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Autore: rosy03    26/03/2020    2 recensioni
Temari della Sabbia aveva, modestamente, moltissime qualità. Il suo lavoro di ambasciatrice includeva dei periodici viaggetti a Konoha, il villaggio in cui viveva il suo fidanzato e dove, lo sospettava, avrebbe vissuto anche lei in futuro.
Tutto bene, tutto bellissimo... certo.
Ma cos’era anche tutta quella sfiga, eh?! Prima le cazzate di Hokage e compagnia, poi Sasuke e i suoi istinti da meteorologo mancato, la pioggia, la suocera, uno stupidissimo gioco da tavolo e... ma cosa importava?
• || Avrebbe dovuto capire, Temari, che un’altra disgrazia le sarebbe toccata una volta varcata la soglia di casa Nara. [...] Temari pensò a mille modi per scappare da lì, mille e uno modi per convincerla a dimenticare e mille e venticinque modi per uccidere Shikamaru. Perché sì.
Cosa c’era di peggiore di bussare a una porta e ritrovarsi faccia a faccia con la propria futura suocera in preda a una crisi isterica? [...]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari, Yoshino Nara | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Lo Shoji







Aveva deciso di andare a vivere da solo perché sostanzialmente non riusciva più a gestire le prese di posizione di sua madre che pretendeva di mettere becco in tutto quello che faceva. Lui, tra l'altro, si sentiva estremamente a disagio quando la trovava a spolverare il piccolo altare dedicato a suo padre, morto in guerra.
Non sapeva neanche dare un nome a quel sentimento che gli svuotava il petto, si limitava ad andarsene senza accennare una parola e faceva finta di non averla vista.


 

°°°



A detta degli Altri, Yoshino si era ripresa in modo maturo dalla scomparsa di suo marito. Certo, quegli Altri non sapevano che ancora a distanza di anni si svegliava nel cuore della notte con le palpitazioni e con gli occhi rossi dal pianto e mai avrebbero dovuto saperlo. Men che meno suo figlio, quello stupido, quello che lavorava come un mulo e si addossava lavori e responsabilità non sue pur di non pensare.
Il Cretino. Neanche a dirlo, i suoi compagni di team non erano da meno.
Ino aveva pianto giorno e notte per tre settimane esatte, poi aveva distrutto l'apparato uditivo di sua madre, di Choji, di Shikamaru, di Sakura, di Tsunade che le faceva da psicologa e di suo padre nell'alto dei cieli e aveva detto basta.
Basta con i piagnistei, basta con la tristezza, basta con le stronzate.
D'altro canto, Choji, era stato abbastanza orgoglioso dei suoi migliori amici che dopo neanche un mese dalla fine della guerra si erano saputi rialzare.
Rialzati un par di palle, avrebbe voluto dire Yoshino.
Il suo stupido figlio non si era rialzato per niente, si limitava a strisciare per le strade come una larva depressa e la faceva impazzire il fatto che non sembrava voler dare retta a nessuno, neanche al fantasma di Asuma. Cos'aveva imparato dalla dipartita del suo maestro? Un cazzo. Ecco, stava diventando davvero scurrile.
Neanche una volta l'aveva visto piangere. Nemmeno una.
A detta Sua, Yoshino non si era affatto ripresa dalla morte di suo marito. Certa era, che avrebbe dovuto risolvere lei i problemi di suo figlio: non avrebbe sopportato l'idea di vedere ancora le pedine dello shoji piantate su quel tavolino così come Shikaku le aveva lasciate soltanto perché a Shikamaru facevano paura.
Eccome se gli avrebbe dato una svegliata, altroché.


 

°°°


Avrebbe dovuto capire, Temari, che una disgrazia altamente irritante sarebbe accaduta alla sua esimia persona una volta varcato il cancello d'ingresso di Konoha.
Avrebbe dovuto capirlo dall'occhiata annoiata e per nulla professionale del ninja incaricato di sorvegliarlo, il dannato cancello, o dalle grida furiose che aveva avuto il dispiacere di sentire passando di fianco la casa del reietto Uchiha.
Sakura avrebbe dovuto darsi una calmata se non voleva rischiare un ulcera.
Durante tutto il tragitto faticò non poco a ignorare il senso di inquietudine che le attanagliava lo stomaco, non si lamentò neanche delle fesserie che sentì uscire dalla bocca di Naruto e provò, davvero ci provò con tutto il cuore, a ignorare Ino e Sai che limonavano in un angolino del parcogiochi.
Suvvia, un po' di contegno!
Poi, mentre discorreva con l'Hokage riguardo cose relativamente serie, ecco che la causa dello strimpellio delle corde vocali di Sakura comparve con un sonoro puff.
E con un altro puff se ne andò, non prima di averli resi partecipi della sua partenza e della sua modestissima opinione sul cambiamento meteorologico che sarebbe avvenuto da lì a brevi istanti. Temari avrebbe voluto urlare.
L'Hokage la lasciò quindi libera di trovarsi un alloggio, non voleva mica che la tanto decantata e onorevole sorella del Kazekage finisse per buscarsi una broncopolmonite per essere stata sotto la pioggia torrenziale.
Sarebbe stata una dichiarazione di guerra, conoscendo la flessibilità di Gaara, meglio non rischiare.
Kakashi era sempre stato un uomo che ci teneva a rimanere lontano dalle grane.
Temari, per la verità, aveva giurato a se stessa che mai avrebbe più messo piede in quel maledetto villaggio durante la stagione delle pioggie. Ma cos'era, una palude?
Lei odiava la pioggia, la detestava, l'aveva sempre detestata e non avrebbe mai cambiato idea in merito. Lei viveva in mezzo alla sabbia, dannazione!
L'acqua la vedeva soltanto quando c'era da dissetarsi e per non puzzare.
Non c'è mai limite al peggio. E a proposito di ciò...
Avrebbe dovuto capire, Temari, che un'altra disgrazia le sarebbe toccata una volta varcata la soglia di casa Nara. Ci era stata un paio di volte in quella dimora (grande, accogliente, ordinata) ed entrambe le volte Shikamaru aveva ordito un sofisticato sistema affinché le due donne più importanti della sua vita non si incontrassero.
Mai. Questione di sopravvivenza.
Temari pensò a mille modi per scappare da lì, mille e uno modi per convincerla a dimenticare e mille e venticinque modi per uccidere Shikamaru. Perché sì.
Cosa c'era di peggiore di bussare a una porta e ritrovarsi faccia a faccia con la propria futura suocera in preda a una crisi isterica?
Yoshino digrignò i denti come fosse una bestia pronta ad azzannare la preda, diventò rossa, gli occhi gonfi, le braccia rigide e un mestolo sporco di salsa (o era sangue?) stretto in una mano, l'altra aveva arpionato la maniglia della porta come se ne dipendesse la sua vita.
Furono attimi di silenzio, un silenzio che neppure Gaara avrebbe potuto sopportare.
Poi la donna terrificante parlò: «Entra.»


 

°°°


Aveva, per l'appunto, deciso di trasferirsi.
Il problema era uno. Uno soltanto.
Lo Shoji.
Shikamaru non aveva fisicamente il coraggio di prenderlo in mano e pensava che, magari, sua madre si sarebbe arrabbiata se l'avesse preso e portato con sè senza dirle nulla. Lei non prendeva mai bene niente che non le fosse stato detto e non parlava con sua madre da settimane.
L'avrebbe ammazzato se l'avesse visto in casa. Ma stava piovendo a dirotto e l'appartamento che aveva preso distava più di venti minuti da dove si trovava ora, ciò significava che se non voleva prendersi un raffreddore e rischiare di non andare a lavorare per giorni interi (pensare, pensare, pensare), sarebbe dovuto tornare a casa.
Alla sua vera casa. Dove c'era lo shoji. Dannazione.
Prima di bussare poggiò la nuca sulla porta e osservò la pioggia cadere, sotto al porticato non rischiava di bagnarsi e stava prendendo coraggio. Aveva ancora le chiavi in tasca, sua madre gliele aveva lanciate in fronte prima che sparisse chissà dove, ed era arrivato sul serio il momento di affrontarla.
Sua madre. Ma perse un battito quando, oltrepassato l'uscio di casa, vi trovò niente di meno che la sorella del Kazekage ad attenderlo con un cipiglio strano e indecifrabile.
L'unica cosa che aveva da dire gliela disse con lo sguardo ma lui non capì.
«Quella è la mia felpa» disse soltanto e Temari abbassò gli occhi verdi per poi ripiantarli nei suoi, questa volta vi lesse rabbia.
«Ti sei dimenticato che giorno è oggi? Potevi avvertirmi che ti eri trasferito.»
Shikamaru era sicuro al centoventi per cento che avesse incontrato sua madre e che si erano parlate ma, con sua enorme sorpresa, non trovò la sua genitrice da nessuna parte. Non era in cucina a smanettare con pentole e padelle, nè in bagno e nemmeno in camera sua. Tra l'altro, si sentiva in colpa per essersi dimenticato di lei.
«Com'è andato il viaggio?»
Temari riaccuffò la tazza di tè che aveva lasciato in cortile, si sedette e poggiò la schiena contro la porta scorrevole da cui poi apparve il suo fidanzato. «Bene, tutto sommato. Ho svolto egregiamente il mio lavoro di ambasciatrice. Poi ha incominciato a piovere e mi sono precipitata qui per non inzupparmi tutta.»
«Mh.»
Shikamaru aveva lo sguardo fisso sul giardino che veniva bersagliato dalle pesanti gocce di pioggia.
«Quella è la mia felpa» ripetè.
«No? Davvero? Pensavo fosse di tua madre.»
Shikamaru rabbrividì. «Di cosa avete parlato?»
«Cosa ti fa pensare che abbiamo parlato? Lei ha parlato, io ho ascoltato. Quello non era parlare» specificò, bevendo un sorso di tè caldo.
A pochi metri da loro c'era lo shoij. Il maledetto shoji. Temari l'aveva fissato per più di due ore, il tempo che ci aveva impiegato il Cretino ad arrivare, e non ci aveva visto niente di strano. Lui e suo padre ci giocavano spesso, le aveva detto Yoshino tra un singhiozzo e un altro.
Shikamaru faceva di tutto per non guardarlo.
«Facciamo una partita?» gli chiese, prendendolo alla sprovvista.
Dopo il turbamento iniziale, il Nara sbuffò una risata. «Non ci sai neanche giocare.»
Lei lo guardò storto per un attimo «Insegnami.»
Shikamaru davvero non aveva intenzione di toccare quelle pedine, non avrebbe voluto farlo per almeno i prossimi cento anni.
«Sono uno stupido» ammise guardandola negli occhi.
Temari sghignazzò. «Lo so. Allora, cominciamo?»


 

°°°



Che gioco di merda.
Non erano passati neanche cinque minuti che Temari già era in difficoltà. Contro un avversario normale avrebbe potuto anche vincere ma, di certo, un Nara non lo si poteva battere con stupide tattiche elementari.
«Fai schifo allo shoji» fece lui.
Temari lo incenerì con lo sguardo. «Tu fai schifo in tante cose, Shika, ma non te lo vengo certo a sbattere in faccia.»
Shiakamru ghignò.
In un certo senso qualcosa si era mosso dentro di lui, che era celebrato come il più grande stratega di Konoha e che da settimane non riusciva a capacitarsi del perchè.
Era un ninja, un jonin per la precisione, avrebbe dovuto saperlo: un ninja supera qualsiasi avversità, qualsiasi lutto, qualsiasi cosa. Lui l'aveva superata. Davvero.
Il problema è quel maledetto gioco del cazzo!
Shikamaru, per un periodo, sentiva di odiarlo. Era sempre con lui che giocava a shoji, a ogni ora del giorno e della notte giocavano agli scacchi giapponesi e parlavano.
Di tutto. Di Yoshino, della squadra, di Temari, di Naruto, di politica, del villaggio, dei suoi problemi adolescenziali, della guerra, di Asuma, di Mirai, di allenamenti, delle tecniche che avrebe dovuto insegnarli, di strategie.
E Shikamaru era stanco di pensarci.
«Ti sei incantato? Tocca a te.»
«Ho vinto» disse soltanto, mascherando in maniera obrobriosa un piccolo ghigno.
Sì, gli piaceva da morire vederla diventare rossa di rabbia.
Temari, come previsto, arrossì a causa della sconfitta subita e poi sbuffò come una locomotiva. Non capiva come agli uomini di quella casa potesse piacere tanto quello stupido gioco da tavola.
«Beh, allora? Che facciamo adesso?»
Shikamaru la guardò attentamente, posò gli occhi prima sui suoi capelli sciolti dalle solite code e leggermente umidi, sulla sua felpa che addosso a lei sembrava davvero enorme, poi suoi pantaloncini e sulle gambe liscie e snelle.
Doveva ammetterlo, la prima volta che l'aveva vista non ci aveva neanche fatto caso a quanto attraente fosse, la kunoichi più spietata di Suna.
Per la verità non sapeva cosa proporre, decise soltanto che era arrivato il momento di dirglielo. Almeno a lei...
«Mi manca.»
Temari corrugò la fronte, il Nara dinanzi a lei la stava guardando e a quel punto capì. «Lo so.»
«E grazie, non facevo una partita a shoji da una vita.»
«So anche questo.»
Shikamaru storse il naso. «Mia madre ha una bruttissima abitudine.»
«Tua madre è una grande» ribattè lei, poi aggiunse: «Ma non dire che l'ho detto, intesi?»
Shikamaru sbuffò una risata. «Aah, mio padre aveva ragione. Quella della nostra famiglia è proprio una maledizione!»
Lei non capì cosa intendesse dire, ma non chiese altro.















 

#Rosy:
Scritta inizialmente per un Contest, non ho avuto il tempo di terminarla, l'ho lasciata in una cartella e poi l'ho ritrovata ^^
Ho volontariamente troncato il finale. Io adoro Shikamaru e adoro ancora di più Temari, due personaggi meravigliosi e veramente, ma veramente forti.
Shikkaku è morto e Shikamaru non è stupido, in qualche modo se n'è fatta una ragione. Qui il punto è lo shoji. Nella seria ci viene detto più e più volte che un ninja è colui che deve superare ogni cosa, sopportare l'odio (vedi Itachi) e la morte dei propri cari per andare avanti. Shikamaru ce l'ha dimostrato durante la guerra. Non ha ceduto.
Ma ho pensato, come si sarebbe comportato una volta tornato a Konoha, dopo aver dato la tragica notizia a sua madre? E lo shoji? Penso che per i Nara quello non sia solo un semplice gioco, è un modo per parlare e capirsi (la stessa funzione dei pugni per Naruto e Sasuke per intenderci) e, ovviamente, Temari non può comprendere a pieno il suo significato.
L'ho espressamente fatto notare perché in una coppia non per forza ci si deve comprendere al 100%, anche se Temari non potrà mai capire cosa significhi veramente quello shoji, non significa che non lo ami abbastanza o che non ci stia provando.
Okay, ora vi lascio in pace ^^ Grazie per essere giunti sin qui. Un bacio

Rosy

 
  
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