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Autore: Dalybook04    26/03/2020    1 recensioni
Napoli, 1712
Antonio Fernandez Carriedo aveva scoperto con non poca sorpresa quanto si potesse comunicare attraverso un pomodoro.
***
-bastardo?
-dimmi Lovi
-ho fatto davvero bene a lanciarti quel pomodoro.
-già- lo baciò -hai fatto davvero bene
***
Gli piaceva pensare fossero un regalo da parte sua, come se ogni pomodoro che cresceva gli volesse ricordare quanto lo avesse e avrebbe amato, e quanto lo amasse ancora.
***
-ve, mi dispiace fratellone. Stai tranquillo, l'amore troverà un modo
-non darmi false speranze, Feliciano. Per favore.
***
-a quanto pare abbiamo entrambi il cuore spezzato, eh?
***
_principalmente Spamano e Gerita, con accenni molto lievi alla PruAus_
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del diciottesimo secolo e altre storie'
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Antonio stava percorrendo avanti e indietro l'atrio della sua nuova casa da almeno un'ora, da quando la carrozza con sopra un suo servitore era partita per andare a prendere Feliciano e Lovino.
Lovino. Quel piccolo italiano lo aveva incuriosito e affascinato. Era nato nella miseria, eppure sembrava avere e conoscere molta più libertà di lui. E anche se ora sarebbe stato al suo servizio, Antonio sapeva che non sarebbe mai riuscito a imporgli niente, e questo lo affascinava. Non si sarebbe imposto, avrebbe cercato di essere un padrone gentile.
Quello che Antonio non aveva capito, non poteva farlo, è che un padrone, per quanto gentile, è sempre un padrone. Che Lovino non avrebbe mai accettato di sottostare a nessuno che non se lo fosse meritato, e nella sua testa lo spagnolo non l'aveva ancora fatto. Perché avrebbe dovuto obbedirgli? Per mangiare e soprattutto per far mangiare suo fratello, fine della questione. Avrebbe più o meno obbedito, ma il suo rispetto avrebbe dovuto meritarlo, per non parlare del suo affetto!
Il giorno prima, quando aveva detto a Feliciano del nuovo lavoro, quello ne era stato entusiasta, e come dargli torto? Ma Feliciano era piccolo e non capiva: Lovino, come maggiore, aveva il dovere di non fidarsi, motivo per cui sarebbe rimasto vigile ogni secondo, finché quel bastardo spagnolo non si sarebbe guadagnato la sua fiducia.
Aveva accettato per necessità, ma non avrebbe mai mollato.
Quando la carrozza si era fermata, Antonio era corso loro, felice come una Pasqua; si era presentato a Feliciano, aveva salutato Lovino con un abbraccio, beccandosi un'occhiata assassina, aveva ringraziato il servitore per averli accompagnati fin lì, e poi li aveva condotti in casa. Aveva mostrato loro le cucine, i bagni dei servitori, dove trovare la sua camera e infine dove avrebbero dormito, in un angolo abbastanza riparato della camera della servitù, dove erano state sistemate alcune coperte e un paio di cuscini.
-ho pensato che avreste voluto dormire vicini, vi va bene?
Lovino strinse la manina di Feliciano.
-certo.
-veee, la ringrazio moltissimo signore- il bambino fece un breve inchino e sorrise ad Antonio. Era molto simile al fratello, forse sui dieci anni, ma per il fisico esile ne dimostrava molti meno. Aveva i lineamenti simili a quelli del fratello, ma più infantili; i capelli erano di un castano più chiaro, e gli occhi erano castani, privi di quelle sfumature verdi che avevano incantato Antonio il giorno prima. Nonostante tutto, aveva un sorriso aperto e innocente, come il bambino più felice del mondo. Eppure non avrebbe dovuto esserlo. Era nato a Roma, ma dopo appena tre anni era stato separato da sua madre e suo fratello: loro erano andati a vivere in un paesino appena fuori Napoli, mentre Feliciano e suo padre erano andati al nord a lavorare, spostandosi di continuo. Non aveva mai avuto una dimora fissa, quindi aveva imparato a fare amicizia con chiunque, per non sentirsi solo come effettivamente era. Dopo diversi anni, sua madre era morta, e suo padre, rivedendola di continuo negli occhi e nei modi di Feliciano, aveva spedito il bambino, di soli sette anni, a vivere con il nonno insieme a Lovino, sparendo per sempre dalla circolazione, Anni dopo, Lovino sarebbe venuto a sapere che si era sparato, ma a Feliciano non disse mai niente. Dopo qualche anno, il giorno dopo del suo decimo compleanno, il nonno si sarebbe ammalato, morendo poco dopo e lasciandoli soli e con una scarna eredità. Da allora, era stato Lovino a occuparsi di lui come meglio aveva potuto, e Feliciano non poteva che amare suo fratello, era tutto ciò che gli era rimasto. Non aveva altri amici: i bambini poveri erano troppo diffidenti per poterci giocare come i bambini che erano e che Feliciano si ostinava ad essere, e gli altri lo tenevano a distanza. Se Lovino era diventato diffidente, non che non fosse già nel suo carattere eh, Feliciano aveva fatto la scelta di restare fedele a sé stesso e al suo nome, comportandosi come se fosse felice per tranquillizzare suo fratello e per autoconvincersi che andasse tutto bene.
-oh, figurati, Feli. Chiamami pure Antonio- gli sorrise, poi guardò Lovino, che lo osservava con sospetto. Tossicchiò -comincerai da domani, ho già detto a Fernando, l'uomo di prima, di spiegarti quello che ti servirà sapere. Se vuole potrà lavorare anche Feli, ma niente di troppo pesante. Pulire qualche stanza magari, o aiutare nelle cucine. Solo se vuole, ovviamente. Oggi vi lascio il tempo di ambientarvi, vi ho fatto preparare un bagno di là, se avete bisogno di qualcosa chiedete pure a Fernando o direttamente a me. A dopo, ragazzi- li salutò con la mano e fece per tornare nel suo ufficio, quando la voce di Lovino lo fermò.
-perché sei così gentile? Cosa vuoi?
-oh, avevo solo bisogno di servitù- una mezza verità, in effetti -e volevo qualcuno di interessante.

Nelle settimane successive, Feliciano si rivelò fenomenale. Era adorabile, e riusciva in tutto: pulire, cucinare, rifare i letti... inoltre aveva stretto amicizia con tutti quanti, per cui lavorava bene con chiunque, e tutti gli volevano bene.
Lovino, invece, si rivelò terribile. Era imbranato, faceva più disastri di quanti ne sistemasse, era pigro e testardo; era bravissimo a cucinare, cosa strana visti gli anni nella fame, ma aveva un caratteraccio, per cui non riusciva a lavorare bene con nessuno. Antonio però continuava a dargli una mansione diversa, cercando qualcosa che si adattasse a lui, ma niente da fare, sembrava ci fosse bisogno di un miracolo. Alla fine, in effetti, fu una specie di miracolo di Natale.
Antonio aveva deciso di festeggiare tutti insieme, in fondo lì non aveva nessun altro: aveva così fatto preparare un enorme cena per la Vigilia. Avevano riso e scherzato, e aveva anche regalato a tutti una giornata libera, divisa in modo che comunque ci fosse qualcuno a occuparsi della casa. Dopo cena però, poco prima del dolce, Antonio aveva notato la mancanza di Lovino. Dopo aver scoperto dove si fosse cacciato grazie a Feliciano ("vee, di solito va sul tetto quando vuole restare solo"), si affrettò a raggiungerlo. Raggiunse la terrazza e si arrampicò sul letto, sedendosi poi accanto all'altro, nascosto in una nicchia piuttosto riparata, strigendolo a sé per scaldarlo.
-perché te ne stai qui tutto solo? È Natale, bisogna stare insieme.
-rovinerei la festa a tutti- borbottò Lovino, con le ginocchia raccolte e la fronte su esse, tuttavia lasciò che Antonio gli mettesse un braccio intorno alle spalle. Negli ultimi tempi si era lasciato andare, e quasi si fidava di lui, anche se ancora non era riuscito a capire come facesse ad essere così buono con lui.
-a Feliciano non la rovineresti- lo spagnolo fece una pausa, poi si azzardò a continuare -e neanche a me.
-Feli ha degli amici, e tu... be', tutti ti adorano, perché sei sempre buono e gentile e dannatamente...
Antonio scoppiò a ridere.
-lo dici come se fossero dei difetti!- esclamò, dando una spinta giocosa al fianco dell'altro, che si concesse un piccolo sorriso -Lovi, sai perché ti ho assunto?
-perché pensavi che sarei servito a qualcosa e invece hai scoperto che il mio fratellino è più utile di me?
-no, e comunque sono ancora convinto che riuscirò a trovare qualcosa in cui tu sia bravo.
-ah sì? Buona fortuna. Ti sfido a trovarlo.
-be', sei un ottimo tiratore di pomodori.
A quella frase, Lovino scoppiò a ridere, lasciando l'altro senza fiato. Se normalmente l'italiano era bello, quando rideva era uno spettacolo meraviglioso, un qualcosa di indescrivibile, l'opera d'arte più bella al mondo, e la rarità di quell'evento, di una risata così spontanea e cristallina, limpida e perfetta, non faceva altro che renderla più speciale di quanto già non fosse.
In quel momento, fulminato da quel piccolo miracolo, ad Antonio venne l'illuminazione.
-pomodori.
-eh? Vuoi che lanci pomodori addosso alla gente?
-no, no, no, Lovi li puoi coltivare! C'è un giardino enorme qui intorno, un posto dove coltivare lo troveremo, e così risparmieremmo tutti quei soldi che spendiamo per importarli!- gli brillavano gli occhi, sembrava un bambino che finalmente fosse riuscito a finire di completare un puzzle -che ne dici, Lovi? Ti va?
-oh, ehm, io posso... potrei provare- concesse imbarazzato, e l'altro a quella risposta lo abbracciò di slancio, facendolo diventare dello stesso colore dei pomodori che presto avrebbe coltivato. Dopo poco, ricordando l'avversione di Lovino al contatto fisico, lo spagnolo si allontanò imbarazzato, balbettando qualche scusa e rimettendosi seduto affianco a lui. Con un verso a metà tra uno sbuffo e una risata, Lovino si avvicinò di nuovo a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla e guardando il panorama davanti a sé, anche perché se avesse guardato l'altro si sarebbe imbarazzato ancora di più. Lentamente, incredulo davanti a tutti quei miracoli e chiedendosi se magari non avesse esagerato a bere e stesse solo sognando tutto, Antonio allungò la mano verso quella dell'altro e, poco per volta per dare all'altro il tempo di rifiutarsi, intrecciò una per una le dita con le sue, fino a tenergli la mano: Lovino non si sottrasse, né fece alcun cenno; semplicemente, rimase lì, con la mano stretta in quella grande e gentile dell'altro, il suo profumo intorno a sé, il suo respiro calmo, rilassante e lieve nei propri capelli e il suo calore e il calore dei loro corpi vicini a scaldarlo in quella serata d'inverno.
Pace. Una scena tranquilla, placida, calma, diversa dalla confusione del giorno; erano due ragazzi diversi, uno diverso dal solito Lovino scontroso, l'altro diverso dal solito Antonio rumoroso.
C'era tanto silenzio che riuscirono a sentire perfino le campane in lontananza che segnalavano la mezzanotte.
-buon Natale, Lovi- sussurrò lo spagnolo, voltando il viso verso di lui e lasciando un bacio sulla sua nuca.
Lovino sollevò il capo, stregato dalla magia di quel momento, e sorrise all'altro, con due occhi luminosi come due stelle, tanto bello che qualsiasi dio, per quanto belli li scolpissero i Greci, ne sarebbe stato invidioso.
-buon Natale, bastardo
Infine, a coronare quella magia, posò la mano libera sulla guancia dell'altro, sorridendo divertito nel sentire un lieve velo di barba, strinse di più la sua con l'altra mano, e finalmente si sporse fino a baciarlo, ed entrambi in quel momento morirono e rinacquero ed erano dei ed erano umani ed erano tutto ed erano niente, ma soprattutto erano vivi e sapevano che avrebbero potuto vivere solo con questo, solo con un bacio, e fossilizzarsi lì, su quel tetto, nel luogo più importante e insignificante del mondo, diventare pietra e rimanere sempre con l'altro, e sarebbe andato bene, sarebbe andato benissimo, avrebbero sopportato qualsiasi punizione divina, qualsiasi eresia, qualsiasi punizione, tutto, tutto, pur di poter passare anche solo un secondo in più così, stretti l'uno all'altro, a baciarsi, al centro del loro mondo.
E Antonio si disse che sì, forse Cupido aveva finito le frecce e le aveva sostituite con un pomodoro, ma quello era stato in assoluto il pomodoro migliore della storia.
E in quel Natale, insieme a Gesù Bambino, nacque anche un nuovo amore.
   
 
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