvicinando il 2 di maggio, ma come spesso accadeva, si era ritrovato a dover
assistere al silenzioso massacro che ogni giorno si svolgeva nell’anima di Dom.
Aveva sempre saputo del
suo amore per Teddy, forse prima ancora che se ne rendesse conto lei. Aveva visto
come la consapevolezza della gravità dei propri sentimenti avesse lentamente e in
modo irreversibile trasformato Dominique. Lei, che da bambina era quanto di più
cristallino e trasparente esistesse, aveva trovato il modo di proteggere i
propri segreti dietro uno scudo completamente impenetrabile.
Lei era diventata
imperscrutabile, come la decisione di organizzare il matrimonio della sorella
con il ragazzo che entrambe amavano. E conoscendola non poteva certo essere
mero masochismo, no, Dom non era certo il tipo di persona che avrebbe buttato
via la propria vita a struggersi per un amore impossibile.
“Perché lo fai?” le
chiese di punto in bianco attirando la sua attenzione.
Dom comprese
immediatamente quale fosse l’argomento di discussione. Gli occhi turchesi della
ragazza si socchiusero e lei posò la penna d’oca con cui stava scrivendo gli
appunti.
“Perché li amo entrambi,
con tutto il mio cuore.”
“E dove trovi la forza di
sopportare questo amore?” incalzò lui.
“Da ciò che di bello c’è
nella mia vita, Jimmy. Dalle persone che mi vogliono bene e a cui posso volerne
a mia volta, senza sentirmi un mostro. Primo tra tutti tu.”
James respirò a fondo,
scosso dalla forza d’animo di Dominique, che agli occhi del resto del mondo
altro non era che una ragazza sempre di buon umore e un po’ frivola.
“Mi sembra che tu sia più
turbato di me per questo matrimonio, Jimmy.” Dom aveva posato i gomiti sui
braccioli della sedia e lo osservava con attenzione.
“Lo sono, infatti. Ma al
contrario di chiunque altro nella nostra famiglia, che pensa al futuro di
Victoire e Teddy, io penso al tuo. Mi chiedo, mentre ti destreggi tra
prenotazioni e piani, quanta desolazione sentirai il giorno del loro matrimonio.
Quando gli altri guardano loro due, io guardo te e so che il cuore ti sta
sanguinando nonostante tu continui a sorridere. E allora mi chiedo quando
arriverà il giorno in cui potrai essere amata e amare senza che senta che stai
morendo un poco alla volta.” James si morse le labbra pentendosi all’istante di
aver dato voce alle proprie angosce.
Gli occhi di Dom si
fecero lucidi per le lacrime trattenute e gli tese una mano che lui afferrò al
volo, stringendola nella propria.
“Ma io sono contenta che nessun
altro a parte te possa vedere tutto questo. Non potrei sopportare il peso
dell’angoscia e della preoccupazione degli altri. Non capirebbero, mentre tu
puoi accettare quello che sono.”
“Non è giusto! Tu meriti
di essere felice.” James si rese conto di quanto infantile fosse la propria
affermazione solo dopo che un sorriso ironico si aprì sul viso di Dom.
“Beh, merito anche le
nuove borse della collezione di Hermes, ma non per questo mi sciolgo in lacrime
se non posso averle.” Gli disse lei facendogli l’occhiolino e suscitando una
lieve risata. “Che ti prende Jimmy? Oggi sei molto pensieroso.”
James sospirò
profondamente e le rivolse uno sguardo angosciato.
“Non sono mai stato così
vicino a Gigì come in queste ultime settimane. Ma più lascio che lei veda chi
sono e più lei mi mostra chi è diventata, più ho paura che svanisca tutto come
fumo nell’aria.”
Dominique annuì,
comprendendo perfettamente le sue preoccupazioni, e gli diede una stretta più
forte alla mano prima di riprendere la propria penna d’oca. Si passò lentamente
la punta della piuma sul labbro superiore e parlò con tono sommesso:
“L’amore ci rende
vulnerabili, ma non per questo ci deve necessariamente ferire.”
E James di fronte a
quelle parole, tanto calzanti e veritiere, pensò che non ci fosse nulla da
aggiungere.
***
Il Ballo per la
commemorazione della Battaglia di Hogwarts era da un lato un evento molto
atteso dagli studenti e dall’altro molto temuto. La data segnava simbolicamente
l’inizio del periodo peggiore della vita scolastica: quello degli esami di fine
anno, che avrebbero impegnato tutti gli studenti in una lotta all’ultimo sangue
con la propria memoria. La sera del Ballo costituiva l’ultimo momento di svago,
prima dei giorni passati a studiare e ripassare implorando perché Merlino,
Morgana e i Quattro Fondatori la mandassero buona.
Se avesse dovuto
scegliere tra sostenere immediatamente i GUFO e prepararsi per quella serata,
Angelique non avrebbe avuto dubbi: si sarebbe presentata davanti alla
commissione in accappatoio piuttosto che fronteggiare quell’ansia divorante che
le faceva tremare le mani.
Osservava dubbiosa il
proprio armadio, scartando meccanicamente ogni possibile abito. Troppo lungo, troppo pesante, troppo chiaro, troppo
vestito.
“They say I'm too young to love you/ I don't know what
I need/ They think I don't understand/ The freedom land of the seventies.” La
voce di Martha udì dalla porta chiusa del bagno, tra il rumore dell’acqua della
doccia. Stava cantando Brooklyn Baby di Lana del Rey, doveva essere di ottimo
umore, al contrario di lei.
Angie si strinse
l’accappatoio sul petto e si sedette sul letto. Immaginò James nella sua camera
nella Torre Ovest intento a vestirsi, la camicia bianca che scivolava sopra le
sue braccia, i bottoni color madreperla che coprivano un pezzo alla volta il
suo addome. Un crampo, come un piccolo morso, si fece sentire nelle sue viscere
e le comunicò che come sempre la sua immaginazione le stava giocando pessimi
scherzi.
Quel pomeriggio lo aveva
visto per la consueta ora di ripetizione ed era stata tesa come una corda di
violino per tutto il tempo. Aveva cercato di concentrarsi al massimo sulla
Trasfigurazione, ma il suo turbamento si era tradotto in uno scarso rendimento
durante l’esecuzione degli incantesimi. Il fatto era che continuava a pensare
senza sosta a quello che era successo, o meglio quello che non era
successo, durante i festeggiamenti alla Buca per il campionato di Quidditch.
Ricordava con precisione
ogni dettaglio: il calore delle sue mani, il tocco delicato delle sue labbra
sulla guancia, il suo odore che le faceva venire i brividi e quella sensazione…
Quel sentirsi così leggera che avrebbe potuto prendere il volo al primo salto,
lo stomaco sottosopra, le membra irrequiete che trovavano pace solo nel
contatto con Jessy, il cuore che batteva nel suo petto frenetico.
Quando lo vedeva serio e
concentrato, quando osservava il suo polso piegarsi in un movimento lento e
preciso perché lei potesse capire appieno, quando la toccava per correggerla,
tutto ciò le riesplodeva nel cervello, lasciandola stordita nel desiderio
insoddisfatto per lui. Non sapeva se avesse mai provato nulla di simile. Con
Derek tutto quello che sentiva era macchiato dalle ombre della colpa che non
l’abbandonavano mai.
“Che fai ancora coi
capelli bagnati?!” la cover-band di Lana del Rey aveva finito di cantare in
bagno e Martha ne era finalmente emersa, guardando con aria di rimprovero
l’asciugamano in cui i suoi capelli erano ancora avvolti.
“Mi sembra di non aver
nulla di decente da mettermi…” pigolò lei con voce mogia, rimpiangendo di non
essere andata a fare shopping ad Hogsmeade in tempo.
Gli occhi di Martha si
addolcirono subito e la ragazza si avvicinò facendole segno di voltarsi. Angie,
come sempre, sciolse i capelli sulla schiena e lasciò che l’amica le asciugasse
i lunghi ricci.
“Vuoi pettinarli in
qualche modo?” chiese Martha mentre le sue dita si inoltravano con delicatezza
nella massa bionda per districare le ciocche umide.
Angie ripensò a quando
per il Bello del Ceppo aveva passato un’ora a lisciare i propri capelli e nello
specchio aveva ritrovato un’estranea.
“No… Lasciali così.”
Rispose spontaneamente.
Stasera sono solo io,
niente maschere. Con lui posso essere me stessa, sempre.
Dopo poco sentì il getto
di aria calda spegnersi e Martha la voltò verso di sé.
“Sarà una serata
complessa. Almeno il vestito, sceglilo semplice.” Le consigliò sorridendole
complice.
Guidata da quelle parole
rovistò nuovamente nell’armadio. Non ci vollero che pochi secondi per scegliere
l’abito con cui si presentò nella Sala d’Ingresso, dove aveva appuntamento con
James. Nero, dalla scollatura quadrata e senza maniche. Semplice, come la
camelia bianca che si era appuntata dietro l’orecchio. Semplice, in contrasto
con tutto quello che provava.
“Sei molto bella.” Si
complimentò Albus con un gran sorriso, che derivava probabilmente dal fatto di
avere a braccetto Martha. Lei d’altro canto era semplicemente mozzafiato. I
capelli ramati erano stati raccolti in alto sul capo, liberando il collo esile
e bianco. Aveva scelto un abito verde smeraldo che metteva in risalto i suoi
colori da irlandese, dalla chioma alla carnagione. Sorrideva in continuazione;
che fosse per dire qualcosa ad Al o salutare qualche conoscente, un sorriso
luminoso fioriva sul suo viso.
Angie li invidiò molto.
Invidiò la timida sicurezza con cui si stringevano le mani, le occhiate
sottecchi con cui comunicavano silenziosamente i loro desideri non troppo
celati, ma più di tutto invidiò quel sorriso che sembrava impossibile da
reprimere. Un vero sorriso di felicità.
Angie invece era un
fascio di nervi, sentiva lo stomaco far capriole al solo pensiero di incontrare
Jessy. Per di più poteva imputare solo sé stessa come una unica colpevole per
quella situazione, visto che in un impeto di follia pura aveva chiesto a James
di andare al ballo con lei.
Si congedò dai due amici
e iniziò a cercare il ragazzo nella folla, compito sempre piuttosto semplice vista
la stazza del soggetto. Incrociò Svitato e suo fratello Lysander ma non si
fermò troppo a chiacchierare. Voleva trovare la propria Piaga d’Egitto, tutto
il resto passava in secondo piano.
I suoi occhi si muovevano
per la sala puntando le teste più alte, zigzagava tra le persone assiepate, aveva
quasi mal di collo a furia di guardarsi attorno, ma di lui nessuna traccia. Sembrava
proprio che non fosse ancora arrivato.
Sentì il rumore dei
battenti della Sala Grande aprirsi e il vociare concitato dei ragazzi
aumentare. Per un breve istante si sentì delusa dal fatto che Jessy non si
fosse presentato puntuale, come se non avesse dato grande importanza a quella
serata. Tuttavia, mentre gli altri studenti si muovevano come un grande fiume
verso la festa, sentì il suo sguardo su di sé.
Fu una sensazione strana,
come se James stesso l’avesse sfiorata per chiamarla. Seppe che la stava
fissando prima ancora di voltarsi per vederlo appoggiato al muro, con le
braccia conserte, intento a guardarla. Angie si ricordò di quando lo aveva
medicato tempo addietro, dopo la partita di quidditch, lavando via il suo
sangue e guarendo la ferita sul labbro. Ricordò di aver pensato che fosse come
un lupo a caccia, proprio per l’intensità degli occhi ambrati, che anche in
quel momento la studiavano da cima a fondo.
Angie si compiacque di
come riuscì a camminare sui tacchi in quel breve tragitto verso di lui, senza
sembrare un T-rex ubriaco; mantenendo invece un minimo di femminilità, cosa non
semplice visto che sentiva le ginocchia molli come budino.
Si trovarono uno di
fronte all’altro e nonostante l’ampio spazio attorno a loro, ad Angie parve di
non avere più aria da respirare. Jessy, che indossava un completo blu scuro, la
osservava in un modo difficile da definire. Sembrava stesse studiando qualcosa
in lei che occupava tutte le sue energie. Lei non aveva idea di che cosa fare e
l’emozione rischiò di sopraffarla, tanto che probabilmente si sarebbe data alla
fuga entro pochissimo se James non avesse parlato.
“Fulgida stella.” Mormorò
dal nulla, stupendola per la stranezza del saluto.
“Come dici?” gli chiese
inarcando un sopracciglio. James sorrise e chinò lo sguardo prima di riportarlo
sul suo viso.
“Una delle poesie di
Keats che mi ha sempre fatto pensare a te si chiama Fulgida stella.”
Se si sentì lusingata per
il fatto che Jessy avesse pensato a lei leggendo simili poesie? Certo che sì, e
poco ci mancò che gongolasse spudoratamente. Le venne voglia di sentire i versi
di Keats pronunciati dalla sua voce.
“Recitamela, per favore.”
Non si stupì del fatto
che la sapesse a memoria, lo aveva dato quasi per scontato considerata la sua
passione per la poesia. Il tono caldo delle sue parole che recitavano Keats la
irretì come un vero e proprio incantesimo. Aveva una bella voce, dalle sfumature
profonde, che la facevano fremere per il desiderio di sentire quelle labbra
sulla propria pelle.
“… Sempre desto in un
dolce eccitamento a udire sempre, sempre, il suo respiro attenuato, e così
viver sempre, o se no, venir meno nella morte.”
Rimase colpita dal
significato delle parole della poesia a cui Jessy l’aveva associata. Dopo la
serata alla Buca era consapevole che James ricambiasse l’attrazione che sentiva
per lui, ma non aveva mai riflettuto sul fatto che forse anche lui provasse
qualcosa di più.
“Io chi sarei, quella
distaccata e fredda o quello che si strugge per un qualcosa che non potrà mai
ottenere?” gli chiese in tono leggero per nascondere il proprio turbamento.
Il ragazzo scosse la
testa e le sorrise misterioso.
“Nessuna delle due, non più.”
E dopo quelle parole la prese per mano, chiudendo nel palmo grande e caldo le
sue dita tremanti.
***
Lucy vegetava nel letto
di Lily osservando i drappeggi del baldacchino rosso. Gli appunti di
Trasfigurazione e Incantesimi erano sparpagliati attorno a lei, come grandi
fiori di carta ingiallita attorno al cadavere della sua voglia di studiare. Ragionò
sul fatto che per diventare cadavere la sua intraprendenza negli studi dovesse
essere stata viva a un certo punto, il che chiaramente non era mai avvenuto,
per questo il termine cadavere era improprio. Il suo aborto di voglia di studio
forse era più calzante.
Si chiese quanti studenti
avessero rinunciato alle gioie della festa offerta dalla scuola per rimanere a
deprimersi su questioni inutili nel letto della cugina più piccola, aspettando
di venir bocciati a tutti gli esami MAGO di giugno.
Lei e basta probabilmente.
Tre giorni prima aveva
compiuto diciotto anni. Non era stato il compleanno che aveva immaginato per
molti mesi. Non aveva potuto festeggiare alla Taverna delle Lucciole,
circondata da uomini ruttanti e donne allegre, bevendo firewhisky e mangiando i
manicaretti del Bruschetta. Non aveva potuto scegliere di passare la notte tra
le lenzuola insieme a Benji. Non aveva potuto dimenticare il trascorrere delle
ore languendo tra le braccia del suo uomo.
No, niente di tutto ciò.
Si era dovuta svegliare a
fatica come ogni mattina. Aveva cercato di sorridere con entusiasmo alla
colazione a letto che le sue piccole fangirl del terzo anno avevano preparato.
Era andata a lezione e aveva fatto un compito in classe di Incantesimi che
probabilmente avrebbe meritato una nuova classificazione nei voti scolastici,
qualcosa come un TD, abbreviazione per Troll Demente. Aveva pranzato con le Menadi,
sforzandosi per tutto il tempo di partecipare alle loro conversazioni, di
ridere delle loro battute sferzanti, senza perdersi nei propri pensieri. Le
aveva ringraziate per il bellissimo regalo, una giacca di pelle nera molto
rock. E poi in qualche modo era riuscita a trascinarsi fino a sera, per poter
crollare a letto e smettere di recitare.
Recitare il ruolo di
quella sé stessa che non si sentiva più, perché più in generale non sentiva
proprio più nulla.
La lettera che i suoi
genitori le avevano scritto giaceva intonsa insieme al loro regalo sulla
scrivania di Lily, ingombra di mille altre fogli di pergamena, libri, piume
mezze distrutte e ciarpame vario. Non le importava nulla di ciò che avevano da
dirle, così come non voleva il loro regalo. Ad essere sincera non voleva
proprio nulla dal momento che non poteva avere l’unica cosa che il suo cuore
realmente desiderava. Si sentiva semplicemente spenta.
“Pensavo di trovarti
affogata in un barile di Firewhisky. Sono contenta che non sia così, la puzza di
alcool impregna tutti i vestiti!”
La voce di Dominique le
colpì le orecchie come uno schiaffo. Lucy si voltò sorpresa verso la porta del
dormitorio del terzo anno e una visione di nauseante bellezza le si impresse
nelle retine. Dom avanzò verso di lei camminando su un paio di tacchi alti come
se fosse stata a piedi nudi, eterea nel suo vestito di chiffon azzurro
pastello.
“Non me lo posso
permettere, un barile di Firewhisky, nonostante ne avrei davvero bisogno ora.”
Dominique le sorrise
sorniona e solo in quel momento Lucy si rese conto che teneva entrambe le mani
dietro la schiena.
“Allora ho fatto bene a
portene un po’.” Le mostrò di avere una fiaschetta di metallo nella mano
sinistra e poi proseguì. “Perché credo che ti servirà per leggere questa.”
Nella sua mano destra comparve una busta di carta avorio con delle decorazioni
sugli angoli, la cui qualità era visibile anche a un metro di distanza. Una di
quelle cose inutili che sarebbero piaciute tanto a sua cugina.
E a Benji.
Lo stomaco le si serrò in
un crampo forte e improvviso, mentre le mani guantate di Dominique le porgevano
quei due oggetti e lei li riceveva con presa malferma.
Sulla carta porosa erano
vergate le parole “Per L” con una grafia obliqua e ordinata, che avrebbe
riconosciuto dovunque.
“Avrei voluto che
arrivasse per il tuo compleanno, ma serviva più tempo per rendere sicuro il
canale di comunicazione. Buon compleanno, Lucie.” Dom si era seduta sul
letto, facendosi spazio tra le sue cartacce, e la osservava con uno sguardo
pieno di tenerezza.
La gola di Lucy era
serrata dall’angoscia. E se aprendola avesse trovato le parole che confermavano
le sue peggiori paure? E se lì in quella busta Benji le avesse scritto che era
stata la peggior sciagura della sua vita averla incontrata, che non desiderava
mai più rivederla? Che cosa avrebbe fatto in quel caso?
“Rose gli ha scritto per
raccontargli che cosa è successo quel pomeriggio nell’ufficio della McGranitt,
anche se dubito che non lo avesse già capito. È un tipo sveglio il tuo
Benjamin. E gli ha detto che potevamo farti avere una sua lettera… Perché hai
tanta paura di aprirla?”
Due grosse lacrime le
scivolarono sulle guance prima che potesse fermarle e con voce rotta rispose:
“Perché ho paura di
averlo perso.”
“E quando mai la paura ti
ha fermata dal fare ciò che volevi?!”
Mai.
E non lo avrebbe fatto
nemmeno quella volta. Aveva bisogno di sapere se credere ancora in loro due, aveva
bisogno della verità.
Così le sue dita
armeggiarono con la carta, fino a far scivolare sul copriletto scarlatto le
pagine scritte ordinatamente in inchiostro nero.
“Cara Ragazzina,
Vorrei iniziare dicendoti
che sei la creatura più testarda che abbia mai conosciuto, la più generosa e la
più coraggiosa. Non oso immaginare quanta forza ti abbia richiesto affrontare
l’inferno in cui sei stata gettata all’improvviso, ma sono certo che lo stai
facendo a testa alta.
Non ti tedierò
descrivendoti la mia vita da recluso, ma sappi che sono trattato con tutti i
riguardi e le premure possibili, nonostante la solitudine sia una compagna
pungente… il che dovrebbe aiutarmi a sentire meno la mancanza della tua
insolenza! Tuttavia non è così.
Non passa giorno in cui
non ripercorra ogni centimetro del tuo viso nella mia memoria, sforzandomi di
riprodurre con precisione millimetrica anche le tue lentiggini. Non passa ora
in cui non cerchi di evocare la sensazione delle tue mani nelle mie, della tua
voce che mi graffia l’anima, dei tuoi occhi che si perdono nei miei, della
nostra pelle che si appartiene. Non passa istante in cui non senta la mancanza
lacerante della tua intelligenza colorata dal sarcasmo, del tuo odore, del modo
in cui guardi le cose che ti stupiscono, della tua risata, di ciò che sei. E in
questa lunga attesa che ci separa, intervallata solo dal dolce strazio di
ricordarti per sentirti vicina, mi preparo. È un lento accumulo di energie,
un’introspezione continua, una minuziosa conta delle mie forze, un inverno di
preparazione che mi scava l’anima, ma che mi è necessario.
E ora che hai ancora
tempo per riflettere, che sei ancora in tempo, forse, per scegliere
diversamente, devo chiederti di preparati a tua volta.
Sì, perché il giorno in
cui ci rivedremo, il giorno in cui potrò vedere se davvero sotto l’occhio
destro hai quella lentiggine che sempre dipingo nella mia mente, io quel giorno
ti chiederò di venire con me. E se vorrai essere al mio fianco, non ci
volteremo più. Ci lasceremo alle spalle questi attimi di miseria e dolore, ma
anche i legami che abbiamo qui.
Rifletti con attenzione e
scegli senza rimpianti.
Tu sei la donna che ho
atteso per tutta la vita, Lucy, a prescindere da quale sarà la tua scelta.
Tuo in ogni mio respiro.
Benjamin.”
Lucy finì la lettera
singhiozzando tanto forte da far tremare il letto. Non aveva minimamente
provato ad asciugare quelle lacrime così liberatorie, che le avevano inzuppato
il maglione. Si immerse in quella sensazione indicibile di amore e di dolore e
di gioia e di nostalgia, che sembravano scaturire da un punto al centro del
petto. Quel punto specifico del suo corpo che le doleva come se si fosse rotto
e qualcosa dentro di lei stesse provando ad allargare la ferita per uscirne,
perché solo da ciò che si apre o si crepa si può vedere la luce. E lasciò che
accadesse, lasciò che l’angoscia, la paura, i sogni infranti, le speranze
disattese se ne andassero da lei per sempre, attraverso quello squarcio che la
penna di Benji aveva inciso.
Quando terminò quel
pianto catartico, vide che Dominique le porgeva la fiaschetta stappata.
“Sarebbe stato il caso di
farsi un goccetto prima di diventare una fontana.”
Lucy rise asciugandosi
gli occhi e ingollò una generosa sorsata di firewhisky.
“Mi sembri la fata
turchina conciata così.” Le disse indicando col mento il suo vestito, per il
solo gusto di irridere un po’ tutta quella bellezza studiata nei minimi dettagli.
Dominique socchiuse gli
occhi e sollevò in aria il naso sottile, con fare indignato.
“Beh, avevamo già
stabilito che ci fossero delle somiglianze tra te e Cenerentola. Io sono quella
che deve fare miracoli coi tuoi stracci. Senza contare che hai la faccia
conciata come un’anguria: gonfia, rossa e umidiccia. Ah, non azzardarti a protestare!
Ora ci penso io a te.”
***
La prima volta che aveva
avuto il coraggio di prenderla per mano era dicembre, nevicava e le sue dita
erano congelate. Erano passati mesi, il tempo era diventato mite, ma le sue
mani continuavano ad essere fredde. Ne intuiva la ragione, la stessa per cui
lui si sentiva l’intero corpo percorso da un’energia unica, quasi elettrica.
I loro passi erano in
armonia, nonostante la differenza di altezza e la tensione vibrante tra loro. I
loro piedi di posavano sulla pietra antica del pavimento nello stesso istante e
poi la lasciavano in perfetta coordinazione, come se lo avessero fatto da
sempre.
Erano in silenzio da
qualche minuto, aspettando di entrare nella Sala Grande, ma non si sentivano a
disagio. In mezzo al rumore degli altri studenti, loro si concentravano solo sulle
loro mani unite, sugli avambracci che si toccavano, sulla sensazione di essere
vicini più di chiunque altro in quella sala.
C’era la musica dal vivo
come ogni festa ad Hogwarts, e James non riuscì a non pensare a quando, chiuso
in uno sgabuzzino puzzolente in compagnia della O’Quinn, aveva sentito quella
canzone bellissima e triste. Osservò con la coda dell’occhio il profilo di Gigì
al suo fianco e sorrise per l’assurdità del loro destino, percorso da linee che
continuavano a mostrare disegni simili, ma sempre diversi. Loro due a un ballo,
che indossavano diversi tipi di maschere, che raccontavano bugie agli altri ma
si facevano dono reciproco dell’onestà; loro due che appena si avvicinavano
davvero venivano separati. La sua mano si serrò istintivamente più forte
attorno a quella di Gigì, la quale lo guardò interrogativa.
“Hai fame?” le chiese
senza riflettere. In generale il cibo era un ottimo argomento di discussione
tra loro, a parte quando parlavano delle praline al cioccolato per cui lei aveva
un’insana passione.
Un sorriso si aprì sul
suo viso e lei confessò con un’aria semi colpevole:
“Ho un buco nello
stomaco! Non ho nemmeno fatto merenda oggi.”
Anche James sorrise e,
sfruttando la propria altezza e le spalle ampie, si fece strada in mezzo alla folla
fino al punto della Sala Grande dove avevano allestito il buffet, senza mai
lasciare la mano di Angelique.
E non seppe quando
successe, ma successe.
Mangiando si rilassarono,
iniziarono a parlare, a scherzare come ormai facevano da settimane e semplicemente
il tempo iniziò a fluire attorno a loro. Sedevano vicini, le loro ginocchia si
sfioravano con casualità ma non troppa, la musica alta era la scusa perfetta
per avvicinare i volti per parlare. E quando James si rese conto che stavano effettivamente
flirtando quasi scoppiò a ridere incredulo.
Le sue mani ormai
formicolavano dal desiderio di toccare la pelle delle braccia di lei, il suo
cervello stava compiendo sforzi eroici per non perdersi nella linea morbida
delle labbra di Gigì, il suo olfatto era inebriato dal profumo delle mimose e
della lavanda.
Stava per proporle di
andare a fare una passeggiata, quando il destino, per la prima volta in quella
loro improbabile storia, gli venne incontro. Riconobbe allibito le prime note
di una canzone babbana un po’ vecchia, ma perfetta.
Semplicemente perfetta.
Si alzò e porse la mano a
Gigì, che con un’occhiata ironica la prese, convinta forse che volesse fare
come alla Buca, con balli assurdi e mosse buffe per farla ridere; ma James non
aveva più voglia di scherzare.
Quando furono sulla
pista, l’attirò a sé con decisione, posando una mano sulla sua schiena. Gli occhi
verdi si spalancarono, mentre i loro corpi combaciarono prima di iniziare a
muoversi lentamente, a ritmo con la musica. E guardandola negli occhi le
sussurrò le prime parole della canzone:
“Quando provi a fare del
tuo meglio, ma non ci riesci. Quando ottieni ciò che vuoi, ma non ciò di cui
hai bisogno. Quando sei così stanco, ma non riesci a dormire. Non riesci ad
andare avanti.”
Il capo di Gigì era
leggermente inclinato indietro per poterlo guardare dritto negli occhi, così
che il suo collo e le sue spalle formassero un'unica linea aggraziata,
interrotta solo dai suoi respiri, che facevano affiorare l’ombra del seno dalla
scollatura. Lo guardava con una serietà e una profondità che per poco non gli
fecero mancare la voce; ma lui aveva una storia da raccontarle.
“E le lacrime iniziano a
scendere sul tuo viso. Quando perdi qualcosa che non puoi riavere.”
Entrambi avevano perso
parti di sé che non avrebbero mai più avuto indietro. Avevano però scoperto che
potevano costruirne di nuove per proprio conto o insieme. Avevano scoperto che
nella perdita si trovava una forza inattesa; che lasciando andare quello che li
aveva feriti erano potuti andare avanti, fino a trovarsi uno di fronte
all’altra, senza più maschere, senza più bugie.
“Quando ami qualcuno, ma
tutto viene buttato via. Potrebbe andare peggio?”
Angelique trattenne il
fiato e i suoi occhi si riempirono di lacrime. E James seppe che stava iniziando
a vedere davvero tutte quelle pagine che avevano scritto insieme e che lei non
aveva mai letto. Stava iniziando a mettere al proprio posto tantissimi
frammenti che le erano rimasti tra le mani inutilizzati, e improvvisamente
combaciavano tra loro. Stava capendo.
“Le luci ti riporteranno
a casa. Ed infiammeranno le tue ossa. E io proverò a guarirti.”
E lei, che aveva lo
spirito di una guerriera e le mani di una guaritrice, aveva sanato le sue di
ferite, con le stesse armi con cui lo aveva massacrato.
Avrebbe voluto continuare
a sussurrarle il resto della canzone, ma Gigì non glielo permise.
“Eri tu, vero? Eri tu
alla festa delle Menadi?” gli chiese con voce roca.
Loro due, un ballo, delle
maschere, le mezze verità. Sempre la stessa storia.
“Tu sei il mio astro,
dall’altra parte del cielo che non posso raggiungere. Tu sei il mio supplizio e
la mia rinascita, ogni giorno.” Le ripeté le stesse parole che aveva usato
quella notte lontana, sorridendo perché in realtà, come già le aveva detto, lei
non era più la fulgida stella.
Gigì deglutì a fatica,
schiacciata dalla consapevolezza. Erano abbracciati sulla pista da ballo, il
viso così vicino che potevano sentire sulle labbra il respiro dell’altro. James
si rese conto che erano immobili in mezzo a tutte le altre coppie che ballavano.
Nella sua testa rimbombarono le parole “Ora o mai più.”
Ma Gigì, ancora una volta,
gli rovinò i piani. Sciolse l’abbraccio e afferrò saldamente la sua mano.
Osservò per un istante le loro dita intrecciate, poi gli rivolse un’occhiata
risoluta.
“Andiamo via.”
***
Il cuore le batteva tanto
violentemente contro la gabbia toracica che sembrava un uccellino desideroso di
evadere. Le sue gambe si muovevano leggere, come se avesse potuto prendere il
volo da un momento all’altro, e l’unica cosa che l’ancorava ancora al terreno
era la mano di Jessy, chiusa attorno alla sua. Ridevano senza un particolare
motivo e correvano insieme verso le ombre protettive del parco. Sapeva che
stava per succedere e sentiva i brividi correrle per tutto il corpo.
Gli istanti che precedono
un primo bacio sono un soffio di magia. Ogni terminazione nervosa è all’erta,
ogni centimetro di pelle ipersensibile, il corpo intero si prepara come se si
stesse lasciando andare nel vuoto. Se quell’incontro di labbra, calore, lingue,
mani e corpi raggiunge la giusta armonia la magia si trasforma in incantesimo.
Tutto quello che segue è più naturale, più facile di quel primo passo. Allo
stesso modo se qualcosa nella formulazione dell’incantesimo va storto c’è il
rischio che tutto finisca come una bolla di sapone, una silenziosa esplosione
che non lascia alcuna traccia.
James voltò verso destra,
uscendo dal sentiero segnato, e immediatamente i tacchi delle sue scarpe si
piantarono nel terreno del prato.
“Putain.” Le
sfuggì a mezza voce e sentì Jessy ridere per quella volgarità gratuita.
In un secondo si sfilò le
scarpe e affondò i piedi nell’erba umida, emettendo un mugolio di piacere per il
sollievo datole da quel contatto fresco. Avrebbe voluto chinarsi per prenderle,
ma James la trascinò via e pensò che potevano fottersi pure le scarpe in quel
momento.
Il parco era talmente
affollato da altri con le loro stesse intenzioni, che si spinsero fino alle
rive del Lago Nero prima di trovare la pace che cercavano.
L’aria all’esterno del
castello era frizzante e si frangeva sulla pelle delle sue braccia, aumentando
i brividi che già sentiva. In lontananza si sentiva il brusio indistinto della
festa. Il castello, illuminato a giorno per l’occasione, rendeva visibile il
parco quasi fino a loro. Angie istintivamente si immerse nel lago fino alle
caviglie; ne contemplò la superficie scura e liscia, come un manto di seta nera.
Jessy la raggiunse dopo poco, in silenzio, e anche lui scalzo probabilmente,
mettendosi alle sue spalle.
Le dita di James
percorsero con delicatezza i palmi delle sue mani e la pelle del lato interno
dei polsi, lentissimo.
“Sai che nelle camere di
Serpeverde ci sono degli oblò?” ma perché? Perché non poteva rimanere in
silenzio e basta?! Stupido, stupido cervello che andava a ottocento all’ora
senza la sua autorizzazione.
“Ah sì?” Jessy parlò
contro la piega del suo collo e il sussurro della sua voce la fece tremare.
Le sue mani erano risalite
verso i gomiti e lì sostavano per disegnare piccoli cerchi.
“Già. In realtà spesso è
troppo buio per vedere qualcosa, a volte d’inverno non arriva nemmeno un raggio
di luce. Inoltre, gli oblò sono piccoli. Però ogni tanto si vede uno dei tentacoli
della piovra, oppure i pesci nuotare. Elena sostiene di aver visto anche le
sirene, ma non le credo. E… Jessy, ti prego, fammi stare zitta.”
Aveva raggiunto le spalle
e aveva iniziato a giocherellare con il bordo dell’abito. Più lui la irretiva
con quei movimenti calmi e ipnotici, più lei perdeva il controllo sul suo
cervello.
Sapeva essere tanto
delicato che Angie dimenticava quanta forza si celasse nel suo corpo. Ne ebbe
un assaggio quando affondò le dita nelle sue spalle e la fece voltare verso di
sé, quasi che fosse stata inconsistente.
Il viso di James era
rischiarato solo in parte dalle luci siderali sopra le loro teste, ma Angie
avrebbe riconosciuto anche al buio il luccichio dei suoi occhi ambrati.
E, per fortuna, non ci
furono più parole tra loro, in fondo ce n’erano state fin troppe in quei cinque
anni.
Angelique sfiorò una
ciocca dei suoi capelli neri, estendendo il movimento fino a farlo diventare
una carezza. James socchiuse gli occhi al suo tocco e si chinò verso di lei.
Il contatto tra le loro
labbra al principio fu delicato, quasi che entrambi avessero paura di andare in
mille pezzi se solo avessero osato di più. Increduli per quello che stava accadendo
rimasero immobili per parecchi secondi, finché uno dei due esasperato dall’attesa
non decise di approfondire il bacio.
Dopo aver passato
settimane a negare, nascondere e cercare di spegnere il desiderio che provava, Angelique
si lasciò andare e quelle labbra, che si muovevano sulle sue con decisione e
abilità, erano la porta verso la libertà. Le braccia di James la avvolsero fino
a che non aderì al suo corpo, una delle sue mani le risalì la schiena per
intrufolarsi tra i suoi ricci e stringerne le ciocche.
Era caldo, accogliente,
generoso. Tutto in lui le faceva venir voglia di averne ancora, senza sapere se
le sarebbe mai bastato.
Fu la prima a forzare le
sue labbra, chiedendo accesso a quella bocca che aveva infiammato i suoi sogni
e torturato i suoi pensieri di giorno. E quando si toccarono, scivolando l’uno
nell’altra, invadendo finalmente i confini dei reciproci corpi, il ventre di
Angie si contrasse in uno spasmo di piacere. Ansimò per quella sensazione e
James colse al volo l’occasione per aumentare il contatto tra loro, incastrando
una gamba tra le sue.
Le mani di Angie, animate
di vita propria, si aggrapparono ai suoi capelli indisciplinati, al bavero
della sua giacca, alle sue spalle larghe, per portarlo più vicino, per
inondarsi del calore che lui emanava anche attraverso i vestiti. Si sentiva
come magma fluido e incontrollato, pronta a rimodellarsi ad ogni movimento in una
danza senza fine.
In un lampo di razionalità
si ricordò che non era il loro primo bacio. Non aveva mai dimenticato quando,
poco più che bambini, lui aveva posato le sue labbra sulle sue in un confuso e
fallimentare tentativo di consolarla. Quante cose erano cambiate.
“Stai ridendo?” la voce
arrochita di Jessy le fece aprire gli occhi.
Lui era passato a baciare
la mandibola e il collo, con una dedizione che aveva dell’encomiabile. E che le
rendeva molto difficile ragionare.
“Stavo ripensando a
quando mi hai baciata al primo anno. Ti ho odiato tantissimo.” E rise ancora
perché in quell’istante non avrebbe potuto sentire sentimento più lontano.
James sorrise sulla sua
pelle, poi affondò con studiata lentezza di denti alla base del suo collo. Lei
chiuse gli occhi estasiata e dalle sue labbra uscì un suono di pura
soddisfazione.
In passato aveva pensato
che Jessy fosse l’unico in grado di dire sempre la cosa sbagliata al momento
sbagliato; ora sembrava che avesse trasformato questa dote in una molto più interessante,
ovvero quella di riuscire a fare la cosa giusta al momento giusto.
“Eri una ragazzina
intrattabile.”
“Tu eri un prepotente.”
“Non sapevo come avvicinarti.”
“Beh, mi sembra che tu abbia
capito.”
E le loro labbra si
ritrovarono subito dopo, chiedendo perdono per gli errori commessi, ringraziando
per quello che avevano in quell’istante e pregandosi l’un l’altra di non
smettere.
***
“Non ci posso credere…”
gli occhi azzurri di Rose guardavano stupefatti le due figure uscire dalla Sala
Grande correndo.
“Ci sono riusciti…
davvero?” chiese Lily alzando un solo lato della bocca, a metà tra lo schifato
e l’incredulo.
“Mah, per il momento
stanno semplicemente camminando.”
“Sì, Lucy, ma stanno
camminando mano nella mano!” esclamò Dominique indicando James e Angelique
ormai lontani.
“E stanno andando verso
il Parco.” Aggiunse sempre più stupita Rose.
“Oh, sono così felice che
potrei mangiare dei carboidrati.” Dominique si sentiva davvero elettrizzata,
tanto che le veniva voglia di saltellare per tutta la sala.
“Le fate turchine non si
nutrono solo di sogni e tè verde?” Lucy che faceva nuovamente del sarcasmo… musica
per le sue orecchie.
“No cara, ma le nostre
puzzette sanno di violetta.”
Lucy scoppiò a ridere
fragorosamente e un paio di ragazze vicine a loro si voltarono a guardarle.
Quando riconobbero la maggiore delle Weasley, i loro visi ben truccati
assunsero simultaneamente un’espressione precisa, un misto tra lo scandalo e il
timore.
Dominique si spostò di
qualche centimetro e piantò in viso alle due la peggior occhiata gelida che
fosse in grado di produrre. Come prevedibile, distolsero immediatamente lo
sguardo, allontanandosi poco dopo.
Lucy non si accorse di
nulla e Dom le rivolse un sorriso compiaciuto.
Il mondo stava davvero
raggiungendo nuovi equilibri. Lucy tornava a fare sarcasmo, Angie e Jimmy
andavano a limonare nel parco, Rose saltava addosso a Malfoy (già da parecchio
tempo, ma d’altra parte era la più intelligente di tutte loro), Lily non aveva
ancora fatto esplodere nessuna ala del castello insieme ai suoi due compari
Grifondoro e lei aveva finito tutte le prenotazioni per il matrimonio di Vic e Teddy.
Sorseggiò soddisfatta la
propria Burrobirra.
Non lo avrebbe ammesso
nemmeno sotto tortura, però non attuare piani in effetti portava a incredibili
successi.
Note dell’Autrice:
Non so nemmeno quanto
tempo sia passato dall’ultimo aggiornamento, però eccomi di nuovo qui. In questi
tempi tragici abbiamo tutti bisogno di sperare e l’unico modo che io conosco di
dare speranza è scrivere. Non ho molto da dire, solo spero che questo capitolo
renda un po’ più piacevole il vostro tempo in quarantena.
Vorrei ringraziare in
modo particolare coloro che hanno lasciato una recensione nello scorso
capitolo: cescapadfoot, truegattara, Idiot, Cinthia988, thetwinsareback,
carpethisdiem_ e Rarity94.
Grazie mille anche a
tutti coloro che continuano a leggere e seguire.
Vi mando un abbraccio.
Bluelectra.