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Autore: hisgee    25/03/2020    3 recensioni
Una voce in videoconferenza. Un continuo disturbo della linea, un lag che la rende ancora più sgradevole di come poteva essere nella realtà. Perlomeno qui la si sente bene.
Peccato io non la stia ascoltando.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Martedì Ventiquattro

Una voce in videoconferenza. Un continuo disturbo della linea, un lag che la rende ancora più sgradevole di come poteva essere nella realtà. Perlomeno qui la si sente bene.

Peccato io non la stia ascoltando.

Mi annoia tanto ascoltare la lezione su Ungaretti. Mi annoia tanto la sua figura, mite nelle poesie ma a quanto pare così poco umile nella realtà. E pensandoci non solo mi annoia, ma mi innervosisce oltremodo.

Sono giorni che rimando la scrittura. Dopo due ore, due ore e mezza di Animal Crossing dico “Ora mi metto a scrivere” e mi viene subito sonno. Ancora una volta, noia. E alla fine guardo il vuoto: l’idea di stare in una posizione scomoda, al buio e investita della sola luce blu del computer mi infastidisce. Lo lascio lì accanto al cuscino, il portatile, a prendere quel po’ di polvere e quel po’ di botte della struttura che incassa il letto. Leggere, lo giuro. Anche se ogni volta mi sembrano troppo forti per pensare che il computer ne sia indenne, ma basta un secondo: poi torna la noia.

Se non scrivo, non miglioro.

Mi interessa tanto migliorare? Forse sono stanca di vedere le persone calpestare i miglioramenti. Ma ci sono mai davvero stati? Comincio a dubitare. Anzi, continuo a dubitare di me. Riprendo a dubitare del mio percorso.

Mi sono mai mossa?

Riguardando ciò che ero, dico “Sì, mi sono mossa”. Ma perché le persone non lo notano? Perché non prendono in considerazione la possibilità che anche io come loro ho avuto un passato? E invece no, le critiche sono aspre come se fosse la prima volta, sempre così, che batto a macchina. Ed è allora che quel computer vorrei lanciarlo da qualche pare e fargli del male.

Ma che stupida. È un oggetto. Non può provare dolore. Posso solo provarlo io pensando ai soldi che ci ho speso e che ho letteralmente bruciato spaccandolo a terra. Posso solo aggiungere dolore al dolore.

Coprendomi le orecchie dopo il forte urlo delle componenti allo sfacelo sul pavimento, fisso il vuoto. Anche il silenzio fa rumore. Anche il silenzio parla.

Sono una buona a nulla. Sono incapace. Non sono in grado di fare niente. Non riesco a comunicare. Ogni volta che ci provo non capiscono. Non capiscono niente. Non capiscono niente di quello che provo. Non riesco a esprimerlo. È colpa mia. Solo colpa mia. Dovrei essere di più. Dovrei arrivare al punto perfetto. Così finalmente mi comprenderanno. Mi capiranno. Smetteranno di denigrarmi. Smetteranno di sminuirmi. Smetteranno di ignorarmi. Inizieranno a volermi bene. Inizieranno a chiedere di me. Tutti i giorni. A tutte le ore. Ma mi lasceranno anche in pace. Non mi giudicheranno. Accetteranno. Faranno come io faccio già con loro. Un sogno. Un’utopia.

Lo voglio, lo voglio subito.

“Si sente condannato ai margini della società e si sente estraneo anche nei luoghi in cui ha vissuto, come Mattia Pascal del Pirandello; analogamente, in Girovago Ungaretti scrive Cerco un paese innocente”.

Lo voglio anche io. Lo voglio subito.

   
 
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