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Autore: EleAB98    27/03/2020    6 recensioni
(SERIE 1*) Hollywood U è una delle università più prestigiose della California.
Jane McMiller, ragazza ambiziosa dotata di grande talento, ha un sogno: diventare un'affermata regista. C'è solamente un ostacolo che s’interpone tra lei e il suo sogno. Thomas Hunt, infatti, il professore più in gamba dell'università, non le darà certo vita facile.
E come se non bastasse, la giovane ragazza si ritroverà, ancora una volta, a scegliere tra l'amore e la carriera.
Due mondi apparentemente inconciliabili, uniti da un filo sottile. Due mondi destinati a scontrarsi con la forza più misteriosa e allo stesso tempo più potente. La forza dell'amore.
Di un amore proibito che li sconvolgerà totalmente...
NOTA: Sono presenti delle citazioni tratte dal romanzo Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'Alunna e Il Professore'
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Il mattino seguente, risvegliarsi reduci da una serata piena di intense - quanto fastidiose - riflessioni non fu certo cosa semplice. Jane si stiracchiò e, pigramente, andò a prepararsi per recarsi all'università. Preferiva di gran lunga arrivare in anticipo e gustarsi una piacevole passeggiata per le vie di Hollywood, piuttosto che sprecare preziose energie al fine di arrivare in tempo.

La giornata si prospettava magnifica, almeno dal punto di vista meteorologico. L'umore di Jane, però, non era certo dei migliori, quella mattina. Passeggiando lentamente lungo il viale che costeggiava il suo dormitorio, incontrò ben poche persone con le quali scambiare qualche semplice parola... Chissà, magari intraprendere una conversazione l'avrebbe aiutata a liberare la sua mente da quei violenti interrogativi che avevano turbato il suo sonno.

Non appena giunse in classe, regnava un silenzio tombale. Mancava ormai poco all'inizio della lezione ma, stranamente, sembrava che nessuno dei suoi colleghi intendesse approfittare di quel lasso di tempo per concedersi una rilassante chiacchierata. Ogni singolo studente teneva il capo chino e lo sguardo fisso sul libro di testo del corso. A quanto pare, nemmeno l'ombra di qualcuno che avesse voglia di comunicare con lei... Jane si domandò il motivo di quell'insolito scenario: aveva per caso dimenticato di svolgere un compito importante?

Aprì la sua agenda: nessun impegno di sorta di cui avrebbe dovuto occuparsi. Nessuna novità in arrivo nei prossimi giorni.
 
Trascorsero dieci minuti.
 
Poi altri cinque.
 
Poi altri dieci.
 
Niente. Sembrava proprio che il professor Hunt non intendesse fare il suo ingresso in aula, quel giorno.

 
Ovviamente, gli studenti non mancarono di interrogarsi sul motivo della sua improvvisa assenza. Era forse successo qualcosa di grave? Hunt non pareva certo il tipo di uomo che avrebbe ignorato i suoi obblighi lavorativi come se nulla fosse.
Aveva per caso l'influenza?
No, doveva essere accaduto qualcosa di ben più serio.

Il professore sarebbe venuto a lezione anche con la febbre, i ragazzi ne erano più che sicuri. Il tempo passava e alcuni studenti uscirono dalla classe, visibilmente rassegnati. Jane rimase da sola, chiusa nei propri pensieri concernenti la strana situazione e l'insolita nottata che aveva trascorso. In effetti, una misteriosa quanto inspiegabile sensazione di agitazione, coniugata a un sentimento di inaspettata e pura felicità, aveva fatto capolino nel suo intimo. Chissà, magari non riusciva ancora a figurarsi una studentessa della Hollywood U a tutti gli effetti.

Oppure, dentro di lei stava accadendo qualcos'altro.

Qualcos'altro a cui non riusciva ancora a dare un nome ma che, paradossalmente, stava prendendo pieno possesso del suo corpo e della sua mente.

Persa nuovamente nei suoi pensieri, la ragazza prese il suo zaino e uscì dall'aula, dirigendosi nel bar a pochi passi dall'università. Magari, prendere un cappuccino - accompagnato alla lettura di un buon libro - l'avrebbe aiutata a schiarirsi le idee.

Oppure, l'avrebbe confusa maggiormente?

 
***
 
Thomas Hunt si era appena svegliato quando si accorse di trovarsi sul divano, completamente vestito e terribilmente spettinato. Ancora assonnato, guardò di sfuggita la sveglia poggiata sul davanzale del soggiorno.
Sobbalzò immediatamente.
Aveva dormito per ben due ore in più rispetto al solito. E ciò non era stato affatto un bene. Avrebbe dovuto presentarsi a lezione da un pezzo, invece si trovava ancora sul divano in un parziale stato di trance.

Come avrebbe giustificato la sua assenza al preside della facoltà?

Era consuetudine avvertire ogni qualvolta un docente doveva assentarsi per qualche motivo. Ed era altresì consuetudine preparare un certificato preliminare che attestasse la suddetta assenza.
Thomas tentò di alzarsi dal divano: aveva un gran mal di testa. Sembrava quasi che stesse vivendo i postumi di una sbornia. Ma sapeva benissimo che, la sera precedente, non aveva affatto bevuto.
Barcollando, raggiunse la cucina per bere un bicchiere d'acqua.

Chissà, magari era in crisi di astinenza. Di solito, prima di andare a dormire, beveva sempre un goccio di brandy, o quantomeno un qualcosa che lo tirasse su di morale e lo aiutasse ad affrontare eventuali dispiaceri. Inoltre, tale abitudine gli era senz'altro d'aiuto per pianificare al meglio le giornate lavorative successive, facendo chiarezza sulle varie responsabilità cui avrebbe dovuto ottemperare.

Invece, questa volta, sembrava che la sua mente non ne volesse affatto sapere di programmare nei minimi dettagli l’intensa giornata che lo aspettava. Con aria stanca, Thomas prese le chiavi della macchina. Pur non essendo in perfetta forma, sarebbe andato il prima possibile all'università e spiegato la situazione direttamente al preside.

Cosa gli avrebbe detto, però? Ancora non lo sapeva, in realtà. Ci avrebbe pensato a tempo debito.
Una volta sceso dalla macchina, Hunt si avviò nel bar cui soleva recarsi ogni mattina. Fu immediatamente colto di sorpresa quando vide la signorina McMiller gustarsi tranquillamente un cappuccino, rannicchiata in un angolo del bar.

La ragazza stava leggendo un libro.

Anche Thomas amava leggere e sembrava che nel profondo provasse una vaga - quanto strana - curiosità nel voler scoprire di che genere di libro si trattasse. Jane non si era accorta minimamente della sua presenza né tantomeno delle persone che, a poco a poco, prendevano posto sui tavoli, a poca distanza da lei.

Era talmente concentrata e assorta nella lettura che Hunt avrebbe giurato che la ragazza fosse entrata in una sorta di mondo parallelo nel quale sarebbe volentieri rimasta per il resto della sua vita.
I suoi occhi azzurri divoravano le pagine di quel misterioso libro che tanto attirava la sua attenzione. Per un momento, Hunt la fissò con estrema attenzione. Sembrava una ragazza completamente diversa da quella che aveva avuto modo di osservare all'università.

Una ragazza tranquilla che passava il suo tempo libero leggendo, contro la ragazza grintosa e spigliata che aveva avuto modo di conoscere a lezione. Sul momento, Hunt trovò assurdo che proprio lui facesse questi paragoni. In fondo, ciascun individuo ha un proprio lato nascosto, un lato che non mostra mai a nessuno ma che, paradossalmente, risulta essere la sua parte più affascinante.

Hunt si riscosse da quel pensiero che, a tratti, gli parve essere sconveniente. Egli, comunque, credeva davvero di non poter conoscere veramente i suoi studenti, di non poter riuscire sempre a individuare i loro punti deboli in modo da trasformarli in punti di forza. Eppure credeva anche che, prima o poi, la reale personalità di un individuo si rivelasse ‘dal nulla’, persino da quei piccoli particolari giudicati dai più insignificanti. Insomma, anche stavolta, le usuali considerazioni riguardo l'inutilità delle apparenze parevano aver confermato le sue personali convinzioni.

Sul momento, Thomas pensò che non fosse giusto immischiarsi negli affari della signorina... Eppure, aveva come l'impressione che una forza invisibile ma percettibile lo stesse conducendo verso di lei.
La curiosità del professore, perciò, ebbe la meglio. Con sentita discrezione, cercò di avvicinarsi al tavolo della signorina Jane senza dare troppo nell'occhio.

Non appena scoprì il titolo del libro che la giovane stava leggendo con tanta attenzione, ebbe un tuffo al cuore.
 
Cime Tempestose, di Emily Brönte.
 
Quel romanzo era il preferito di Yvonne.
 
Yvonne.
 
Era tutta colpa sua se lui aveva fatto ritardo al lavoro. Era tutta colpa sua se adesso si trovava nei guai e avrebbe dovuto giustificare un'assenza di fatto ingiustificabile.

Colto da un improvviso mancamento, Hunt tornò a sedersi sul bancone del bar. Sembrava che la sua studentessa non si fosse minimamente accorta del suo avvicinamento e questo lo rese istantaneamente più rilassato.

Dentro se stesso, però, un turbinio di agitazione improvvisa aveva intaccato il suo spirito. Era da moltissimo tempo che non si era sentito più vittima di quella sensazione così sgradevole.
Per quale motivo si era ripresentata così all'improvviso?

Anziché del caffè, Thomas ordinò al barista un semplice bicchiere d'acqua. Avrebbe fatto meglio a restarsene tranquillo, seduto per qualche minuto, senza pensare a niente. Pochi istanti dopo, però, percepì dietro sé una voce che lo stava chiamando.
Era Priya, a quanto pare visibilmente turbata.

“Buongiorno Priya.” esordì lui con tranquillità.
“Thomas, si può sapere dove sei stato ieri sera?”

L’uomo sembrò irritato dall'atteggiamento eccessivamente accorto della donna e, per la prima volta dopo tanto tempo, le rispose con fare insolitamente aggressivo.

“Ero a casa, ok?”

In quel momento, Jane alzò gli occhi dal libro: Hunt e Priya si trovavano a proprio davanti a lei.

“Non sono stato bene e disgraziatamente non ho potuto avvertire tempestivamente il preside Cook.” continuò l’uomo, tentando di giustificare la sua presenza in quel bar.

Priya mise le mani avanti.

“Mi dispiace Thomas, non volevo farti irritare. Ero solamente preoccupata per te. Però non mi sembra il caso di reagire in questo modo.”
“Sono io che devo scusarmi, Priya.” sospirò Hunt. “Ieri non ho trascorso una buona serata e me la sto prendendo ingiustamente con te... Perdonami.”
“Stai tranquillo, ti capisco e accetto le tue scuse. Capita a tutti di avere delle giornate no, di tanto in tanto.”
“Ti ringrazio per il sostegno, Priya. Ma adesso, il problema è uno solo: come posso giustificare la mia assenza di stamane al preside? Sicuramente non potrà accettare il fatto che io non glielo abbia fatto presente il giorno prima.”

La donna sorrise, trionfante.

“Non temere, a questo ci ho già pensato io.”
“Stai dicendo sul serio?” ribatté lui, visibilmente sorpreso.
“Sì. Questa mattina, ho avvisato per tempo il preside della facoltà perché avevo lo strano sentore che non saresti venuto. A quanto pare, avevo ragione.”
“E cosa gli hai detto?” replicò lui, sempre più sbalordito.
“Gli ho semplicemente riferito che ti stavi occupando di tua sorella Rachel a casa sua e che, pertanto, non saresti potuto venire prima delle 11:30.”
“E lui ci ha creduto?”
“Certamente. Gli ho spiegato che tale impegno era sorto proprio al mattino e che tu non avresti potuto avvertire, dato che io possiedo il tuo telefonino.”

Thomas controllò nella tasca della sua giacca. Effettivamente, non aveva il cellulare con sé.

“Cavolo. Devo essermene dimenticato ieri nel tuo ufficio, non è così?”
“Esatto.”
“Ho proprio la testa fra le nuvole.” rispose Thomas, scuotendo il capo.
“Lo credo bene. Hai lavorato fin troppo in questo periodo.” lo rimproverò lei. “Forse dovresti prenderti un periodo di aspettativa.”
“Non hai tutti i torti, in effetti. Ma per quanto riguarda il certificato inerente la mia assenza? Cosa ti ha detto il signor Cook? Inoltre, non ha pensato al fatto che io avrei comunque potuto telefonargli, in qualche modo?”
“A proposito del certificato, il preside ha detto che avresti dovuto portarglielo stamane non appena saresti arrivato. Mentre riguardo l'altra questione... Sei stato stranamente fortunato, il preside non ha messo in lista l'eventualità alla quale hai pensato tu.”

Thomas stentava ancora a crederle.

“Forse, per questa volta, avrà chiuso un occhio. Anche se fatico a credere che il preside Cook me la faccia passare liscia.”

Priya colse l'ironia di Hunt, sebbene sapesse che il professore pensava veramente ciò che le aveva appena detto.

“Io penso di sì, invece. Sei stato sempre diligente e puntuale nello sbrigare le faccende di lavoro.”
Esattamente. Peccato che non sia mai stato così impeccabile nelle questioni di cuore... avrebbe voluto rispondere.
 
“Può darsi che tu abbia ragione.” rispose invece, sovrappensiero.
“Comunque, cosa ti è successo ieri sera? Ho chiamato più volte a casa tua, ma non hai mai risposto.”

L’atteggiamento dell'uomo si mantenne sul vago.

“Scusami Priya... Devo essermi addormentato per non aver sentito squillare il telefono.”
“Capisco. Se non me ne vuoi parlare, rispetterò la tua decisione. Ma ricordati che ci sarò sempre per te.”

Thomas sorrise.

“Questo mi rallegra. Sai che vale lo stesso per me.”
“Certamente... Adesso però sarà meglio che ti sbrighi. Prepara il certificato e mostralo al preside. Intanto, ecco il tuo cellulare.”
“Non so come ringraziarti, Priya, ti sono davvero riconoscente. Anche stavolta, sei riuscita a tirarmi fuori dai guai.”
“A questo servono gli amici, no?”
 
Già. Stava davvero cercando di convincere se stessa che Hunt avrebbe potuto essere soltanto un amico. Ma ci sarebbe mai riuscita?
 
In quel preciso momento, Thomas abbracciò affettuosamente la donna, la quale ricambiò nell’immediato il suo gesto, pur non aspettandosi quella reazione istintiva da parte di Hunt. 
 
“Ti sono debitore, Priya. Ci vediamo più tardi.”

Hunt uscì di corsa dal bar e nel frattempo, Jane aveva assistito a tutta la scena. A quanto pare, il professore non era poi così solo come aveva tentato di far credere all'intera classe. Anche quel professore aveva bisogno di una spalla su cui ridere o piangere, di tanto in tanto. Anche quel professore apparentemente perfetto, aveva le sue debolezze.

E quella donna - nonché sua ex fidanzata - sembrava avergliele, almeno sul momento, tirate fuori.
 

 
***

 
Nel suo dormitorio Addison cercava, inutilmente, di concentrarsi. Tentava furiosamente di disegnare un bozzetto che potesse essere all'altezza del compito che le era stato assegnato.
Sembrava proprio, però, che l'ispirazione tardasse ad arrivare, così come la speranza di poter riuscire a terminare in tempo quell'importante progetto. Mancavano poco più di tre giorni alla consegna e lei non aveva nemmeno uno stralcio di bozza che potesse utilizzare come punto di partenza.

Eppure, gli elementi che aveva raccolto le sembravano più che sufficienti per poter affrontare con la giusta grinta quella situazione e uscirne a testa alta e con soddisfazione. Colta da un improvviso impeto di nostalgia, la giovane estrasse dal cassetto della scrivania il suo vecchio booklet, che conteneva numerosi bozzetti realizzati durante gli anni del liceo. Sicuramente, apportare delle migliorie a quei modelli eseguiti senza alcuna tecnica particolare, sarebbe stato senza dubbio un aspetto da tenere in considerazione.

Ma sarebbe mai riuscita a creare quei modelli? Oppure si sarebbe fermata all'astratto, senza scendere nel concreto?

D'un tratto e inaspettatamente, le si insinuò il dubbio di non aver scelto la facoltà giusta per lei. E se il superamento del test avesse solamente rappresentato un colpo di fortuna?
No, non poteva essere. La ragazza doveva pur avere un minimo di talento, altrimenti non avrebbe mai fatto parte della classe della professoressa Singh.

Se però il talento non fosse bastato alla realizzazione del suo grande sogno?

Addison prese nuovamente la matita - quello strumento che aveva sempre giudicato così insignificante eppure estremamente utile – tra le dita.
 
Possibile che la realizzazione del suo desiderio dipendesse da una semplice matita?
 
Esattamente. Tutti dipendiamo da un qualcosa. Lo scrittore dipende dalla sua penna, il regista dipende dal suo rapporto con la telecamera, l'agente segreto affida il proprio successo a tecnologie all'avanguardia e di elevate prestazioni. Insomma, qualunque professione dipendeva da un'apposita strumentazione che avrebbe permesso a ciascuno di esercitarla.

Ma allora da cosa dipende l'esistenza di ogni singola persona?

Non può dipendere semplicemente dall'uomo stesso se, come detto prima, egli stesso dipende da un qualcosa.

Di sicuro, l'esistenza dell'essere umano doveva dipendere da un'entità superiore, da un essere la cui caratteristica fosse la totale onniscienza. O almeno, questo è il pensiero di tutti coloro che credono nella religione.
 
A questo punto, Addison si fece una domanda:
 
Lei stessa, in cosa credeva?
 
Semplice: era fermamente convinta che un giorno sarebbe riuscita a conseguire con successo i suoi ambiziosi progetti, nonché a soddisfare i suoi più profondi desideri.
Era questo ciò in cui lei credeva fermamente, e doveva continuare a crederci. I discorsi filosofici non l'avrebbero senz'altro aiutata ad attuare tale conseguimento, o almeno non concretamente.
Quella matita che lei stringeva ancora tra le mani, rappresentava tutto il suo futuro. Simboleggiava la profonda passione per il disegno; passione che la ragazza aveva sviluppato sin dai primissimi anni di vita.
Pertanto, doveva riuscire nell'impresa. A qualsiasi costo.
   
 
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