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Autore: Crudelia 2_0    25/03/2020    8 recensioni
«Ginny» iniziò tormentandosi le mani e senza avere il coraggio di guardare l’amica «non metterò quell’abito, è troppo piccolo».
«Ma che dici, Hermione? Abbiamo la stessa taglia» Ginny la guardava con le sopracciglia corrugate, uno strano presentimento aveva iniziato a farsi strada nella sua mente.
«C’è un motivo se ho scelto di non frequentare Hogwarts il prossimo anno e dare soltanto gli esami».
«Lo so. Non mi hai ancora voluto dire di cosa si tratta, ma so che c’è un motivo» sussurrò Ginny. All’improvviso sostenere quella conversazione ad alta voce era diventato troppo difficile.
«A villa Malfoy, dopo che Bellatrix aveva finito con me, mi ha dato in mano a Greyback » disse Hermione con tono incolore.
«Sì» rispose Ginny con la bocca asciutta. Incrociò lo sguardo dell’amica e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non aveva finito, ma già aveva capito.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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Note brevi brevi: grazie a chi legge, siete tantissimi, e un grazie speciale a Missandei9216, che ha corretto il capitolo. Senza di lei sarebbe un po’ meno bello e se ancora trovate errori la colpa è solo mia.
Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 
 
 
Luna piena
 
 
 
 
Hermione lo sapeva, che sarebbe stata una pessima giornata. Lo sapeva da quando a svegliarla non era stata la sveglia, ma i gemiti di Kathleen febbricitante nell'altra stanza. In più, pioveva.
Buttò con un sospiro le coperte di lato e andò dalla figlia. Quando si trovò poi al tavolo della cucina, con una tazza di caffè fumante davanti, non riuscì ad ingoiarne nemmeno un sorso: lo stomaco contratto e sulla lingua il sapore della bile.
Con un ennesimo sospiro fece, l'unica cosa che poteva farla sentire meglio, prese una piuma, la carta e chiamò un gufo perché spedisse la lettera.
 
 
 
Severus era un ottimo attore e questo era, ormai, appurato da tutta la comunità magica. Conseguenza trasversale di tutti gli anni passati nel doppiogiochismo: era un ottimo bugiardo. O almeno, credeva di esserlo, fino a quando non era stato costretto in un letto all'immobilità forzata, e aveva scoperto una spiacevole voce nella sua testa che rispondeva al nome di coscienza, e parlava con la fastidiosa voce di Silente. O forse, era perché aveva sognato Albus, che si vedeva i suoi occhi scintillanti dietro le retine. Anche da morto continuava a tormentarlo: si era svegliato in un bagno di sudore e non c'era stato modo di addormentarsi di nuovo.
Certo, tutto questo non sarebbe successo se al suo fianco avesse avuto un morbido e caldo corpo femminile con cui stancarsi prima. Se solo fosse riuscito a togliersi dalla mente gli occhi ambrati della Granger che lo guardavano da sopra il bicchiere. E le sue gambe. Chi l'avrebbe mai detto che la studentessa più brillante della sua età nascondesse gambe del genere sotto la nera gonna a pieghe della divisa?
Ma no, no! Stava lasciando vagare i pensieri su terreni da cui era meglio tenersi lontani.
Infatti, fu per questo che quando vide il nome del mittente sulla lettera, finse di non aspettare una missiva da parte sua da tre giorni. Se non fosse stato per il sorriso malizioso di Albus avrebbe anche potuto crederci.
 
 
 
Non suoni il campanello, per favore, era scritto nelle poche righe che aveva ricevuto. Per questo, quando fu davanti alla porta del loro appartamento, ancora umido per il temporale estivo, che stava imperversando da tutto il giorno e buona parte della sera, picchiò con tre colpi decisi il legno scuro.
La porta fu aperta qualche attimo dopo da un'Hermione che era l'immagine stessa della preoccupazione: capelli annodati in disordine, labbra strette, camicia spiegazzata.
«Buonasera, professore» sussurrò facendosi da parte.
«Buonasera, Hermione» rispose Piton entrando. Che qualcosa non andava l'aveva capito dal primo momento in cui i loro occhi si erano incontrati.
Il salotto era in penombra, l'unica luce proveniva dalla porta socchiusa della cucina. Severus immaginò che fossero provvedimenti presi per far sentire meglio la bambina, ma dubitava che le serrande chiuse bastassero a non farle subire l'influenza della luna.
«Sta dormendo, adesso» sussurrò Hermione torcendosi le mani.
«Capisco» commentò lentamente Piton, quasi sovrappensiero.
«Ha avuto la febbre tutto il giorno, ma è peggiorata da quando...» la frase le morì in gola, sfumando in un sospiro.
«Da quando è spuntata la luna» finì per lei l'uomo. La guardò con un sopracciglio alzato, ma chiaramente non era una domanda.
Hermione annuì con le labbra strette, visibilmente stanca.
«Hai lavorato oggi, Granger?»
«No» rispose lei corrugando la fronte, ma la distrazione fornita dalla domanda parve riscuoterla. «Non posso lasciarla con nessuno, quando è in queste condizioni».
Severus annuì, l'aveva immaginato. Come immaginava anche le implicazioni che poteva avere per una famiglia il mancare a lavoro così tanti giorni. Nonostante questo, Kathleen frequentava lezioni di danza. Severus sentì la fiamma dell'ammirazione accendersi per quella donna e, non per la prima volta, si chiese se dovesse affrontare tutto da sola.
«Posso vederla?» chiese.
Hermione valutò le risposte, soppesandolo con lo sguardo. Alla fine annuì, facendo strada verso la stanza della figlia.
«Faccia piano» si raccomandò, prima di aprire la porta.
 
L'aveva lasciata coperta dal lenzuolo, ma ormai l'aveva calciato lontano. I capelli erano un groviglio indistinto intorno al viso sudato, che si muoveva continuamente da una parte all'altra del cuscino, caduto per metà. Mani e piedi si muovevano frenetiche sotto le coperte, graffiando la sua stessa pelle.
Hermione sentì il cuore stringersi a quella vista. Vedere sua figlia soffrire in quel modo era come essere dilaniata dentro. Che madre era, se permetteva tutto questo?
«È sempre così?» Piton parlò, e lei parve ricordarsi solo allora della sua presenza al suo fianco.
Annuì soltanto, aveva la gola troppo asciutta e chiusa in un groppo doloroso.
L'uomo fece per fare un passo in avanti, ma la mano di Hermione scattò prima che potesse accorgersene. Lo afferrò all'altezza del gomito, senza accorgersi di star affondando le unghie nella stoffa.
«Non si avvicini!» sussurrò concitata.
Lui la guardò con le sopracciglia aggrottate. «Non la toccherò, Granger. Voglio solo-»
«Lei non capisce!» lo interruppe, infondendo la forza delle sue parole nella stretta che stava esercitando sulla sua pelle. «Kathleen non riesce a-»
Si interruppe con gli occhi sgranati.
Forse destata al suono del suo nome, Kathleen si era alzata a sedere. Aveva le labbra schiuse in un respiro affannato, e un ringhio stava nascendo dalla sua gola. Hermione non fece in tempo a pensare che doveva avvertite l'uomo, che la bambina era già scattata in avanti.
Hermione fece due passi in avanti e riuscì ad acchiapparla prima che travolgesse l'uomo, ma l'impatto la fece arretrare. Kathleen era violenta con se stessa e con gli oggetti, mai verso la madre, ma quando vedeva chiunque altro non riusciva a controllarsi.
Tra le sue braccia, iniziò a dimenarsi, ringhiare e graffiare per essere lasciata libera.
«Kathleen, tesoro, calmati» cercò di sussurrare Hermione al suo orecchio, ma la bambina urlava troppo perché potesse sentirla. «È il professor Piton, non ti farà nulla… ».
Kathleen trovò un appiglio nella sua spalla e fece forza, cercò di sporgersi, graffiando il collo ad Hermione, che continuava a tenerla troppo stretta perché avesse successo.
«Kathleen, è solo il professor Piton... solo Severus…» Ma Kathleen non la ascoltò, irrigidì tutti i muscoli e urlò con quanta rabbia aveva in corpo.
«Basta, Kathleen, ti prego!» gemette con voce strozzata, appoggiando la fronte sulla pancia della bambina.
«Lasciala, Hermione» sentì dire con calma alle sue spalle, ma scosse la testa, gli occhi chiusi, ancora contro il ventre sua figlia. «Lei non-»
«Lasciala, Hermione» ripeté. Hermione si voltò di tre quarti, per incontrare il suo sguardo, e lo trovò calmo e sicuro.
Forse fu la speranza, forse la disperazione. Rilassò le braccia: Kathleen non aspettò di toccare terra, che già era scattata verso l'uomo.
 
Severus sentì Hermione inspirare di colpo, ma non poteva permettersi distrazioni. Si accovacciò sui talloni giusto in tempo per accogliere Kathleen tra le braccia. Se fosse stato meno allenato, se nella sua vita non avesse dovuto affrontare uomini anche più grossi di lui, la violenza dell'impatto l'avrebbe fatto cadere. Invece, riuscì ad afferrare le mani della bambina, che sempre gli erano sembrate tanto fragili e che invece, in quel momento, scopriva piene di forza.
«Non le faccia del male!» sentì strillare Hermione con voce acuta, ma non ne aveva intenzione. Accortasi di avere le mani bloccate, Kathleen iniziò a scalciare e tentare di morderlo. Severus non pensò di limitare la sua forza perché tra le braccia teneva una bambina: con fermezza, la fece ruotare sul posto e la strinse al petto. Si sedette per terra e fece forza con le ginocchia per fermarle le gambe. Immobilizzata completamente, Kathleen urlò di nuovo. Con forza, con rabbia, con cattiveria.
Hermione gemette, portandosi le mani alla bocca, ma ancora Severus non la guardò. Aveva una possibilità sola, e sebbene la bambina fosse solo pelle su ossa fragili, sapeva che non sarebbe riuscito a tenerla a lungo con un braccio solo.
Fece forza per tenerla a sé con il braccio sinistro, ignorando le testate che la bambina scagliava contro la sua clavicola, e si fece scivolare la mano destra in tasca.
«Bevi, Kathleen» quasi ringhiò nel suo orecchio, cercando di far bere la bambina dalla boccetta che le avvicinava alle labbra. Ma Kathleen urlava e ringhiava, dimenando la testa da un lato all'altro.
Con un ultimo tentativo, Severus contrasse i muscoli addominali, allargò le gambe della bambina infilandoci i suoi piedi e catturò tra le sue cosce le sue mani. Con la mano sinistra ora libera strinse le sue guance fino a farle aprire la bocca. Con un ultimo gesto di violenza giustificata solo dalla disperazione, Severus obbligò la bambina a bere. Alcune gocce della pozione andarono a perdersi, cadendo lente sul collo e nel pigiama, ma non desistette.
Quando la boccetta fu vuota la allontanò dalla bocca della bambina e le lasciò la mandibola, su cui, bianchi e accusatori, svettavano i segni delle sue dita. Kathleen si contorse ancora, digrignando i denti, finché non irrigidì nuovamente i muscoli, puntando i piedi per terra e la nuca sulla spalla di Severus. Passarono alcuni attimi, eterni, in cui non si mosse. Poi, come un pallone bucato, iniziò a rilassarsi arrendendosi alle braccia dell'uomo.
Severus la accolse come la più fragile delle creature, entrambi ansimavano leggermente. Kathleen inspirò ed esalò un fiato lentamente,  poi aprì le palpebre appesantite, lo sguardo offuscato di chi si sveglia tra un intervallo e l'altro di una pesante malattia.
«Severus?» bisbigliò, la voce così sottile da sembrare prossima alle lacrime.
«Sì, Kathleen» rispose in un sussurro lui, chinandosi inconsapevolmente verso di lei come a proteggerla.
«Ho fatto male alla mamma?» chiese, e questa volta il tremolio indicava con chiarezza la presenza delle lacrime pronte a cadere dalle ciglia.
«No, la mamma sta benissimo. Non le hai fatto niente» la rassicurò. Le cinse una mano con la sua, più grande, stupendosi del suo calore e della sua morbidezza. Kathleen gli strinse le dita, forte.
«Ho tanto mal di testa» si lamentò, le palpebre sempre più pesanti e le parole strascicate.
«Lo so, passerà. Dormi adesso» Kathleen sospirò ancora una volta, ma senza traccia di tristezza. La testa le ricadde di lato, completamente rilassata.
Severus non osò muoversi, sentiva il morso pungente della colpa pizzicargli il fondo dello stomaco. L'aveva trattata con violenza, usando la sua forza bruta di uomo adulto contro il suo fragile corpicino di bambina, e lei, si era svegliata chiamandolo per nome, addormentandosi tra le sue braccia e tenendolo per mano.
Se la meritava, lui, sporco Mangiamorte, quella fiducia innocente?
E fu allora che capì, che ebbe la certezza che la pozione avrebbe funzionato. Si erano fidate di lui, madre e figlia, affidandosi alle sue mani.
Era la fiducia, l'ingrediente mancante. Non l'amore, come sosteneva Silente, ma qualcosa che ci andava spaventosamente vicino.
Alzò lo sguardo su Hermione, consapevole di non riuscire a mantenere la sua maschera inespressiva, e scoprì nei suoi la stessa meraviglia che sentiva anche lui.
Lei si avvicinò e si lasciò scivolare al suo fianco. Non davanti alla bambina, ma al suo fianco, e di nuovo Severus sentì lo stomaco stringersi. Posò una mano sul suo ginocchio e lui assecondò il suo movimento stendendo la gamba. Hermione si sporse per prendere la bambina e lui sentì scivolare la manina calda dalla sua. La guardò mettere a letto la bambina e baciarla sulla fronte, mentre si alzava sentendosi l'adolescente impacciato che non era più da molti anni.
Hermione coprì la figlia con il lenzuolo e si voltò, avvicinandosi a Severus fino a stargli di fronte. Aprì la bocca, poi parve cambiare idea e proseguì fino ad uscire dalla camera. Severus la seguì, chiudendo silenziosamente la porta alle sue spalle.
Lei proseguì di qualche passo, respirava profondamente, le braccia attorno al corpo per darsi conforto, poi rimase immobile, al fianco del divano. Severus la seguì e le si affiancò per vederne il volto, sebbene lei tenesse gli occhi puntati a terra.
Voleva scusarsi. Non l'avrebbe mai fatto, prima, ma ora non poteva più sopportare il peso della colpa che gli schiacciava gli organi e gli ricordava il sangue che gli sporcava le mani. E fu una goccia di sangue a catturare la sua attenzione: dal suo collo, lento, in netto contrasto con la sua pelle bianca, scendeva verso il colletto della camicia e oltre, verso il solco dei seni. Severus si immaginò di avvicinarsi e raccoglierlo con la bocca, sentire il suo sapore ferroso sulla lingua e risalire lungo tutto il graffio fino alla sua guancia, al suo mento, alla sua bocca.
Aprì la bocca, sulle labbra l'ombra delle scuse che si sentiva in obbligo di porgerle. Per come aveva trattato la bambina, per come aveva trattato lei durante gli anni in cui avrebbe dovuto iniziarla al sapere delle pozioni, per il modo in aveva cercato di allontanarla la prima volta che lei si era presentata al suo capezzale in cerca di aiuto.
Se non fosse stato per quella goccia di sangue, tentatrice, forse ce l'avrebbe fatta.
«Hermione» sussurrò, la voce roca.
 
Hermione quasi gemette quando sentì il suo nome pronunciato così vicino, dalla sua voce così roca e carezzevole. Rilasciò il fiato che non si era accorta di trattenere e alzò gli occhi verso i suoi. La preoccupazione che vi lesse la fece crollare.
Si voltò completamente nella sua direzione e posò la fronte sulla sua spalla. Un singhiozzo la fece tremare, violento, e in un ultimo tentativo di trattenere la tempesta che stava crescendo nel suo petto, artigliò con le mani la camicia ai suoi fianchi, piantando le unghie nei muscoli sottostanti.
«Hermione» ripeté l'uomo, ma c'era uno stupefatto allarmismo nella sua voce, ed Hermione non voleva questo.
«Grazie… » riuscì a far lasciare alle sue labbra. Sentì lacrime bollenti scorrerle sulle guance prima di vederle cadere sulla sua camicia bianca, lasciando un cerchio trasparente quasi perfetto. «Non aveva mai funzionato niente, prima» singhiozzò.
Dopo un tempo che parve infinito, l'uomo alzò le braccia. Hermione sentì una mano calda al fondo della schiena, che la spinse finché non si scontrò contro il suo petto solido, e l'altra alla base della nuca. Le dita tra i suoi riccioli iniziarono ad accarezzarle la pelle in piccoli cerchi, e questa volta non riuscì a trattenere il gemito che le lasciò le labbra sentendo i muscoli rilassarsi.
«I criceti... Li ha mangiati in un momento del genere?» sentì la sua voce vibrargli sotto l'orecchio, e la domanda non le sembrò così scomoda come poteva essere.
«Era così piccola… » sospirò. «Non se lo ricorda nemmeno».
«È per questo che non avete più il gatto?» Continuava ad accarezzarla, e la voce calda e tranquilla le provocava un rilassato senso di sonnolenza.
«Cosa? Grattastinchi?»
L'uomo sbuffò. «Che nome ridicolo» ma Hermione lo sentì a malapena.
«Come fa a sapere che avevo un gatto?»  scelse di chiedere, invece di rispondere.
«Sono stato un tuo insegnante per sei anni.» Nonostante il tono vagamente esasperato, sorrise, sentendosi avvolgere dal calore delle sue braccia. Alzò la testa, trovandosi i suoi occhi pericolosamente vicini.
«Nessuno si era mai preso così cura di lei» disse con un sussurro che aveva il sentore di una confessione.
Severus la guardò negli occhi a lungo, poi la mano scivolò dai suoi capelli alla sua guancia. Il pollice spazzò il solco umido lasciato da una lacrima e lambì una sbavatura del trucco che trovò adorabile.
«E di te, Hermione?»
Hermione sgranò gli occhi, sorpresa da tanta intimità. Schiuse le labbra, ma non riuscì a rispondere. Sarebbe stato troppo stringere la presa sulla sua camicia e avvicinarsi fino a baciarlo?
Aveva già stretto i pugni, a metà strada verso la sua bocca, quando lui spostò la mano. Le accarezzò il labbro inferiore con il pollice, tanto lentamente che Hermione si sentì morire, e  scese lungo il collo curandole i graffi sotto il palmo. Poi, con un gesto che la scaldò più di una notte di passione, le abbassò il mento e posò le labbra sulla sua fronte.
 
   
 
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