Cap. 36 All my tears
The wounds this world left on
my soul
Will all be healed and I'll be whole
…
It don't matter where I lay
All my tears be washed away
(Ane Brun - All
my tears)
Non ci poteva credere.
Nemmeno il pezzo di
pergamena che stringeva tra le dita, e che controllava ogni due minuti, poteva
convincerla del tutto della realtà delle cose.
Forse riusciva ancor meno
a credere di star attraversando i corridoi durante la pausa di metà mattina,
alla ricerca di Potter, non allo scopo di insultarlo o di scusarsi. Solo per
parlargli. E forse per gongolare un pochino.
Aveva preso Oltre Ogni
Previsione nell’ultima valutazione pratica di Trasfigurazione.
Cavendish le aveva
sorriso, entusiasta che dopo tanti anni si fosse giunti ad una svolta, ma lei
lo aveva guardato serissima chiedendo se fosse proprio sicuro di quel voto. Lui
aveva risposto perplesso che certo, era sicuro. A quel punto Angie gli aveva
chiesto se non gli facesse nulla scriverle su una pergamena il voto, perché voleva
delle prove. Il professore sempre più confuso dal comportamento così sospettoso
di Angelique aveva scritto quanto richiesto. Solo quando i suoi occhi avevano
incontrato il voto vergato dalla mano del professore di Trasfigurazione, si era
concessa di sorridere a propria volta.
E con la medesima
espressione un po’ ebete, si stava dirigendo verso il luogo dove sapeva che a
lui piaceva passare la ricreazione: il piccolo chiostro con gli alberi al
centro e le panchine di pietra.
Marciava col suo solito
passo militare, pensando alla faccia che avrebbe fatto Jessy, o che almeno
sperava facesse… Forse le avrebbe semplicemente fatto i complimenti per il voto
e niente più. Dopo tutto era solo un O, non era certamente il voto finale del
Gufo, non c’era bisogno di scaldarsi tanto.
Lo riconobbe subito. Era allenata
ad individuarlo nella massa confusa degli studenti, con un istinto infallibile.
Osservarlo quando non si sapeva visto, nelle sue espressioni spontanee, nei sorrisi
che gli modellavano la bocca, nelle sue movenze, le dava un piacere
inconfessabile. Lo cercava sempre appena vedeva un assiepamento di studenti del
sesto anno, in Sala Grande. Non poteva farci nulla, era cotta come una pera.
Jessy era, come di consueto,
attorniato dai suoi compagni di Casa, Philip, Alice e Fred. Per un brevissimo
istante Angie pensò che, dopo il litigio con Potter, Derek aveva preso gli
amici più sinceri che avesse avuto ad Hogwarts. Si impose di non lasciare corso
alla consueta tristezza che evocare il suo ricordo portava con sé.
“Jessy!” lo chiamò mentre
si avvicinava quasi correndo, senza smettere di sorridere un attimo.
James si voltò verso di
lei e inarcò un sopracciglio. Non si sarebbero dovuti vedere prima del giorno
successivo, per un’altra lezione di Trasfigurazione. I capelli neri, caotici e
indomabili, rilucevano sotto i raggi del sole di fine aprile come carboni
ardenti. Portava la cravatta con i colori di Grifondoro perfettamente annodata
al collo, al contrario della maggior parte degli studenti, tra i quali vigeva
la moda di portarla allentata, per dare un’aria di trasandatezza. In quel
piccolo particolare Angie vide l’impronta inconfondibile di Dominique, e pensò
che prima di allora non l’aveva mai notato.
“Che succede, Gigì?”
James le era venuto in contro e la scrutava perplesso.
Angie gli sventolò
davanti al viso la pergamena di Cavendish e quando il ragazzo la prese tra le
mani, esclamò:
“È il mio voto nella
prova pratica di Trasfigurazione!”
Nella frazione di secondo
che ci volle a Jessy per comprendere, Angie poté osservare i suoi lineamenti sbocciare
letteralmente in un sorriso estasiato.
“Bravissima, Gigì!” Venne
travolta prima dall’entusiasmo che prese i suoi occhi, illuminandoli in un modo
che la lasciò senza fiato, e poi dall’abbraccio in cui la coinvolse.
Ridendo a pieni polmoni,
la prese per la vita e la sollevò dal terreno con agilità. Angelique,
incredula, rise a propria volta. Gli cinse le spalle per tenersi in equilibrio,
ritrovandosi circondata dai muscoli del suo petto e delle sue braccia, che
riusciva a sentire distintamente contro di sé.
Quel gesto improvviso
durò pochissimo, perché Jessy la rimise a terra quasi subito, ma bastò a
scatenare in lei una serie di emozioni contrastanti. Il desiderio di allontanarsi
per nascondergli il rossore che sentiva diffondersi sulle guance, quello di
ritornare a spalmarsi addossi a lui, a tutti quei muscoli e quella pelle
profumata. L’eccitazione in ogni terminazione nervosa per il suo tocco, la
calma autoimposta per celare quanto le ginocchia fossero malferme. La gioia che
provava più aver potuto mostrargli quel miglioramento che non per il
miglioramento in sé. La preoccupazione perché forse stava attribuendo
un’importanza esagerata ai suoi gesti.
Il vortice delle sue
elucubrazioni venne cancellato in un secondo da Jessy, che le posò le mani
sulle spalle e disse con un sorriso che le ridusse lo stomaco a un groviglio:
“Sono orgoglioso di te.”
Angelique assimilò
lentamente quelle poche parole, lasciando che si posassero nella parte di sé
che da ragazzina aveva rinchiuso dietro l’apparente freddezza e distacco, la
vulnerabilità inconfessabile, nata dall’essersi sentita diversa per tutta
l’infanzia. Quella dell’Angelique che aveva temuto appena arrivata ad Hogwarts
di rimanere emarginata, di non essere abbastanza per quel nuovo mondo.
Lui era orgoglioso di un
suo traguardo.
Lui, con cui si erano
scannati per anni, a cui aveva detto vere e proprie crudeltà, che le aveva
rivolto parole impietose, il solo che avesse visto fino in fondo l’abisso in
cui si era sprofondata, l’unico che le avesse porto il giusto appiglio per
risollevarsi con le proprie gambe. Lui era orgoglioso di lei.
Angie si riscosse e smise
di fissarlo come se fosse stata l’ultima fetta di torta al cioccolato
disponibile. Cercò disperatamente di non pensare alle sue dita che si
modellavano sulle proprie spalle, dando vita nella sua mente a visioni deliziosamente
pornografiche.
“Beh, io ora dovrei
andare a Divinazione. Ero passata solo per dirtelo.” gli disse cercando di
sembrare noncurante all’idea di andarsene.
Jessy annuì sorridendole.
Le sue mani si sollevarono in un nano secondo, dandole la sensazione di essere
improvvisamente priva di qualcosa di importante.
E anche se cercò di concentrarsi
sulle carte astrali della Cooman, continuò a ripensare all’abbraccio di James,
al sorriso felice che l’aveva ammaliata, al tocco delle sue mani, grandi, dalle
dita lunghe e piene di forza.
Avere James come
protagonista dei propri pensieri era diventato una tale costante, che imprecò
come un carrettiere per tutta la giornata.
***
Lucy pensava di essere
esperta in materia di frustrazione. Tuttavia, la relazione segreta che per mesi
aveva intrattenuto con Benji le aveva concesso solo l’antipasto di quello che
provava in quel momento.
All’alba del suo
diciottesimo compleanno dormiva nella stanza delle ragazze del terzo anno, le
quali (non sapeva esattamente perché) l’avevano eletta a propria paladina e
idolo, ruoli che sentiva più scomodi di un maglione di lana grezza sulla pelle
nuda. Non aveva potuto portare il
proprio baule nella camera di Lily perché non c’era abbastanza spazio, quindi
ogni volta che aveva bisogno di vestiti puliti doveva mandare in esplorazione
le quattro piccole bestiole da cui era costantemente attorniata, per accertarsi
che la Danes non fosse nei paraggi. Da quel punto di vista erano veramente una
risorsa preziosa.
Lucy aveva deciso che avrebbe
impiegato ogni briciolo della propria volontà per non avere mai più nulla a che
fare con quell’essere spregevole. Da questo derivavano una serie di scomodità
immense, tra cui il non avere più una propria camera, il condividere il letto
con Lily e l’essersi auto-ostracizzata dalla Sala Comune.
Gli esami MAGO si
avvicinavano come nuvole scure all’orizzonte. Per quanto concerneva la sua
preparazione, poteva contare esclusivamente sulle sue scarse competenze
accademiche, visto che la povera Rose si stava preparando per i propri GUFO e
non aveva più tempo per obbligarla a studiare.
Sua madre e suo padre le
avevano scritto un paio di lettere a testa, in cui le manifestavano tutta la
loro vicinanza e la invitavano a sentirsi libera di sfogarsi con loro per tutto
quello che le era accaduto nei mesi precedenti. Come se avesse mai preso in
considerazione l’idea di rivolgersi a loro nel momento del bisogno!
In seguito allo scandalo
di proporzioni bibliche che l’aveva vista coinvolta, alcune informazioni erano
trapelate inevitabilmente, rendendo la scuola un vespaio di pettegolezzi. Lucy,
ogni minuto di ogni giorno, era oggetto di sguardi perforanti come chiodi. Ogni
suo passo era accompagnato da una sinfonia di bisbigli e risolini. Le sembrava
di poter leggere a chiare lettere sul viso degli altri studenti le domande che
li rodevano: “Come ha potuto una mediocre come la Weasley organizzare tutto il
commercio delle Menadi? E così è a quella che abbiamo allungato per tutti
questi mesi i nostri galeoni? Che sia veramente l’amante di quel criminale?”.
Una volta aveva dovuto trattenere con la forza Lily, pronta a prendere a calci
un gruppo di ragazze del settimo anno che avevano fatto battute davvero poco
simpatiche sul suo conto durante un cambio dell’ora.
Tutto ciò sarebbe anche
stato sopportabile, se solo avesse avuto notizie da parte di Benjamin.
Da quando aveva scorto la
sua figura dissolversi nel cortile di Hogwarts, grazie alle macchinazioni di
Rose e Malfoy, non aveva idea di che cosa fosse successo all’uomo che amava.
Presupponeva che fosse nascosto da qualche parte, aspettando il momento
migliore per lasciare la Gran Bretagna… Sempre che non lo avesse già fatto.
Tuttavia, non aveva ricevuto nemmeno una lettera sa parte sua.
Temeva che Benjamin la
ritenesse la responsabile della versione che Dominique aveva elaborato per
scagionarla, provava il terrore viscerale che lui se ne fosse andato per
sempre, senza salutarla un’ultima volta, senza includerla nel proprio futuro.
Pensava che, nonostante il dolore che questa scelta le avrebbe causato, fosse
la cosa migliore, perché era stata tutta colpa sua.
Lei aveva sfidato Celia
Danes, lei l’aveva provocata, lei si era presentata alla Taverna delle Lucciole
senza assumere la Polisucco e facendosi seguire, lei non aveva prestato
sufficiente attenzione alle conseguenze delle proprie azioni.
L’incertezza in cui
languiva da giorni, le mille paranoie che la tenevano sveglia di notte, la
mancanza di Benji, bruciante come una ferita appena inferta, la facevano vagare
tra i corridoi come una bestia braccata, esponendola ancor di più ai
pettegolezzi e alle congetture degli studenti della scuola.
Anche in quel momento, in
cui nonostante fosse al fianco di Lily, qualunque cosa le sembrava estranea.
“Giuro che se quel
demente di Dixon non si sveglia lo affatturo mentre è in volo.” Ringhiò la più
piccola di casa Potter.
Effettivamente, sembrava
che quel pomeriggio l’allenamento dei Grifondoro fosse contraddistinto dalla
dilagante incapacità di Dixon di prendere il Boccino nei tempi stabiliti.
Persino a lei, orgoliosa ignorante del quidditch, risultava chiaro che fosse il
giocatore più scarso del gruppo selezionato da suo cugino James.
Alla luce del fatto che
sabato ci sarebbe stata l’ultima partita di campionato, che vedeva in testa
proprio i Grifondoro, e che si sarebbero scontrati coi Serpeverde, comprendeva
il nervosismo di Lily.
Più per colmare il
silenzio attorno a sé, che non per reale interesse, Lucy domandò alla cugina:
“Pensi che ci sia anche
solo una vaga speranza di non fallire miseramente sabato?”
Lily le scoccò
un’occhiata allibita e Lucy alzò gli occhi al cielo. Dire che di solito non
gliene importava nulla dello sport era un eufemismo e Lara lo sapeva bene.
Tuttavia, non fece commenti al riguardo, mentre tornava a seguire il gioco in
campo le spiegò con precisione:
“Se la squadra di Albus
fosse rimasta con la formazione di inizio anno ci avrebbero fatto a pezzi.
Avevano un gioco pulito, estremamente rapido e si intendevano alla perfezione.
Dominique, mannaggia a lei, segna quanto James, quando è in forma e non le si è
rovinata la manicure il giorno prima. E Angie… Beh, lei sembra nata per scovare
il Boccino. Ma da quando Al ha esonerato Angelique, la squadra si è sfaldata.
Hanno provato a sostituirla con un ragazzo del quarto anno ma non c’è intesa,
sembra una pecorella smarrita in mezzo al campo.”
“E tu come fai a
saperlo?” le chiese già consapevole della risposta.
Infatti, Lily si voltò
verso di lei e le concesse un sorriso criminale che le scaldò il cuore.
“Perché ho usato il
mantello di mio padre per spiare i loro allenamenti.”
“E non pensi che tuo
fratello possa fare la stessa cosa?”
“Mio fratello fa sempre la stessa cosa, è pur sempre un
Serpeverde! Anche oggi se vuoi saperlo. Prima ho visto spuntare le sue scarpe
sulla gradinata dei Corvonero.”
Questa volta Lucy si
concesse una breve risata, anche se non sentì minimamente alleviarsi il peso
che le grava sul cuore. E Lily, quasi che avesse la facoltà di avvertire i suoi
pensieri, le si fece più vicina e posò il capo sulla sua spalla, mentre
mormorava a mezza voce insulti al Cercatore di Grifondoro.
***
Albus aveva la sensazione
di essersi perso qualcosa.
Il sabato precedente, per
la prima volta in circa dieci anni, era stato sospeso il Sabato della Memoria,
la riunione famigliare dei Weasley-Potter che si svolgeva nella sala dove erano
custoditi i quadri dei membri dell’Ordine della Fenice. La motivazione che Rose
aveva addotto lo aveva lasciato senza parole.
Lucy era stata arrestata
e poi rilasciata, quindi era un po’ stanca e non se la sentiva di organizzare
la riunione proprio quella sera.
Ah.
Ecco tutto quello che era
riuscito a dire, prima che Rose si dileguasse come polvere nel vento. Era
tornato molto perplesso da Martha, che stava leggendo un libro in Sala Comune.
Colto da uno strano presentimento, le aveva chiesto se avesse visto Angie ad
Hogsmeade, poiché lui non ricordava di averla mai incrociata in tutto il
pomeriggio. Martha dopo qualche istante di riflessione gli aveva confermato di non
averla più vista dopo la partenza dal castello.
Il giorno successivo i
suoi presentimenti avevano trovato conferma sulle rive del Lago Nero.
Lucy aveva chiamato a
raccolta tutta la famiglia allargata e aveva raccontato che cosa fosse successo
il giorno precedente. Era facile immaginare che si fosse scatenato un putiferio,
dovuto per lo più alle esclamazioni ammirate di Tristan e Hugo.
In quel vociare confuso,
i suoi occhi avevano incrociato all’istante quelli di Angelique. Lei gli aveva
rivolto uno sguardo vacuo, immobile, a tal punto che lui aveva compreso
all’istante che stava cercando di celare le proprie emozioni dietro un distacco
forzato.
Insospettito da lei,
aveva notato che anche Rose era stranamente silenziosa, sua sorella Lily
vociava guardandosi attorno con aria nervosa e Dominique… Dominique si stava
ispezionando le ciocche bionde in cerca di doppie punte.
“Sei turbato.”
La voce di Martha lo
riscosse e si accorse che si era seduta accanto a lui.
Era andato a trovarla dopo
l’allenamento di quidditch e l’aveva trovata intenta a scrivere le ultime righe
del tema di Antiche Rune. Si era disteso sul suo letto mentre l’attendeva,
rimanendo inevitabilmente invischiato nei propri pensieri.
“Sì.” Le sorrise accarezzando
un riccio ramato.
“E non è solo per la
partita di quidditch.”
“No.” Ammise con un breve
sospiro.
“Devo seriamente iniziare
a usare la mia schifo-veggenza o hai intenzione di sputare il rospo?” gli
chiese lei inarcando un sopracciglio. Albus rise divertito. Di tanto in tanto
la metà irlandese di Martha si presentava sottoforma di un linguaggio a dir
poco colorito.
“La tua non è affatto una
schifo-veggenza. Quella della Cooman lo è! Il tuo è un dono prezioso, che
imparerai a usare.” Si avvicinò a lei e le baciò con delicatezza, indugiando il
più possibile sulle labbra morbide.
Ogni volta che la baciava
qualcosa dentro di lui divampava in un lampo: le mani iniziavano a formicolare
per il desiderio di esplorare quella terra magnifica e ancora ignota che era il
suo corpo; la bocca bruciava nella sete che il suo sapore gli procurava; il
ventre si tendeva nel bisogno quasi doloroso di un contatto.
La sospinse con
delicatezza verso il materasso coprendola col proprio busto, ma quando toccò la
coperta Martha interruppe il bacio, posandogli una mano sul petto. I suoi occhi
color cioccolato si spalancarono con un’occhiata ironica.
“Non tentare di
distrarmi. Che cosa c’è che non va?”
Albus sbuffò e si lasciò
andare a propria volta al suo fianco, sostenendosi col gomito. Arricciò le
labbra pensando a quali fossero le parole migliori per descrivere il proprio
stato d’animo.
“Suppongo il fatto che io
sia un merluzzo bollito.” Convenne alla fine suscitando le sue risate.
Non capitava spesso di vederla
ridere in quel modo, non da quando Nana era in coma. Per cui quel suono
argentino gli vibrò dentro, quasi quanto il bacio che si erano scambiati poco
prima.
“Pensavo che ormai fossi
sceso a patti con la realtà!”
“Sì… In realtà riflettevo
su quello che mi hai detto quella volta nello sgabuzzino.” le disse quasi
sovrappensiero, mentre le sue dita si intrecciavano a un morbido riccio ramato.
A seconda della luce assumevano sfumature che andavano dal cannella al rosso
fiammeggiante; stava imparando ogni minima variazione con un interesse quasi
scientifico.
“Ti ho detto molte cose
quella volta e nessuna particolarmente lusinghiera…” nella voce di Martha non
c’era la benché minima vena di rammarico e gli venne spontaneo sorridere.
Già, ora poteva
permettersi di sorridere, ma allora era stato come piantarsi un coltello nella
pancia.
“Hai ragione, ed erano
tutte vere.” Martha rise ancora, prima che lui riprendesse a parlare con tono
più serio: “Pensavo a quando mi hai detto che ho passato gli ultimi anni a
correre da tutti quelli che avevano bisogno di me. Effettivamente, appena
percepisco che una delle persone a cui voglio bene possa aver bisogno di aiuto,
il mio primo impulso è di fiondarmi dritto da lei. Sto cercando di controllare
questa cosa, sto cercando di mettere le mie necessità prima di tutto il resto...
E ho capito che in realtà ero così concentrato a soccorre anche chi non me lo
chiedeva, che ho ignorato tutto il resto. I miei sentimenti, i tuoi sentimenti,
i pensieri degli altri.” Si interruppe ancora cercando di descrivere adeguatamente
quello su cui stava riflettendo da qualche giorno.
“Ero talmente convinto di
sapere quello che stavo guardando, che forse non ho mai visto davvero chi mi
stava davanti.”
La O’Quinn aggrottò le sopracciglia
perplessa.
“Di chi stai parlando,
Albus?”
“Di Angelique. Di te. Di
mio fratello. Delle mie cugine. È come quando fai le scale di casa senza accendere
la luce e arrivi all’ultimo gradino convinto di essere a terra. E invece ce n’è
ancora uno che ti fa precipitare per un breve istante, prima di riprendere
l’equilibrio. Ci sono momenti in cui mi sento così di fronte alle persone che
penso di conoscere come le mie stesse mani. Mi sono perso qualcosa di
essenziale in loro, qualcosa che ha determinato un cambiamento sostanziale e
che io non ho riconosciuto.”
“Che cosa è successo con
Angie?” anche lei a questo punto si era sollevata appoggiandosi al gomito. Lo
colpì l’acume con cui nel groviglio dei suoi pensieri Martha avesse visto con
chiarezza spiazzante l’origine di tutto. Angelique. La sua migliore amica. O
un’estranea?
“Hai sentito di mia
cugina, no?” Dall’espressione che gli diede come risposta, Al capì che chiunque
nella scuola ne avesse sentito parlare. “Sono convinto che fossero coinvolte tutte
le ragazze della mia famiglia, compresa Angie. E il fatto che non me ne abbia
mai parlato per mesi mi fa sentire come se stessi cadendo. E poi c’è stata la
cosa di Shatten, tutto quel casino. Mi sento come… Come se non sapessi più
nulla di lei, come se l’avessi persa.”
Solo esprimendo ad alta
voce con lei le proprie emozioni riuscì a identificare finalmente quel senso di
smarrimento che lo stava accompagnando insistentemente. Il sollievo di vedere
Angie finalmente più serena dopo i mesi di tormento era indescrivibile, ma
contemporaneamente l’aveva anche sentita allontanarsi sempre di più, spinta
verso nuovi impegni e nuovi legami… Primo tra tutti quello insospettabile con
suo fratello James.
“Forse è così. Forse quei
pezzi che vi siete lasciati alle spalle erano il peso di cui liberarsi per
andare avanti… sarebbe stato impossibile con tutto quello che è successo a
entrambi rimanere gli stessi ragazzini che si sono conosciuti sull’Espresso per
Hogwarts.”
Gli occhi di Martha si
erano fissati sul muro alle sue spalle mentre parlavano, persi nelle proprie
riflessioni. Con un battito di ciglia si riportarono nei suoi e lei gli sorrise
con dolcezza.
“Noi siamo amiche, ma tu…
Tu sei qualcosa di diverso per lei. Voi siete come un piccolo microcosmo, in
cui sapete gravitare solo voi due e gli altri assistono. All’inizio Scorpius
era molto geloso di te, lo sai? Aveva paura che il vostro legame fosse troppo,
come dire, intimo. Poi anche lui ha capito. Ha capito che senza di te le manca
la terra sotto i piedi, che senza di lei non hai aria nei polmoni. Voi vi siete
necessari, non importa quanti e quali cambiamenti affronterete, continuerete ad
esservi necessari.”
Albus rimase a bocca
aperta per qualche secondo, stordito dalle sue parole. Come aveva potuto per
tutti quegli anni non accorgersi di che ragazza incredibile avesse accanto? Come
era riuscito, per la Barba di Merlino, a negare ciò che provava per lei, visto
il modo in cui ora lo sconvolgeva solo guardandolo in un certo modo? Era stato
un merluzzo bollito, ovviamente.
In meno di un secondo le
fu di nuovo addosso. La riportò sotto di sé con un bacio irruente, forzando
leggermente le sue labbra ancora chiuse per la sorpresa. Martha rispose
prontamente al bacio e gli posò una mano sulla nuca per trascinarlo ancor più
vicino a sé. Desiderava andare completamente alla deriva insieme a lei, perché
in quell’oblio dei sensi ritrovava sé stesso molto più che dopo ore di
riflessione. Scese a baciarle la line della mandibola e poi del collo, mentre
una delle sue mani scivolava sotto la gonna, per accarezzare la pelle della sua
coscia, fresca e morbida sotto i suoi polpastrelli.
“E ora che ti prende?”
sussurrò Martha spiazzata.
Al indugiò con le dita
sul tessuto della biancheria della ragazza, procurandole un sospiro un molto più
profondo degli altri. Si godette per un secondo l’espressione di Martha,
abbandonata sotto di lui, bellissima e sua.
“Sei la ragazza più straordinaria
che conosca. Mi eccita moltissimo questa cosa.”
E passò i seguenti minuti
a dimostrarle quanto quelle parole fossero vere.
***
“Stavo pensando…”
“Non farlo. È una cosa
che ti riesce malissimo.”
“Farò finta che tu non
esista da ora in poi.”
“Difficile continueresti
a parlare da sola per il resto dei tuoi giorni, sono l’unica che riesce a
seguire i tuoi discorsi deliranti.”
Rose si pentì
immediatamente del sarcasmo con cui aveva appena infarcito la conversazione con
Dominique. La cugina socchiuse gli occhi, nella sua tipica espressione da miope.
Poi schioccò la lingua contro il palato e scosse la testa bionda.
“Vedo che con Malfoy le
cose non sono migliorate, altrimenti non saresti così di pessimo umore.” Le
disse semplicemente versandosi altro tè nella tazza di porcellana.
Rose emise
involontariamente un verso strozzato e si sentì avvampare in un secondo.
“Cos..?” non riuscì
nemmeno a formulare una protesta perché Dom la guardò con sufficienza,
sollevando entrambe le sopracciglia.
“Oh, per piacere! L’ho
capito sin dalla prima volta che ti abbiamo beccata dopo che eri stata a
pomiciare con lui nel parco della scuola.”
Rose immaginò di essere
diventata completamente paonazza, perché sentiva le guance andare a fuoco. Si
guardò attorno con aria circospetta ma nessuno nella Sala Grande faceva caso a
loro due. O meglio la metà dei ragazzi faceva caso solo a Dominique, quindi
nessuno avrebbe osservato le sue reazioni esagerate.
“Sei veramente pazzesca.
A momenti non l’avevo capito io, come diavolo hai fatto a capirlo tu?”
Dominique alzò appena le
spalle e bevve un sorso dalla tazza fumante, prima di risponderle con
semplicità.
“Perché io vi osservo
tutti, sempre. E i vostri corpi raccontano molto di più di quanto non
vorreste.”
“Messa così è vagamente
inquietante.”
“Mai detto di non
esserlo. Si può essere inquietanti e divine allo stesso tempo, pensa ad
Angelina Jolie.”
Rose convenne con le
parole della cugina e si limitò ad annuire, ancora fortemente perplessa dal
loro scambio, cosa più che normale quando si trovava a parlare con Dom.
In realtà le cose con
Scopius si erano smosse eccome, solo non secondo i suoi piani.
Sabato sera lo aveva
cercato apposta per ringraziarlo ulteriormente del suo aiuto. Lo aveva trovato
al Club degli Scacchi, dove aveva appena concluso una partita, vincendo
ovviamente. Lui le aveva proposto di fare una camminata prima del coprifuoco,
così avevano raggiunto in silenzio un cortile esterno. Appena Rose aveva aperto
la bocca, per iniziare il proprio discorso già ripassato mille volte nella
testa, si era ritrovata incollata a un muro. Scorpius Malfoy l’aveva baciata in
un modo che solo a ripensarci le faceva vorticare il sangue nelle vene. Aveva
preso possesso della sua bocca con sfacciata sicurezza. Le aveva accarezzato il
viso con dolcezza inattesa, le aveva afferrato i capelli con impeto durante un
bacio particolarmente famelico, l’aveva stretta tra le proprie braccia con una
forza perfettamente misurata, in grado di farle desiderare di sentire ancora di
più i suoi muscoli contro la propria pelle.
E poi se n’era andato.
Proprio così, se n’era
andato sul più bello, senza una parola o una spiegazione!
Le aveva dato un bacio
lieve sulle labbra arrossate dal mondo in cui erano state trattate, e poi se
l’era data a gambe verso i Sotterranei. Maledetto Malfoy, che l’aveva lasciata
sconvolta e notevolmente accaldata in uno stupido cortile.
“A che cos’è che stavi
pensando?” le chiese dopo qualche istante di silenzio.
Dominique rispose
prontamente come se l’intermezzo riguardante Malfoy non l’avesse minimamente
distolta dal proprio scopo.
“Al regalo di compleanno
di Lucy, mi sembra ovvio.”
Rose sentì un proprio
sopracciglio sollevarsi di sua spontanea volontà verso la fronte, spinto dalla
perplessità che le irrompeva da ogni capillare.
“Guarda Dom, sono sicura
che tu abbia le migliori intenzioni ma secondo me lei non ha molta voglia di
festeggiare.”
“Ma io non avevo alcuna
intenzione di festeggiare, non mi sono ancora ripresa dagli eventi della
settimana scorsa. Se continuo di questo passo mi verranno le rughe prima che io
possa avere l’età legale per andare da un chirurgo… Pensavo in realtà a
qualcosa che la potesse tirare su di morale.”
“L’unica cosa in grado di
rallegrarla in questo momento prevede una pena di cinquant’anni ad Azkaban.”
Dom spalancò gli occhi e
poi sussurrò con tono molto preoccupato.
“Non avevo idea che il
Wizengamot fosse così contrario al sesso orale.”
Rose, proprio malgrado,
rise di cuore e aggiunse divertita:
“Pensavo agli impulsi
omicidi di Lucy nei confronti della Danes. Ma forse il sesso orale sarebbe
un’opzione migliore, se solo Benji fosse ancora in circolazione.”
“Eccoci al punto. So bene
che il giovane Malfoy ha svolto con estrema cura il proprio incarico…” e Dom
inarcò vistosamente le sopracciglia, come se Rose avesse avuto alcun bisogno
che le ricordassero come Scorpius avesse orchestrato la fuga di Benjamin da
sotto il naso del Ministero. “Per questo immagino che nessuno a parte lui abbia
certe… conoscenze, per così dire. Ti chiederei dunque, piccola Rosie Rose, di
informarti presso l’unica fonte attendibile, se ci fosse la possibilità di
recapitare un messaggio.”
“Scordatelo.” Disse
semplicemente Rose prendendo un morso dal dolce che si era appena servita nel
piatto.
“Oh cara… Lo farai
eccome, perché la tua motivazione non è sbaciucchiarti quel platinato, ma
rendere un briciolo più serena la nostra Lucy.”
Rose si massaggiò la
fronte frustrata e evitò di rispondere a Dom, che tanto sapeva perfettamente
che di fronte a quella verità non si sarebbe mai tirata indietro.
***
Aprile era agli
sgoccioli, i pomeriggi sempre più lunghi sia per la luce crescente sia per il
carico di studi che si intensificava prima degli esami di fine anno. Le serate
si consumavano alla luce delle candele disposte sui tavoli delle Sale Comuni,
finendo gli ultimi temi dell’anno, ripassando i programmi, facendosi coraggio a
vicenda.
Anche la sua punizione in
infermeria era quasi al termine. I due mesi stabiliti dalla Balckthorn erano
trascorsi con una rapidità che l’aveva lasciata spaesata. Se non avesse dovuto
sostenere i GUFO a giugno, Angie avrebbe chiesto a Madama Chips di poter
continuare a darle una mano dopo le lezioni.
Tra i letti immacolati, i
pavimenti splendenti, gli improperi della donna, i flaconi di pozioni e i
lamenti di quelli che avevano mangiato le pasticche vomitose dei Tiri Vispi
Weasley, Angie aveva trovato conforto, pace a tratti. Lì, dove per anni era
arrivata con ossa rotte e contusioni di vario genere per essere rimessa in
piedi dalle cure dell’infermiera, aveva ritrovato l’equilibrio che solo
preparare pozioni le concedeva. Non solo, aveva capito come curare quello
squarcio che per mesi le aveva dato l’impressione di starsi dissanguando.
Prendersi cura di
qualcuno che aveva bisogno di lei, imparare nuove procedure per aiutare la
Chips, memorizzare la durata degli incantesimi curativi, abbinare gli effetti
delle diverse pozioni, fondamentalmente aiutare in modo tangibile, le aveva alleggerito
l’anima. Aveva dato senso a giornate in cui altrimenti si sarebbe lasciata
scivolare nel dolore dei rimorsi, le aveva ridato in mano la sua vita.
Non avrebbe potuto
desiderare una punizione migliore.
Angie scivolò
silenziosamente dentro lo spiraglio lasciato dalla porta socchiusa
dell’Infermeria. Come di consueto, il bianco abbagliante dell’ambiente
circostante le fece socchiudere gli occhi. Quando si abituò al riverbero del
sole, individuò all’istante l’unico letto dell’Infermeria che era sempre
occupato. I capelli azzurri di Nana stavano iniziando a perdere la loro
tonalità vivace, visto che quando la lavavano la Chips si rifiutava
categoricamente di usare il Magishampoo. La sua pelle, normalmente rosea, era
diventata diafana al punto da lasciar intravedere le vene sulla linea della
mandibola e delle tempie. Le sue dita non recavano più nemmeno l’ombra delle
tempere, del carboncino o di qualunque altro mezzo da lei usato per dipingere.
Angelique non aveva alcun
bisogno di avvicinarsi al fondo della stanza, dove la sua amica giaceva
immobile, per constatare tutti questi cambiamenti, erano impressi nella sua
mente. Ogni giorno che aveva passato accanto a Elena, era stato scandito dalla
paura di notare un peggioramento e dalla speranza, sempre più fievole, che
migliorasse. L’attesa di uno dei due eventi era lacerante.
Chi sembrava ormai oltre
ogni ragionevole limite di sopportazione personale, era il giovane seduto
accanto al letto di Nana. Berty le stringeva una mano tra le proprie e con
l’altra sorreggeva un libro che le stava leggendo a mezza voce. Non lasciava la
presa sulle dita della ragazza nemmeno per girare pagina, arrangiandosi come
meglio poteva con l’unica mano libera.
Aveva visto questa scena
quasi ogni giorno, ma tutte le volte Angie sentiva il cuore accartocciarsi.
Berty aveva occhiaie violacee, la pelle del suo viso era tesa sulle ossa degli
zigomi, il suo fisico in quelle settimane si era quasi prosciugato nel dolore
che trapelava da ogni suo poro. Si stava consumando nell’attesa che Elena
aprisse finalmente gli occhi.
Angie si avvicinò ai due
amici e posò una mano sulla spalla di Berty per salutarlo senza interrompere la
sua lettura, lui le rivolse un lieve sorriso come risposta. Quel breve scambio
sanciva l’inizio di quasi ogni turno in infermeria di Angie.
La ragazza ascoltando
distrattamente il sottofondo della voce di Berty si mise all’opera. Allacciò in
vita il grembiule bianco e si mise a preparare le cassette del pronto soccorso
che avrebbe posizionato sotto ogni letto in vista della partita del giorno
seguente.
Bastò quella piccola
scintilla per far divampare nella mente di Angelique i pensieri connessi
all’ultima partita di quidditch che aveva giocato. Ripensò a quando si era svegliata
in quella stessa stanza intorpidita, sola e senza alcuna voglia di ricominciare
a vivere. Ricordava che se avesse potuto lasciarsi assorbire dalle lenzuola,
avrebbe dato qualunque cosa pur di sparire. Poi Jessy era entrato e le aveva
dato un motivo per alzarsi.
Alle volte si interrogava
quanta parte di sé fosse ancora affetta dal quella pulsione autodistruttiva in
grado di trascinarla sul fondo di sé stessa. Aveva iniziato a conoscere e
chiamare per nome i propri fantasmi, senza rinnegarli e senza lasciarsi
dominare, ammettendone semplicemente l’esistenza.
Il rumore della porta
dell’infermeria che si apriva destò immediatamente la sua attenzione.
Quasi che la scia dei
suoi pensieri lo avesse calamitato, il figlio maggiore dei Potter fece il suo
ingresso nell’Infermeria, accompagnato da Fred Weasley. Le bastò un secondo per
sentire il cuore iniziare a battere all’impazzata.
“Perché sei sempre
coperto di sangue?” fu la prima cosa che sbraitò correndo verso di lui e per
tutta risposta ottenne uno scrollamento di spalle.
James si tamponava una
ferita sul sopracciglio destro molto sanguinolenta, che gli aveva sporcato
l’occhio e la guancia. Fred accanto a lui non sembrava particolarmente
preoccupato, tanto che sghignazzava osservando il cugino.
“Si è distratto mentre
era in volo e ha preso uno degli anelli in testa.” Le raccontò trattenendo le
risate.
Anche Angie dovette
comprimere le labbra una contro l’altra per evitare di scoppiare a ridere
immaginando la scena. Ciononostante, scostò la mano di Jessy e il fazzoletto
zuppo di sangue in essa, per analizzare il taglio, che si rivelò discretamente
profondo ma non sporco.
“Ti fa male la testa?”
gli chiese cercando di rimanere concentrata sulle domande di rutine.
“No.”
“Ti viene da vomitare o
hai già vomitato?”
“No.”
“Hai avuto delle
vertigini mentre camminavi?”
“No.”
Angie illuminò la
bacchetta e la rivolse verso gli occhi del ragazzo, per osservare come le sue
pupille reagissero alla luce.
“AH!” esclamò infastidito
Jessy mettendo una mano davanti al viso.
“Sta fermo o vado a
chiamare la Chips che ti farà passare qui le prossime cinque ore.” Lo minacciò
puntandogli la punta luminosa della bacchetta in faccia.
“Sei ogni giorno più
dispotica da quando sei qui.” La rimbeccò lui con un’occhiata torva.
“Succede se tutti quelli
che cerchi di aiutare si comportano come polli senza testa.”
“Immagine interessante.”
Intervenne Fred e poi proseguì con un sorriso a trentadue denti. “Beh, ora che
sei arrivato a destinazione Jamie, io me la filo.” E in men che non si dica fu
fuori dalla porta.
“Vieni che ti
disinfetto.” Gli disse facendogli un cenno col capo verso uno sgabello libero.
Angie voltandosi vide che
Berty aveva smesso di leggere e li osservava incuriosito. Avrebbe voluto
sbraitare anche a lui di farsi gli affari suoi, ma forse sarebbe stato poco
gentile.
“Ciao Barrach.” Salutò
James con l’occhio destro chiuso per il sangue che aveva ripreso a scorrere.
“Potter.” Berty chinò il
capo con gentilezza e poi tornò al libro e alla sua Nana.
L’operazione di pulizia e
chiusura della ferita durò solo una manciata di minuti, nei quali entrambi i
giovani rimasero in silenzio. Poi Angie si decise a parlare.
“Domani è il grande
giorno…”
James le rivolse un
sorriso sbieco.
“Intendi dire se domani è
il giorno in cui faremo a pezzi la squadra che ha esonerato la Cercatrice più
brillante del campionato? Oh sì, immagino di sì.”
“Sai bene perché sono
stata esonerata.”
“Sì. Ma questo era due
mesi fa, e io scommetto che da allora non ne avete più parlato, vero?” le
chiese e lei per risposta iniziò a gettare via le garze sporche una per una.
“Siete incorreggibili, vi gettereste nel fuoco per l’altro e poi non riuscite
ad affrontare il minimo conflitto.”
“Che ne sai tu di come io
e Al gestiamo in nostri conflitti?!” esclamò Angie mettendosi le mani sui
fianchi e sentendo la rabbia montare.
“Conosco lui. E conosco
te. Non ci vuole un genio per collegare le due cose.”
“In ogni caso hanno
trovato un altro cercatore.” Disse lei tentando di chiudere il discorso.
“Morgan è un incapace,
sarebbe meglio prendere un tasso impagliato e legarlo alla scopa.” Ribatté
Jessy incrociando le braccia sul petto.
“E tu come fai a
saperlo?” gli chiese stringendo gli occhi sospettosa. Anche lei ne aveva
sentito parlare ma un conto erano i pettegolezzi della Sala Comune di
Serpeverde, un altro erano le dichiarazioni di un giocatore esperto come lui.
“Ho i miei informatori.”
“Sono ufficialmente
ancora in punizione.” Ci riprovò e iniziò a distribuire le cassette del pronto
soccorso. Jessy per qualche strana ragione non aveva alcuna intenzione di
mollare quel pomeriggio.
“Potresti chiedere il
permesso alla Blackthorn, in fondo da domenica saresti libera.”
“Beh, Jessy domenica non
è sabato!”
Brava, tu sì che sai come
rimetterlo al suo posto, eh? Si derise da sola con una
voce che somigliava molto a quella di Elena.
“Osservazione
ineccepibile, ma forse, nonostante ciò, potresti far notare ai tuoi carcerieri
che hai fatto abbastanza turbi extra per coprire un’assenza di un paio d’ore sabato.”
“Jessy, per le mutande di
Merlino! Perché sei così insistente? Non sarebbe tutto a vostro vantaggio se
non giocassi?” gli domandò esasperata voltandosi a guardarlo.
“Vedi… Provo questa
strana cosa… il desiderio di uno scontro leale. Ti è mai capitato?”
“No, affatto.” Rispose
senza esitazione.
“Lo immaginavo. Ma io
voglio vincere la coppa che sta nell’ufficio della Blackthorn sapendo che ce lo
siamo meritati davvero, non solo perché tu sei caduta dalla scopa e Albus è una
crocerossina impenitente.”
“Questo è un problema
tuo, non mio. Ho altro da fare ora.” Fece per dribblarlo ma lui la inseguì e le
si piazzò davanti nuovamente.
“Secondo me invece ti
stai lasciando frenare dalla paura.”
“Oh Signore, giuro che ti
strozzo se insisti ancora.” E per rendere la minaccia più reale brandì una
bottiglia di Ossofast contro di lui. Jessy rise e indietreggiò coi palmi
alzati.
“Ok. Tu però pensaci…”
“No.”
“A domani, Gigì.”
“Sì sì, ciao.” Bofonchiò
deponendo la cassetta ai piedi di un letto e non riuscendo a impedirsi di
osservarlo di sfuggita uscire.
Appena si rialzò trovò
gli occhi di Berty fissi su di lei, con un’espressione particolarmente ironica.
“Che c’è? Perché mi
guardi così?” chiese con più aggressività del dovuto.
Bertram le sorrise e si
strinse nelle spalle.
“Sei buffa quando sei con
lui.”
Angie sperò con tutta sé
stessa che Berty non si fosse accorto di quanto la presenza di Jessy la
turbasse.
“Mi fa arrabbiare! Sono
cinque anni che mi fa arrabbiare!” tentò di giustificarsi.
“Può darsi, ma ti ha
detto delle cose giuste prima. Se vuoi giocare domani, devi farti coraggio e
provare a ottenere ciò che vuoi.”
Berty voltò la testa e
tornò a fissare Elena. Con un gesto pieno di tenerezza, le scostò una ciocca
azzurra dalla fronte, sfiorandole con delicatezza la pelle.
“Sai Angelique, a volte
lasciamo che la paura di fallire si rubi tutti i nostri desideri, i nostri
sogni. Così passiamo mesi e anni a sperare che un giorno le cose cambino, senza
mai fare nulla per renderlo possibile. Solo quando è troppo tardi ci accorgiamo
che sarebbe bastato poco per provarci almeno… Ti prego, almeno tu, non farlo
diventare troppo tardi. Abbi coraggio.”
Tornò a fissarla dritta
negli occhi e poi sussurrò con decisione.
“Dovremmo dire più spesso
alle persone che amiamo, quanto le amiamo.”
Angie seppe di essere una
vigliacca della peggior specie.
***
Albus si sentiva come se
qualcuno gli avesse preso le viscere durante la notte e ci avesse fatto un bel
fiocco, con tanto di doppio nodo. Attorno a sé la squadra sembrava più o meno
nelle stesse condizioni.
Erano tutti consapevoli
che stavano per uscire a farsi massacrare sul campo dai Grifondoro, i loro
avversari storici. Hector Morgan, più di tutti, sembrava sentire la pressione
su di sé e se ne restava immobile sulla panca dello spogliatoio a fissare il
vuoto.
Non aveva mai giocato una
partita di campionato senza Angelique. La sua presenza aveva il significato dell’appoggio
incondizionato. Tuttavia, lei non c’era e lui per la prima volta si sentiva
davvero solo.
“Ragazzi voglio che mi
ascoltiate attentamente.” Disse ad alta voce richiamando gli sguardi dei suoi
giocatori. Dominique smise di limarsi le unghie e lo osservò con gli occhi
turchesi per una volta tanto non strizzati nel tentativo di metterlo a fuoco.
Aveva sicuramente messo le lenti a contatto.
“Sono molto orgoglioso di
tutto l’impegno che avete dimostrato quest’anno. Voglio che usciate là fuori e
pensiate a tutti gli allenamenti sotto l’acqua che avete dovuto sopportare.
Voglio che pensiate a tutte le flessioni, alle corse sfiancanti, agli
addominali che vi bruciavano il giorno successivo. Voglio che pensiate a tutto
ciò che avete dato e che vi prendiate quanto vi spetta.”
A metà del suo discorso
numerosi visi si erano animati, un misto di stupore e di felicità, che non
avrebbe mai pensato di poter scorgere nei suoi giocatori. Così rivolse loro un
sorriso di cuore e batté le mani l’una contro l’altra.
“Andiamo a farli secchi!”
Ma nessuno si mosse,
tutti continuarono ad osservarlo con quella strana espressione. Finché Dom non
gli fece un cenno col mento, indicandogli qualcosa dietro di lui.
Albus si girò e si trovò
a fissare l’esatta copia dei propri occhi.
“Angie…”
Angelique era ritta come
un fuso davanti a lui, la scopa dal manico di ebano stretta nella mano destra.
Portava i capelli raccolti in una treccia, come prima di ogni partita, chiusi
dal suo elastico portafortuna verde. Al dischiuse le labbra stupito. Non sapeva
ancora bene per dire che cosa, ma Angie lo anticipò.
“Prima che tu dica
qualunque cosa, ho chiesto alla Blackthorn e a Madama Chips il permesso di
essere qui, scambiando questo pomeriggio con altri due giorni di punizione.”
Angelique parlava rapidamente e con molta decisione, consapevole che se si
fosse concessa una pausa di troppo non avrebbe più parlato. Le sue sopracciglia
bionde erano profondamente corrugate, i suoi tratti tesi, tutto in lei urlava
lo sforzo che le costava essere lì, davanti a chi le aveva tolto una delle cose
che amava di più al mondo.
Albus sapeva perfettamente
che se solo le avesse dimostrato qualcosa di simile alla compassione o
all’indulgenza in un momento simile, lei lo avrebbe preso come un affronto.
Angie aveva bisogno di riconquistare a modo proprio il suo posto. Così Al
cancellò ogni espressione dal proprio viso e incrociò le braccia sul petto,
lasciando che lei continuasse a parlare.
“Ok.”
“Non voglio rubare il posto
a nessuno, so che mi avete esonerata di comune accordo e avete fatto bene.” Numerose
sopracciglia si sollevarono perplesse di fronte a tanta umiltà da parte di Angelique.
Solo a quel punto l’ombra
di un sorriso inclinò le labbra della sua amica e i suoi occhi si accesero di
una luce particolare, sardonica quasi.
“Però, se qualcuno
dovesse non sentirsela di giocare la sua prima partita contro la prima in
classifica nel giorno decisivo per la vittoria del campionato… Beh, io sono
disponibile a prendere il suo posto.”
Morgan si raddrizzò
immediatamente a quelle parole.
Gli sembrò quasi di
sentire attorno a sé un comune sospiro di sollievo. Guardò uno ad uno i membri
della squadra, Dom, Scorpius, Richard Miller, Rendly Smith, Janus Mcmillan, e
ognuno aveva stampata in viso la speranza di farcela insieme.
“Direi che siamo tutti
d’accordo.” Subito dopo un applauso entusiasta si levò nello spogliatoio e i
giocatori andarono a salutare a turno Angie, riaccogliendola tra le proprie
fila.
“Oh sì! Sì, sì, grazie Dursley!”
esclamò Morgan saltando in piedi con rinnovata energia.
Angie gli rivolse uno
sguardo critico e arricciò le labbra.
“Prego, cerca di non
vomitare sulla divisa mentre te la togli. Non hai un bell’aspetto.” gli disse
con serietà prima di voltarsi verso di lui. Albus finalmente spalancò le
braccia e accolse l’abbraccio impetuoso con cui si lanciò verso di lui.
“Bentornata, Pesciolino.”
Sussurrò al suo orecchio e lei si strinse ancor di più di lui.
Quando si separarono,
Angelique gli prese gli avambracci con le proprie mani e lo guardò fisso negli
occhi.
“Sono qui.”
“Lo so.”
“Sarò qui sempre.”
“E io sarò qui per te.”
Non ebbero bisogno di
altro e dopo che Angie ebbe indossato la sua vecchia divisa, Al spiegò la
strategia della partita. Partivano molto più indietro rispetto al punteggio dei
Grifondoro, tanto che avrebbero dovuto vincere con un vantaggio di almeno
sessanta punti oltre quelli forniti dal boccino.
“Angie tu cerca di
controllare il punteggio. Noi dovremo tentare di mantenere il vantaggio costante,
per darle l’occasione di acciuffare il boccino appena possibile. Non
risparmiate nulla, oggi ci giochiamo ogni carta. Chiaro per tutti?”
“Sì.” Il coro di voci si
udì forte e chiaro e subito dopo uscirono dallo spogliatoio già in formazione.
Al, la cui pancia era
definitivamente ridotta a un groviglio, camminò a testa alta verso il campo, da
cui si udivano le grida festose degli studenti e i cori. Al suo fianco il capo
di Angelique scintillava dorato nel sole di aprile, fiero come il suo sguardo
concentrato.
Non era solo. Nessuno di
loro lo era.
***
Avevano perso.
E avevano vinto.
I Grifondoro avevano perso
la partita durata quasi quattro ore, al termine della quale erano tutti
stremati.
Sapeva che i Serpeverde
avevano bisogno di un vantaggio di sessanta punti più i punti del boccino per
vincere il campionato e, nonostante fosse stata palese la loro superiorità sul
campo, avevano tentato in ogni modo di rendere loro la vita difficile. Quando
Gigì era partita all’inseguimento del boccino, lui era riuscito a segnare due
punti, rovesciando la situazione di vantaggio. Subito dopo Dominique aveva
segnato a sua volta, ma solo una volta prima che la mano di Angie si chiudesse
sul boccino. Così sia Grifondoro che Serpeverde si erano ritrovati con una
vittoria a metà e l’amaro in bocca.
Per questo lui stesso
aveva proposto al fratello di riunirsi per festeggiare a metà, in uno storico
incontro tra le due Case rivali per eccellenza. Era stata scelta la Buca come
territorio neutrale e lì si erano riversate quasi una cinquantina di persone.
Come di consueto dopo una
partita riceveva complimenti e pacche sulla spalla da compagni di Casa,
entusiasti per il risultato ottenuto. Lui, però, con la coda dell’occhio
cercava incessantemente Angelique in mezzo a tutti quei visi conosciuti.
Perché avesse commesso
l’errore madornale di metterle la pulce nell’orecchio riguardo al suo ruolo di
Cercatrice? Chi poteva dirlo… gli era venuto spontaneo! Sapeva solo di essere
così stupidamente innamorato di Angelique che vederla sul campo di quidditch
con lo sguardo fiero e combattivo come ai vecchi tempi, gli aveva fatto battere
il cuore mille volte di più che sollevare al cielo la Coppa del Quidditch.
Quello sì che era un
affare spinoso, si disse ingollando una generosa sorsata di Firewhisky.
In un attimo di tregua
tra un’ambasciata e l’altra, James individuò Gigì che parlava con Locarn Scamander
e Janus Mcmillan. Aveva l’aria stanca, ma soddisfatta, come se nonostante il
risultato fosse orgogliosa di aver tentato il tutto e per tutto. Le sue guance
erano lievemente arrossate e gli facevano venir voglia di prenderla per mano,
portarla lontano e scoprire quante sfumature di rosa poteva provocarle, dal
piacere all’indignazione.
“C’è stato un tempo in
cui avrei venduto l’anima al diavolo, perché tu mi guardassi in quel modo.”
James si voltò sorpreso e
trovò il volto divertito di Alice Paciock intento a studiarlo. Non provò
nemmeno a giustificarsi, consapevole di essere stato preso in castagna. Aveva
sempre avuto il sospetto che Alice conoscesse i suoi sentimenti per Angelique.
Così si limitò a bere altro Firewhisky, tacendo per non peggiorare la propria
situazione, tattica imparata da quella straordinaria creatura di Dominique.
“Mi sono chiesta a lungo
perché nemmeno una ragazza straordinaria come Fanny fosse in grado di farti
scordare la Dursley. Mi arrovellavo pensando al perché tu dovessi volere una
ragazza così insensibile, opportunista, dispotica, calcolatrice, dura, sempre
sulla difensiva…”
“Non dirlo a me.” Mormorò
James strabuzzando gli occhi e causando una risata dell’amica. “Se hai trovato
una risposta ti prego di condividerla, perché ne avrei davvero bisogno.”
“Oh sì, ce l’ho. Ma ti
lascerò scoprirlo da solo, Jamie.”
Alice sorrise e,
osservandola, James capì che era venuto il momento di affrontare quello che si
erano lasciati alle spalle dopo il tentativo fallimentare di stare insieme.
“Mi dispiace averti fatta
soffrire. All’epoca non avevo molta consapevolezza dei danni che si possono
causare agli altri… Spero che tu sia riuscita ad andare oltre. Davvero Alice,
spero che tu stia bene ora.”
Alice annuì riflettendo e
poi disse con sincerità: “Io sto bene, James. E tu come stai?”
I suoi occhi andarono spontaneamente
in cerca di Gigì, mentre il capo biondo si voltava verso di lui. Il loro
sguardo si trovò sopra le teste dei presenti e lei gli sorrise, prima di
rispondere ad una domanda di Janus Mcmillan.
“Penso di stare meglio.”
Le rispose con sincerità, osservando stupito Angelique abbandonare i suoi
interlocutori per farsi strada tra le persone accalcate attorno al bancone
delle bevande.
Alice sorrise sorniona e
si dileguò in un istante.
Angelique gli si parò
davanti e sollevò il proprio calice di sidro con un sorriso sbieco.
“Agli scontri leali.”
James sollevò il proprio
bicchiere e rispose al brindisi. Osservò affascinato la linea del collo distendersi
mentre la ragazza beveva, pensando a come potesse reagire la sua pelle candida ai
baci poco gentili che gli ispirava in quell’istante.
“Volevo ringraziarti.”
Iniziò Gigì, ma un gruppo di tifosi di Grifondoro, che stava cantando a
squarciagola, passò in massa troppo vicino a loro e la urtarono, spingendola
verso di lui.
James la prese al volo
per un gomito e con una mossa quasi da prestigiatore, la condusse in un angolo
della Buca più tranquillo. Rimasero praticamente da soli, isolati rispetto al
baccano generale che stava animano la sala, confermando quella teoria per cui
le grandi feste, in realtà, sono molto intime.
“Dicevo prima che quei
bufali dei tuoi compagni mi travolgessero, che volevo ringraziarti.” Iniziò lei
mettendosi un ricciolo dietro l’orecchio, ma quello sfuggi ancora e si posò sul
suo zigomo.
“Per che cosa Gigì?”
Angelique sbuffò e alzò
gli occhi al cielo, prima di scuotere la testa esasperata.
“Tu non me la rendi mai
facile, vero?”
“No, mai. Voglio farti
uscire dalla tua comfrot zone.” Ammise non riuscendo a non sorridere per le sue
espressioni.
“E va bene! Volevo
ringraziarti perché avevi ragione, stavo lasciando che la paura di fallire
ancora mi bloccasse dal fare ciò che realmente volevo.” Le parole precipitarono
fuori dalle sue labbra rapidissime e le guance della ragazza diventarono di una
tonalità più intensa di rosa.
Per James fu spontaneo
paragonare la conversazione che stavano avendo, con quelle di qualche mese
prima, in cui le sue scherzose provocazioni eccedevano sempre e causavano solo
la rabbia e il distacco di lei, in cui non nessuno dei due riusciva mai a dire
ciò che realmente intendeva, troppo offuscati dai pregiudizi e dall’orgoglio.
“Ripensandoci forse avrei
potuto aspettare il nuovo anno per farti i miei discorsi motivazionali.” Disse
dopo qualche secondo per alleggerire l’atmosfera. Angelique colse al volo il
suo tentativo e si aprì in un sorriso ironico.
“Ah, quindi lo scontro
leale non è più tanto importante, ora?!” esclamò punzecchiandolo sul fianco con
un indice.
Vederla sorridere gli
faceva mancare il fiato. Averla così vicina ancor di più. Sentire le sue dita
su di sé era forse troppo. Così bloccando la mano che cercava di fargli il
solletico, la trattenne nella propria e disse guardandola dritta negli occhi.
“No, hai ragione. È molto
più importante vederti felice.”
Le labbra di Angelique si
schiusero per la sorpresa e lei rimase immobile per qualche secondo, che a lui
parvero ore intere. Non sapeva perché glielo avesse detto, non ce n’era alcun
bisogno. Eppure, ogni fibra di lui voleva che lei sapesse.
“Che fai il 2 di maggio?”
La voce di lei lo
riscosse e James trovò una risposta evasiva, temporeggiando.
“Vado al ballo, come
tutti.” Per evitare il suo sguardo depose il bicchiere vuoto su un mobile lì
vicino.
Angelique osservò per un
istante le loro mani, ancora giunte e si morse il labbro inferiore con forza,
prima di chiedere a bassa voce
“Uhm… Ci vai con
qualcuno?”
“No.”
“Ci verresti con me?”
James trattenne il
respiro, sconvolto. Il suo petto si era accartocciato su sé stesso per
l’emozione. Le iridi verdi lo osservavano guardinghe da sotto le ciglia, in
allarme per aver fatto una mossa tanto esplicita. Gli sembrava di avere la gola
completamente serrata e di non saper più come connettere le parole alla lingua,
ma ci provò lo stesso.
“Sì, Angelique.” Mormorò
e osservò i suoi tratti mutare per quella risposta.
La fronte si distese e
gli occhi si sgranarono, James pensò che sarebbe annegato in quel mare verde.
Le labbra piene sembravano chiamarlo supplicanti di colmare la distanza.
Non gli importava nulla
del fatto che ci fossero altre venti persone a guardarli e si chinò su di lei.
Con una mano le scostò il
riccio dallo zigomo e lo intrappolò dietro l’orecchio, nel tragitto sfiorò con
i polpastrelli la pelle calda della sua guancia. Angelique socchiuse gli occhi
al suo tocco, e quando lui con la stessa mano scese a sfiorare la mandibola e
il mento per sollevarlo verso di sé, lei tornò a fissarlo. Seppe che anche lei
lo voleva, dall’espressione traboccante di desiderio che gli rivolse.
Le raccolse una guancia
nel palmo e le baciò l’altra, prima di distanziarsi e farle cenno di seguirlo. Ci
mancava solo che dopo tutti quegli anni, la baciasse davanti alla sala intera.
Lei annuì semplicemente,
accaldata ed eccitata quasi come lui.
Le loro mani non si
lasciarono per un istante mentre camminavano in mezzo agli altri studenti
intenti a festeggiare. Lui la conduceva e le accarezzava col pollice il dorso della
mano, lei gli sfiorava la schiena di tanto in tanto per comunicargli che era
lì.
Avevano ormai guadagnato
l’uscita della Buca, quella porta che apriva un mondo di promesse quando udì un
suono che ruppe l’incanto.
“Angelique!”
Si voltarono entrambi, probabilmente
con la colpevolezza scolpita in ogni lineamento, verso Albus. Tuttavia, il
fratello parve considerare poco le loro dita intrecciate. Si avvicinò a loro e
disse con fermezza:
“Angie, è arrivato un
biglietto da parte della Chips.”
James vide il viso di
Gigì perdere qualunque colore. La giovane guardò l’amico spaventata e chiese:
“Che cosa è successo?”
“Non lo sappiamo! Hanno
mandato il biglietto direttamente qui. Dice solo che dobbiamo andare subito in
Infermeria.”
James notò alle spalle
dei due Serpeverde gli altri del quinto anno. La O’Quinn con lo sguardo più
angosciato che le avesse mai visto in viso. Malfoy impassibile come sempre, che
con la precisione di un falco osservava le loro mani. E Goyle che era un
miracolo non si stesse levano le caccole dal naso in mezzo a tutti. Mancava lo
spilungone in effetti.
“Dov’è Barrach?” chiese
James guardando le teste degli studenti per individuare la sua.
“È rimasto in Sala
Comune. Non aveva voglia di festeggiare.” Rispose Albus.
Ormai più nessuno di loro
ne aveva, fu il commento implicito.
“Gli mando un Patronus.”
Angelique lasciò la sua mano e sfoderò la bacchetta ma Albus la interruppe.
“Ci ha già pensato
Scorp.”
“Allora non ci resta che
andare.” Mormorò Angie. Albus annuì e chiamò gli altri tre.
Vide sfilare davanti a sé
i Serpeverde tutti scuri in viso, pronti all’inevitabile e pieni di angoscia. Ma
la vera sorpresa fu quando Angelique gli riacciuffò la mano e la strinse forte
prima di uscire.
“Vieni anche tu.”
Non era una richiesta.
Era la sua volontà.
***
Che cosa le stesse
succedendo quella sera, proprio non lo sapeva.
Probabilmente era
posseduta. Non trovava altre spiegazioni per il suo comportamento.
Invitare Jessy al ballo
dell’anniversario della Battaglia di Hogwarts, sperare che la baciasse,
esultare per la sua iniziativa di uscire dalla Buca per limonare (finalmente!),
stringergli la mano per tutto il tragitto fino all’Infermeria.
Che cazzo stava
combinando?
Non lo sapeva. Sicuramente
non poteva saperlo in quel momento in cui il pensiero di Nana le martellava in
testa. Ripensava a quando era passata a salutarla subito dopo la partita di
quidditch per raccontarle che cosa fosse successo.
Aveva controllato il
polso, aveva rinnovato l’incantesimo per la respirazione artificiale, le aveva
controllato la temperatura… Andava tutto bene? Che cosa era successo?
Nello stato di panico in
cui si trovava, la mano di Jessy nella sua era straordinariamente calmante. Il
calore che emanava riscaldava le sue dita gelide per l’agitazione, la presa
salda nascondeva il suo tremito.
Come accadeva spesso nei momenti
più difficili della sua vita, il ricordo di nonno Etienne si faceva vivo. La
sua memoria richiamava i modi di dire dell’uomo, le sue frasi sagge, i suoi
gesti colmi di gentilezza. E mentre i loro passi accorciavano la distanza con
l’Infermeria, Angie non smise un attimo di pregare come il nonno le aveva
insegnato da bambina. Pregò con tutto il proprio cuore che non fosse successo
nulla di brutto, pregò con brandello di sé che Elena non fosse peggiorata,
pregò finché non ebbe più parole ma solo un incessante “Per favore” a
martellarle nella mente.
Incrociarono Berty poco
prima dell’Infermeria, il quale si unì al gruppo senza una parola, scavato in
viso da un’angoscia devastante.
Il cuore le batteva talmente
forte che sembrava sul punto di esplodere, prendere un respiro era quasi
impossibile tanto era doloroso. Quando aprirono la porta dell’Infermeria Angie
sentì che le sue ginocchia avrebbero ceduto da un momento all’altro.
Madama Chips stava in
piedi accanto al letto di Elena, al suo fianco c’era il padre della ragazza,
Alain Zabini, con il viso rigato di lacrime.
Per una frazione di
secondo pensò al peggio, pensò che l’avessero persa per sempre, che non
l’avrebbe più sentita ridere o vista disegnare in camera, che non avrebbe mai
più sentito le sue battute sconce. Pensò che non fosse pronta a dirle addio,
non lo sarebbe mai stata.
Poi vide il capo azzurro
di Elena voltarsi verso la loro direzione e i suoi grandi occhi verde scuro
posarsi su di loro.
“Ciao bellocci.” La voce
rauca, dopo il lungo disuso, venne accompagnata da un sorriso enorme.
Elena si era svegliata.
Angie conservò un ricordo
piuttosto confuso di quello che successe immediatamente dopo. Seppe che in un
baleno furono tutti attorno al letto di Elena, che quasi tutti si misero a
piangere, che dissero cose più o meno sensate, troppo emozionati per ragionare,
che avevano quasi paura a toccarla, timorosi che fosse solo un sogno averla di
nuovo tra loro.
Parlarono a voce fin
troppo alta in uno stato di ebbrezza dovuta alla felicità, si scambiarono
sguardi increduli. Si udirono numerose risate frammiste a singhiozzi e nell’euforia
del momento si abbracciarono tutti, persino Martha e James, evento più che
irripetibile.
Nessuno capiva più niente
ed era bellissimo così.
Poi successe qualcosa che
li ammutolì tutti.
Berty si avvicinò senza
esitazioni ad Elena e le prese il viso tra le mani, l’adorazione impressa in
ogni suo tratto così provato dalle ultime settimane. Elena sbarrò gli occhi e
posò le proprie mani sui polsi di Berty, come per aggrapparvisi.
“Io ti amo. Ti amo dal
giorno in cui mi hai insegnato a cantare per non balbettare. Ti amo, Elena.”
Subito dopo aver pronunciato quelle parole, chinò il viso verso quello della
ragazza e la baciò.
Il padre di Elena fece
una faccia tale per cui Angie temette che sarebbe stramazzato al suolo. Però
Lord Zabini restò ben saldo sulle sue gambe e si guardò attorno imbarazzato,
aspettando che finissero.
Non fu un bacio molto
lungo o teatrale, ma quando si separarono, Angie poté scorgere un sorriso pieno
di malizia allargarsi sul viso di Nana e la sentì esclamare:
“Oh Berty, finalmente ti
sei deciso, non ci speravo quasi più!”
Angelique si trovò a
ridere insieme a tutti gli altri e ad asciugarsi le lacrime, troppo felice per
fermare l’una o l’altra cosa. Berty le prese una mano e gliela baciò. I suoi
occhi non riuscivano a staccarsi da quelli della ragazza nemmeno per un
istante, rapiti e increduli della grazia ricevuta.
Fu solo quando il loro
baccano raggiunse un livello intollerabile per Madama Chips, che la donna
intimò a tutti di lasciar riposare Elena e di tornare il giorno successivo.
“Non ci penso nemmeno,
abbiamo perso fin troppo tempo.” Fu l’unica risposta che diede Berty e si prese
una sedia, dove avrebbe verosimilmente passato tutta la notte. Madama Chips
protestò, più per forma che per reale intenzione, ma alla fine lo lasciò
accanto a Nana.
Lord Zabini li salutò con
fare piuttosto compito, ma prima di andarsene posò un bacio sulla fronte della
figlia e accarezzò dolcemente i capelli azzurri, promettendole di tornare il
giorno successivo.
Quando uscirono
dall’Infermeria, a dir poco stravolti dagli eventi, Angie sentì il bisogno di
sedersi. Si appoggiò ad una colonna di marmo e si godette il freddo rigenerante
contro la colonna vertebrale. Non fece quasi in tempo a chiudere gli occhi che
Jessy le fu accanto. Vide con la coda dell’occhio che i suoi amici avevano
proseguito lungo il corridoio, lasciandola da sola con Jessy. Li adorò ancor di
più per la loro indole subdola e intrigante.
“Guarda che fingere uno
svenimento non convincerà la Chips a tenerti in infermeria insieme a Elena!” le
disse lui dandole un colpetto con la spalla.
Angie rise e voltò il
viso verso il suo. Osservare come i suoi lineamenti venissero marcati dalle
ombre notturne le procurava una familiare morsa allo stomaco di desiderio. Era
bellissimo con quel sorriso stanco e dolce sulle labbra piene.
“Troppe emozioni tutte
insieme, Jessy. Devo decomprimere.” Mormorò tornando a guardare dritto davanti
a sé. James le passò un braccio attorno alle spalle e la tirò contro il proprio
fianco.
E lì rimasero, insieme.
Note dell’Autrice.
Miei cari ben ritrovati! Non
sono molto sicura della riuscita di questo capitolo, soprattutto nella parte finale
ho cercato di rendere quel senso di smarrimento che spesso si prova di fronte a
eventi più grandi di noi. Spero di esserci riuscita.
Ho meditato a lungo su
come sarebbe stato il risveglio di Elena, ma, a parte i dettagli, ho avuto chiaro
fin dall’inizio la scena del suo primo bacio. Il titolo riprende una canzone che mi ha molto colpita per il mesaggio di speranza e di rinascita, che ben si accompagna a un periodo in cui i personaggi stanno guarendo le proprie ferite. Se vi capita ascoltatela, è molto bella. Per il resto mi viene sempre più
voglia di scrivere perché ci stiamo avviando verso la fine di questa fanfiction,
che sta assumendo la portata temporale di Beautiful. Perché io adoro fare le
cose semplici e lineari, senza perdermi per strada.
Ringrazio come sempre
tutti coloro che hanno dimostrato pazienza e costanza aspettando anche questo
aggiornamento. Non so davvero come ringraziare tutti coloro che hanno
commentato lo scorso capitolo, eravate tantissimi <3: engildi, Idiot,
Shedir_, thetwinsareback, truegattara, cescapadfoot, Rarity94, RTT, cassidri, Cinthia988
e carpethisdiem_.
Un abbraccio enorme a
tutti voi.
A presto (ci provo).
Bluelectra.