Trascorse
un mese dal giorno in cui Akito e Sana vennero a
sapere della gravidanza di Nami. Da quel giorno non si sentirono, non
si
scrissero. Il niente assoluto.
Sana cercò un’occupazione in qualche negozio. Che
fosse una profumeria o altro
non le importava, qualsiasi cosa sarebbe andata bene pur di allontanare
i suoi
insistenti pensieri che non facevano altro che portarla indietro nel
tempo.
Aveva anche l’intenzione di riprendere gli studi e magari
iscriversi alla facoltà
che aveva da sempre sognato.
Avvertiva ogni giorno come più pesante di quello precedente.
Tutte le volte che
sentiva suonare il telefono o bussare alla porta sperava con tutto il
cuore
fosse lui. Era il suo maledetto orgoglio e la paura che
l’affliggeva a non
farla muovere di lì, altrimenti non ci avrebbe pensato due
volte a volare fino
a Tokyo per dire ad Akito quanto l’amava e quanto avrebbe
voluto cancellare
quell’ultimo mese.
Hayama aveva fatto come le aveva detto. Se l’amava doveva
lasciarla andare e
così fece, ma non c’era momento in cui non si
malediceva per non essere
riuscito a muovere un muscolo in quel momento. Ritornò a
lavorare alla
palestra, ma tutto sembrava così spento, non c’era
cosa che riuscisse a
ridargli la forza di un tempo. In
quel
periodo era tornato a vivere nella casa che aveva condiviso con Nami,
mentre
lei si trasferì da Charlie. Per quanto tra i due ex non
corresse più buon
sangue cercarono di mantenere i rapporti se non altro per il bambino
che
sarebbe nato e che sarebbe anche potuto essere suo.
Mancava ancora un mese al test che Nami avrebbe dovuto fare per sapere
chi
fosse il padre di suo figlio. L’attesa per Akito
iniziò a diventare estenuante.
Ogni giorno controllava il calendario per essere sicuro che i giorni
diminuissero invece di aumentare.
Letteralmente ossessionato da ciò che gli stava accadendo,
una sera decise di
andare a trovare Hitoshi, l’amico che in più di
un’occasione l’aveva tirato
fuori dai guai.
Una volta che gli ebbe raccontato tutto, al ragazzo fu ancora
più chiaro quanto
Akito ormai fosse innamorato di Sana.
<< Possibile che siate così testardi?
>>
<< Testardi? >>
<< Sì, e anche un po’ masochisti se
volete. Non vi vedete, non vi sentite…
Vi state solo facendo del male >>
<< Lei mi ha detto di lasciarla andare se
l’amavo. Diceva che sarebbe
stata male avendomi accanto e io non potevo vederla soffrire ancora
>>
<< E tu che le dai anche ascolto. Ti conosco bene Akito,
uno come te l’avrebbe
raggiunta persino a piedi >>
<< C’è anche Nami poi, che con la
storia del bambino mi trattiene qui
>>
<< Balle >>
<< Beh ok, non mi va di essere cacciato da lei
un’altra volta. So benissimo
che è lei che voglio, che passerei attraverso un vulcano per
stare con lei, ma
quelle sue parole ora sono più forti di tutta la mia buona
volontà. Mi
impediscono di reagire >>
<< Sei solo un po’ intorpidito. Se proprio non
riesci a far nulla, allora
aspetta almeno il test, forse dopo saprai cosa fare. Akito sono sicuro
che non
te la lascerai scappare, quindi smettila di pensare che te la
dimenticherai
>>
<< Sarà impossibile che succeda. Anche se
venissi rifiutato, non potrei
mai scordarmi di lei >>.
Una volta tornato a casa restò al buio sveglio nel suo letto
a fissare il
soffitto, come se potesse dargli una mano a risolvere i casini che gli
tormentavano la mente. Le due porte nello spazio bianco che si era
immaginato
erano sparite, ora ce n’era solamente una, molto grande.
Sopra non vi era
scritto nulla, ma era chiaro cosa ci sarebbe stato dentro…
La sua vita, insieme
a una persona. L’unica.
*
Trascorse
un altro mese e arrivò il giorno del test di
paternità. Nami, Charlie e Akito si recarono
all’ospedale dove avrebbero fatto
tutti gli esami necessari. Quando ebbero finito dovettero aspettare
quasi due
settimane prima di sapere i risultati. Nami li andò a
ritirare un lunedì
mattina, da sola, ma non aprì la busta che conteneva la
verità, aspettò di
trovarsi di fronte a Charlie e Akito per rivelare quale sarebbe stato
il futuro
di tutti.
Seduti sul divano i tre fissavano la busta poggiata sul tavolo. Nessuno
osava
prenderla in mano o aprirla, ma l’avrebbero dovuto fare prima
o poi.
<< Beh… Sarò io la madre, credo
dovrei farlo io, no? >>
<< D’accordissimo >> risposero
gli altri due.
<< È solo che potrebbe rimanere lì
ancora un po’, non credete. Sì lo so,
abbiamo aspettato molto, però… >>
<< Nami, prendi quella busta >> la
esortò Charlie.
Lei annuì e alzatasi lentamente prese i risultati con mani
tremanti .
<< Ok, ora apro >> disse staccando la
linguetta che teneva chiusa
la busta di carta.
Respirò a fondo, poi guardò a lungo i due
ragazzi. Se l’era immaginato
difficile come momento, ma non così. I tre presenti creavano
un tale silenzio
da essere diventato insopportabile. A Nami batteva forte il cuore. Una
volta
aperta non aveva il coraggio di estrarre i fogli che sembravano come
infuocati.
Se li avesse anche solo toccati, si sarebbe scottata.
Quando finalmente si decise a tirarli fuori Akito si alzò in
piedi di scatto.
<< Ferma! >>.
Charlie e Nami lo guardarono sorpresi.
<< C-che stai dicendo? Proprio ora che mi ero decisa
>>
<< No, non leggerlo >>
<< Sei impazzito, certo che devo leggerlo. Dobbiamo
sapere >>
<< Certo, questo è chiaro, ma senza di me. Non
posso rimanere qui
>>.
I due giovani lo guardavano sempre più esterrefatti. Akito
intanto si era
avvicinato di corsa alla porta.
<< Ma dove vai? >>
<< Mi dispiace, ma devo fare una cosa importantissima. So
bene quanto
anche questo abbia la sua priorità, ma leggete pure voi con
calma… Poi, poi mi
informerete… >> disse frettolosamente.
Nami non ebbe il tempo di capire cosa stesse succedendo che lo vide
schizzar
via dall’appartamento.
<< Akito… Akito dove vai? >>.
Entrambi si avvicinarono alla porta per provare a fermarlo, ma non ci
fu verso.
Andò via dicendo quelle poche parole, senza far capire quali
fossero le sue
intenzioni.
<< Che diavolo gli è preso? >>
<< Non ne ho idea… Ormai è inutile
corrergli dietro >> disse
Charlie, poi guardò la busta che lei ancora teneva tra le
mani <<
Leggiamo questi risultati? >>.
Insieme abbozzarono un sorriso, Nami annuì e tornarono al
divano.
*
“
L’aereo, l’aereo… No, no ci
vorrà troppo… La macchina, la
macchina ”.
Akito scendeva le scale con tutta la velocità possibile.
Raggiunta l’auto si
buttò sulla strada premendo più che
potè sull’acceleratore. Sapeva ci sarebbero
voluto molto tempo per arrivare a destinazione, ma l’aereo
gli avrebbe fatto
passare ore di attesa estenuanti, mentre la macchina era il rimedio
giusto per
fare le cose in prima persona, raggiungere l’obiettivo lui
stesso, con le sue
stesse mani.
Non gli importava di superare il limite di velocità, di
prendere multe. Avrebbe
fatto attenzione, ma avrebbe corso il più possibile. Era
arrivato il momento,
ora non si sarebbe fermato.
Arrivò in città in tempo record. L’auto
doveva aver patito parecchio il lungo e
frenetico viaggio, perché appena arrivato ad Osaka il motore
emise strani
rumori e si fermò di colpo.
<< No, dai… Avanti parti >>
disse premendo sull’acceleratore e
girando più volte la chiave.
Non c’era nulla da fare, la macchina era morta. Per arrivare
a destinazione ci
sarebbe voluto ancora un po’, ma senza un mezzo che lo
accompagnasse, l’unica
cosa da fare fu quella di trasportare a mano l’auto da
qualche parte e iniziare
a correre. Corse come non aveva mai fatto in vita sua, corse pensando
ad un’unica
cosa. Ormai senza fiato raggiunse il palazzo in cui viveva la madre di
Sana.
Sapeva che l’avrebbe trovata lì.
Fortunatamente nello stesso istante in cui arrivò lui un
uomo uscì dal portone,
così che lui potè entrare senza alcun problema.
Corse di nuovo a perdi fiato su
per le scale… L’ascensore gli avrebbe solo fatto
perdere un sacco di tempo.
Eccola lì la porta. Vi era davanti, non esitò un
secondo. Bussò forte.
*
Erano
ormai le tre del pomeriggio. Sana quel giorno sentì di
avere un gran mal di testa e decise di rimanere a casa dal lavoro.
Aveva
trovato un posto come commessa in un negozio di lingerie.
Nonostante il dolore, passò l’intera mattinata a
pulire e fare faccende di casa
per dare una mano a sua madre che spesso la mattina andava a dare una
mano a un’anziana
signora, così da poter racimolare anche lei qualche soldo.
Per pranzo si preparò qualcosa di veloce,
dopodiché si distese sul divano così
da poter riposare. Sapeva benissimo il perché di quel mal di
testa, non era certo
la prima volta. Era contenta di essere rimasta accanto a sua madre, ma
più
passavano i giorni, più si rendeva conto che effettivamente
le mancava
qualcosa. Non c’era minuto in cui non si facesse domande che
riguardassero
Akito. Si chiedeva se già sapesse di essere il padre del
figlio di Nami o se
avesse scoperto di non esserlo, se a volte pensava a lei, se aveva
ripreso la
vita di sempre, se lui e la sua ex si erano innamorati di nuovo.
Sicuramente
così il mal di testa era difficile da mandar via, ma era
inevitabile pensare
quelle cose.
Passò una mezz’oretta sul divano ad occhi chiusi,
provando a dormire, quando d’improvviso
sentì qualcuno bussare forte alla porta. Presa dallo
spavento sobbalzò e si
alzò in piedi di scatto.
“ Chi diavolo è che mi fa prendere questi colpi?!
”.
<< Arrivo
>> disse con tono
scocciato.
Raggiunta la porta non guardò nemmeno dallo spioncino ed
aprì con veemenza.
Quando lo vide, poggiato allo stipite della porta con il fiatone, ebbe
un tuffo
al cuore. Non poteva essere lui, non poteva essere lì in
quell’istante. Se lo
stava solo immaginando, certo si era addormentata e stava sognando.
<< S-Sana… >> fece Akito
ansimando.
Lei non rispose. Nonostante credesse di trovarsi in un sogno non si era
mossa
di lì, era come rimasta di pietra.
<< M-meno… M-meno male che sei… A
c-casa >> disse prendendo fiato.
Entrambi si guardarono interdetti. Sana capì che era la pura
realtà.
<< C-cosa ti è successo? >>
<< Non ci crederesti mai. Sono venuto fin qui con la
macchina, poi si è
spenta in mezzo alla strada e sono venuto qui di corsa… Il
destino voleva
mettersi contro di me >> disse abbozzando un sorriso.
<< N-non dovevi venire >> fece lei
abbassando lo sguardo.
<< Non me ne importa niente del dovere o non dovere. Sono
qui adesso, e
non me ne vado finché non senti quello che devo
dirti… Guardami, ti prego
>>.
Lo implorava di guardarlo. Non poteva non concederglielo,
così non evitò il suo
sguardo. I suoi occhi color grano entrarono nei suoi.
<< Sana, io non ho mai amato tanto. Vivere a Tokyo,
sapendoti qui è stato
uno strazio, ma tu mi hai chiesto di lascarti andare e io pur di non
vederti
più soffrire ho lasciato che accadesse. Ci ho provato, ho
tentato, ma quando
ami così tanto una persona è impossibile
fermarsi, altrimenti si ferma anche il
tuo cuore… Non volevo morire così, volevo che il
mio cuore continuasse a
battere, magari insieme al tuo. Dio, mi sento così
un’imbecille… Sicuramente
sarò arrossito, ma non mi interessa… Quel giorno
al bar, te lo ricordi. I
nostri occhi si sono incrociati ed è accaduto qualcosa. I
nostri occhi ora sono
ancora qui, e io credo fermamente che ciò che successe
quella sera, non si sia
ancora estinto… E non avverrà mai,
perché per quanto posso starti lontano,
smettere di amarti per me è impossibile >>.
Sana piangeva guardandolo in silenzio. Era assurdo come per due lunghi
mesi i
due non fossero riusciti nemmeno a sentirsi.
<< Dì qualcosa, ti prego >>
<< Io non avrei mai voluto allontanarmi, questo voglio
che tu lo sappia,
ma sono così dannatamente fragile. Ho avuto paura di
perderti, di perdere
quello che stavamo costruendo insieme. Sarei corsa tutti i giorni da
qui per
venire da te, ma non ce l’ho fatta… In
più quella storia del bambino… >>
<< Ma non mi interessa lo capisci? Che sia mio, che non
sia mio…
Affronteremo la cosa. Sei tu l’unica cosa che conta in questo
momento, l’unica
per cui vale la pena andar via un minuto prima di sapere i risultati
del test
di paternità, per cui vale la pena farsi non so quanti
kilometri correndo come
un pazzo, per cui vale la pena perdere qualsiasi altra cosa…
Sei solo tu
>>
<< Io… Ti amo >>.
Lo disse con un filo di voce, tremante, con il pianto a spezzarle ogni
singola
parola, ma l’aveva detto con tutto l’amore
possibile, quello che si era
nascosta dentro per troppo tempo.
Akito la guardò intensamente e la strinse a sé.
Sentire il suo calore dopo
tanto tempo era il regalo più bello che potesse mai
ricevere. Cadde anche a lui
una lacrima lungo la guancia, poi si staccò da lei e le
sfiorò le labbra con un
dito.
<< Devo dirti una cosa… Spero…
Spero sia facile >>.
Sana per un attimo ebbe paura delle sue imminenti parole. Di cosa
poteva
trattarsi ancora?
Chiuse gli occhi come per tranquillizzarsi e quando li
riaprì trovò Akito
inginocchiato davanti a lei.
<< Sana Kurata… Vuoi sposarmi?
>>.