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Autore: Red_Coat    22/03/2020    1 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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Note: L'informatore al quale farà riferimento Rufus Shinra e gli eventi ai quali accennerà fanno parte della novel "The kids are all right", ovviamente li accennerò solo brevemente ma era importanto farlo. Alcuni episodi contenuti in quel romanzo tuttavia potrebbero non essere accaduti nella mia timeline, per ovvi motivi di trama, quindi tenete presente che ho preso solo spunto per rendere tutto più lineare e fedele possibile alla compilation, ma non è mia intenzione renderli parte integrante della trama.
In questo capitolo farà una breve apparizione una vecchia conoscenza di chiunque abbia giocato Dirge Of Cerberus o Before Crisis, ma tenete presente che il tutto si svolge circa quattro mesi dopo gli eventi di Final Fantasy 7, quindi la WRO così come la conosciamo noi si sta ancora formando.
Buona domenica e buona lettura :*

Red_Coat







Aut inveniam viam aut faciam” (“troverò un modo o ne inventerò uno”)
-Annibale, condottiero e politico cartaginese-
 
«Tre?!?»
 
Reno lasciò di colpo la consolle di comandi dell'aereo, voltandosi a guardarli e provocando brusca sterzata del velivolo.
 
«Reno!» urlarono in coro Elena e Tseng, mentre cercavano di rialzarsi dopo esser precipitati entrambi verso il portellone chiuso, sbattendoci contro.
 
Per fortuna il corpo della collega aveva attutito l'impatto, e Tseng si ritrovò a ringraziare quella coincidenza dentro di sé per avergli evitato altro dolore inutile. La spalla non sanguinava più, lei era stata brava a medicarla, ma faceva ancora male per via del proiettile.
Elena dal canto suo lo aveva afferrato per i risvolti della giacca per impedirgli di cadere, e così ora si ritrovò a fissarlo negli occhi mentre cercava di non pensarlo così vicino e di non fissare troppo a lungo le sue labbra.
Aveva un profumo forte e deciso, l'unico che soleva usare praticamente da quando lo conosceva lei. La guardò sorpreso, poi si alzò e le porse una mano, che lei fu lieta di accettare, non senza un imbarazzo così forte da accenderle le guance pallide di un lieve rossore.
Il tutto mentre Reno tornava a governare la nave, scusandosi con il nervosismo a incrinare pericolosamente la voce.
 
«Tre ...» ripeté fra sé, quasi imprecando «Non ne bastava uno, ora ce ne sono altri tre! Maledizione!»
«Accelera Reno, e pensa solo a guidare per il momento.» gli ordinò Tseng, rimettendosi a sedere «Non è ancora detto che Osaka sia vivo, non era con loro.» precisò.
«Si, si. Certo.» seguitò sottovoce il rosso, infastidito «Come no. Comunque …»
 
Oh, per la dea! Con le mani così sudate come faceva a guidare tenendo salda la presa sul controller?
Nel frattempo Elena preparò un bicchiere di plastica con dell'acqua in cui aveva sciolto una bustina di antidolorifico e lo porse a Tseng sedendogli accanto. Si scostò una ciocca bionda da davanti agli occhi e se la sistemò dietro l'orecchio destro e fece per parlare, ma il telefono dell'uomo squillò.
L’osservò impensierita tirarlo rapidamente fuori dalla tasca, dare un'occhiata al nome sullo schermo e scurirsi, prima di rispondere. Reno fece lo stesso spiandolo dallo specchietto retrovisore.
Ci fu un istante di silenzio, poi una domanda sospetta da parte del wutaiano, fin troppo angosciato.
 
«Come sta adesso?»
 
Ascoltò la risposta con attenzione, poi risolse, dopo un sospiro.
 
«Va bene, grazie per essertene preso cura. Appena si sveglia digli che stiamo arrivando, se dovesse farlo mentre siamo lì.»
 
Poi lo salutò telegrafico e richiuse l'apparecchio, tornando a sprofondarlo nella tasca della giacca.
I suoi due colleghi lo fissarono in attesa.
 
«Era Marcus ...» disse «Il Presidente ha avuto una crisi poco fa, ora è sotto controllo ma ha la febbre molto alta.»
«Merda …» bofonchiò Reno tra sé, scuotendo il capo.
 
Stava andando tutto maledettamente storto, anche se quella missione era riuscita.
Elena si portò una mano al cuore, preoccupata, guardando il suo capo senza dir nulla.
 
«Dobbiamo essere pronti a tutto, Elena...» le disse dopo un lungo istante di silenzio lui, guardandola con una serietà che quasi la preoccupò più della notizia appena ricevuta «Tu lo sei?»
 
La vide annuire determinata, stringendo i pugni e assumendo quell'espressione seria che aveva ogni volta che decideva di mettere tutta sé stessa in una missione.
 
«Sono pronta, capo.» replicò con un sorriso.
 
L’uomo però sembrò non ascoltarla già più, immerso in pensieri funesti che sembrarono quasi risucchiarlo strappandolo alla realtà.
 
\\\
 
Sdraiato nel suo letto e finalmente di nuovo in forze, anche se con ancora qualche linea di febbre, Rufus Shinra ascolto con attenzione il rapporto dettagliato dei suoi sottoposti, e ad ogni parola sentì l'angoscia salire sempre di più fino a stringerglisi come un cappio attorno al collo.
Era abituato ai colpi di scena, ma in un periodo così turbolento non era affatto una buona notizia da ricevere quella che invece gli era appena giunta.
Dunque altri tre esseri dalle fattezze umane ma dagli inquietanti poteri erano apparsi proprio sul luogo in cui Jenova e Sephiroth si erano estinti, e avevano cercato di impedir loro di portar via ciò che restava dell'alieno.
In tutto questo non c'era alcuna traccia di Victor Osaka, o almeno così dicevano i suoi ragazzi, che quindi risultava ancora disperso.
Il tutto appena un mese dopo che un loro informatore considerato molto attendibile aveva riferito di un incontro piuttosto ravvicinato con un ragazzo dai capelli argentei che lo aveva rintracciato e manipolato, nel tentativo di trovare i resti dell'alieno chiamato Jenova. Non avevano potuto verificare ma si erano fidati, e avevano fatto bene a giudicare dagli ultimi eventi. A giudicare dalla descrizione che ne avevano fatto i suoi Turks quel ragazzo era lo stesso che li aveva intralciati assieme ad altri due suoi simili.
Tre. Erano in tre, quindi. Tre imprevisti incontrollati.
Sospirò. La situazione si stava facendo ancor più complicata.
 
«Voi siete sicuri di non aver visto anche Osaka?»
 
Tseng annuì, lo fece anche Elena. Reno si limitò ad ascoltare la conversazione mordendosi la lingua quasi fino a farsi male, le mani sprofondate nella tasca della giacca della divisa si strinsero a pugno.
 
«Non c'era traccia di lui, e loro non ne hanno fatto menzione.»
 
"Quindi può darsi siano due minacce ben distinte..." pensò Shinra, abbassando per un momento gli occhi. Di male in peggio.
 
«Notizie da Valentine?» tornò a chiedere quindi.
 
Erano passate ormai più di due settimane da quando Reeve gli aveva detto di aver raggiunto un accordo con quell'uomo, ma da allora non si era più fatto vivo.
Reno allora sospirò, scuotendo il capo.
 
«Ancora nulla. Nemmeno io sono riuscito a trovare nulla d’interessante.»
 
Non aveva potuto allontanarsi troppo dalla base per ovvi motivi, più il tempo passava più il pericolo di un'imboscata si faceva concreto, e perciò il Presidente non poteva esser lasciato solo, non in quelle condizioni almeno.
Si era limitato a ispezionare a fondo ciò che restava della vecchia Midgar e la nascente Edge, i cui lavori di costruzione procedevano bene, alternandosi con i suoi due colleghi e trovando molte tracce interessanti, ma nessuna prova concreta.
 
«Se è rimasto nascosto a Midgar per un po', ora non lo è più.» disse, condividendo con loro la sua ipotesi.
 
Rufus sospirò di nuovo. Sempre più complicato.
Molti indizi come i cadaveri trovati alla vecchia stazione e a Junon facevano presupporre che fosse ancora vivo, inoltre mancavano rifornimenti, armi e munizioni dall'armeria della cittadella. Non avevano potuto ispezionare il quartier generale, troppo compromesso dalle radiazioni, ma la scia di pietra che dal settore 8 conduceva alla stazione era stata un altro punto a favore della teoria di Reno, e lo zombie ancora in analisi li aveva allertati facendo dirigere le indagini sulla pista del viaggio verso il cratere nord, dove tuttavia non avevano trovato lui ad attenderli, ma quei tre sconosciuti.
Questo faceva sorgere altre domande, troppe, che di sicuro li avrebbero portati fuori pista.
E per chiudere il quadro, Cloud Strife era sparito.
Non che servisse molto ai fini delle indagini, ma era l'unico ad averlo visto per l'ultima volta e forse sarebbe stato anche l'unico in grado di affrontarlo, se mai si fosse ripresentato, poco importava fosse stato o meno un SOLDIER.
L'ennesimo sospiro, stavolta fin troppo teso.
 
«Capo ...» fece per proporre Reno, ma lui lo bloccò scuotendo il capo.
«Non c'è più tempo.» disse «Ora abbiamo ciò che ci serviva. Se la stanno cercando verranno da noi, quindi dobbiamo prepararci.» quindi guardò Tseng e decise «Affrettate il reclutamento delle vecchie leve, appoggiatevi alla WRO se serve, ma concentratevi solo su quello. E trovate Strife.» poi si rivolse a Reno «Tu resterai con me. Dobbiamo proteggere la nostra unica moneta di scambio.»
 
Il rosso sgranò gli occhi, sorpreso e sconcertato. Non era ... ciò che si sarebbe aspettato, ma pensandoci su qualche istante lo capì. Era la scelta più giusta, quindi annuì.
 
«Boss.» si azzardò tuttavia «E per quanto riguarda lo zombie ...?»
«Può essere un caso isolato, finché non ce ne saranno altri non dobbiamo preoccuparci, e restare concentrati sul nostro obbiettivo principale senza alcuna distrazione.» fu la risposta decisa.
 
Annuì, anche se poco convinto.
C'erano tante cose che lo inquietavano, tanti possibili scenari e loro erano ancora troppo impreparati ad affrontarli. Primo fra tutti il dover tornare ad affrontare un ancor più incazzato Victor Osaka così com’erano, piegati dalla catastrofe e ora in enorme svantaggio numerico e di mezzi. Se c'era anche solo la minima possibilità di salvarsi questo era il momento giusto per iniziare a pensare a come prevenire il disastro totale.
 
***
 
Nel frattempo …
 
Stava ancora cercando di riprendersi dalla sorpresa quando il più piccolo dei tre lo respinse, iniziando ad attaccarlo con più rapidi fendenti in sequenza.
Riuscì a pararli tutti quanti, ma non fu nessuna delle due circostanze a sconvolgerlo, e nemmeno il suo modo di combattere, istintivo ma anche letale.
Era prevedibile, e non perché lo fosse realmente ma per colpa di quello strano fenomeno che li coinvolse, e che Victor Osaka ricordò di aver provato solo una volta nella sua vita.
Come il riflesso in uno specchio, entrambi riuscivano a prevedersi con una precisione quasi millimetrica, e la cosa divenne ancor più evidente quando, dopo averli lasciati a darsele un po’ tra di loro, anche gli altri due si unirono allo scontro.
Era circondato, eppure riuscì a difendersi egregiamente da tutti gli attacchi in simultanea, persino quelli dai quali normalmente non sarebbe riuscito a cavarsela senza riportare almeno qualche graffio.
Mentre era impegnato a tener testa allo spadaccino, per esempio, il pugile calò su di lui dall'alto e il pistolero iniziò a sparare a raffica. Era difficile non perdere di vista Kadaj, aveva l’abilità di svanire tramutandosi in una fitta nebbiolina e spesso tornava ad attaccare dall’alto o alle spalle, però ci riuscì intuendo sul nascere la loro idea ancor prima che i corpi potessero muoversi nell’attuarla, e così facendo riuscì a creare intorno a sé una barriera per respingere i proiettili, scansarsi per schivare il pugno e al contempo disarmare il più piccolo, che finì a terra, la spada a pochi centimetri da sé. Il tutto senza nemmeno una ferita, anche se rischiò di procurarsene qualcuna più volte, e alla fine si ritrovò col fiato corto a fissarlo.
Si fermarono a scrutarsi, mentre riprendeva fiato Victor guardò i loro occhi e sentì un fremito dentro di sé. Il bambino che lo aveva condotto lì rise, dentro la sua testa.
 
«Sei tu, allora.»
 
La voce del più giovane dei tre lo riscosse. Lo guardò sogghignare e gli parve che l'illusione nella sua mente si fosse materializzata sotto i suoi occhi.
 
«Sei Victor Osaka, vero?»
 
Rabbrividì di nuovo.
 
«Voi ...» mormorò, seguitando a scrutarli e chiedendosi nel frattempo se avesse o no completato il suo percorso verso la follia «C-chi siete?»
 
Il ragazzo sorrise, guardando i suoi due compari che fecero lo stesso.
 
«Dovresti saperlo ...» rispose, facendo eco alle parole del Sephiroth bambino che lo aveva guidato fin li.
 
Lasciò andare il fiato, uno sbuffo di vapore si espanse fuori dalle sue labbra sottili appena dischiuse, impattando contro l'aria gelida.
 
«La Madre ci aveva avvisato del tuo arrivo, perciò ti abbiamo aspettato.» seguitò il più piccolo.
«Ma perché sei arrivato così tardi?» fece il mezzano.
«Già, perché??» lo accusò il più grande, puntandogli contro un dito «L'hanno presa! Se fossi stato qui ad aiutarci non ci sarebbero riusciti!!»
 
Osaka indietreggiò, vacillante e confuso.
 
«Madre?» ripeté scrutandoli, cadendo dalle nuvole «Voi ... mi stavate aspettando? Perché?»
«È stata Lei ad ordinarcelo.» ripeté il più giovane «Non sappiamo altro, ci ha detto che avremmo dovuto aspettarti, ma Loz ha ragione. Perché sei in ritardo, e cosa c'è che non va nella tua faccia? Perché sei così pallido?»
«Niisan, sei debole. Non dovresti esserlo.» disse Yazoo.
 
E sentirsi chiamare con quell'appellativo per l'ex first class fu davvero troppo. Un mal di testa improvviso lo colse, strappandolo alla realtà. Risate di bimbi, poi la sua voce da piccolo che chiamava Sephiroth con quella stessa identica parola.
Strinse i denti e si piegò su sé stesso, prendendosi la testa tra le mani.
Si sentì svenire, e forse lo fece anche, ma la prima e l'ultima cosa che udì prima di perdere i sensi e nel riacquistarli fu la voce del più giovane, Kadaj, che commentò con aria preoccupata.
 
«Così non va, non va proprio. Niisan, mi senti?»
 
Riaprì gli occhi senza vederlo, la vista confusa.
 
«Kadaj, che facciamo?» gli chiese Yazoo «Non possiamo lasciarlo così, non ci sarà di alcun aiuto.»
«Dobbiamo andarcene da qui. Sono stufo di questo schifo di posto!» sbottò impaziente Loz.
 
Un paio di lacrime si affacciarono ai suoi occhi incastrandosi tra le ciglia chiuse. Si riaddormentò, ma prima di farlo chiese scusa in tutti i modi che riusciva a trovare, la mente ovattata convinta che tutto questo non fosse altro che l'ennesimo sogno lucido di un folle aspirante suicida.
Nel frattempo Kadaj continuava a dettare ordino.
 
«Allora prendilo in spalla e andiamocene. Ci serve un medico. E smettetela di piangere, tutti e due!» concluse, la voce pericolosamente incrinata.
 
Si sentì sollevare da terra, poi si perse nel buio di un sonno senza sogni.
 
\\\
 
Il problema era il medaglione, che per alimentare l'unico zombie esistente al mondo si nutriva in piccola parte anche della sua energia vitale, rendendogli necessario un continuo recupero per mezzo di pozioni ed elisir.
Ad accorgersene per primo fu proprio Kadaj, poco prima che Loz potesse obbedire al suo ordine.
Quando Osaka cadde a terra, i tre si chinarono immediatamente su di lui ad accertarsi che non fosse morto, e a quel punto un bagliore sinistro si fece intravedere da dietro il lembo del soprabito che lo nascondeva.
 
«Aspetta!» lo fermò il più piccolo.
 
Poi scese un po’ la cerniera e trasse il ninnolo, stringendolo in mano e rabbrividendo. Il bagliore che emanava sembrò quasi incantarli, la vista faticava a metterlo a fuoco e sembrava esageratamente pesante, a dispetto della sua massa effettiva.
 
«Che diavolo ... è ... quel coso?» mormorò Loz, quasi ipnotizzato.
 
Kadaj si riscosse, scuotendo con vigore il capo un paio di volte e successivamente adoperandosi per levarglielo immediatamente dal petto. Da subito il respiro tornò a farsi più regolare.
 
«Non lo so, ma dev'essere colpa sua se è messo così male.» risolse «Lo terremo a turno, inizio io.»
 
Poi prese dalla bisaccia che il moro si era portato dietro una delle ultime pozioni e gliela diede, consegnandolo infine a Loz e ponendosi in testa alla fila.
 
«Forza, dobbiamo sbrigarci a raggiungere un posto sicuro dove almeno possa raggiungerci un medico.»
«Kadaj.»
 
Yazoo lo bloccò, guardandolo negli occhi. Si lanciarono un breve, intenso scambio di sguardi.
 
«Non possiamo perdere altro tempo, dobbiamo trovare la Madre.» concluse infine.
«La troveremo, ma ci serve lui, Yazoo. Ci serve.» ribadì, con una serietà che non gli si addiceva.
 
Quello lo fissò scrutandolo pensieroso, anche Loz si fermò a guardarli duellare. Non li aveva mai visti così tesi tra di loro, ma in effetti lo smilzo aveva ragione.
Perché Kadaj era l'unico a poter parlare con la Madre?
Perché non potevano sapere anche loro cos'aveva in mente?
Alla fine Yazoo si arrese, fidandosi del fratello e tornando ad accodarsi rispettosamente dietro di lui.
Loz lanciò un'ultima occhiata al nuovo arrivato, che continuava a ronfare tranquillamente con la testa appoggiata sulla sua spalla.
Sogghignò.
 
«Mph, sei fortunato "fratellone".» gli disse, senza aspettarsi una risposta «Sembra che la Madre ci tenga davvero a te. Chissà perché, poi?»
 
\\\
 
Si riebbe solo diverse ore dopo, pensando in un primo momento di essersi liberato da quelle inquietanti allucinazioni.
Si trovava in una delle tante caverne del ghiacciaio sottostante al cratere, e per un attimo lo assalì lo sconforto.
Doveva ancora concludere la scalata? Diamine, ma allora tutto quello che aveva appena vissuto, quei tre ragazzi così simili a Sephiroth, l'incontro con la sua immagine bambina e tutto il resto era stato solo un sogno!
Accidenti! Quanto aveva dormito, allora?
Si aprì in un sorriso sollevato, scuotendo il capo appoggiandosi alla parete di ghiaccio dietro alla sua schiena.
Si, doveva esser stato decisamente un sogno. Era troppo strano perfino per lui per poter essere reale, e stava per lasciarsi andare ad una risata quando una sagoma si affacciò all'entrata della grotta, chiamandolo nuovamente.
 
«Niisan.»
 
La voce di Kadaj lo raggiunse.
Il sorriso gli morì sulle labbra. Chiuse nuovamente gli occhi e scosse il capo. "No, ti prego ..." implorò disperato dentro di sé.
Ma quello non si arrese.
 
«Niisan, sei sveglio?»
 
Tornò a guardarlo, stranendosi. E lui come faceva a saperlo?
Si prese la testa tra le mani.
"È solo un sogno, Vic. Solo un inutile sogno. Ignorarlo e finirà."
 
«Si ...» mormorò invece, mordendosi le labbra subito dopo.
 
Lo sentì avvicinarsi e riaprì gli occhi per poterlo guardare meglio, quando gli si sedette accanto.
Era incredibile la sua somiglianza col Sephiroth bambino che lo aveva guidato fin lì.
Scosse nuovamente il capo, ricordando a sé stesso che probabilmente anche quel pezzo era stato frutto della sua immaginazione.
 
«Ti senti meglio?» gli chiese il giovane.
 
Annuì, guardandosi intorno. Perché non riusciva a convincersi del fatto che non era reale?
 
«Loz e Yazoo sono andati in ricognizione, ci sono troppe strane creature qui per affrontarle tutte.»
 
L'ex SOLDIER sospirò. "Non dirlo a me." pensò, e nel farlo portò una mano sul petto, a cercare il ciondolo. Non trovandolo iniziò ad agitarsi, sgranando gli occhi e cercandolo freneticamente.
Kadaj a quel punto lo tirò fuori dalla tasca del suo soprabito, tenendolo per la catenina e mostrandoglielo penzolare davanti ai suoi occhi.
Lo guardò sconvolto, e quando fece per riprenderselo questi lo tirò nuovamente a sé, ricacciandolo dentro la tasca.
Osaka gli lanciò uno sguardo torvo.
 
«Ridammelo subito.» lo minacciò «Non è roba per bambini, quella.»
 
Kadaj lo fissò serio, quasi minaccioso.
 
«Non sono un bambino.» precisò «E qualunque cosa sia ti stava risucchiando tutta l'energia vitale. Non lo riavrai finché non starai bene. Niente storie.» ordinò, con un cipiglio inusuale per un tipo come lui.
 
Non sembrava minaccioso, ma i suoi continui e repentini cambi di umore lo rendevano assai inquietante.
Victor abbassò nuovamente le palpebre, tornando ad appoggiare il capo sulla parete di ghiaccio.
 
«Fai come ti pare.» disse «Quando avrà succhiato anche la tua, di energia vitale, dovrai ridarmelo per forza.»
 
A quel punto però il giovane sorrise amaro, abbassando gli occhi verso la punta dei suoi anfibi.
 
«Non può farlo con me.» replicò, sorprendendolo «Con nessuno di noi tre. Noi ... non siamo del tutto completi, non del tutto ancora.» spiegò, e mentre lo ascoltava l'ex first class sentì una strana angoscia impadronirsi di lui.
 
Lo vide intristirsi talmente tanto fino a singhiozzare, poi scuotere con rabbia il capo, schiaffeggiando l'aria con una mano e infine tornare a sorridere, guardando la volta bianca sopra di sé.
 
«Ma questo è un bene, niente può danneggiarci per ora. Saremo pronti quando ritroveremo la Madre.»
 
Osaka lo guardò a bocca aperta, riflessivo. Ci pensò su ancora qualche istante, poi decise di rompere gli indugi e fare ciò che gli veniva naturale. Sogno o meno, quei tre avevano con lui lo stesso collegamento che lo aveva legato a Sephiroth, solo ... un po’ più labile.
 
«Kadaj ...» mormorò, richiamandolo con dolcezza.
«Tu ci aiuterai, vero Niisan? Lei ci ha detto che lo avresti fatto. Lo farai?»
 
Sospirò. Madre.
Che fosse...?
C'era un solo modo per scoprirlo.
 
«Cosa vi ha detto, Kadaj? Tu hai sentito la sua voce.»
 
Il più giovane rise, ma quasi disperandosi verso la fine, annuendo.
 
«Solo io posso sentirla, non so perché.» rispose fiero, anche se quelle lacrime spaventate non andarono via completamente dai suoi occhi «Mi ha detto di te, che avresti saputo cosa fare. Nel frattempo l'abbiamo cercata, ma quando stavamo per trovarla ...»
 
Ricominciò a piangere, picchiando i pugni sul pavimento duro.
Victor lo osservò senza dire o fare nulla, solo cercando di capire. La Madre ...
 
«Era una voce maschile o femminile?» chiese, consapevole di aver posto una domanda all'apparenza inutile.
 
Il ragazzo tornò a ridere.
 
«Come dovrebbe essere la voce di una Madre?» disse, poi però all'improvviso sembrò capire il significato nascosto dietro di essa, e tornò a fissarlo scurendosi.
 
L'ex SOLDIER restò in silenzio, osservando quegli occhi mutare espressione con una rapidità tale da sorprenderlo, passando dalla confusione alla felicità alla rabbia pura, fino al dolore.
 
«Non quella di Sephiroth.» concluse il giovane in un sibilo adirato, cogliendolo di sorpresa «È questo che intendevi, vero?»
 
Si fissarono negli occhi ancora un istante, poi Kadaj si alzò di scatto e fece per andarsene, ma Osaka lo afferrò per un braccio, ascoltandolo rabbrividire.
Come faceva a conoscere la differenza tra Sephiroth e Jenova, a sentirli? Perché gli altri non potevano?
L'unico modo che aveva per capirlo era continuare a chiedere, ma l'altro sembrava temere tutte quelle circostanze. Perché?
Sospirò, scuotendo il capo.
 
«Scusa, scusami...» concluse, invitandolo a tornare a sedersi di fronte a lui «È che ... non mi aspettavo il vostro arrivo.»
«Speravi fosse Sephiroth, vero?» lo incalzò Kadaj, corrucciandosi.
 
Victor incrociò il suo sguardo spaesato, si rese conto di quanto davvero lo fosse. Spaesato, deluso e arrabbiato.
Perché odiava così tanto quella prospettiva?
Annuì, e lo vide tornare ad alzarsi, stringendo i pugni e voltandogli le spalle.
 
«Io ho sempre avuto solo Sephiroth ...» ammise, un nodo in gola, abbassando gli occhi sulle sue mani guantate di nero, abbandonate in grembo «È stato lui a condurmi qui. A dirmi di venire ... non sapevo nient'altro ...»
 
Scosse il capo, perdendosi nei suoi pensieri.
Non poté vederlo, ma a quelle parole Kadaj sgranò gli occhi, sconvolto, e le lacrime tornarono a inondarli, incastrandosi tra le fragili ciglia candide.
"Sephiroth ..."
Sempre lui.
"Perché non gli ha parlato di noi?"
Perché non era stata la Madre a parlargli?
La risposta gli era già stata data dalle ultime parole del "fratellone".
 
"Ho sempre avuto solo Sephiroth ..."
 
Certo.
Ovviamente.
 
«Quindi hai già scelto ...» mormorò, pentendosene subito dopo.
 
Si morse la lingua, ma per fortuna Victor sembrò non averlo sentito. Era stato troppo basso il suo borbottio, e lui troppo sovrappensiero.
 
«Cosa?» gli chiese riscuotendosi.
 
Kadaj tornò a sorridere, come se nulla fosse successo.
Scosse il capo, voltandosi di nuovo verso di lui e tornando a sederglisi accanto.
 
«Non importa.» disse «Non fa niente, Niisan. Ci aiuterai allora a trovare la Madre?» domandò speranzoso.
 
Il 1st class si fece più attento. Era quello il momento giusto che aspettava. Sospirò, annuendo.
 
«Perché è così importante la Madre per voi?»
 
Lo vide sorridere, quasi commosso.
 
«Ora non siamo nulla.» fu la risposta, sognante «Ma dopo che ci saremo riuniti avremo anche noi il nostro posto nell'universo. E potremo stare con lei, per sempre.»
 
Che tradotto significava...? Non ebbe bisogno di esporre i suoi dubbi, Kadaj se ne accorse guardandolo negli occhi e si stupì egli stesso.
 
«Dobbiamo trovarla, Niisan.» gli spiegò, stringendo i pugni e guardandolo negli occhi con determinazione «Io devo riunirmi a lei, tutti noi dobbiamo farlo, anche tutti i nostri altri fratelli appena nati. E quando sarà venuto il momento ...»
 
Sorrise, ma le labbra sottili s'incrinarono pericolosamente in una smorfia di dolore.
Victor rincorse quelle altre novità con rapidità, quasi annaspando mentre cercava di decifrare quel linguaggio infantile e di ricomporre il puzzle con gli ultimi pezzi appena ricevuti, ma era difficile.
Fratelli? Quali altri fratelli?
Ricordò Dan e Ben, rivide quell'uomo morto di Geostigma e un pensiero attraversò rapido la sua mente, congiungendo i punti fino a formare una sagoma di un possibile piano, anche se non sapeva ancora se era quello definitivo.
Prima il Geostigma ... e adesso loro, che volevano ricongiungersi a questa fantomatica Madre. Doveva essere ciò che restava di quella creatura, ma trovarla sarebbe stato difficile senza sapere almeno che forma avesse ora.
Poteva essere un pezzo del suo corpo, un tentacolo, o anche parte del suo sangue, ma ... se così doveva essere ...
Sgranò nuovamente gli occhi, in volto la meraviglia più pura ...
Perché a Sephiroth serviva un pezzo del corpo di sua madre? E Kadaj ...
Tornò a scrutarlo, e all'improvviso tutto gli fu più chiaro. O quasi.
Sephiroth si era fuso al Pianeta, ogni persona affetta da Geostigma aveva in sé parte delle sue cellule, e anche loro tre in qualche modo erano collegati a tutto questo. Ma lui? Perché Jenova aveva detto loro di aspettarlo?
Pensò al plico che si era portato dietro. Forse era lì la risposta che cercava.
Sorrise, osservando a sua volta l'espressione contenta e serena di Kadaj.
 
«Ce ne andremo insieme, tutti quanti, e porteremo questo pianeta con noi attraverso le stelle.» lo sentì risolvere «Tu verrai con noi, vero Niisan. Vuoi?»
 
Che domanda difficile! Non ne era più sicuro, ora come ora, non sapeva cosa sarebbe stato meglio per lui, solo che avrebbe fatto qualsiasi cosa perché Sephiroth tornasse, anche donargli l'intero pianeta se fosse servito. Sephiroth ... lui aveva intenzione di tornare, e già questo sarebbe bastato a scacciare tutta la malinconia. Oh, che magnifica, folle idea! Da quanto tempo l'aveva maturata?
Oh, chissenè!
 
«Kadaj ...» mormorò «Vi aiuterò ma ... non chiamarmi più Niisan. Per piacere.» gli chiese gentilmente, con imbarazzo e un po’ di tenerezza.
 
Il giovane si stranì, rivolgendogli uno sguardo sorpreso e attento.
 
«E come dovrei chiamarti?» domandò.
 
Victor scosse la spalle.
 
«Come ti pare. Ma non Niisan.» replicò
«Tu sei il nostro Niisan.» sorrise però il ragazzo, trovando buffa quella richiesta «Perché non dovrei?» ridacchiò.
 
E Osaka sorrise a sua volta, nostalgico. "Sephiroth, questa è perfida vendetta però."
 
«Comunque, "Vic" ti va bene? Ti chiamerò con il tuo nome, quando me ne ricorderò.» promise alla fine il più piccolo, strappandogli un sorriso.
«Perfetto.» annuì, poi un vociare li distrasse.
 
Loz e Yazoo si affacciarono alla porta della caverna.
Non erano sporchi di sangue né riportavano alcuna ferita, ma sul guanto di Loz c'era del sangue, e sui loro capelli argentei e sulle spalline dei soprabiti si erano posati minuscoli cristalli di neve.
 
«Ah, sei sveglio Niisan?» lo accolse con un sorriso appena percepito Yazoo.
«Vi aggiorno, chiamatelo solo Victor. Lo preferisce.» l'informò Kadaj, rivolgendogli poi un occhiolino.
 
Lui finse di stropicciarsi gli occhi per nascondere la sua espressione imbarazzata dietro ad una mano.
I due si guardarono e scossero le spalle, straniti proprio quanto il fratello più piccolo.
 
«Ad ogni modo, ce la fai a camminare?» tornò quindi a chiedere Yazoo «Non c'è nulla qui che possa esserci utile, e il tuo corpo è troppo debole ora per combattere. Abbiamo liberato la strada ma dobbiamo sbrigarci prima che si riempia di nuovo di mostri.»
 
Sgranò di nuovo gli occhi, meravigliandosi ma non troppo.
 
«Fin dove … fin dove siete arrivati?» chiese, prendendo fiato.
 
Forse per colpa della sorpresa o dell’altitudine, sembrava che i suoi polmoni non fossero abbastanza capienti ora, che non riuscissero a contenere tutta l’aria che gli serviva. O forse era semplicemente lui che ne usava più di quanto avrebbe dovuto.
 
«Non molto lontano.» rispose il pistolero «Abbastanza da riuscire a raggiungere la prossima caverna.»
 
Tornò a trattenere il fiato. Quindi quasi quattro ore di cammino? Impossibile …
All’improvviso, così senza un perché, la voce di Vittorio nella sua testa tornò a farsi sentire. Lo udì ridacchiare divertito. “Hey, idiota. Perché ti meravigli così tanto? Alza le chiappe, forza!” lo incoraggiò, tornando a ridersela.
“Mh?” gli rispose, continuando a tenere gli occhi sulle loro facce stupite “Io non … non sono affatto meravigliato. E poi ti sembra questa l’ora di tornare a farti sentire? Dov’eri finito?”.
L’altro ridacchiò di nuovo, sempre più divertito. “Oh, scusa mammina.” lo canzonò, ma senza replicare alla sua domanda né aggiungere altro.
Osaka sospirò. Chissà per quale misterioso motivo, ma tutta quella storia gli appariva solo come una gigantesca caricatura demenziale di sé stesso e Sephiroth, a parti invertite però. Quel genere di umorismo non era nelle sue corde, anche se non era sicuro che lo fosse davvero. Santo cielo, era così assurdo! E poi lui era uno solo, loro tre! Uno contro tre, perché??
Un pensiero fugace attraversò la sua mente, e non seppe dire chi fu ad ispirarlo, solo che lo lasciò intontito a pensarci. “Non eri stanco di viaggiare da solo?”
In effetti … sì. E poi …
“Per ogni guerra ci vuole un esercito, no?” tornò a parlargli Vittorio, prima che Kadaj lo richiamasse alla realtà.
Esercito? Loro quattro potevano … considerarsi tale?
 
«A proposito, Niis- ehm… Victor, hai una mappa?»
«O un’idea di dove possano essere andati quelli che hanno rapito la Madre?» aggiunse Yazoo.
«Maledetti …» singhiozzò Loz, attirandosi i sorrisi dei suoi due fratelli, che si scambiarono poi un’occhiata divertita.
 
Il 1st class si riscosse. “Che esercito del cavolo. Non ne ho mai visto uno così sgangherato”. O forse sì?
“Non sottovalutarli.” fece Vittorio “Credo invece che imparare a conoscerli non ti farà affatto male. Intanto, non avevi un piano di vendetta da portare avanti?”
 
Una scintilla si accese nella sua testa.
Certo. Ovvio che ce l’aveva.
Tirò fuori dalla bisaccia la mappa richiesta e prima di consegnarla al più piccolo domandò, facendosi serio.
 
«Che aspetto avevano i rapitori?»
 
Aveva un sospetto. Un vago sospetto che se confermato avrebbe unito in maniera coerente tutti i punti in sospeso, indicandogli la strada. La fortuna fu dalla sua parte.
 
«Erano in tre.» disse Kadaj «Ma noi ne abbiamo visti solo due, una donna bionda e un uomo alto, dai capelli lunghi
quasi quanto i tuoi e neri . L’altro guidava l’elicottero che li ha portati via.»
 
Strinse i pugni, le sue pupille feline si assottigliarono ancora di più e un lieve sogghigno si dipinse sulle sue labbra sottili. “Turks. Figli di puttana.”
 
«Erano vestiti di nero, e sul fianco dell’elicottero c’era un logo bianco in campo rosso, al centro di un quadrangolo?»
 
I tre ci pensarono su, poi furono tutti concordi sull’annuire decisi.
 
«Si, lo abbiamo intravisto ma era esattamente così.»
 
Il sogghigno si allargò sul suo volto, gli occhi si accesero di perfida gioia. Certamente … doveva essere così.
L’ennesima prova che Sephiroth appoggiava i suoi piani.
I tre fratelli sorrisero tra di loro, riconoscendo finalmente il Victor Osaka che avevano atteso.
 
«Li conosci, Niisan?» domandò Yazoo.
 
Lui tornò a puntare i suoi occhi dentro a quelli del giovane, sogghignando e annuendo.
 
«Altroché, se li conosco…» mormorò, deformando poi le labbra in una smorfia disgustata «Shinra. Gli esseri più subdoli, rivoltanti e meschini dell’intero Pianeta. C’è un solo posto dove potrebbero stare, dopo la caduta di Midgar … in mezzo alle sue ceneri.»
 
O dovunque ci fosse qualcosa da cui ricavare profitto. Come una pandemia, per esempio? Quanti soldi avrebbe potuto fare lo scopritore del vaccino? Abbastanza da rimettere in piedi perfino un cadavere, se di ferro o di carne e ossa era indifferente.
 
«Allora possiamo raggiungerli! Possiamo riprendercela e … » esclamò Loz eccitato, battendo pugno contro pugno pronto a combattere.
«Non ancora.» lo bloccò lui, scioccandoli tutti e tre.
«Come?» fece quello, quasi offeso.
«Niisan …» mormorò Kadaj, stringendo i pugni e rivolgendogli uno sguardo preoccupato.
 
Lo fissò serio.
 
«Se quegli esseri l’hanno presa, vuol dire che temono qualcosa da parte nostra. Forse … proprio ciò che voi bramate di più. Anche se riuscissimo a impadronircene loro penserebbero a rovinare tutto, mandando in fumo i nostri propositi.» spiegò, poi si alzò in piedi e si avvicinò all’entrata della caverna, guardando la neve che vorticava sulla sua testa sospinta da un vento impetuoso, che ululava forte «No …» mormorò, perdendosi per un istante solo ancora nei ricordi «Non glielo permetterò di nuovo.»
 
Si voltò a guardarli.
 
«Noi non possiamo permetterglielo. Perciò … dovremmo prima sbarazzarcene, di tutti loro.» concluse, una luce minacciosa negli occhi.
 
Oh, il solo pensiero lo faceva sentire di nuovo vivo, ma non come uno dei suoi zombies, no.
Vivo e pronto a fare a pezzi anche l’intero genere umano se fosse servito a preparare il mondo alla Reunion … il ritorno definitivo di Sephiroth.
Era il jolly, l’ultima carta da giocare, l’asso nella manica. Non avrebbe permesso a niente e nessuno ora di frapporsi ancora tra lui e la possibilità di riuscirci.
Kadaj, Loz e Yazoo lo ascoltarono attenti, e quell’idea anche loro sembrarono elettrizzati, scambiandosi sogghigni soddisfatti e annuendo, tornando a guardarlo e stringendo in pugno le loro armi.
 
«La Madre ce l’aveva detto che avresti saputo cosa fare.» gli disse il più piccolo avvicinandosi «Quindi, che facciamo ora?»
 
Lui sogghignò, poi scosse la spalle e assunse un’aria disinteressata, parlando come se stesse buttando lì un’idea del momento come prima proposta.
 
«Mh. Stavo pensando … voi non avete mai visto questo Pianeta, no? Che ne dite … di giocare un po’?» guardando il medaglione che continuava a scintillare al collo di Kadaj.
 
E ricevendo in risposta l’ennesimo sogghigno soddisfatto e impaziente da parte dei tre.
 
«Eheheh!» rise Loz, sfregandosi le mani «Mi piace quest’idea, Niisan. Da dove iniziamo?»
 
\\\
 
I buoni propositi erano tanti, anche se buoni lo erano solo dal loro punto di vista, ma lo erano anche le difficoltà dovute alla scalata che si apprestarono ad affrontare, soprattutto per Victor, che era debole e fin troppo denutrito per poter combattere al meglio delle proprie forze.
Se ne accorsero al primo scontro di livello medio che dovettero affrontare, quando subito dopo aver sconfitto il primo gargoyle cadde in ginocchio, reggendosi il fianco con una mano e appoggiandosi alla lama della sua spada.
 
«Cazzo!» imprecò sottovoce, mentre loro finivano gli altri due mostri.
«Victor, stai bene?» gli chiese subito dopo Kadaj, correndo a soccorrerlo.
 
Non proprio, constatarono entrambi. Si era fatto colpire al fianco da una zampata, e quei cosi avevano degli artigli assurdamente affilati. Grondava sangue, e non poteva curarsi da solo.
Si sedette a terra, prendendo lunghe boccate d’aria.
 
«Davvero, Niisan. Come hai fatto a ridurti così?» gli domandò Yazoo, scuotendo il capo, mentre lui dalla borsa si affrettava ad estrarre il disinfettante (quasi finito), e la garza medica.
 
Per fortuna aveva avuto la buona idea di portarseli dietro. Non rispose, anche se li vide tutti e tre guardarsi preoccupati e poi rivolgergli un’occhiata di attesa. Se lo aspettavano, certo. Ma non aveva voglia ora.
Si medicò la ferita, poi bevve l’ultimo elisir e si rimise in piedi, sostenuto dalla sua spada.
 
«Vuoi che ti riprenda in braccio?» ridacchiò Loz.
 
Lui sorrise, mascherando il dolore dietro ad un sogghigno divertito.
 
«Dobbiamo rifornirci di Elisir, e non siamo nemmeno arrivati al ghiacciaio. Muoviamoci a uscire da qui, la neve sta cominciando a innervosirmi.» risolse sbrigativo.
 
Loz ridacchiò di nuovo.
 
«La mia offerta è sempre valida.» propose.
«Ti ringrazio, ce la faccio da solo.» rispose lui a tono, prima di scambiare con questi l’ennesimo ghigno.
 
\\\
 
Non era la neve né tantomeno il ghiaccio a preoccuparlo, quanto le insidie che si celavano magistralmente dietro il loro magico e pacifico candore. Era quanto di più vicino ci fosse alla descrizione perfetta dei pericoli di una doppia personalità, dopo il lupo col manto da pecora.
Assideramento, tanto per cominciare, carenza di cibo, il rischio di smarrirsi e lastre di ghiaccio scivoloso era solo alcuni questi pericoli, e fu proprio una di queste ultime ad attentare alla sua vita, poco dopo aver iniziato la scalata.
Stavano percorrendo uno stretto sentiero che conduceva alla prossima caverna segnata sulla mappa quando, per colpa di una sua disattenzione dovuta alla stanchezza, la suola dei suoi stivali rinforzata in metallo incontrò una parte di neve che si era sciolta a causa del sole del mattino e poi di nuovo solidificata durante la sera precedente.
Era l’alba e il freddo rendeva tutto più difficile, assieme ai primi raggi di sole che appannavano la vista.
Non la vide e ci camminò sopra, finendo com’era prevedibile per scivolare giù, ritrovandosi appeso per un braccio solo alla mano di Kadaj, l’unica cosa che gli aveva impedito di schiantarsi contro il fondo nemmeno lontanamente intravedibile del burrone. Fu una spiacevolissima sensazione ritrovarsi a penzolare nel vuoto.
Si guardarono, lui si aggrappò con entrambe le mani a quella del giovane e si lasciò tirar su, con l’aiuto degli altri due. Si allontanarono in fretta dal sentiero, addentrandosi nella grotta.
Victor li scrutò, prendendo fiato.
 
«Grazie …» mormorò, il cuore che ancora batteva a mille in petto.
«L’avevo detto io, che la neve fa schifo.» sdrammatizzò Loz.
 
Risero sollevati tutti e quattro.
Avevano camminato senza fermarsi per tutta la notte, nemmeno riusciva più a ricordare come avesse fatto. Per fortuna il tempo era stato clemente, solo ora iniziava ad alzarsi vento di tormenta.
 
«Forse è il caso di fermarci, sarai stanco.» si preoccupò Kadaj.
 
Victor annuì, anche se non ne fu tanto entusiasta. Ne aveva bisogno però. Tanto bisogno.
 
«Solo un’ora, il tempo di riposare.» disse «Non abbiamo più provviste, non so se riuscirò a resistere ancora a lungo senza mangiare.»
 
Forse per caso o forse no, quella frase uscì dalla sua bocca e Yazoo, che a quanto pareva era il più lesto del gruppo anche nel prendere le palle al balzo, gli domandò scrutandolo serio.
 
«Lo hai già fatto altre volte, prima di raggiungerci?»
 
Una domanda innocente che però suonava più come un’accusa. Gli sguardi dei tre si puntarono su di lui, che sentì un nodo stringerglisi in gola.
Sospirò.
 
«Il viaggio è stato lungo, e avevo fretta di arrivare …» rispose, ammettendo la sua colpa e nel frattempo scusandosi.
 
Kadaj lo squadrò facendosi serio a sua volta. All’improvviso guardandolo Osaka vide per un breve istante i suoi occhi attraversati da una piccola scossa, le pupille farsi molto più simili a quelle del suo Generale, e nella sua testa l’immagine di quest’ultimo si sovrappose a quella del ragazzo.
Non seppe come prendere quel fenomeno, né cosa dire. Ne rimase solo … impressionato.
 
«Capisco …» disse Kadaj, con un tono di voce più scuro, contrariato e severo «Non avresti dovuto farlo.» lo ammonì.
 
Il cuore perse un battito. “Sephiroth?”
Gli altri due assisterono in silenzio al loro successivo scambio di sguardi, fino a che Kadaj stesso non concluse.
 
«Comunque sia, ora dobbiamo pensare solo a tornare al sicuro sani e salvi tutti e quattro. Riposati quanto vuoi, ripartiremo quando ce la farai a sostenere la marcia.» decise freddo, uscendo nuovamente dalla grotta senza neanche rivolgergli uno sguardo.
 
“Bentornato, Sephiroth.”
Yazoo lo seguì, mentre lui decise di sedersi a riposare appoggiando la schiena ad una colonna.
Loz gli si sedette accanto, osservandolo passarsi una mano sugli occhi cerchiati profondamente di nero.
 
«Diamine, sembri un non morto …» commentò.
 
Una smorfia si dipinse sul suo volto, a metà tra la disperazione e il riso.
“Sembro o lo sono?” pensò, senza condividere ma ritrovandosi a ridere con lui, chiedendosi se anche solo una piccola parte di quel suo pensiero lo avesse ugualmente raggiunto.
 
\\\
 
In piedi sul crinale, Kadaj prese un respiro osservando l’alba, e ritrovandosi a piangere. Calde lacrime gli bagnarono il viso, se le tolse con un gesto stizzito quando il fratello gli si accostò, facendo finta di non vederle.
Restarono a lungo a guardare il sorgere del sole, assorti in un silenzio amaro.
 
«La troveremo … vero?» chiese infine Yazoo, tornando a guardarlo.
 
Lo vide sorridere sicuro.
 
«Certo che sì.» gli rispose tornando a scrutarlo «Lei ci guiderà, ci riusciremo. Ora ne sono certo …»
 
Lo smilzo annuì, riflettendoci su e puntando nuovamente i suoi occhi verso l’orizzonte sempre più chiaro, delineato dalle linee irregolari delle montagne dietro alle quali ora i raggi dorati rifulgevano limpidi. Lacrime iniziarono ad affacciarsi anche ai suoi occhi, strinse i denti per non lasciare loro la possibilità di tradirlo.
Diavolo, era così difficile quella vulnerabilità! Era come trovarsi sulle montagne russe dei sentimenti, e non riuscire a scendere. Per Kadaj era pure peggio, in un certo senso, perché ne conosceva il motivo.
Sorrise, ritrovando per un attimo il buon umore.
 
«Non piangere, Kadaj.» mormorò.
 
Il più piccolo sorrise a sua volta, scuotendo il capo, quasi imbarazzato.
 
«Non avremo più bisogno di farlo, quando troveremo la Madre.» disse, scrutando deciso l’orizzonte.
 
Pian piano anche lui sembrò riuscire ad uscirne. Si guardarono e sorrisero ancor di più, annuendo in un muto cenno di solidarietà prima di lanciarsi in una profonda ispezione del territorio atta a prevenire altri pericoli.

 
 
***
 
La scienziata si fermò un istante ad osservare la mostruosa creatura che aveva davanti, carezzandosi il mento con l’indice della mano sinistra, l’unica ancora sana che aveva. L’altra era stata sostituita da una bionica assieme al resto del braccio, avendo fatto la stessa fine del suo occhio destro, perso a seguito di quello che più genericamente si poteva definire un “incidente di percorso.
Indossava un camice tenendoselo semplicemente sulle spalle, sopra un due pezzi gilet e minigonna viola e blu, e tacchi blu con cinturino.
 
«Shalua.»
 
La voce di Reeve la riscosse dai suoi pensieri. Si trovavano nella sede di una delle basi temporanee della neonata WRO, precisamente in uno dei tanti ex laboratori scientifici dislocati lungo tutto il pianeta, e a lei era stato affidato l’incarico di analizzare quella strana forma di vita e riferire i risultati. I suoi capelli rossi in parte legati in una coda ondeggiarono appena quando si voltò a guardarlo, rivolgendogli un saluto col cenno del capo che l’uomo ricambiò con un sorriso.
 
«Allora, che nuove?» le chiese.
 
Lei tornò a scrutare la pelle verdastra del vecchio cadavere, in quel momento inerme in una soluzione che ne manteneva intatto almeno il corpo, anche se a quanto sembrava non ce ne sarebbe stato bisogno.
 
«È un essere strano.» spiegò «Il suo cuore non batte e le sue funzioni vitali sono ferme da prima della cattura da parte nostra. Non riesco proprio a capire come possa essere possibile che abbia aggredito e ucciso qualcuno in quel modo brutale.»
 
Reeve si fece pensieroso.
 
«Hai … trovato qualche traccia del parassita Jenova dentro di lui?» tornò a domandarle.
 
Quel dubbio lo tormentava da settimane, pensare che zombie e geostigma potessero essere collegati tra loro lo faceva rabbrividire togliendogli il sonno. Ma quello doveva essere il suo giorno fortunato, perché la scienziata tornò a scuotere il capo, affermando sicura.
 
«No, in alcun modo. Era un uomo perfettamente sano, se escludiamo il diabete e qualche lieve ischemia, e non aveva mai subito alcun intervento chirurgico di quel tipo né contratto il geostigma.»
 
Tuesti sospirò, non del tutto sollevato però.
 
«Davvero, non riesco a capire come sia stato possibile …» la sentì ripetere facendosi sempre più pensierosa.
«Dovremmo iniziare a credere alle storie di fantasmi, quindi?» tentò di sdrammatizzare, ma non ottenne che una risposta ancor più tesa.
«Spero proprio di no. Non ho ancora finito su questa terra, e non è proprio il momento giusto per un apocalisse zombie.» replicò lei, scuotendo il capo.
 
L’uomo sospirò, incrociando le braccia sul petto.
 
«Già …» mormorò soltanto, senza più sapere bene a cosa pensare.
 
A quel punto potevano aspettarsi praticamente qualunque cosa.
 
***
 
La risata diabolica di Kendra si espanse a macchia d’olio all’interno del covo ove aveva scelto di far risiedere la sua anima. La sua immagine se ne stava lì, ad osservare con aria famelica il globo di luce tenuto stretto tra le dita affusolate della mano destra, dentro al quale scorsero le immagini prima degli ultimi Shinra, poi dell’attacco dell’unico zombie esistente al mondo, degli scienziati della WRO e infine di Victor Osaka, che iniziava a scoprire il cammino che era stato preparato per lui dà molto più tempo di quanto riuscisse ad immaginare.
Li osservò, e il suo cuore di pietra godette nel vederli tutti uniti nella rappresentazione corale del principio della fine del mondo, la vera apocalisse.
Che bellezza! Oh, che meravigliosa visione per lui, che da quando era stato maledetto non aveva aspettato che quel momento.
E poi vedere quel medaglione in azione … dovette ammetterlo, Victor Osaka aveva fatto davvero uno splendido lavoro, e adesso che anche il suo piccolo esercito lo aveva raggiunto …
Le sue dita fremettero d’impazienza, facendo dissolvere il globo e agitandosi per richiamare a sé il vento impetuoso del mare in tempesta. L’aria salmastra lo inebriò, spalancò le braccia e rise, rise più che potè dando sfogo alla perversa gioia che lo colse.
 
«Oh, mio caro amato Pianeta …» concluse quindi, una smorfia perfida sulle labbra sottili, recitando a memoria l’inizio di un canto popolare molto conosciuto dal suo popolo.
 
Quello originale parlava di come i Cetra fossero stati benedetti, di come il loro compito fosse grande e di come il Pianeta benediceva tutti coloro che, dopo la loro morte, si ricongiungevano a lui avendo umilmente concluso il loro compito. Era stata la ninnananna che sua madre soleva cantargli da piccolo, prima di farlo addormentare.
Quello che lui si apprestò a cantare invece, era una versione molto poco conosciuto, dall’autore altrettanto ignoto. Era opera sua, per qualcuno che in quel momento, lo sapeva bene, sarebbe stato contento di sentirla.
 
«Padre prediletto, essere perfetto e invincibile, il cui cuore è simile all’incostante vento del nord e alle forti sbarre di una prigione. Secoli son passati da quando nascesti, altrettante ere da quando mi desti la vita. Presuntuoso mostro, viziosa creatura volubile e vulnerabile, hai creduto di potermi ingabbiare, ma come hai potuto dimenticare? Siedi, mio caro Padre. Siedi e godi con me … la fine inattesa dei tuoi lunghi giorni. Tu che tessevi la tela del destino e intrecciavi vite spezzandole come fossero fili d’erba, canapa fragile senza alcuno scopo. Ora siedi … e lascia che qualcuno giochi con te, fino a quando dei tuoi miseri resti non sarò rimasto che polvere, dispersa nel freddo buio dell’universo.»
 
***
 
Ashur, in piedi al centro dello spazio concessogli dentro al flusso vitale, osservò rabbrividendo il medaglione scintillare al collo del ragazzo e vide i suoi tre compari apparire dalle ombre, Fenrir accompagnarlo nel soffiare del vento in tempesta lungo il ghiacciaio.
Era solo, ora. Lo erano entrambi ma il peggio era che loro, in quanto Cetra e protettori del Pianeta, sembravano aver speso tutte le loro forze in quella che avevano considerato la battaglia finale contro i figli di Jenova, mentre questi … in realtà sembravano essersi ripresi abbastanza in fretta, e solo ora capiva perché. Era stato … tutto un inganno? Avevano solo finto di perdere per fare in modo che loro usassero tutto l’arsenale a disposizione per sconfiggerli, esattamente come un predatore si finge malato o morente per attaccare la sua preda.
Certo … ovviamente … come aveva fatto a sottovalutarli così tanto?
La risata di suoi figlio lo raggiunse, assieme alla sua nenia, e mentre la ascoltava se avesse ancora potuto avrebbe pianto. Era stata … colpa sua. Solo colpa sua … e del suo esser stato troppo severo.
Ma ora era troppo tardi per guardarsi indietro, nemmeno più gli dei avrebbero potuto farci qualcosa. Erano troppo deboli ancora per poter attaccare nuovamente, la loro energia dipendeva dal pianeta come ognuno di loro e il Pianeta era ancora in ginocchio. La ferita inflitta dalla meteora era stato comunque troppo profondo, e ciò che rimaneva dello spirito di Sephiroth li stava piagando in un modo che prima di allora avrebbero ritenuto impossibile.
Neanche il Pianeta nella sua immensa saggezza, che lo aveva spinto a creare Weapons e materie per salvaguardarsi, aveva previsto una simile eventualità, e a quel punto non restava che stare a guardare, sperando che quelle esistenti bastassero.

 
   
 
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