Hello!
Eccovi il terzultimo chappy… Che tristezza, sigh!
Non vi anticipo nulla al
riguardo, è meglio lasciarvi la sorpresa!
Comunque, grazie mille a
coloro che hanno recensito:
CriCri88: Beh si, spesso
non leggere le anticipazioni aiuta a non rovinarsi la sorpresa, ma ti dico che
hai fatto bene perché, cattiva come sono xD non ho lasciato intendere una cosa
mooolto importante che accade! E ora
Beautiful si arresterà, muahaha!:D
Alina 95: Chi accarezza la
guancia a Deb, dici? Boh! *mi guardo intorno con finta aria tonta* xD Te lo lascio
scoprire leggendo il cap ovviamente. Anche tu ti sei commossa? Che dolce che
sei ^^
Alina 81: Amnesia? No no,
non sono così sadica, e poi, anche se ci avessi voluto fare un pensierino, so
di certo che mi avreste raggiunta subito e murata viva per punizione, ihihih!
Può darsi che con questo cap il puzzle sia finalmente completo al 101%, chissà…
xD
Angel Texas Ranger: Non è
che con quel “mi dispiace” hai capito che intendeva che Andrea muore? No no,
tranquilla, puoi scacciare l’ansia! :D Non sono così cattiva e non riuscirei
mai a fare una cosa del genere ad Andrea… E poi, se lo facessi morire… Sarebbe
un po’ come aver scritto queste due fic per nulla, non credi? ^^
vero15star: Tesoro, Andrea non
morirà, parola mia! Come potrei fare una cosa del genere a lui, Deb, i loro
amici e soprattutto a noi che lo adoriamo alla follia?! E poi davvero mi
ammazzereste, non credi? xD Un bacione, mi manchi un casino, ti voglio bene!
A domenica,
milly92.
Capitolo 31
Il Regalo Più Grande
Natale. Che bella parola, il solo udirla ci riempie il cuore di gioia e
ci induce ad un senso di spensieratezza e familiarità mai visti. L’attendiamo
con le quattro settimane d’Avvento, e nel frattempo ci sbizzarriamo a comprare
regali ai nostri amici più cari. Spesso spendiamo cifre esorbitanti per fare
bella figura e far felice il destinatario, eppure ci sono persone che
desiderano un regalo diverso, speciale e per questo più difficile da
raggiungere…
I giorni scorrevano
lentamente, e per me diventava sempre più difficile gestire le cose con la
sarta, il proprietario del ristorante e l’agenzia viaggi a cui ci eravamo
affidati per organizzare il viaggio di nozze. Tutti volevano sapere cosa fare,
avere una scadenza, e non sapevano che la prima a non sapere tutto questo ero
io.
Finchè Andrea non si
riprendeva non potevo dire nulla, e fu così che passai metà dicembre a
discutere per telefono.
Mano a mano, Natale si
avvicinava, e casa mia e quella di Andrea e Giuseppe erano diventata una sorta
di hotel con tanto di animazione. I miei genitori sostavano da me, e spesso
ospitavo Katia, Adriana e la prozia Linda. Invece il resto dei Gold Boyz aveva
ripreso a dormire con tanto di mogli nella loro ex casa, giusto per stare tutti
uniti nel caso che fosse successo qualcosa, ma invano. Ormai era il 23 dicembre
e Andrea ancora ci dava segni di miglioramento. Era passato un mese e mezzo
dall’episodio, ed io non ce la facevo più tra ansia, stress e giornalisti
rompiscatole.
“Hai visto che casino hai
combinato? Sei sempre tu, resterai sempre il mio monello” sospirai ad Andrea,
in una delle mie centinaia di visite il giorno prima della vigilia. “Ma ora
potresti anche farmi un bel regalo di Natale, apri gli occhi!”.
Niente. Niente di niente.
“Signorina, l’orario visite
per ora è terminato, può tornare alle tre e mezzo” mi ricordò l’infermiera di
turno, sorridendo ma indicandomi impazientemente l’orologio a muro.
Annuii brevemente e lei
uscì. “A dopo, amore” sussurrai,prendendo la borsa e uscendo. Fuori vi trovai
Eva, che aveva in mano un paio di buste. “Ho preso 30 all’esame” annunciò
sorridente.
“Oh, congratulazioni!”
esclamai, abbracciandola. “Ma perché, avevi un esame? Non me lo avevi detto!”
aggiunsi, ripensandoci.
Lei scrollò le spalle. “Mi
sentivo un po’ stupida a dirti dell’esame quando invece hai altri grilli per la
testa. Cosa credevi che stessi leggendo mentre aspettavo l’orario di visita? Un
romanzo d’amore?” ironizzò, con una strana leggerezza.
“Non devi farti questi
problemi, e mi dispiace che hai studiato qui, so che casa nostra è un inferno ultimamente…”
mormorai dispiaciuta.
“Dai, anzi, è meglio così,
sono stata lontana dalla mia fonte primaria di distrazione alias il mio
ragazzo, altrimenti lo vedevo con il binocolo questo 30” rispose, continuando
con la sua voce falsamente allegra che voleva tirarmi su. “E poi ho due regali,
uno per te e uno per Andrea” aggiunse.
“Regali? Ma non è ancora
Nata… Oddio, non ho comprato nessun regalo! Ed è il 23 dicembre!” strillai
improvvisamente, accasciandomi su una delle sedie del corridoio.
Di solito i quel periodo
dell’anno andavo in giro per tutta la città alla ricerca dei regali perfetti
per ogni mio amico, e invece quell’anno ero ancora a zero.
“Deb, nessuno vuole dei
regali da te, sappiamo tutti quello che stai affrontando, sul serio. E poi i
miei erano semplici regali, non natalizi” spiegò, con aria più seria, prima di
porgermi una busta con tanto di nastro rosso.
“Eva, non…”.
“Non dire “non dovevi” che
mi arrabbio. L’ho fatto per tirarti un po’ su, davvero” spiegò.
Abbozzai un sorriso e iniziai
ad aprire il regalo, trovandovi un maglioncino bordeaux con la scritta “Soy la
mejor brima del mundo”, ovvero “Sono la migliore cugina del mondo”, in oro e
argento.
“La scritta l’ho fatta
aggiungere io” spiegò.
“Grazie, anche tu sei la
migliore cugina del mondo” dissi, riabbracciandola, prima di rimettere la
maglia nella busta.
“Invece, mi dispiace, ma ad
Andrea ho fatto un regalo ancora più speciale. Fai il palo e controlla che non
passi l’infermiera” disse velocemente, ed io la guardai senza capire prima che
entrasse nella stanza furtivamente con un’altra busta in mano.
Ubbidii, domandandomi da
quand’era che non facevamo una cosa simile, e lei uscì dieci minuti dopo, con
aria vittoriosa.
Mi affacciai, e vidi che
ora sul comodino della stanza c’era un minuscolo albero di Natale con luci
rosse e blu e che, appese al muro, c’erano alcune decorazioni natalizie. “Cosa
l’ambiente sarà un po’ allegro, non credi?” domandò.
“Si, ci voleva proprio. Ora
ti va di fare un po’ di shopping con me? Voglio comprare sul serio qualche
pensierino di Natale” dissi, pensando che la mia presenza lì fosse inutile
ormai e che lo shopping fosse un’ottima distrazione.
Eva annuì, così ci recammo
in centro, prima in un negozio di giocattoli per comprare il regalo a Manuela e
a Stella, infischiandomene del fatto che suo padre mi avesse esplicitamente detto che
non sarebbe venuto alle mie nozze.
Anche Eva restò un po’
scioccata nel vedere che stavo comprando un secondo regalo in quel negozio, e
quando comprese restò zitta per un po’ prima di dire: “Sei sicura? Cioè, dopo
quello che è successo…”.
“Il regalo non è per Niko
ma per sua figlia” dissi decisa. “E poi non sono io che gli ho detto: “Ehi,
bello, perché non ti prendi una cotta per me?”, o no?”.
Eva annuì. “Certo…”.
“Anche se lo so che credi
che sia stato stupido da parte mia ospitarlo, lo credono tutti, io compresa”
dichiarai affranta, facendo finta di valutare due bambole.
“Ma no, tu cosa potevi
saperne?” mi incoraggiò lei.
“Non lo so, avrei dovuto
capirlo in qualche modo! E poi, le volte che abbiamo ballato insieme… Lui ha
detto che è stato difficile non andare oltre, ti rendi conto?” dissi con
rabbia.
Eva comprese il mio stato
emotivo e che non ero tranquilla come aveva lasciato trapelare dal momento in
cui Niko mi aveva detto che non sarebbe venuto con moglie e figlia, così mi
convinse a prendere una delle bambole, pagai e uscimmo, fermandoci in un bar a
bere qualcosa.
“Io credevo, anzi, ci avrei
scommesso, che la parentesi con Niko si fosse chiusa definitivamente nove anni
fa, quell’estate in cui avevo scoperto che stava con Eliana!” brontolai, mentre
sorseggiavo del thè alla pesca. “E’ stato lui stesso a dire che dal momento in
cui l’aveva vista aveva dimenticato tutto, ciò che provava per me per primo,
poi è nata Stella, si è sposato, ed è sempre stato felice. Mi dici come facevo
a sapere che all’improvviso aveva preso di nuovo una specie di fissa per me?
Perché è una fissa, lo conosco, poi gli passerà e tornerà da lei! E perché deve
rovinarmi il matrimonio dopo tutto il casino che sta succedendo? Quel giorno
dovrà essere perfetto, anche se ci sarà tra anni ed anni, ed io vorrò accanto a
me tutte le persone a cui voglio bene…”.
Mia cugina sospirò, facendo
un piccolo cenno. “E’ un po’ come la storia di quella famosa estate, del concerto.
Tu vai lì, confusa, innamorata sia di lui che di Andrea e invece lui sta con
un'altra. Ed ora è successa la stessa cosa a lui, solo che ora tu stai per
sposarti” ragionò.
Annuii nervosamente. “Però…
Sai che Eliana nonostante tutti mi sta contattando via e-mail? Ora sono in
Abruzzo, a Pescara, e mi ha detto che dopo l’operazione sta bene ed è quasi
guarita” la informai.
“Davvero? Meno male! Ma mi
stupisce, io al suo posto ti odierei” ammise.
“Hai ragione” osservai. “E’
sempre stata un po’ strana, devo ammetterlo”.
“Solo che ora devi stare
tranquilla, senza darti colpe” mi incoraggiò. “Ti va se oggi andiamo al
cinema?” propose.
“No, devo finire il giro di
regali” sospirai. “E poi voglio tornare da Andrea…”.
“Ok, ok, ci andrò con
Giuseppe per festeggiare il 30”.
“Brava!”.
Così tornai in centro,
comprai una borsa ad Ada ed una simile Natascia, un profumo per Dante, un
maglione a Francesco, una collana a Paris, una nuova pen drive da 8 GB a
Daniele visto che le perdeva in continuazione e gli servivano sempre, poi,
quando arrivò il turno del regalo da fare a Giuseppe, esitai, prima di guardare
ciò che la vetrina davanti ai miei occhi esponeva. Una chitarra per bambini.
E non so perché sorrisi,
per poi rendermi conto del motivo: il giorno che andammo a prendere Eva a
Piazza Venezia lui doveva comprarsi una nuova chitarra, poi, preso dagli
eventi, dal suo grande amore e dal tour non l’aveva più comprata.
Da quel giorno era passato
un bel po’, sei mesi, e il nostro rapporto era maturato: io l’avevo aiutato un
po’ con Eva e lui mi stava vicino in quel periodo tremendo. Ormai era uno dei
miei amici più stretti, e niente nessuno
avrebbe potuto dissuadermi dal fargli quel regalo.
Presi la metropolitana e
andai al negozio di strumenti dove lui andava sempre, per poi scoprire che
aveva fatto riservare una chitarra elettrica in particolare ma non l’aveva mai
comprata. Era bianca e nera, e subito la presi, sorridendo nell’immaginare
l’espressione che avrebbe fatto nel vederla.
Così tornai a casa a
pomeriggio inoltrato, e vi trovai mia madre ed Elisa che adornavano l’albero di
Natale che avevo comprato quattro anni prima.
“Non abbiamo avuto il tempo
di addobbarlo ma credevamo che farlo ci avrebbe fatto bene, gli alberi di
Natale portano serenità” spiegò mia madre.
Elisa annuì, sciupata come
non mai. Sorrisi. “Avete fatto bene, anzi, grazie, se non fosse per voi questa
casa sarebbe un macello” dissi di cuore, abbracciandole.
Ma appena mi separai il mio
cellulare squillò, e fui scioccata di vedere che la chiamata era da parte di
Niko. Sbuffai, prima di rispondere con un secco: “Pronto?”.
Si sentiva un gran chiasso,
delle urla, e poi un risuonante: “Deb, Deb!”.
“Che è successo, Niko?”
domandai subito.
“Andrea si è appena
risvegliato! Si è risvegliato!” urlò, e in quel preciso istante sentii le gambe
diventare molli, mi accasciai sul divano e presi una boccata d’aria, mentre il
cuore martellava, lo stomaco si annodava, e sembravo non capirci più nulla.
“Si è risvegliato?” urlai,
e subito mamma, Elisa e Vittoria, spuntando dalla cucina, mi circondarono,
senza fiato, prima di urlare, avvicinandosi istericamente al mio cellulare per
ascoltare e capire solo se fosse un bellissimo scherzo natalizio. “Oddio, è…
Che è successo? Dimmi, dimmi!” lo incitai, frenetica, alzandomi e iniziando a
marciare per la stanza per poi ridere, accennare un saltello, abbracciare di
nuovo mia madre…
“Ci stavo parlando e poi ho
visto che ha aperto gli occhi… Ora è con i medici, vieni!” mi incitò, e subito
staccai la telefonata. Non mi domandai nemmeno cosa ci facesse lì visto che
sarebbe dovuto essere a Pescara, e mi voltai verso le tre donne accanto a me.
“Si è risvegliato!”
ripetei, assaggiando il sapore di quelle parole. “Era Niko, ci stava parlando
e… Ha aperto gli occhi! Corriamo in ospedale!” esclamai esultante, prendendo a
stento la giacca. Bussai alla porta di fronte, e Giuseppe mi aprì.
“Si è svegliato, ti rendi
conto?” urlai, e lui mi guardò un attimo prima di collegare le parole
all’accaduto.
“Siii!” esclamò, “Grazie,
Dio, grazie!” esultò, raggiante, e mi abbracciò, sollevandomi in aria e
facendomi girare. “Ragazzi, Andrea si è risvegliato dal coma!” strillò a pieni
polmoni, e in un battibaleno Francesco, Dante, Eva, mio fratello, Katia e
Adriana accorsero verso di noi, increduli.
“Si, è vero, mi ha appena
chiamato Niko, si è svegliato mentre ci stava parlando!” dissi per la terza
volta.
Le esclamazioni gioiose
erano infinite, così belle nel loro caos, e risuonarono per tutto il tragitto
fino all’ospedale, troppo lungo per i miei gusti.
Appena giungemmo
all’edificio iniziai a correre come una furia, scontrandomi contro due persone,
e alla fine quando arrivai nel corridoio dove c’era la sua stanza rallentai
stranamente, presa dalla gioia e dalla completa realizzazione del fatto che di
lì a pochi secondi avrei rivisto il mio amore di sempre di nuovo dinamico,
sveglio e probabilmente sorridente.
Scorsi Niko, Eliana e
Stella, e li abbracciai, incurante dell’’accaduto di un mese e mezzo prima.
“Deb, è stato
straordinario, non so come mi è venuto ma ho deciso di tornare e… E quando gli
ho chiesto scusa per… Beh, hai capito… Lui ha mosso la mano, ha detto “Debora”
e ha aperto gli occhi! I medici se ne sono appena andati, possiamo entrare uno
alla volta” mi spiegò.
“Grazie, grazie!” esclamai,
con le lacrime agli occhi, e, impaziente ed emozionata, mi affacciai sulla
stanza mediante il vetro e fu una gioia indescrivibile vederlo sveglio, con la
testa girata verso la finestra da cui vedeva il cielo scuro, il solito pigiamo
bianco e le dita delle mani incrociate, come se stesse meditando. Gioiosa, ma
anche un po’ esitante dopo tutta l’attesa circa quel fatidico momento, battei
con le nocche vicino al vetro, e lui si girò di scatto. Allargò gli occhi
appena mi vide, sempre attaccato ad una flebo ma senza respiratore, e fece quel
sorriso che tanto amavo.
“Amore dato, amore preso, amore mai reso
Amore grande come il tempo che non si è arreso
Amore che mi parla coi tuoi occhi qui di fronte
Sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu
Il regalo mio più grande”
Non riuscii a non piangere
a dirotto per la gioia, e lui vedendomi scosse il capo, facendomi cenno di
entrare e continuando a sorridere.
Ormai il mio corpo e il mio
cervello erano un mix di emozioni: piangevo per la felicità, non vedevo l’ora
di riabbracciarlo, ma dall’altra parte avevo paura che fosse solo uno stupido
ma realistico e magnifico sogno.
Ubbidii, ormai impaziente,
e con una lentezza straordinaria aprii la porta, quasi come se non ne avessi la
forza.
“A-Amore” balbettai,
asciugandomi il viso.
“Amore mio, vieni qui”
disse. La sua voce era un po’ roca, ma abituata ai suoi silenzi per me era iper
squillante.
“Ma certo, non sai quanto
vorrei stritolarti tra le mie braccia” risposi, sorridendo tra le lacrime. Mi
avvicinai, e si spostò lievemente, facendomi posto sul letto e sedendosi meglio.
Presi posto su quel po’ di spazio libero e gli accarezzai il volto, ma lui mi
strinse forte a sé per quel che poteva, così ricambiai la stretta,
accarezzandogli i capelli. “Quanto mi sei mancato…”.
“Debora, mi dispiace…”
disse, allontanandosi, accarezzando il mio volto a sua volta.
“E di che?” domandai
stupita.
“Per aver accettato di fare
il reality, sul serio….”. Era mortificato, pallidissimo in volto, con le labbra
quasi violacee, ma per me restava un principe perfetto.
“Tu non devi scusarti di
nulla, cosa ne potevi sapere? E’ quella arpia
di Irene e quello stronzo di Alberto che dovrebbero scusarsi, anche se
ora non possono visto che sono in carcere” risposi, soddisfatta, e lui mi guardò
con gli occhi fuori dalle orbite.
“Che cosa?” chiese
esterrefatto.
“Si, si sono già fatti un
mese e mezzo tra le sbarre, per fortuna siamo riusciti a incastrarli, Alberto
le ha portato la droga” spiegai.
Era confuso al massimo, mi
guardava come se non ci capiva più nulla. “Ma che giorno è oggi?” domandò.
“E’ il 23 dicembre”
risposi. “A quanto pare trascorreremo un bel Natale qui, in ospedale”
ridacchiai, indicando le decorazioni di Eva, e
lui sorrise.
“Allora manca poco al
matrimonio” decretò, posando una mano sulla mia guancia.
“Pochissimo” dissi
sorridendo.
“Ti ho sentita sai? Quando
mi parlavi… Solo che era più forte di me, e non riuscivo a reagire… Prometto
che non te li farò più questi scherzi” dichiarò.
“Non devi assolutamente”
acconsentii.
“Ti amo mille volte di più.
E anche io ti sposerei subito, qui, e voglio crescere i nostri figli con te”
sussurrò lui. A quante pare ricordava proprio tutto di quel che gli avevo detti
in quel mese e mezzo.
“Ed io ho capito quanto ci
tengo a te e quanto ti amo sul serio dopo tutto questo caos. Non lasciarmi mai
più, mai” lo supplicai, non riuscendo a non nascondere una lacrima.
Prese la mia mano tra le
sue e scosse il capo. “Mai” ripetè, prima di avvicinarsi delicatamente e
baciarmi con lentezza.
Sentirlo di nuovo vicino a
me, le sue labbra sulle mie, le sue braccia che mi avvolgevano, era una
sensazione che non si poteva pagare con niente al mondo, mi dissi.
Il cielo mi aveva voluto
fare quel regalo, il più bello del mondo, ed io non lo avrei mai abbandonato.
“Eeeeeh, viva gli sposi!”.
Ci separammo di botto e
ridemmo, quando notammo che amici e parenti erano entrati nella stanza,
infischiandosene delle regole, e fui scacciata via dalla mia postazione grazie
a Giuseppe, Elisa e Vittoria.
Risi, voltandomi e abbracciando
Daniele che veniva verso di me, e mio malgrado lanciai un sorriso a trentadue
denti a Niko che mi sorrideva.
Così, tutti insieme,
approfittando della buona fiducia dei medici che ci lasciarono stare lì,
spiegammo ad Andrea come stavano i fatti, il modo in cui avevo indotto Alberto
a confessare (qui lui mi guardò esterrefatto ma compiaciuto), perché era andato
in coma, per poi elencargli le novità del momento, alias la nuova coppia
Daniele/Paris, la gravidanza di Rossella, la malattia quasi guarita di Eliana.
Il giorno dopo, la Vigilia
di Natale, la trascorsi interamente in ospedale, troppo smaniosa di passare il
tempo perso con il mio fidanzato, eccetto un paio d’ore in cui comprai i regali
di Natale che mi mancavano.
Ci organizzammo con i medici,
e dissero che potevamo restare lì perché ci sarebbe stata poca gente, così mia
madre ed Elisa cucinarono una normale cena natalizia e la portarono in
ospedale, dove ci eravamo riuniti.
Per l’occasione, Andrea
chiese espressamente dei vestiti dato che odiava il pigiama che aveva indossato
in quei giorni, approfittando anche del fatto che quella mattina si era alzato
e aveva camminato per tutto il corridoio, e in questo modo gli portai i suoi
intramontabili jeans scuri, una camicia bianca ed un gilet sopra grigio.
“Ora si che mi sento bene”
decretò, uscendo dal bagno, con il gilet ancora sbottonato.
“Sei magnifico. Aspetta,
faccio io” aggiunsi, indicando il gilet, e mi
avvicinai per abbottonarglielo.
“Anche tu non scherzi”
minimizzò solare, indicando il vestito blu oltremare che indossavo. Ero così
felice che avevo voglia di sentirmi bella, e non trascurata come le ultime
settimane.
Approfittando del fatto che
tutti fossero ancora a casa per cambiarsi per la cena, mi accarezzò un fianco e
mi baciò il collo. “Dio, quanto mi manca stare un po’ da solo con te” sospirò.
“Ehi, vacci piano, ti sei
appena svegliato dal coma” gli ricordai.
“E che c’entra?” rispose.
“Mi manchi anche tu,
sciocchino…” rivelai.
Sorrise in un modo
malandrino e scese verso la gamba, guardandomi con aria di sfida.
Gli bloccai la mano, di
malavoglia nonostante tutto, con aria decisa. “Mi stai forse facendo una
proposta indecente per quando uscirai di qui?”
dissi sarcastica.
Rise ed annuì. “Si, non
dirmi che ti dispiace”.
“No, ma visto che uscirai
poco prima di Capodanno, beh, se ne riparla dopo il matrimonio” sussurrai
contro il suo orecchio, facendolo rabbrividire. “Sono una sposa
tradizionalista, sai” ironizzai.
“Stai scherzando?” domandò
incredulo, guardandomi profondamente.
“No, sono seria. Comunque
avremo milioni di cose da fare per la
cerimonia, e poi i nostri genitori si fermeranno da noi, quindi…” gli feci
notare.
“Hai ragione. Allora… Dopo
il matrimonio” sussurrò, rassegnato. “Cavoli, sembriamo dei vecchi se diciamo
queste cose” notò, scuotendo il capo.
“Dei vecchi che si amano”
risposi, alzandomi sulle punte e baciandolo. “Ora però siediti un po’ che devi
prendere la medicina” gli ricordai.
“Ok, mamma” sbuffò.
Ubbidii e poi, mentre
parlavo al telefono con l’agenzia viaggi per confermare il volo da qui a New
York con scalo a Madrid, prese a guardarmi insistentemente.
“Perfetto, il sedici
mattina abbiamo il check in a Fiumicino alle sette” annunciai.
“Deb, ma è vero che Niko ti
pensa ancora?” domandò all’improvviso lui, fissando il vuoto. Mi bloccai all’istante,
senza sapere cosa rispondergli. Gliel’avevo tenuto nascosto perché non volevo
farlo preoccupare inutilmente, ma ora era arrivato il momento di sputare il
rospo e dirgli la verità al 100%.
Sospirai e mi sedetti accanto
a lui. “Come fai a…?”.
“L’ho sentito mentre mi
parlava, è vero che non verrà nemmeno alle nostre nozze?” aggiunse.
“Vedi, Andrea, il giorno in
cui Irene ti ha drogato, in tv hanno fatto vedere che tu, in boxer, te ne stavi
sul letto con lei, e le dicevi che dopo non so che non ti saresti sposato più…
Li sono crollata” spiegai, ed Andrea restò scioccato.
“Non me lo ricordo affatto”
ammise. “Ricordo solo che lei mi stava vicino quando mi sono sentito male”.
Annuii. “Invece è stato
così ed io stavo uno schifo, credevo che davvero volessi stare con lei, e Max
ha mandato Niko a casa, e nella rabbia gli ho detto che… Che avrei voluto
tradirti a mia volta con Alberto per fartela pagare, ma lui… Lui mi ha detto
che ti avrebbe fatto più male se ti avessi tradito con uno di cui ti fidi….”.
“Hai capito…” disse,
socchiudendo gli occhi in due fessure, incitandomi a continuare.
“E così alla fine mi ha
fatto capire che quella persona era lui, io gli ho urlato contro, dicendogli
che era pazzo, che era sposato, lui se ne stava per andare, poi l’ho trattenuto
per un braccio per dirgli che era proprio quello che Eliana andava a dire in
giro ma lui ha frainteso e mi ha baciato, infischiandosene della mia
opposizione, finchè non gli ho calpestato il piede. Alla fine ha ammesso che
ultimamente mi pensava spesso….”.
Gli raccontai tutto, e lui
alla fine parve intontito. “Devo parlarci” decise.
“Non oggi, però…”.
“Ok” acconsentì, ma in
realtà fu proprio Niko a fermarlo quando arrivò.
Li osservai discutere, poi
parlare con più calma, e alla fine darsi la mano.
“Viene al matrimonio” disse
a bassa voce Andrea, mentre servivo i piatti con le pietanze cucinate dalle
nostre madri, quella sera. “Ha detto che sta meglio, ha ritrovato la sua
passione per Eliana, che tenteranno di avere di nuovo il secondo figlio, e che
si sente in colpa, anche se crede che una parte di lui penserà sempre un po’
anche a te” aggiunse un po’ infastidito.
“Oh” mormorai. “Va bene”.
Eppure Niko mi sorrise in
modo quasi ingenuo quando gli servii il piatto, e giunsi alla conclusone che
forse il destino ci aveva legati in un mood bizzarro, che una volta stringeva
l’una, una volta l’altra. Ora bastava solo che slegasse lui e tutto sarebbe
tornato a posto, con il tempo, mi dissi, e passai ancora meglio quella vigilia
di Natale.
“Buon Natale!” urlammo in
coro, facendo rimbombare e riecheggiare le nostre voci per tutto l’ospedale, a
mezzanotte, brindando, poi aprimmo i regali.
Quando Giuseppe vide la
chitarra che gli avevo regalato fece una faccia incredula ed entusiasta.
“Grazie, ma tu sei pazza, ti sarà costata una cifra!” esclamò, abbracciandomi.
“Stai zitto, e poi ti
serviva… Volevo solo farti capire che in questi mesi ti ho rivalutato e per me
sei diventato un vero amico” gli
spiegai.
Lui sorrise. “Me lo hai già
dimostrato in tanti modi” rispose, accennando casualmente ad Eva che sorrideva
in nostra direzione. “Ti voglio tanto bene, Deb” ammise.
“Anche io” risposi.
“Su, ora apriamo anche gli
altri!” trillò mio fratello, e noi annuimmo, convinti che quel Natale non lo
avremmo dimenticato mai e poi mai.
Andrea fu rilasciato il 30
dicembre, quasi del tutto ristabilito. A volte soffriva un po’ un pesante mal
di testa, e doveva prendere tre pillole al giorno per un mese, giusto per
essere sicuri che tutto fosse ok.
Fu così che l’indomani
trascorremmo una meravigliosa vigilia di Capodanno a casa mia, e assaporammo
insieme l’alba del nuovo anno, restando svegli fino alle sette con tutti gli
altri. Da quel giorno mancavano esattamente due settimane alle nozze.
Dire che ero radiosa era
ben poco, tanto che canticchiavo sempre per tutta la casa, quasi ridevo in
faccia agli organizzatori del matrimonio che mi chiamavano per dirmi quanto
fossero indietro, e anche a Paris che voleva che finissi il libro entro la fine
del mese. Ma per la prima volta in sei anni, le dissi che il mio lavoro poteva
aspettare. Ora avevo le nozze e una magnifica luna di miele a cui pensare.
Eppure, il sette gennaio,
mentre mamma andava a ritirare il suo abito per la cerimonia con papà ed Elisa,
Andrea venne a casa, e mi guardò con una strana espressione dal primo momento
in cui mi vide.
“Mal di testa?” domandai
comprensiva, mentre si sedeva sul divano del soggiorno.
“No… Ho fatto uno strano
sogno” ammise. “Il primo da quando mi sono risvegliato” aggiunse.
Tutto il coma per lui era
stato una sorta di sogno, quindi mi dissi che era normale che per il momento il
suo subconscio evitasse di compiere quell’azione.
“E cosa hai sognato…?”.
Lui sospirò. “Irene e
Alberto in carcere”.
“Ah”.
“Voglio andare a trovarli,
Deb, voglio farli sentire idioti e crudeli… Voglio togliermi questa
soddisfazione, e credo anche tu con me, perché sei la persona che hanno più
ferito indirettamente” spiegò.
Esitai. “Ieri c’è stato il
processo e sono stati condannati definitivamente…”.
“20 anni per Irene e 15 per Alberto, lo so” rispose
meccanicamente. “Dieci secondi, li vediamo e ce ne andiamo, ti prego” mi
implorò, prendendo la mano con l’anello di fidanzamento e stringendola.
“Va bene” acconsentii.
Così prendemmo la mia auto
e, una volta arrivati, fummo accolti in un modo stranamente accogliente. Le
guardie sembravano conoscerci oltre ciò che si diceva sui giornali di noi, e
restai sorpresa quando, spiegata la situazione, invece di condurci in quelle
sale dei film dove si parla con il carcerato divisi da un separé trasparente,
ci portarono proprio nel corridoio dove c’erano le prigioni.
“Oddio, mi fa paura questo
posto” sussurrai quando vidi degli uomini addormentati o che ci guardavano in
un modo tra l’invidia e il pentimento da dietro le sbarre scure.
Andrea prese la mia mano e
la intrecciò alla sua. “Tra un po’ avrai solo soddisfazione” disse gelido, e
compresi quanto fosse importante per lui essere lì. Ovvio che volesse una
piccola soddisfazione dopo quello che aveva rischiato. “Anche perché è grazie a
te se anche Alberto è qui”.
Sorrisi, un po’
compiaciuta, prima che la guardia si fermasse. “Ecco” disse, indicando davanti
a sé e allontanandosi di una decina di passi per poi tornare in una posizione
immobile e vigile.
Girai lo sguardo e restai
pietrificata davanti a ciò che avevo davanti: due celle come tante, vicine, in
cui vi erano un uomo e una donna.
L’uomo aveva il viso quasi
scavato, la barba incolta, un’ espressione vuota. La donna aveva il viso
arrossato, gli occhi quasi fuori dalle orbite, tanto che erano gonfi in
confronto al volto sciupato e i capelli biondi disordinati e arruffati che le
arrivavano alle spalle, non più perfettamente piastrati e lucidi come sempre.
Ci guardava con rimpianto e sembrava più in sé rispetto all’uomo.
Eccoli, Irene e Alberto,
coloro che avevano giocato con il fuoco e si erano ustionati.
Andrea strinse la mia mano
con più forza e determinazione. “Quando sarete fuori di qui saranno passati
almeno quindici anni e noi saremmo
sposati da altrettanto tempo. I nostri figli saranno giovani, probabilmente
adolescenti, e sapranno tutto di voi, perché se vi dovessero incontrare l’unica
cosa che gli sarà permesso sarà ricordarvi la cazzata che avete fatto” disse,
il volto contratto in un’espressione furiosa, che conteneva a stento la
passione che trovava in quelle parole. “Spero che un domani capirete cosa vuol
dire rischiare di perdere chi si ama, e
che ragionerete un po’ prima di fare i vostri subdoli giochi. Io sono qui per
fortuna” continuò, ma io lo interruppi.
“Se non fosse qui
probabilmente sarei in carcere al vostro posto per avervi uccisi in preda
alla follia. Anche se credo che non
sarebbe stata affatto una follia ma la cosa meno dolorosa che avrei potuto
farvi in seguito ad una tale azione, una
grazia” dissi gelidamente, presa dalle parole del mio fidanzato.
Andrea mi guardò, quasi
ammirato, e annuì. “Sono qui e il signore mi ha aiutato, mi sono risvegliato
dal coma e tra una settimana sposerò Debora, alla faccia dei vostri piani diabolici.
Ecco, ho finito. Anzi, no. Mi fate schifo” concluse, sorridendo in un modo che
mi fece venire i brividi. “Andiamo, amore” decise, e mi baciò davanti ai loro
occhi.
“Tu non sai quella cosa ha fatto pur di indurmi a
confessare! Non è la santa che credi! Mi ha provocato, non merita di sposarsi
in una chiesa!” urlò come indemoniato Alberto davanti a quella scena.
Andrea rise
sarcasticamente, una risata vuota.
“Anche se avessi sposato te
non avrei meritato di sposarmi in chiesa visto che tu sei la personificazione
del diavolo” ribattei offesa dalle sue parole, e mi voltai con Andrea, mentre si
sentiva una risata isterica di Irene.
Facemmo un cenno alla
guardia e ce ne andammo, soddisfatti e con il pensiero rivolto solo al fatidico
e nemmeno lontano 15 gennaio.
Il regalo di Andrea è stato il migliore, che ha riempito tutti di gioia
ed è duraturo, come le felicità che auguro a lui e la sua futura moglie. Ed un
regalo quei due l’hanno fatto anche a me… Non notate che da qualche capitolo a
questa parte mi hanno raddolcita di brutto?!
Milly’s Space: Al prossimo
cap in cui ci sarà il tanto atteso matrimonio!
Qualche Anticipazione:
“Se vedessi come sta lo
sposo” ridacchiò, godendosi un mondo la mia espressione curiosa.
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“Non
voglio rovinarti la giornata, sappi solo che sono felice per te e che tra me ed
Eli le cose sono quasi alla normalità”.
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Stella si avvicinò con
grazia con in mano il cuscino con le fedi, e Andrea lo prese, mettendolo sul
piccolo banchetto davanti a noi.
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“Come
potrei lasciare quei due piagnoni da soli?” domandò retorico, accennando ai
nostri genitori.
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Giuseppe arrossì e Eva
rise. “Ma no, ci tengo ai miei giorni da nubile, io” specificò, facendomi una mezza linguaccia.
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“Non mi dire che ti è
venuto un attacco di ispirazione per la fine del tuo romanzo!” mi ammonì.