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Autore: Al_cell    25/03/2020    1 recensioni
Eugenie du Coeur è una giovane ragazza che ha un solo desiderio nella sua vita, essere felice. Purtroppo la sua vita è un susseguirsi di avvenimenti che le renderanno difficile anche solo stare al mondo. La sua vita, però, è destinata a cambiare nel giorno in cui fa la conoscenza del giovane principe Belga; Leopoldo II.
La storia contiene personaggi reali ma gli eventi sono puramente fittizi.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU, Cross-over, Otherverse | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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Belgio 1853, qualche tempo prima del matrimonio.

Non volli sapere nulla dell'andare a passeggiare con Angelique nei giardini reali. Provavo una tale vergogna da quando Jean aveva scoperto tutto la sera della cena. Era passata poco più di una settimana, eppure non riuscivo ancora a guardare qualcuno in faccia. Avevo esplicitamente evitato luoghi affollati e nessuno si era affaccendato a cercarmi. Da quel poco che ero venuta a sapere, tramite Ang, era che tutti erano molto indaffarati per un accordo a me sconosciuto con il fine di salvaguardarmi. Lei non aveva fatto altro che rassicurarmi sul fatto che non mi sarebbe successo nulla di male, ma stentavo a crederci.
-Per favore, venite con me in giardino. Vi farà bene un po' di sole sulla vostra pelle.-
Spostai lo sguardo dalla finestra da cui osservavo la vita scorrere, come ogni giorno. Strinsi la stoffa del mio abito color cipria fra le dita.
-Ho detto di no. Ora lasciatemi sola.- Risposi tagliente, non era mia intenzione essere scortese ma i miei nervi non erano d'aiuto; il mio malcontento lo rivolgevo verso l'esterno, indipendentemente da chi avevo davanti. Tante domande avevano affollato la mia mente in quei giorni: Chi ero veramente? E che branco di psicotici erano i miei genitori? Non mi sorprendeva l'idea di immaginare che in realtà erano pazienti di un ''ospedale psichiatrico''. Nessuna persona, sana di mente, avrebbe mai architettato tutto quel teatro, ma la vera domanda era: ''Perché?'' Avevo cercato, più volte, in quei giorni di darmi una risposta logica; ma nulla sembrava avere senso nella mia mente.
Avvertii che la mia cameriera se n'era andata quando sentii la porta chiudersi, ero finalmente sola; presi il libro che stavo leggendo da un paio di giorni, speravo che leggere mi aiutasse a sopravvivere ma stranamente non avevo voglia di proseguire nella lettura. Mi alzai e uscii dalle mie stanze, desiderosa di andare alla ricerca di qualcosa di nuovo da leggere, magari qualcosa che non fosse un altro compendio sulla biologia.
A metà strada, però, attirò la mia attenzione un corridoio del tutto estraneo ai miei ricordi; probabilmente, a causa del mio brutto vizio, ero sempre stata con lo sguardo fisso a terra. Decisi di fare una deviazione, divertita dall'idea di esplorare un po' il castello, quasi come se volessi assomigliare ad una avventuriera. Non andai molto lontano perché, dopo poco, notai una porta particolare: era alta e maestosa come le altre ma era di un tenue color azzurro con alcuni angioletti disegnati sopra e delle note musicali.
-E' sicuramente la sala della musica.- Poggiai un orecchio in modo da captare qualsiasi rumore così da comprendere se ci fosse qualcuno dentro. Non appena fui certa che era vuota, sospinsi con delicatezza la porta, mi affacciai per dare un'occhiata, ma la mia attenzione venne subito attratta dall'enorme pianoforte che campeggiava vicino alle finestre. La stanza era luminosa grazie a queste, non si percepiva polvere nell'aria, come se venisse pulita di frequente, eppure c'era vita. Chiusi la porta alle mie spalle e camminai decisa verso il pianoforte, il suono delle mie scarpette che sbattevano sul parquet duro rimbombò in tutta la sala. D'istinto mi bloccai per timore ma poi non esitai un secondo e mi sedetti sullo sgabellino davanti a quel magnifico pianoforte a coda. Era lucido e di una fattura superiore, non avevo mai nulla di simile. Feci scorrere le mie dita curiose sulla superficie liscia prima di scoprire la tastiera. Riposi con cura il pezzo di stoffa, con su incisa la marca dello strumento, per poi provare a suonare qualche tasto. Le mie orecchie si deliziarono nel sentire quanto fosse ben accordato, le note erano pulitissime. Poggiai i piedi sui pedali e lascai scorrere le mie dita sui tasti, leggere e libere. Le lezioni di pianoforte erano state le uniche che, nella mia vecchia vita in Inghilterra, avevo sempre gradito. Era uno strumento meraviglioso, capace di suonare motivetti allegri, malinconici e cupi. Come se il tempo non fosse mai passato, suonai per quelle che mi parvero ore. Non sbagliai nessuna nota, tutti i testi che avevo imparato li ricordavo a memoria, come se fossero stati incisi a fuoco sulle mie dita; gli spartiti si succedevano nella mia testa come le pagine di un libro.
Suonai le ultime note del brano per poi fermarmi. Urlai di spavento quando sentii qualcuno applaudire dalle mie spalle. Mi voltai, tenendo una mano sul petto, il cuore stava per esplodermi in gola e per un momento mi montò il terrore. Se fosse stata una sala importante?
Quando mi voltai completamente notai che era Jean, appoggiato contro la parete alle mie spalle. Sembrava una statua e l'unico movimento era quello del suo petto che si alzava e abbassava.
-Suonate divinamente, non pensavo foste così brava.- Strinsi la mano a pugno chissà da quanto tempo era lì ad ascoltarmi. Il mio corpo si rilassò e mi calmai sapendo che era solo lui e non qualcuno di... permaloso.
-Da quanto siete qui?- Fece un sorrisetto, un misto tra lo strafottente e lo spavaldo. -Abbastanza da poter apprezzare le vostre doti.-
Mi voltai per risistemare lo strumento, lo feci lentamente per non rovinare nulla.
-Mi dispiace per aver usato il pianoforte senza permesso, adesso me ne vado.-
-No, assolutamente, non dovete preoccuparvi. Anzi fate bene, questa sala è così bella e con degli strumenti così pregiati che è un peccato lasciarla vuota.- Si spostò e aprì una porta bianca, che fino a quel momento non avevo notato.
-Qui ci ce ne sono altri.- La tenne aperta per farmi passare, con pochi e veloci passi lo raggiunsi e lo superai, alle mie narici arrivò una sferzata della sua colonia inebriante. Era strano che conoscesse così bene i segreti di quella stanza, che fosse lui la figura eterea che passa il tempo inosservato suonando.
Quando fui dentro quel nuovo ambiente, cominciai ad osservare tutti gli strumenti: erano tutti meravigliosi, ma la mia attenzione venne rapita dall'arpa che campeggiava in angolo.
-Se volete potete provarla.- Mi voltai verso di lui, un fascio di luce colpì la mia pelle che cominciò a riscaldarsi per il sole.
-Sul serio?- Notai che le sue pupille si erano stranamente dilatate mentre mi osservava. Annuì e una ciocca dei suoi capelli si spostò vicino al suo occhio sinistro, cercai di contenere il mio entusiasmo eccessivo. Mi misi seduta sullo sgabello e presi correttamente la posizione. Qualcosa non andava però, sciolsi un nastro che avevo intorno al polso e raccolsi i capelli sul capo.
Con le dita iniziai a pizzicare le corde, erano passati molti più anni da quando avevo sentito il suono di quello strumento e avevo avuto la possibilità di suonarlo. Era lo strumento preferito di mio fratello, Sébastien. Era sempre solito suonarlo e mi aveva tramandato il suo sapere fin dalla più tenera età. Ricordavo chiaramente la canzone che era solito suonare in casa, aveva riempito i nostri corridoi e le nostre vite finché non si sposò andando via di casa. Mi tornò alla mente anche un'altra canzone più recente, la suonai come se non fosse mai passato il tempo, come se lui fosse ancora lì con me a pizzicare le note. Quando terminai mi accorsi che le lacrime avevano bagnato le mie guance e i miei polpastrelli erano rossi e doloranti dallo sforzo.
-Questa canzone era...era...vostro fratello la dedicò a mia sorella ed era solito suonarlo a mio nipote per farlo addormentare.- Jean mi si era fatto vicino senza che io lo notassi da tanto ero presa dalla canzone. D'improvviso avvampai rendendomi conto dell'avere il collo scoperto. Immediatamente sciolsi la mia chioma e sistemai i morbidi capelli biondi, seppur ancor per poco, lungo le spalle.
-Come fate a saperlo?- Mi voltai a guardarlo, la mia spalla era vicinissima alla sua gamba.
-Non appena nacque il primogenito, rimasi per un po' di tempo con loro insieme ai miei genitori. Mi ricordo anche di avervi vista quando veniste a trovarli un paio di volte. Chi avrebbe mai pensato che ci saremmo ritrovati qui poi.- Mi alzai in piedi sentendo in me l'urgente bisogno di scusarmi, neanche io sapevo per cosa. Non appena vide il mio viso, fino a quel momento rimasto nascosto dal mio vizio di guardare sempre a terra, vidi la tristezza nei suoi occhi farsi ancora più profonda. Prese, con l'indice, un boccolo vicino al mio viso e ci giocò lentamente. Quella sua improvvisa vicinanza mi sembrò opprimente, era decisamente troppo vicino a me ma il suo profumo, tutto in lui, mi impediva di rivoltarmi come avrei fatto normalmente. La vicinanza con il suo viso mi riportò al giorno in cui parlammo in biblioteca: il suo respiro mi sfiorava la guancia rosea, la mia pelle avvertiva la sua presenza e non le dispiaceva. Una mano era sul mio viso e l'altra mi teneva l'altra. Il suo tocco mi faceva capire che il suo comportamento era reale, che non stava mentendo.
Schiusi le labbra come a voler dire qualcosa ma non feci in tempo, poggiò il palmo sulla mano e con il pollice mi serrò delicatamente le labbra.
-Non dite nulla, non è questo il luogo. Venite con me, abbiamo molto di cui parlare.-

   
 
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