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Autore: Danny Fan    30/03/2020    0 recensioni
[Il Giro del Mondo in 80 giorni]
[Il Giro del Mondo in 80 giorni]Una pazza scommessa, un viaggio intorno al mondo, un incontro voluto dal destino. Una storia d'amore senza tempo, fra i rintocchi dell'orologio e il tè dell'India coloniale.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Singapore, 30 e 31 ottobre 1872.


Raggiunsero il grande salone del Rangoon, dove militavano alcuni passeggeri, intenti in leggere conversazioni.
Aouda aveva passato l’ultima ora a raccontare a Phileas Fogg gli anni della sua educazione inglese a Bombay. Gli aveva parlato dei gentiluomini che aveva conosciuto in India a causa del mestiere di suo padre, e delle cose che in gioventù aveva trovato bizzarre del modo di vivere e di comportarsi degli inglesi, in rapporto alla cultura indiana. Gli aveva anche raccontato alcune brutte figure che aveva fatto da adolescente, quando ancora non conosceva bene tutte le parole della lingua, e di quanto si fosse vergognata nel capire i malintesi, nonostante il sommo divertimento dei coloniali.
Sperava, raccontandogli quelle cose sciocche, di strappargli almeno un aperto sorriso.
Ma niente.
Il massimo che ottenne fu un’espressione di cortese interesse, sebbene le parve che i suoi occhi celesti fossero più brillanti e attenti, quel pomeriggio.
Quando venne l’ora del tè, Aouda si schermì violentemente, portandosi una mano alla fronte, << Mi scuso, signor Fogg, non ho fatto altro che parlare e parlare. Dovete essere esausto dal sentire la mia voce >>.
Egli scosse un poco il capo, versandole la bevanda profumata, << Affatto, signora. Mi fa piacere ascoltarvi >>.
Aouda avrebbe voluto fargli notare come sarebbe piaciuto anche a lei che lui le raccontasse qualcosa, ma non le pareva il modo giusto di approcciarsi. Non voleva forzarlo alla conversazione. Voleva che fosse a suo agio con lei, che non si sentisse costretto a fare nulla che non volesse. O più di quello che già aveva fatto per lei, dal momento in cui l’aveva strappata alla morte.
Però, mentre sorseggiavano il tè, in un silenzio assorto e rilassato, notò che lui guardava dal grande oblò ad arco, oltre il mare. All’orizzonte si profilava, come quasi sempre nella circumnavigazione, una costa brunastra.
<< Non ho idea di dove siamo, oramai >>, commentò Aouda, tanto per dire qualcosa. Certe volte, il silenzio con lui la imbarazzava, senza sapere come mai. Specie quando assumeva quell’aria assorta, e lei si chiedeva a cosa mai stesse pensando.
<< Nello Stretto di Malacca >>, rispose dopo una lunghissima pausa Phileas Fogg, voltandosi di nuovo verso di lei, << Domani faremo tappa a Singapore >>.
<< Singapore? >>, ripetè lei, confusa, << Non siamo diretti a Hong Kong? >>.
<< Sì, signora. Ma dobbiamo fermarci per fare rifornimento di carbone >>.
<< Capisco >>, disse Aouda, riprendendo a sorseggiare il suo tè, << Passepartout mi ha detto della scommessa. La tappa forzata non rallenterà il vostro viaggio? >>.
Il signor Fogg scosse il capo, << Per nulla. Ogni tappa per rifornimento rientra nel mio programma >>.
<< Perdonerete la mia indiscrezione nel voler conoscere i vostri affari. Si parlava del più e del meno col vostro bravo servo, e così... >>.
<< Non dovete scusarvi >>, disse Fogg, posando la tazza vuota, << Il mio viaggio non ha nulla di segreto >>.
Aouda gli sorrise con garbo, << Allora mi permetterete di augurarvi la buona riuscita, nonostante l’imprevisto che ho costituito per voi >>.
<< Ve ne ringrazio >>, le rispose lui, incrociando le braccia e massaggiandosi i baffi con aria rilassata e grave al tempo stesso, << Ad ogni modo, l’avervi sottratta al sati non costituisce un imprevisto >>.
<< Ah no? >>, domandò perplessa Aouda.
<< È una cosa che ho deciso di fare. Non si può evitare un imprevisto, si può ovviare ad esso in molti modi. Ma nel vostro caso, si è trattato di una deviazione volontaria >>.
Aouda si emozionò molto a quella rettifica. Era incredibile quanto le alleggerisse la coscienza il sentirgli dire che non era stata un intoppo per lui, ma una “deviazione volontaria”.
C’era il sole, quel pomeriggio del 30 ottobre 1872. Ma da quel momento in poi, le parve ancor più luminoso.
 
 
Il 31 ottobre, il Rangoon gettò l’ancora nell’isola di Singapore per il suo rifornimento.
La sosta sarebbe stata lunga mezza giornata, e Phileas aveva appena finito di annotare un vantaggio di dieci ore nella sua tabella dei profitti, sul diario di viaggio, quando la signora Aouda lo raggiunse sul ponte coperto assieme a Passepartout.
Quella mattina, a causa del lieve venticello, lei aveva indossato lo scialle che le avevano procurato a Calcutta, e nonostante il solito abito, era fresca e smagliante come una rosa.
La sua bellezza fulgeva particolarmente, quel mattino, e Phileas pensò che urgesse davvero procurarle degli altri vestiti, per metterla ancora di più a suo agio. La sua sopportazione di quella situazione lo sorprendeva ogni giorno. Le donne che aveva sempre conosciuto si lamentavano in continuazione, di ogni piccola cosa. Aouda stava indossando lo stesso abito per più di sei giorni, e non aveva ancora mostrato nessuna rimostranza, nè sembrava a disagio. Anzi, il suo sorriso si faceva più aperto e luminoso man mano che i giorni passavano.
<< Com’è bello >>, commentò, guardando il panorama dell’isola, << Chissà come sarebbe andare a zonzo per visitare questo luogo >>.
Phileas chiuse il diario, << Scendiamo, se avete voglia di passeggiare sulla terraferma >>.
Aouda lo guardò con gli occhi neri sgranati, << Veramente? Possiamo scendere? >>.
<< Certo. I rifornimenti dureranno almeno tutta la mattina >>.
<< Oh, signor Fogg. Sarebbe meraviglioso! >>.
<< È deciso, allora. Passepartout? >>.
<< Signore? >>, rispose allegramente il francese.
<< Vi affido le solite compere >>.
<< Certamente, signore >>.
<< Ah, e per favore >>, lo prese da parte, abbassando la voce, << Vedete se riuscite a procurare qualche altro abito per la signora Aouda. Come sempre avete un credito illimitato per questa incombenza >>.
Passepartout sorrise apertamente, << Sarà fatto >>.
Phileas tornò da Aouda, la quale guardava con entusiasmo la banchina e il verde dell’isola.
<< Signora, se siete pronta... >>.
<< Certamente >>.
Come al solito le porse il braccio e discesero dal battello. Sul dock, Phileas noleggiò una carrozza trainata da due bei cavalli bai.
Aouda sorrideva, come se stessero andando ad una festa.
Gli faceva un enorme piacere vederla finalmente rasserenata, e quello stato d’animo influiva talmente tanto sullo splendore della donna da rendergli quasi difficile stare a guardarla. La sua bellezza asiatica, così sensualmente indiana nonostante l’educazione e le ottime maniere, lo mettevano incredibilmente a disagio, sebbene per fortuna riuscisse con facilità a celare questo stato d’animo dietro una vaga distrazione.
<< Vi ringrazio così tanto, signor Fogg, per avermi concesso il piacere di questa passeggiata >>, gli disse, con quella voce dolce e bassa nella quale egli riusciva a sentire un trillo di pura contentezza.
<< Non occorre che mi ringraziate >>, le rispose, << Mi rendo conto che i giorni in mare siano pesanti per una fanciulla >>.
Aouda sorrise con lieve ironia, << Beh, ho vissuto giorni decisamente peggiori >>.
Quell’uscita lo colpì molto. Dopo averla salvata, non aveva più pensato a cosa lei poteva aver vissuto prima del sati. Già il solo matrimonio forzato doveva essere stato destabilizzante. Scoprire che il Raja era un vecchio moribondo, poi, l’aveva senza dubbio lasciata nell’angoscia della morte di questi e delle sue conseguenze. Aveva fatto in tempo ad affezionarsi a lui? Cosa aveva provato nella consapevolezza del decesso del marito e  della sorte che questo comportava per lei? Cosa durante la disperata fuga? E cosa ancora mentre veniva ricatturata e drogata con la forza, sapendo che forse non si sarebbe svegliata mai più? Quell’insieme di esperienze dovevano averla temprata, tanto che adesso era pronta a superare le piccole difficoltà con una leggerezza disarmante in una donna così giovane e altolocata.
La carrozza li lasciò alle porte di un parco, uno dei molti che coprivano Singapore come una scacchiera.
Gli occhi di Aouda brillavano alla vista degli alberi e dei fiori.
<< Vi piace il verde, vero? >>, le domandò Phileas, porgendole il braccio, al quale lei si appoggiò leggera e aerea tanto che gli parve di volteggiare assieme anzichè camminare semplicemente, come stavano facendo.
<< Tanto >>, rispose Aouda, << In Inghilterra, mi hanno detto, c’è molta natura >>.
Phileas ebbe un sorrisetto, << Non a Londra. Ossia, vi sono molti parchi, ma la città è grigia e fumosa. Però le campagne circostanti sono floride, con molti boschi e pascoli per le bestie >>.
<< E si può passeggiare in quelle campagne? >>.
Phileas non riuscì ad impedirsi di inarcare leggermente un sopracciglio. Doveva piacerle veramente tantissimo, passeggiare.
<< Volendo, sì >>, le rispose, non trovando altra argomentazione. Uno in effetti poteva passeggiare anche in cima all’Everest, se voleva farlo.
Aouda annuì, quasi fra sè, poi divenne stranamente taciturna e pensosa, e per molti minuti camminarono in silenzio.
Successivamente, si rianimò, e iniziò a indicargli tutti i fiori dei quali conosceva i nomi, chiedendogli di farle conoscere il nome inglese di quelli che non sapeva chiamare, se non col corrispondente indiano.
Phileas le chiese un paio di volte di ripetere come queste piante venissero apostrofate in India, e lei volentieri accondiscese.
Gli piaceva come pronunciava le parole nella sua lingua madre. Le sue labbra brune sembravano formulare incantesimi.
Fu una piacevolissima mattinata, e quando il sole fu alto e Phileas, perplesso, consultò il suo orologio, scoprì che erano passate le dieci. Per la prima volta in vita sua, ebbe l’impressione che le lancette avessero corso come spinte dal più potente motore conosciuto, e il tempo aveva accelerato anzichè seguire il suo solito ritmo monotono. Quel tempo trascorso con Aouda, pensò, era di natura incomprensibile.
Mancavano però solo altri quattro giorni per raggiungere Hong Kong, e là, dopo averle detto addio, il tempo che gli era sempre stato complice, avrebbe ripreso il suo ritmo, trascinandosi, così prevedibile e vuoto.
 
 
Il Rangoon era ripartito alle undici, dopo aver finito il suo rifornimento di carbone, e aver imbarcato numerosi altri passeggeri diretti in Cina.
Prima di ritirarsi nella sua cabina, Aouda aveva ricevuto da Passepartout quattro grossi mango che il servo aveva comprato a Singapore, e due abiti nuovi, chiusi in grosse scatole che il buon giovane si premurò di portare nel suo alloggio. Aouda lo ringraziò sentitamente. Il pensiero dei frutti era stato di Passepartout e basta, non gli era stato richiesto, come certamente era invece accaduto per gli abiti, dal signor Fogg. Perciò Aouda rivolse un cortesissimo ringraziamento al gentleman, poi un ennesimo grande sorriso al francese per l’idea che aveva avuto di allietarla con qualcosa di dolce e gustoso.
L’attimo dopo, prima di congedarsi per provare i vestiti, riguardo i quali era molto curiosa, guardò di nuovo il signor Fogg, e scoprì che aveva assunto uno strano cipiglio. La salutò freddamente, e si avviò con lentezza verso il salone del piroscafo.
Lungo il tragitto in direzione della sua stanza, Aouda riflettè su quell’atteggiamento.
Phileas Fogg le era sembrato di umore molto alto durante la mattinata. Certo, nel limite dei suoi canoni, quindi ancora nessun sorriso aperto, cosa della quale Aouda si rammaricava parecchio. Si era scoperta quasi a smaniare per avere da lui uno solo di quei sorrisi, prima di non rivederlo mai più. Oramai però disperava di poter assistere al miracolo, perchè quella mattinata era stata quanto di più piacevole si potesse ottenere in un viaggio serrato come quello che l’inglese stava compiendo.
Diamine, dove stai correndo, Phileas Fogg? Vorrei proprio saperlo.
Ad ogni modo, dopo una quantità inusuale di mezzi sorrisi e di parole, erano tornati a bordo e Passepartout le aveva consegnato i frutti. Aouda aveva sentito gli occhi celesti guizzare su di sè e sul servo, e aveva iniziato a provare una sensazione spiacevole, per poi scoprire che il signor Fogg aveva cambiato completamente umore. Non sembrava arrabbiato – non lo era mai sembrato da quando lo conosceva - , quanto piuttosto... deluso da qualcosa. Il modo in cui aveva spiato il sorriso sincero e aperto che lei aveva rivolto a Passepartout le aveva per un attimo fatto pensare allo sguardo di un uomo geloso, ma la cosa le era subito parsa insensata, oltre che imbarazzante e assurda. Chiunque, infatti, avrebbe potuto notare con chiarezza che fra lei e il francese non c’era la minima tensione, e anzi, proprio per questo motivo il loro rapporto era così aperto e naturale. Mentre chiudeva la porta della cabina, Aouda sospirò pesantemente nel constatare che quando invece era sola con Phileas Fogg, le sembrava sempre di dover trattenere il respiro. Non si trattava di un normale nervosismo, nè di timidezza – anche perchè lei non era affatto timida - , e il fatto di non riuscire a definire con esattezza cosa stesse provando per il gentiluomo inglese la turbava non poco.
È gratitudine, si disse, con fermezza, estrema gratitudine.
E poi è un bellissimo uomo. Tutto qui.
Per distrarsi da quei pensieri spaventosi, aprì le scatole posate sulla sua branda.
Quella sulla cima conteneva un set di biancheria intima, una chemise, un paio di morbide calze al ginocchio in lana e un paio di mutandoni in seta decorati all’orlo. Aouda si rinfrescò subito e indossò tutto allegramente, felice di ritrovare in quegli abiti, adatti al clima, un po’ di calore. In India amava vestire gli splendidi e coloratissimi saree, così evanescenti e freschi, ma nella parte del globo verso la quale stavano andando necessitava di abiti più pesanti. E lei ovviamente amava vestire alla moda occidentale, così ricca di... qualsiasi cosa! Sua madre diceva sempre, riguardo gli abiti europei: “Se puoi indossare qualcos’altro ancora, indossalo!”. I fronzoli non erano mai abbastanza.
Aouda andò alla scatola e trovò in fretta il corsetto, semplice, di tela bianca e stecche d’osso, che indossò da sola, cercando di stringerlo nel modo giusto come poteva, senza l’aiuto di qualcuno che tirasse i lacci. L’indumento intimo le modellò il busto, stringendo il punto vita e gonfiando il seno e i fianchi. Il prossimo indumento era la crinolette, che aveva la parte dell’orlo rigida per allargare la gonna, ma anche un gioco di stecche e soffietti sul retro, per sollevare la parte posteriore dell’abito. Fu quindi il turno della sottogonna di seta e della camiciola di flanella, che proteggeva il vestito dall’usura data dal corsetto.
Aouda trovò tutto molto comodo, perchè della sua taglia. Passepartout aveva aggiustato un po’ il tiro nel comprare quei vestiti, per certo era stato consigliato da una modista esperta.
Ora che tutto l’intimo era indossato, Aouda aprì la scatola successiva, e scoprì gli abiti veri e propri, due, abbastanza diversi fra loro. Uno era chiaramente un abito serale, mentre l’altro era un vestito da giorno, di bellissima fattura, in pizzo bianco e broccato color lavanda. Aouda provò per primo l’abito da sera, perchè voleva tenere indosso il secondo quel giorno stesso.
Il vestito non era sfarzoso, ma sobrio ed elegante, cucito con tessuti importati dall’Inghilterra, Aouda ne era sicura, perchè ne aveva visti e indossati molti così quando ancora suo padre era vivo.
Fece passare dalla testa la gonna di seta, di color ocra, quasi dorata, e la lisciò sui fianchi, compiacendosi di come cadeva bene. Non c’era una sopragonna, quindi Aouda ne fece a meno senza rimpianti, e provò invece il bustino con abbottonatura sul davanti, che ricalcava la forma del corsetto, ma recava un disegno più ricco ed elaborato, come se si portasse una blusa e una giacca aderenti, tutto in un solo indumento. Il colore riprendeva quello della gonna per le rifiniture, mentre il resto era di un avvolgente camoscio. Un cappellino molto frivolo completava il tutto, facendole rimpiangere di doversi già svestire.
Il rimpianto sparì presto nell’indossare l’abito color lavanda. La flanella morbidissima, ricoperta da splendidi pizzi bianchi, si intervallava al broccato nel bustino e nella gonna, creando un dualismo di eleganza e freschezza. Aouda si rimirò per un po’ allo specchio, chiedendosi come poter ringraziare il signor Fogg per quei regali senza essere ridondante. Ma alla fine si rese conto che non c’era realmente un altro modo, se non quello di dirgli che apprezzava enormemente quel che faceva per lei. Portare quegli abiti e mostrargli come le piacessero e come le donassero era forse la soluzione migliore, oltre alle parole. Così, Aouda si acconciò i capelli sulla nuca, per presentarsi al meglio, quindi guardò l’orologio. L’ora di pranzo era passata da un pezzo! Non era carino presentarsi in ritardo, così occhieggiò i bei mango che Passepartout le aveva offerto, e mangiò quelli, trovandoli deliziosi. D’altra parte, erano quasi le quattro, e tra poco il signor Fogg sarebbe venuto a prenderla per la sua ora della visita.
Aouda aspettò, ma il gentiluomo non arrivò.
La cosa la preoccupò subito. Cosa era successo a quel genio dell’esattezza per non presentarsi alla sua porta? Stava poco bene? Si era arrabbiato per il suo atteggiamento nei confronti del francese? Oppure era stufo di sentirla blaterare dopo la mattinata trascorsa assieme?
Depressa, Aouda rimase seduta sulla sua branda per una decina di minuti, a fissare il vuoto. Poi decise di uscire sul ponte, per distrarsi, magari informarsi, e anche testare l’abito, per essere sicura di aver fatto tutto per il meglio nel vestirsi di tutto punto.
La prima cosa che ottenne fu una rassicurazione sul suo stile. Molti furono i gentiluomini che sorrisero di piacere nel salutarla con cortesia mentre passava, come si ossequia una gran dama europea. Anche alcune donne le rivolsero cenni, poi Aouda le vide spettegolare fra loro e commentare su come fosse pregiato il broccato del suo abito nuovo.
C’era da dire che non le era mai importato tantissimo di essere alla moda. Sì, da adolescente aveva espresso la naturale frivolezza femminile, specie essendo figlia di un mercante e avendo tutti i giorni sotto gli occhi stoffe e accessori di ogni genere. Ma da quando era stata data in sposa forzatamente, quelle cose mondane avevano smesso di essere al centro del suo mondo. Da allora aveva provato il ripugno, la disillusione, il dolore, la paura, l’istinto di sopravvivenza, la disperazione, la fame, l’aspettativa della morte... La donna che era diventata, miracolosamente scampata al martirio, considerava quei vizi come cose belle, sì, ma del tutto secondarie. Aveva riscoperto le virtù principali per lei, la gentilezza, la forza d’animo e il coraggio, e le sue ambizioni primarie erano diventate poter contare su qualcuno, avere un punto fermo in un mondo crudele e ostile, evitare la solitudine dell’anima, per non farla dilagare nella melanconia. Avrebbe trovato tutte quelle cose a Hong Kong? Non lo sapeva, e il pensiero la agitò di nuovo.
Mentre era così pensosa, la raggiunse Passepartout, chiamandola allegramente.
Aouda colse subito l’occasione per ringraziarlo del suo dono.
<< Non mio, signora >>, mise subito in chiaro il francese, << Ma del mio padrone >>.
<< Vi ha ordinato di comperare della frutta per me? >>, domandò Aouda, in tono disinteressato.
<< No >>, rispose il servo, << Ma ogni volta che mi manda a far compere per voi, ci tiene sempre tanto a fornirmi un credito illimitato. E questo stimola la mia fantasia >>.
Aouda rise, e ribadì, in tono divertito, << Quindi ho ragione nel dover ringraziare la vostra fantasia >>.
<< Beh >>, disse il francese, << La natura mi ha fornito di questo dono. Alcune volte lo utilizzo >>, aggiunse sorridendole con rispettosa complicità.
<< E... >>, azzardò Aouda, << Il vostro padrone? Sta bene? >>.
<< Sì! >>, scrollò le spalle Passepartout, << Ma credo si sia preoccupato un po’ nel non vedervi a pranzo, poco dopo imbarcati. Certo, non saprei assicurarvelo con certezza, come sapete non è molto espressivo da potersi facilmente decifrare >>.
Aouda rise ancora, e fra sè si sentì rincuorata. Forse il signor Fogg aveva pensato che fosse molto stanca da non venire a pranzo e quindi aveva deciso di non disturbarla alla solita ora, aspettando che fosse lei a raggiungerlo. E adesso Aouda voleva farlo. Al più presto.
<< Sapete dove posso trovarlo? >>.
Passepartout guardò il suo orologio da taschino, che segnava un’ora completamente sballata, e annuì fra sè, come se fosse tutto chiaro, << Credo sia nel salone a giocare a whist >>.
Allora aspetterò un poco, pensò Aouda. Prima di tutto perchè non voleva disturbarlo, e poi perchè raggiungerlo per il tè delle cinque sarebbe stata una scusa perfetta per quello stranissimo desiderio di volerlo vedere immediatamente che la stava scuotendo tutta.
<< Perchè... >>, colse allora l’occasione, rivolgendosi ancora a Passepartout con curiosità, << Perchè il vostro orologio segna le nove? >>.
Il francese scrollò forte le spalle, << Perchè il sole è sbagliato >>, le rispose, lasciandola sia perplessa che estremamente divertita. E Aouda rise ancora, come si fa quando si è in compagnia di un vecchio amico.
 
 
 
Phileas giocò denari e attese la prevedibile reazione dell’avversario più prossimo, mentre il gentiluomo col quale faceva coppia nel gioco inarcava le sopracciglia, positivamente impressionato da quella mossa. Una reazione che egli giudicò un po’ esagerata per due motivi; uno, qualsiasi giocatore esperto poteva attuarla per portare gli avversari a concedere uno slam, e due, il whist era un gioco nel quale era molto meglio non lasciar trapelare la propria strategia, facendo capire che il seme giocato andava a genio perchè se ne avevano molte carte alte in mano. Questo portava la coppia avversaria ad adottare una strategia di sbarramento, modificando il seme il prima possibile per impedire il gioco degli altri.
Spesso al Riform Club i colleghi gli dicevano che il whist era il gioco fatto apposta per lui: si doveva stare in silenzio ed essere inespressivi. Poi naturalmente gli si concedeva anche un pizzico di intelligenza, sebbene per lo più si trattasse di calcolo matematico, cosa, anche quella, a lui molto congeniale. E sì, Phileas non se l’era mai presa, perchè sapeva che avevano ragione. Quello era anche il motivo per cui il whist gli piaceva così tanto. Si scelgono le passioni che più ci rispecchiano, pensò.
Quel pomeriggio, comunque, sia il suo compagno che gli avversari non erano ai livelli soliti ai quali era abituato a giocare, ragion per cui ci stava andando abbastanza leggero e non era nemmeno del tutto concentrato.
Aveva vinto la mano, ma si sentiva come se avesse perso. Come se stesse per perdere.
Ma non aveva idea di cosa. O forse sì.
Dopo la loro passeggiata mattutina, la signora Aouda aveva ritrovato con estremo piacere Passepartout. Sembrava tirasse quasi un sospiro di sollievo quando rivedeva il servo, mentre nelle ore sola con lui era sì naturale e socievole, ma c’erano molti momenti in cui sembrava riflessiva, perplessa, a volte scossa. Era successo molto spesso anche quella mattina nei giardini di Singapore.
Non gli sorrideva mai con quel trasporto che riservava al suo servitore. Con lui si accendeva, si illuminava, rideva, era viva e vitale. Lo ringraziava con gli occhi che brillavano di entusiasmo. D’altra parte, Passepartout era un ragazzo forse di poco più vecchio di lei, ma più vicino ad essere un suo coetaneo, col quale si sentiva più affine. Quale giovane donna non avrebbe apprezzato la vitalità di Jean? Sempre allegro, gentile, amabile, con una buona dose di scaltrezza e capacità che gli avevano senza dubbio fatto meritare il soprannome di Passepartout col quale tutti lo chiamavano. Jean era anche un bel ragazzo, al quale non mancava assolutamente nulla, se non uno status sociale un poco più elevato. E forse era solo questo che tratteneva Aouda nel mostrarsi più devota verso di lui. Lei era comunque una principessa indiana, nonostante quella nobiltà fosse più annoverabile fra le disgrazie che le erano capitate, piuttosto che fra le fortune. Era conscia del suo ceto e... Ah, ma cosa gli importava dopotutto, eccetto il fatto straordinario che mai nella sua vita avrebbe pensato di sentirtsi in competizione col proprio servo?! Per Dio! Phileas, ma che ti succede? Oltretutto, la signora, presto, molto presto, avrebbe ritrovato i suoi parenti a Hong Kong, e tutto quel patema d’animo non aveva il minimo senso!
Restava il fatto che Aouda doveva essersi sentita così a disagio con lui quella mattina, che non era nemmeno venuta a pranzo. Non volendo infierire, soprattutto però per una questione di orgoglio, Phileas non era andato a farle visita alle quattro, e adesso lei era sul ponte di fronte ai grandi oblò del salone, appoggiata alla murata spalla a spalla con Passepartout, che sembrava divertirla immensamente. Scambiavano poche battute, e lei scoppiava a ridere. Questa era una cosa che lui non era mai stato in grado di fare. Far ridere in quel modo una donna. Immagino di non essere divertente, si era sempre detto in passato, e in fondo non aveva mai voluto esserlo. Non era il modo in cui era fatto. Se la sapeva cavare in altri campi, era bravo in altre cose. Non era un simpaticone. Semplicemente.
<< Signor Fogg, tocca a voi giocare >>.
Era appena stato richiamato alla concentrazione. Lui.
Ottimo.
Un pomeriggio idilliaco.
<< Chiedo scusa >>.
<< Vi sentite poco bene? Avete l’aria di essere immerso in gravosi pensieri >>.
No. Devo solo finirla con questo melodramma. Ho sempre tirato avanti da solo, non vedo perchè le cose dovrebbero essere diverse da ora in poi. Sto bene come sto, dopotutto.
<< Assolutamente >>, scandì, un poco tagliente.
Decise di giocare un po’ pesante, così quegli impiccioni non avrebbero più osato mettere in dubbio il suo stato di salute o la sua concentrazione. Dopo aver vinto tre mani di seguito, infatti, uno dei due suoi avversari rise in modo colloquiale, << Forse sarebbe stato meglio per le nostre tasche se non vi si fosse detto nulla, signor Fogg >>.
Phileas li guardò con condiscendenza, << Irritare canem noli dormire volentem >>.
<< Scusate? >>.
Phileas sfogliò le carte ricevute per l’ultima mano, << Non disturbare un cane che vuole dormire >>.
Ci fu una risata generale.
Phileas rimase interdetto. Il suo umorismo colto faceva presa solo sui gentleman annoiati quanto lui, evidentemente.
 
 
Una decina di minuti dopo, Phileas raccoglieva dal tavolo la vincita, sperando di incontrare presto qualcuno al quale poterla devolvere, sebbene non così cospicua visto come si era giocato blando quel pomeriggio.
Era comunque l’ora del tè, e il gioco fu sospeso del tutto.
Phileas si alzò con molta lentezza, deponendo con cura le carte da gioco dentro la loro scatola di legno intarsiato. Quando però sollevò casualmente lo sguardo, i suoi occhi catturarono l’immagine di una bellissima giovane donna che incedeva verso di lui con passo calmo, un sorriso timido a incurvarle appena le labbra brune, le guance colorite. Questa giovane donna, che lui aveva visto poco prima sul ponte, da lontano e di spalle, mentre conversava più che amabilmente col suo servo francese, indossava uno degli abiti che lui aveva chiesto a questo servo di procurarle. Ed era incantevole.
Phileas si costrinse a distogliere lo sguardo.
I pizzi, i broccati, l’acconciatura, tutto la assimilava totalmente ad una gentildonna inglese, e vedendola così, Phileas dovette ammettere di non aver mai incontrato una donna più bella di lei in tutta la sua vita. Aouda, vedova del Raja del Bundelkund, non aveva rivali. Nè in Inghilterra, nè in India, nè probabilmente nel resto del mondo. E Phileas si rese conto solo in quel momento, in quel preciso istante, che lei lo aveva completamente sedotto. E solo essendo se stessa.
Tutto a posto. È già successo. Passerà. Una volta che lei sarà coi suoi a Hong Kong... forse ci vorrà qualche mese, ma mi passerà.
<< Buonasera, signor Fogg >>, gli disse con voce amabile.
<< Buonasera, signora Aouda >>.
<< Vi importuno? >>.
<< Assolutamente no >>.
<< Mi piacerebbe farvi compagnia per il tè, se non avevate programmato di concedervi del tempo per voi stesso >>.
Sapeste quanto tempo per me stesso mi sono concesso nella vita, cara Aouda...
<< Mi aggrada molto avere la vostra compagnia, signora >>.
Aouda sorrise apertamente. Ancora, il modo in cui sorrideva a lui era così diverso da come sorrideva a Passepartout... Phileas non sapeva cosa pensare in merito. O meglio, non ci voleva più pensare. Sapeva solo che vedeva chiaramente gli occhi nerissimi di lei fuggire, come incerti, turbati... Poi quando tornavano su di lui lo fissavano in modo avvincente, grandi, limpidi, come a chiedergli qualcosa, a invitarlo... No, lo sto solo immaginando.
Le porse il braccio, e assieme, con passo calmo, raggiunsero la sala da tè del Rangoon.
  
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