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Autore: Danny Fan    29/03/2020    0 recensioni
[Il Giro del Mondo in 80 giorni]
[Il Giro del Mondo in 80 giorni]Una pazza scommessa, un viaggio intorno al mondo, un incontro voluto dal destino. Una storia d'amore senza tempo, fra i rintocchi dell'orologio e il tè dell'India coloniale.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Calcutta, India, 25 ottobre 1872.
 
Erano giunti alla capitale delle Indie quel mattino alle sette.
Aouda era ancora troppo scossa e spaventata per preoccuparsi di altro che non fosse il pensiero pressante di fuggire, di lasciare l’India.
Fu però piacevolmente sorpresa quando, voltandosi dalla sua parte, il signor Fogg le porse le mani per aiutarla a scendere dal convoglio. Aveva mani grandi e solide, e nonostante ostentasse una certa rigida eleganza, nei suoi gesti non mancava un certo dinamismo e una spiccata virilità. Aouda aveva venticinque anni, quindi non era più una giovincella, e aveva conosciuto in quel lasso di tempo molti gentiluomini che le avevano usato carinerie, specie quando viveva a Bombay. Eppure quelle del signor Fogg la lusingavano. Forse, si disse, il motivo era da ricercarsi nel carattere freddo e schivo dell’inglese, che con quei gesti mostrava invece un lato sì obbligato, ma pur sempre umano. Tanto più egli era riservato e poco espansivo, più il suo andare verso di lei, anche se per semplice buona educazione, le pareva un momento prezioso ed esclusivo. Come degli attimi di grazia.
Nel mettere piede a terra, per un attimo dimenticò che si trovava ancora nel paese natio, e quindi in pericolo. Phileas Fogg aveva risposto al suo sorriso di ringraziamento con un’espressione rilassata. Aouda si chiese quanto ancora potesse diventar bello quel suo volto volitivo e nobile, se rischiarato da un sorriso. Lo avrebbe mai visto? Non ebbe tempo di rifletterci sopra, perchè un poliziotto li approcciò immediatamente, facendole balzare il cuore in gola.
<< Il signor Phileas Fogg? >>.
<< Sono io >>, rispose il gentiluomo senza scomporsi.
<< Quest’uomo è il vostro domestico? >>.
Passepartout aveva un’aria terrificata.
<< Sì >>, rispose Fogg.
<< Vogliate seguirmi entrambi >>.
Aouda sbiancò. Qualcuno l’aveva trovata e aveva addirittura denunciato i suoi salvatori.
Il signor Fogg non si agitò, mentre Passepartout cercò di protestare. Il gentiluomo però lo bloccò, domandando al poliziotto se lei potesse accompagnarli. Aouda preferiva quella soluzione allo stare da sola in mezzo alla folla del suo stesso popolo, che improvvisamente le pareva ostile in ogni singolo individuo, sicuramente a causa dello shock.
Il poliziotto acconsentì.
Mentre salivano sul carro, Aouda aveva preso da parte il signor Fogg e lo aveva pregato di lasciarla, di non esporsi a causa sua. Causare la condanna dei suoi salvatori sarebbe stato troppo per lei da sopportare. Fogg però rifiutò, risoluto, rassicurandola ancora. Chiaramente, egli considerava un reato quello commesso ai suoi danni, e non l’averla salvata dal sati.
Svariate ore dopo, si dirigevano in carrozza alla banchina della città, e riuscivano a salire a bordo del Rangoon poco prima che salpasse.
Aouda era confusa da quello che era accaduto in quelle cinque ore che avevano passato dal magistrato.
Tutti e tre avevano creduto che i sacerdoti che accusavano il signor Fogg e Passepartout fossero appartenenti alla pagoda di Pillaji, dove lei stava per essere uccisa, mentre appartenevano invece a quella di Bombay, nella quale il servo era entrato involontariamente con indosso le scarpe, molti giorni prima del loro incontro. Ciò costituiva un reato, ma il signor Fogg aveva evitato la galera per sè e il suo servo pagando una cauzione di duemila sterline, e senza nemmeno scomporsi in alcun modo. L’unico momento in cui aveva manifestato indignazione era stato quando aveva creduto che il processo fosse intentato per aver salvato lei dalla morte. Aveva intimato ai sacerdoti di confessare il loro deplorevole atto di barbarie, un sati non volontario, causando la confusione dell’uditorio. Salvo scoprire che l’accusa era mossa al francese per la sua mania di gironzolare da puro turista. Egli, in quanto responsabile del suo servo, aveva risposto in egual misura della tenera sbadataggine di Passepartout.
Aouda era colpita dalla facilità con cui il signor Fogg elargisse denaro, e che somme! I suoi genitori erano stati ricchi mercanti, perciò lei non era particolarmente sensibile al denaro, ma le parve che l’atteggiamento di Fogg fosse non quello di chi ostenta la propria ricchezza, ma piuttosto di qualcuno per il quale essa non sia così importante. Non era attaccato al suo denaro. Era... generoso con esso. Lo era stato fino ad allora nei suoi confronti e in quelli del suo servo e compagno di viaggio.
Passepartout, all’uscita del tribunale, era apparso mortificato e grato allo stesso tempo, per aver fatto spendere al suo padrone ben duemila sterline in cauzione.
Durante l’udienza, il signor Fogg guardava continuamente il grande orologio della sala. Evidentemente, non poteva perdere il piroscafo. Aouda, ora a mente più fresca, cominciava a domandarsi dove fosse diretto il gentiluomo, quali fossero i suoi affari. Insomma, avrebbe voluto sapere di più su di lui, su quell’uomo affascinante al braccio del quale ogni donzella avrebbe voluto camminare, così come aveva avuto il piacere di fare lei, nell’imbarcarsi sul vapore quel giorno. Lui le aveva porto il braccio, e lei lo aveva preso con un timido e cordiale sorriso, sentendo subito il calore e la solidità del muscolo, sotto l’abito scuro, impeccabile nonostante i trambusti del viaggio.
Una volta sul piroscafo, egli la accompagnò alla sua cabina, guidati da un inserviente.
Era un alloggio piccolo, anche se piuttosto comodo, rimediato fra quelli rimasti liberi della prima classe. Ma Phileas Fogg ne esaminò ogni angolo celando con difficoltà un certo malcontento.
<< Mi sarebbe piaciuto che foste alloggiata meglio. Questa cabina non corrisponde a come avrei desiderato per voi >>.
Aouda sorrise, sempre senza mostrare i denti, nel seguire anch’ella le buone regole dell’etichetta in rapporto ad una persona appena conosciuta.
<< Vi ringrazio molto della vostra premura, signor Fogg, e vi assicuro che andrà benissimo. È già tanto per me essere viva, ed essere sul punto di lasciare l’India. Non mi mancherà niente qui >>.
<< Lo spero, signora. E anzi, avrete senz’altro appetito >>, e il signor Fogg tolse dal taschino il suo bell’orologio dorato e lo consultò brevemente, << Alle quattro, dopo il pranzo, tornerò a farvi visita di cortesia >>.
Aouda annuì e ringraziò ancora, rimanendo poi sola.
Si sedette lentamente sulla comoda branda, e quando sentì l’imbarcazione muoversi, il cuore le si alleggerì. Era veramente salva, ormai.
Addio, India.
Certo le preoccupazioni non erano finite. Non era certa che a Hong Kong avrebbe trovato rifugio e ospitalità. Ma per il momento, non volle pensarci. La mente tornò invece al signor Fogg.
C’era, a quanto pareva, un’ora prestabilita per la “visita di cortesia”. Aouda si sentiva rattristata da ciò. Non che non volesse vedere il suo salvatore, anzi! Però aveva sempre più la sensazione di essere un obbligo per lui, una mera responsabilità, in quanto donna, e in quanto in difficoltà. Era come se egli seguisse un programma scritto, nei suoi riguardi. Faceva tutto ciò che un gentiluomo deve fare, per regola, nei confronti di una donzella, ma non per slancio, solo per dovere. La cosa, purtroppo, la rattristava, senza che lei ne capisse la ragione.
Che importa? Si disse. Mi sta aiutando. Che importanza ha se lo fa per dovere o perchè vuole? Mi ha comunque salvato la vita. Cosa altro pretendo? Probabilmente la sua lady è molto gelosa, e a ben donde!
Aouda si rimise in piedi con un balzo. Accidenti alla sua fantasia! Non era perbene interessarsi a certe questioni.
Piuttosto, stava morendo di fame, ora che il pericolo era passato. Si diresse verso gli strumenti da toletta, si tolse il vestito di lana e si lavò abbondantemente con un ottimo sapone dalla fragranza delicata e femminile. Guardandosi allo specchio si accorse che aveva i capelli in disordine e annodati. Le punte erano un po’ bruciacchiate.
Li pettinò con cura. Erano molto lunghi, fino e oltre le anche, come usanza indiana. Fino a quel momento li aveva avuti sciolti, perchè di certo chi l’aveva vestita all’europea in treno non aveva idea di come si acconcia una fanciulla. Aouda provvide in quel momento, intrecciando le chiome e raccogliendole attorno al capo in modo elaborato. Esitò nel guardarsi allo specchio. Aveva l’aria ancora decisamente strapazzata. Gli occhi neri, che tutti avevano sempre esaltati come “i laghi sacri dell’Himalaya” erano un po’ arrossati e poco fermi. Il naso era sottile, la bocca carnosa e bruna. La sua carnagione, bianca, era tuttavia più scura di quelle delle donne europee, specie delle inglesi. In giovinezza, mentre veniva educata a comportarsi come una di loro, Aouda aveva desiderato tanto essere alta, tornita e bionda, ritta ed elegante come una spiga. Era invece di costituzione assai diversa. Non era bassa, ma il suo corpo tendeva ad essere minuto. Aveva il punto vita stretto, le anche morbide ma dritte e il seno piccolo, tanto che l’abito che le era stato procurato, non di certo fatto su misura, anche se di bella fattura, le calzava in modo strano addosso. Soprattutto era decisamente largo sul petto. Ma non si lamentava di certo. Capiva che i suoi salvatori avevano cercato di farla passare inosservata.
Anche così, sono proprio indiana, commentò fra sè, dandosi un’ultima occhiata allo specchio.
 
 
 
Alle quattro, puntualissimo, Phileas Fogg venne a trovarla, e la accompagnò in passeggiata sul ponte coperto del vapore.
Egli indossava un abito diverso. Pantaloni grigio bruno a scacchi piccolissimi, gilet blu oltremare, camicia bianca e redingote marrone, uguale al cilindro non troppo alto che metteva in risalto il colore chiaro degli occhi.
Nonostante l’innegabile fascino, Aouda lo scoprì ben poco disinvolto, non come avrebbe dovuto esserlo un gentiluomo di tale risma. Non era goffo, nè impacciato, al contrario. Però era rigido, compunto, fin troppo impeccabile. Si chiese se fosse sempre così, nella vita di tutti i giorni. D’altra parte, non capiva perchè le interessasse tanto.
<< Quanto durerà la traversata, signor Fogg? >>, chiese, visto che lui non diceva nulla.
<< Undici o dodici giorni >>, le rispose.
Altro silenzio.
Mentre camminava lentamente, Aouda pensò al futuro. Una volta trascorsi quegli undici o dodici giorni, avrebbe dovuto mettersi in contatto col suo parente a Hong Kong, ma come avrebbe reagito questi? Dopotutto, era una bocca in più da sfamare. Una bocca peraltro pressochè sconosciuta. E se non l’avesse accolta? Cosa avrebbe fatto, sola e senza mezzi nella città inglese in Cina?
La sua ansia dovette trasparire dal suo volto, perchè Fogg osservò, << Mi sembrate preoccupata >>.
Sospirò, << Sì, è così >>.
<< E da cosa, signora? L’India si allontana >>.
<< Avete ragione, ma non sono sicura che troverò a casa del mio parente l’ospitalità e il rifugio che cerco. Egli è imparentato con me alla lontana, e non ci siamo incontrati che una volta soltanto, brevemente, quando ero molto giovane. Si tratta del cugino di sir James Jejeebhoy di Calcutta, mercante inglese di cotone, del quale sono parente stretta. Con questi ho maggior confidenza, ma con suo cugino... >>, scosse il capo, salvo riprendere un’aria fiduciosa, << Certo, conto di supplicare la sua benevolenza, ma l’idea di ritrovarmi sola a Hong Kong mi inquieta. Naturalmente >>, disse, anticipando qualsiasi risposta del signor Fogg, << Molto meglio essere sola in Cina che morta in India >>.
<< Signora >>, esordì Fogg, dopo una breve pausa, << Non preoccupatevi. Tutto si aggiusterà matematicamente >>.
Matematicamente?
<< Me lo auguro >>, ribattè, Aouda, per nulla rassicurata, << Intanto, vi ringrazio ancora di cuore per il vostro aiuto e sostegno. Vi devo tutto >>. Ed era sincera. Lasciò trapelare tutta quella gratitudine, provandola fino in fondo. Il signor Fogg poteva anche essere un uomo bellissimo e un perfetto gentiluomo, ma al di là di quei semplici e insignificanti dati di fatto che l’occhio di una donna sa cogliere senza volerlo, Aouda gli era grata. Quello era il sentimento che la compenetrava per lui. Decidendo di interrompere momentaneamente il suo viaggio del quale lei ignorava scopi e destinazione, per salvarla dal sati, Phileas Fogg aveva dimostrato il cuore che non mostrava di solito. Cercare di strapparla ai fanatici religiosi inferociti non era una cosa che avrebbe fatto chiunque, nemmeno se gentiluomo.
<< E voi? >>, si azzardò a domandargli, << Non per entrare nei vostri affari, ma mi è parso di capire che l’India, così come la Cina, siano solo tappe. Dove siete diretto? >>.
A quella domanda, Phileas Fogg, ben lungi dall’essere urtato, rispose in modo sicuro quanto enigmatico, << Sempre avanti >>.
 
 
Dopo alcuni giorni di navigazione, mentre esplorava i ponti in un pigro dopopranzo, prima della puntualissima passeggiata col signor Fogg delle quattro, nella quale di solito parlava solo lei, sentendosi una inguaribile pettegola, Aouda incontrò Passepartout che a sua volta si sgranchiva le gambe.
Si misero a parlare di convenevoli e poi del tempo, e infine finirono per discutere dell’inglese.
<< Non vorrei apparire indiscreta >>, cominciò, titubante, << Ma il vostro padrone mi sembra... >>, non riuscì a trovare il giusto aggettivo, così il francese la anticipò.
<< Scostante? Imperturbabile? Freddo? Insomma un automa? >>.
Aouda nascose una risatina dietro la mano all’umorismo del servo. Però sì, Passepartout aveva colto nel segno.
<< Tutto normale >>, le disse, sospirando allegro, << Cioè, normale non tanto. È solo che... lui è così, prendere o lasciare. Ma è un uomo d’onore, ecco perchè sono ancora al suo servizio. Volevo un padrone da poter rispettare, e l’ho trovato >>.
<< E la sua signora? >>, si arrischiò a chiedere Aouda, trovando la domanda tanto automatica da poter apparire disinteressata, anche alla propria coscienza.
<< Nessuna signora >>, scosse le spalle Passepartout, << Questo certo capita anche alle persone migliori >>.
<< Certamente >>, arrossì Aouda.
<< Ad ogni modo eccoci qui, a fare questo giro del mondo >>, riprese il domestico.
<< Giro del mondo? >>, le venne spontaneo domandare.
<< Sì! Pensavo che il mio padrone ve lo avesse già detto. Non è un segreto. Fa il giro del mondo. In 80 giorni. Per scommessa >>.
Aouda restò stranita per un lungo attimo, ma non riuscì ad evitare di sorridere della follia di quella scoperta.
<< Folle, lo so, lo pensavo anch’io appena partiti. Pensavo, si fermerà, in questo o nel prossimo paese... e invece no. Adesso però ci credo anch’io, e faccio il tifo per lui. Beh, sarebbe strano il contrario, visto che se il signor Fogg perde la scommessa e non torna a Londra nel giorno e nell’ora stabiliti, sarà bello che rovinato, e io dovrò trovarmi un altro padrone! >>.
Aouda, sempre più sconcertata e confusa, si protese in avanti, << Spiegatemi meglio questa faccenda, Passepartout, ve ne prego >>.
<< Ma certo, signora >>, sorrise il servo, << Dunque, come vi ho detto, il mio padrone fa il giro del mondo in 80 giorni, così come ha scommesso coi suoi colleghi del Reform Club di Londra. Ventimila sterline, questa la somma in palio che, a quanto ho capito, è la metà del patrimonio del signor Fogg. Certo, l’altra metà la sta utilizzando per il viaggio stesso, così che, se dovesse vincere, non guadagnerebbe nulla, in termini economici, ma se perdesse, sarebbe del tutto rovinato >>.
<< Come gli è saltato in mente di accettare una simile scommessa? >>, domandò Aouda, ora veramente sbalordita.
<< In verità, signora, credo sia partita da lui. Ma devo dire che ho compreso una cosa del signor Fogg, grazie a questa circostanza, che si è verificata giusto il giorno nel quale sono stato da lui assunto. Il mio padrone ama le sfide. Ecco cos’è questo viaggio. Una sfida. Contro se stesso >>.
Aouda sorrise, e se dapprima aveva giudicato a dir poco stramba e irresponsabile la risoluzione del gentleman, adesso, grazie a Passepartout, ne comprendeva il senso. Phileas Fogg doveva essere un uomo al quale la vita non aveva ancora dato quello che egli desiderava realmente. E che invece di piangersi addosso, coglieva il primo pazzo pretesto per sfidare la sorte, per cambiare radicalmente quella vita. O per lo meno, dimostrarsi che ciò che voleva poteva ancora ottenerlo.
 
 
 
Phileas guardò il suo orologio.
Dopo quasi un mese di viaggio, era abituato a lanciarsi in mille calcoli e piani ogni qualvolta metteva mano a quell’oggetto, e così accadde anche allora. Smise subito. Cosa ancora più importante del futuro itinerario, erano le quattro, ed era ora di andare da Aouda.
Dalla signora Aouda, si corresse mentalmente.
Senza volerlo ammettere con se stesso, auspicava ogni giorno l’arrivo dell’orario del loro incontro, e ci andava sempre molto volentieri. Lo aveva uniformato al suo protocollo di vita, inserendolo in un orario preciso, per meglio catalogarlo così come un impegno e un dovere, ma gli capitava spesse volte che, fattesi le cinque, rinunciasse volentieri alla sua tazza di tè o, in modo più preoccupante, al whist, per trattenersi ancora con lei.
Si rendeva conto di non essere l’emblema del compagno di viaggio ideale. Parlava poco, e solo quando lei gli faceva qualche domanda diretta. Per il resto la ascoltava. Gli piaceva molto, ascoltarla. Aveva una voce dolce e melodiosa, parlava sempre in un tono basso e delicato, e la sua pronuncia inglese era adorabile. Fosse stato un altro tipo di uomo, Phileas le avrebbe fatto dei complimenti, le avrebbe sorriso apertamente, avrebbe fatto battute e cercato di mettersi in mostra in qualche modo, se non con le azioni, almeno con una buona conversazione. Queste erano cose del passato. Così lontane! Erano più di vent’anni che non badava più a impressionare gli altri. Non faceva fatica nel comportarsi come si comportava di solito, da quando era diventato adulto. Sì, a volte reprimeva le emozioni, quelle passeggere. La collera. La gioia troppo esuberante: non che nella sua vita l’avesse provata spesso, comunque. Però gli veniva naturale, e lo faceva sentire tranquillo, padrone del suo equilibrio.
Il giorno precedente, la signora Aouda aveva preso il tè con lui.
Se ci ripensava, non riusciva a non sorridere fra sè, per quanto la cosa gli sembrasse assurda. Una giovane signora, che al suo “è l’ora del mio tè”, pronunciato con quella voce che si ritrovava, distaccata e pacata, avrebbe sfiduciato qualsiasi altra persona a dire “oh, se non vi dispiace, mi unirò a voi”. Invece Aouda l’aveva detto. E fatto.
Tutta rinfrancata, aveva commentato la bontà della bevanda, aggiungendovi solo un poco di latte, mentre lui taceva o annuiva.
Solitamente, quel suo atteggiamento bastava a far fuggire le signore.
Non che lui volesse, al contrario!
Però non era nemmeno disposto a modificare il suo modo di essere per una qualsiasi di loro.
Senza false modestie, doveva dire che non gli era mai mancata la compagnia femminile. Ma erano state tutte avventure fuggevoli, volatili come il vento. Non aveva mai dovuto fare la minima fatica per attrarle; gli bastava, a quanto pareva, l’aspetto fisico. Poi, una volta che lo conoscevano un poco, che capivano com’era fatto, si dileguavano in fretta, sparendo senza lasciare traccia. In passato ne aveva sofferto. Gli faceva rabbia che, molti dei suoi coetanei, certamente meno affascinanti o meno ricchi, fossero felicemente sposati, mentre lui non aveva ancora conosciuto una sola fanciulla che lo accettasse per come era fatto. Quelle più caparbie pretendevano di cambiarlo, iniziando a dettare regole su come sarebbe stata la loro vita assieme. Niente più orari prestabiliti, innanzitutto. Avrebbero fatto le cose quando ne avrebbero avuto voglia, e per le cose di coppia, Phileas era stato anche d’accordo. Ma quando cominciavano a condizionare anche la sua routine, che lui considerava così equilibrante e che gli permetteva di curare alla perfezione tutti i suoi affari, allora iniziavano i guai. Altre, più accomodanti sul ripetersi delle sue giornate, battevano invece su altri punti. Doveva essere più socievole. Essere più aperto. Più comunicativo. Più simpatico. Conversare di più. Sorridere di più... Bah! Che sposassero un altro, a quel punto. Phileas voleva fare quelle cose solo se le sentiva, non perchè costretto.
Era davvero così insostenibile avere a che fare con lui? E su una cosa che non si poteva ormai cambiare: il suo carattere. Eppure, non era mai stato violento, mai maleducato, aveva fatto della cortesia uno dei suoi valori principali. Per assurdo, le donzelle sembravano trovare più attraenti i criminali o i farabutti rispetto a lui. D’altra parte, non gli importava più. Aveva chiuso le donne, e i rapporti umani troppo stretti, fuori dalla sua zona di comfort, perfettamente organizzata secondo i dodici rintocchi del suo precisissimo orologio. In quel mondo del quale era l’unico abitante, non esistevano i conflitti nè alcuna cosa che potesse farlo soffrire.
Quel giorno, come sempre alle quattro, Aouda era pronta.
Gli spiaceva che dovesse indossare sempre lo stesso vestito, vista l’impossibilità di comperarne altri fino a che non fossero arrivati a Hong Kong. Là poi certamente si sarebbero salutati per sempre, e...
Ma lei era comunque graziosissima anche con il solito abito scozzese rosso, che metteva in risalto il nero lucente dei suoi capelli raccolti in trecce o sciolti, a seconda della giornata.
Oggi erano sciolti, e a Phileas la cosa piacque. Aouda apparteneva ad una cultura per la quale il mostrare le chiome senza particolare acconciatura era per una signora abbastanza normale, mentre per la sua, si trattava di una cosa che denotava familiarità e confidenza. Era quasi una cosa intima mostrarsi ad un uomo coi capelli sciolti. Il fatto che quel pensiero gli stringesse lo stomaco lo fece alquanto innervosire, e lo rese, quel pomeriggio, ancora più distante, quasi altezzoso. Si rendeva conto di reagire così senza volerlo, ma non poteva farci nulla.
Aouda rimase un po’ perplessa nel constatarlo.
<< Signor Fogg, se oggi non avete piacere nel tenermi compagnia, non è necessario che lo facciate >>, gli disse, con voce dolce e un po’ timida, << Non voglio che vi sentiate in obbligo. Vi devo già tanto, più di quanto possa mai restituirvi, e l’ultima cosa che voglio è recarvi ulteriore fastidio >>.
<< Non si è modificato nulla da ieri a oggi, signora. Perciò non comprendo la vostra supposizione che io non abbia piacere nel trascorrere il tempo con voi >>.
<< Ecco, mi sembrate... altero >>, disse lei.
Altero. Caspita. Era la parola giusta per come si stava ponendo. E lei se n’era accorta.
Non voglio rinunciare alla sua compagnia, pensò Phileas, cercando di sfoggiare un sorrisetto accondiscendente, << È il normale me stesso che avete alla porta >>.
Lasciandolo di stucco, Aouda rise di quella sua uscita. Poi rimase a guardarlo con quei suoi occhi giganteschi, limpidi e brillanti, pieni di grazia e di intelligenza, di curiosità e divertimento.
Le porse subito il braccio, gustandosi la bella sensazione di essere riuscito, senza nemmeno volerlo, a farla ridere, di una cosa che avrebbe detto di norma, una cosa spontanea, che veniva dal suo modo di essere. Succedono cose strambe.
<< Il normale voi stesso prenderebbe il tè con la sottoscritta anche oggi? >>, poi arrossì, << Sempre che non sia troppo sfacciato da parte mia chiedervelo >>.
<< Affatto, signora. E sì, volentieri >>.
  
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