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Autore: Memento_B    07/08/2009    1 recensioni
Le tre bambine erano sedute sui divani posti dall’altra parte della grande sala. Lì vi era più luce ed allegria; le tre confabulavano fra loro per poi ridacchiare sommessamente, ben attente a non farsi sentire o vedere dalla madre. La più grande era Bellatrix, aveva sette anni ed era una bambina bellissima. Ira e vergogna si leggevano nei suoi occhi molto espressivi, spesso lanciava sguardi carichi d’odio e rancore verso la madre. Andromeda aveva cinque anni e fisicamente assomigliava molto alla sorella, ma quando sorrideva vi si poteva scorgere una traccia di bontà ben rara nei Black. Narcissa quel giorno compiva tre anni. Seppur piccola non le fu risparmiato l’abito elegante di pizzo nero.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Narcissa Malfoy, Ted Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments'
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Muggleborns and dishonoured blood



Bristol, 3 settembre 1969


Margaret stava tornando a casa dopo aver fatto la solita visita ai nonni e aver fatto la spesa per la settimana. Camminava spedita per la strada, non le piaceva quella zona, e le piaceva ancor meno alle otto di sera, purtroppo però la visita era d’obbligo e la madre anche quella sera era troppo ubriaca per andare a fare la spesa. Girò l’angolo, la testa china, le braccia affaticate dal peso delle buste.
Sentì delle gocce d’acqua bagnarle la testa e la schiena e il vento che le sferzava la faccia e sbuffò. Era estate eppure si preannunciava un temporale.
L’acqua cadde via via più forte, il vento aumentava di potenza, spazzava via non più solo carte e foglie, Margaret stessa trovava difficoltà ad andare avanti.
La ragazza aumentò il passo e alzò lo sguardo. Si sentì sollevata quando vide delle figure in fondo alla strada, una delle quali sicuramente femminile, ma non riusciva a capire perché si lanciassero dai raggi verdi e rossi gli uni contro gli altri, sembrava stessero giocando a qualche nuovo gioco, divisi in due squadre, ognuno stringeva in una mano un pezzo di legno. Mah, Margaret proprio non capiva questi nuovi giochi dei ragazzi della sua età.
Ad un certo punto ebbe come la sensazione che forse era meglio cambiare strada e man mano che si avvicinava loro la voglia di scappare aumentava, ma le era impossibile, quei tizi giocavano proprio davanti al portone della sua casa.
Adesso Margaret li vedeva da più vicino e poteva sentire quel che dicevano. Urlavano parole senza senso in un lingua a lei sconosciuta, sette di loro indossavano delle tuniche nere. Notò poi una cosa che non aveva mai visto prima, non di persona almeno. Un teschio con in bocca un serpente illuminava la via con una luce verdognola, era sopra il tetto di una casa vicina alla sua, la casa dei Jordan, gente che tutto il quartiere reputava strana.
Sul giornale l’aveva visto un paio di volte, nessuno riusciva a spiegarsi cosa fosse, spesso era collegato a notizie di cronaca nera come morti o sparizioni.
Adesso il cuore di Margaret batteva fortissimo, adrenalina ed ansia la confondevano. Cosa fare? Tornare indietro? Del resto nessuno di loro l’aveva ancora vista. Ma prima o poi sarebbe dovuta tornare, lei abitava lì… Decise così che sarebbe corsa verso il portone e sarebbe sgusciata dentro. Quando vide uno di quei lampi rossi colpire uno dei maghi senza tunica, uno di quelli più vicini al suo portone, e quando lo vide per terra ad urlare di dolore, Margaret non ebbe più dubbi. A casa sarebbe stata al sicuro, così mollò le buste della spesa in mezzo alla strada e corse il più veloce possibile verso il suo portone, nella mano stretta la chiave.
L’inserì nella serratura, la girò, entrò e chiuse il portone, appoggiandosi ad esso con le spalle per riprendere fiato. Era salva.
All’improvviso un’esplosione, seguita da un crollo. Sulla strada ormai c’era una voragine, dentro un corpo di un Auror, altri tre erano sul ciglio del baratro. Due intere palazzine erano crollate, non avevano retto al colpo, una di questa era proprio quella di Margaret.
<< Bel colpo, Lestrange >> si complimentò Bellatrix, sollevando la bacchetta dall’uomo che stava torturando. Era già impazzito, la ragazza quasi delusa decise che era il momento di ucciderlo. Non duravano proprio nulla i nuovi Auror, crollavano subito, non avevano nessun tipo di resistenza fisica.
<< Gli Auror non li fanno più come una volta >> constatò poi ad alta voce.
Bellatrix era elettrizzata dalla nuova vittoria, ogni volta si sentiva ad un passo dall’invincibilità, ogni volta acquisiva più forza ed esperienza.
<< Già, ma noi ne abbiamo persi due… >> Rabastan Lestrange le si avvicinò << I Jordan erano davvero bravi a combattere. Ma noi lo siamo di più >> ridacchiò << Andiamo, prima che ne arrivino altri. >>
I sette Mangiamorte si smaterializzarono, per poi materializzarsi a casa del Lestrange, nel salotto. << Poteva andarci molto male >> mugugnò Bellatrix << Colpa di quei due incapaci >>.
Il piano originale non prevedeva l’impiego di così tanti Mangiamorte, all’inizio erano solo lei, Rabastan e altri due. Ma una volta dentro la casa la lotta fu davvero dura, tanto che Bellatrix temette di non essere all’altezza della donna sua avversaria. Così, gli altri due Mangiamorte rimasero uccisi dai loro stessi incantesimi, e i due ragazzi si videro soli, sapendo che di lì a poco avrebbero dovuto affrontare anche degli Auror. Iniziarono a credersi spacciati, quando videro gli altri cinque arrivare. In sette forse erano troppi, ma almeno erano sicuri di vincere.
<< Ce la siamo cavata lo stesso, ed egregiamente anche. Rabastan, hai avuto davvero una buona idea >> disse il Mangiamorte alla destra di Bellatrix, che la ragazza conosceva come il padre di Tessa Mulciber.
<< Beh, è stata attuabile solo perché eravamo abbastanza lontani da loro, altrimenti non avrei mai osato >> confessò Rabastan.
Mezz’ora dopo Bellatrix tornò a casa. Alla sua casa. Seguendo, infatti, l’esempio di Rabastan aveva lasciato la casa dei suoi genitori, specialmente perché in questi tempi la sua foto era molto frequente sui giornali a casa di un Auror sopravvissuto loro, e lei non voleva creare rogne ai suoi genitori, così avevano convenuto in una “cacciata” di casa. E poi, la prima casa in cui l’avrebbero cercata sarebbe stata appunto quella dei genitori, anche se lei aveva svariati modi per sfuggire dalle situazioni più disperate.
Così, si era comprata una casa dall’altra parte di Londra e dai suoi genitori ci tornava solo la domenica, per il pranzo.
Aveva scoperto così che vivere una vita più libera le piaceva. Fino a poco tempo prima era stata costretta a girare per casa sempre perfetta, a dover compiere ogni azione nella maniera più precisa, a dover perfino impostare la voce in un certo modo.
Ora si rendeva conto che era meglio prendere le cose alla leggera, con comodo.
Dopo aver ammirato per diciotto anni la madre, Bellatrix era giunta alla conclusione che era arrivata l’ora del divertimento più sfrenato. Appena cambiò casa si sentì come libera da una gabbia, libera degli sguardi severi della madre, degli sguardi disgustati di Andromeda e degli sguardi quasi ammirati del padre e di Narcissa. Finalmente non doveva più fingere di essere una ragazza impeccabile, finalmente poteva comportarsi da ragazza della sua età senza che nessuno la potesse vedere o giudicare, anche per questo era felice di aver lasciato oltre la casa dei genitori anche Hogwarts.
Si preparò alla bell’e meglio qualcosa da mettere sotto i denti, mangiò (si rese conto che negli incantesimi di casa non era nemmeno lontanamente brava come Andromeda) e si buttò sul letto, dove lesse scocciata l’ultima lettera del suo fidanzato.
Se solo avesse saputo che era appena stata a casa del fratello, se solo avesse saputo che suo fratello il giorno precedente era stato proprio in quella camera, da solo con lei. Alla fine aveva deciso che non gli importava di fargliela pagare e per una volta mise da parte orgoglio e superbia.
Da quando era una Mangiamorte aveva due modi di comportarsi. Con le persone “comuni” si comportava come sempre, con i Mangiamorte aveva dovuto imparare a comportarsi quasi con educazione. Del resto non poteva rispondere male a chi aveva trent’anni più di lei, ai padri delle sue amiche e men che meno a Rabastan. Sì, ne era ancora innamorata, anche se era la ragazza del fratello.
Ma nulla le vietava di frequentare Rabastan Lestrange, magari non solo come amico. Alla fine non era sposata, era solo fidanzata, per di più con un ragazzo che non le piaceva affatto e che avrebbe passato un ulteriore anno ad Hogwarts.
Insomma, Rodolphus era il fidanzato, quello che magari un giorno sarebbe diventato il marito (seppur Bellatrix rabbrividiva alla sola idea, ma si rendeva conto che si doveva sposare al più presto, magari subito dopo i M.A.G.O. di Rodolphus), quello da invitare ai pranzi di famiglia, quello che le obbediva sempre, che si comportava quasi da cagnolino. Alla fine, dopo aver messo in chiaro un paio di cose, con lui ci stava bene.
Ma era Rabastan quello che, occasionalmente, le ricordava il significato di virilità. Per quanto ella provasse ancora rancore nei suoi confronti, per quanto lo odiasse, per quanto si odiasse dopo ogni pomeriggio passato con lui, era l’unica persona che aveva mai veramente voluto.
Arrivata a metà di quella lunga, lunghissima lettera, Bellatrix sbuffò e la rimise sul comodino. Era il tre settembre e già le scriveva quattro pagine. Gli avrebbe scritto l’indomani un paio di righe su come stava e sulla famiglia e l’avrebbe spedite. Guardò il nome finto che avevano concordato. Helena Crabbe. Le era strano avere una “seconda identità”, però sapeva che almeno per quell’anno si sarebbe chiamata Helena Crabbe, che le piacesse o meno. Essere ricercata, invece, non le faceva strano, anzi quasi le piaceva, le piaceva essere sbattuta sul giornale come pericolo pubblico, come ricercata, avere una taglia sulla testa. Ah, ma forse sarebbe stata solo questione di un paio di mesi, forse poi Lui avrebbe sistemato tutto, avrebbe finalmente messo le mani su tutto. Al massimo, avrebbe atteso un anno. Ormai l’apice del potere era molto, molto vicino, e di sicuro a Lui non sarebbe sfuggito. Nessuno poteva più fermarlo.

Treno per Hogwarts, 1 settembre 1969



Andromeda e Narcissa avevano percorso già tre carrozze, senza trovare un posto libero. Andromeda era dovuta andare, come l’anno precedente, nella carrozza di testa, a sentir ripetere le stesse cose dell’anno passato. Responsabilità, responsabilità e responsabilità. Ecco cosa portava il suo incarico di Prefetta. Narcissa aveva preferito aspettarla al di fuori. Magari l’anno seguete sarebbe stata nominata anche lei Prefetta, magari… Ecco, Lucius aveva un brutto effetto su di lei, l’aveva resa ambiziosa.
<< Meda, dai, aspettiamo Lucius, che ti costa! >> piagnucolò Narcissa, tirando la sorella per la manica.
<< Se vuoi, lo aspetti tu >> sbuffò Andromeda, che ancora non aveva perdonato al ragazzo di essersi fidanzato con la sua sorellina.
<< Dai, sono certa che starà arrivando! >>
<< E va bene… >> si rassegnò Andromeda. Adesso Narcissa era sotto la sua unica responsabilità, visto che Bellatrix se n’era andata. Si prospettava un anno particolare quello, per la prima volta non avrebbe avuto Bellatrix vicino. A dir la verità, non la vedeva da due settimane, avendo passato l’ultima settimana di vacanze a casa di Gwenog. E comunque quell’estate l’aveva vista davvero pochissime volte, e per la prima volta Andromeda si ritrovava ad ammirare quasi la sua scelta. Infatti era solo a grazie a quello stupido marchio che aveva sul braccio che se n’era andata di casa. Quell’anno non ci sarebbe stato nemmeno William, e da quando si erano fidanzati non erano mai stati lontani per un anno, ma di questo poco le importava. Di William non era innamorata, aveva ragione Gwenog a dire che ci stava per passatempo. Certamente gli voleva bene, ma non provava amore per lui, ma era un bravo ragazzo e questo le bastava. Contava di rivederlo alle uscite ad Hogsmeade, magari poteva fare un salto, del resto lui non abitava nemmeno tanto lontano… E adesso avrebbe iniziato a lavorare al Ministero, di lui poteva esser certa che non sarebbe mai e poi mai diventato un Mangiamorte.
Le due ragazze sapevano che tutti le spiavano da dietro i vetri degli scompartimenti e sapevano anche perché. Quell’anno si prospettava davvero brutto, tutti le avrebbero additate come “sorelle di Bellatrix Black, la Mangiamorte”. Se a Narcissa alla fine non dispiaceva, Andromeda era molto arrabbiata per ciò. Anche i Serpeverde le avrebbero guardate con occhio diverso, per quanto si professavano vicini all’Oscuro Signore. Ma si sa, una cosa è la parola, un’altra è l’azione. Per fortuna avevano messo in scena la cacciata di Bellatrix, almeno avrebbero passato gli anni ad Hogwarts in maniera tranquilla.
<< Cissy! >> Lucius si apprestava a raggiungere le sorelle Black, trascinandosi dietro il suo baule. Andromeda lo guardò scettica. Certo, aveva una faccia caruccia, ma come fisico era decisamente gracile, lei non avrebbe mai rinunciato al fisico del battitore.
<< E la spilla, Malfoy? >> chiese poi la mora, con tono sarcastico << Come mai non la esibisci di già? >>
Lucius le rivolse una smorfia, poi decise che era meglio ignorarla e si rivolse a Narcissa << Non hai ancora trovato dei posti? >>
<< Oh, certo, vaghiamo per i corridoi trascinandoci dei bauli pieni di roba e che pesano il doppio di noi per sport >> rispose Andromeda, avanzando verso l’altro scompartimento.
<< Lucius! >>
Rodolphus Lestrange lo chiamava, sporgendosi dallo scompartimento dove stava con tre suoi compagni di camera.
<< Dimmi che ci sono dei posti liberi >> Lucius quasi lo supplicò. Se c’era una cosa che odiava, era proprio cercare un posto vuoto sul treno.
<< Sì, ma… sono solo due >> rispose Rodolphus, guardando Andromeda.
Andromeda ricambiò il suo sguardo, seria << Comunque non avrei voluto sedermi lì >> rispose, girandosi nuovamente.
Perfetto, ora doveva solo trovarsi uno scompartimento privo di ragazzi che la guardassero come una Mangiamorte terrorista o come una traditrice del sangue, impresa ben difficile per Andromeda Hesper Black, rinomata per le amicizie con Tassorosso e per essere parente Mangiamorte.
<< Meda, vieni con noi? >> le chiese Gwenog, una carrozza più avanti.
<< Con chi stai? >>
<< Ehm… No, non penso che tu voglia stare con Polissena Greengrass e le sue amiche. Ma, capiscimi, era l’unico posto libero che ho trovato… >>
<< No, infatti. Ci vediamo ad Hogwarts, Gwen >> le sorrise Andromeda.
Finalmente Andromeda trovò uno scompartimento vuoto e si buttò dentro di esso prima che il ragazzo dietro di lei glielo soffiasse. Sistemò il baule e si distese sui tre sedili, certa che comunque nessuno risarebbe voluto sedere con lei, infatti vide il ragazzo che conosceva come Corvonero del settimo anno entrare nello scompartimento precedente, dove stavano cinque primini.
Ma un quarto d’ora dopo la porta si aprì.
<< Scusa, posso sed… Ah, sei tu Black >> Ted Tonks la guardo simulando delusione e nascondendo agitazione, poiché finalmente la rivedeva.
<< Chi poteva rompere se non tu? Chi? >> esclamò, quasi disperata Andromeda.
<< Allora? Posso entrare o no? >>
<< Tu vuoi veramente sederti qui? >> chiese Andromeda, allibita e mettendosi seduta << Fammi capire. Tu, Ted Tonks, vuoi sederti in questo scompartimento, dove ci sono io, Andromeda Black. >>
<< A-ah, esatto >> confermò Ted << E’ l’unico libero, non ho molta scelta, a meno che di non sedermi con qualche Serpeverde. >>
<< Io sono Serpeverde, Tonks >> gli fece notare Andromeda << Ricordi? Ho la divisa con i bordi verdi e lo stemma di Serpeverde, presente? >>
<< Sì, ma che c’entri tu. Sono più Serpeverde io di te, te sei diversa. Posso o no? >>
<< Entra… >> rispose stancamente Andromeda, stendendosi nuovamente. Si prospettava un lunghissimo viaggio.
Ted si sedette e fissò il suo volto, con un sorriso. Sì, era proprio bella… << Black, allora hai fatto i compiti di poz… >>
<< Tonks, un favore. Uno solo. Non parlare. Grazie. >>
A metà viaggio però fu proprio la ragazza a rompere il silenzio. << Tonks, esci, devo cambiarmi. >>
<< Già da ora? >> chiese stupito lui.
<< Problemi? >>
<< Sì, tu. Vuoi qualcosa da mangiare? >> già che c’era, Ted sarebbe andato nel vagone ristorante, che era quello accanto.
<< Se paghi te sì >> rispose Andromeda << Esci, ora! >>
<< Allora scordatelo >> sogghignò Ted, uscendo.
Quando il ragazzo tornò dopo il pasto, Andromeda era intenta a completare il suo tema di Aritmanzia.
<< Come mai non hai finito i compiti, Black? Non è da te… >>
<< Ho avuto ben altre preoccupazioni di uno stupido compito di Aritmanzia, Tonks. Alla fine è solo un tema. >>
Ted sospirò e rovistò nel suo baule, fino ad estrarre un rotolo di pergamena. << A dire la verità, nemmeno io ho finito i miei compiti >> ridacchiò << Cura delle Creature Magiche, però. Decisamente una materia più leggera di quella roba lì! >>
<< Su cosa lo stai facendo? >> chiese Andromeda << Merlino, non lo finirò mai in tempo! >> imprecò, spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro.
<< Ippogrifi. Scrivendo di pari passo quello che ho scritto lo scorso anno. E quello primo ancora. Tanto, chi se ne accorgerà mai? >> disse Ted, che infatti stava copiando da un secondo rotolo di pergamena. Si fermò e cercò ancora nel baule, per poi estrarre una ulteriore pergamena, che lanciò alla Black << Copia da me, dai. >>
Andromeda lo guardò, esterrefatta. << Tonks? Sei sicuro di sentirti bene? >>
<< Certo, Black, copia e statti zitta. Potrei ripensarci… >>
Andromeda afferrò la pergamena, iniziando a copiare interi passaggi del tema del ragazzo. Doveva ammettere che era un bravo studente, quel tema era fatto davvero bene, come l’avrebbe fatto lei stessa se solo avesse avuto il tempo necessario.
Il treno si fermò circa un’ora dopo che i ragazzi finirono i compiti, ora che fu riempita dal silenzio. Andromeda era intenta a guardare il paesaggio fuori dal finestrino e a gustarsi il suo primo vero anno ad Hogwarts. Ted, invece, osservava lei, Andromeda. Quella ragazza che tanto aveva odiato e di cui adesso era innamorato. Non ci riusciva a credere, aveva appena passato un’intera giornata con lei, Andromeda Black. Definirlo amore impossibile equivaleva a sminuire i fatti.
Scesero dal treno e subito la ragazza si allontanò, raggiungendo la sorellina. Ted sospirò. Cosa credeva? Che sarebbe rimasto al suo fianco fino all’arrivo al castello? Lei lo odiava e basta. La osservò parlare con la sorella, sillabare il suo cognome (ma quanto gli piaceva quando diceva “Tonks” con quell’aria di disprezzo?), probabilmente per raccontarle di quanto aveva trovato orrendo quel viaggio in treno.
<< Già litigato con la Black, Ted? >> Joseph Treewte, Corvonero, il suo migliore amico. << Mh, già… >> mormorò laconico Ted. Non aveva avuto il coraggio di confessare a qualcuno la sua cotta per la Serpeverda. Riusciva a stento a confessarla a se stesso, figurarsi agli altri!

Londra, settembre 1969



<< Ciao, mamma. Ciao, papà. >>
Bellatrix entrò nella casa dei genitori per gustarsi l’unico pranzo decente della settimana. Lei non era in grado di cucinare ed aspettava con impazienza la domenica solo per mangiare del cibo più che decente. Il suo aspetto era decisamente cambiato da luglio, con grande delusione e rabbia da parte di Druella, che l’aveva vantata sempre come il suo gioiello, perfetta nel carattere e nell’aspetto.
Adesso aveva un aspetto più cattivo e trasgressivo che elegante e raffinato. Se qualche mese prima tentava in ogni modo di rendere lisci i capelli, lunghissimi, per poi legarli sempre in una treccia che lasciava libere poche ciocche, adesso erano ricci, sciolti e decisamente più corti. Certo, non corti come quelli di Andromeda – lei portava sempre un carré molto corto -, ma nemmeno lunghi come quelli di Narcissa, che arrivavano ben oltre la metà spalla. Gli occhi scuri erano messi in risalto da un trucco abbastanza pesante, indossava poi una maglietta nera piuttosto corta e scollata, le mani infilate nelle tasche dei jeans scuri.
<< Ciao, Bella… >> Druella ricambiò il saluto, quasi sconsolata. La nuova passione della figlia per gli abiti Babbani la mandava in bestia, ma nonostante tutto non poteva non notare quanto questo stile si addicesse maggiormente alla figlia.
Bellatrix si lasciò cadere sul divano, aveva imparato che le buone maniere servivano a poco e niente nella vita. Aveva imparato tante cose in quei venti giorni, imparato e capito…
Aveva decisamente lasciato perdere Rabastan. Alla fine lui era solo un ragazzino arrogante, lei si meritava ben altro, era travolta da ben altra passione che per quella di un mocciosetto. Nella sua mente c’era solo Lui, l’Oscuro Signore. Non una passione carnale, ma una passione folle, irrazionale, che la rendeva cieca ed ubbidiente ad ogni suo ordine. E questa passione la colpiva, impetuosa, non la lasciava un attimo, mai, non la faceva respirare, pensare, vivere, né Bellatrix voleva più vivere senza questa. Era la sua ragione di vita.
<< Allora, come va? >> chiese Cygnus, sedendosi accanto a lei. Per i genitori adesso era più difficile comunicare con la figlia, non riuscivano a concepire quel cambiamento, eppure l’avevano sempre cresciuta in una campana di vetro, quasi viziandola. Iniziavano, inoltre, a rendersi conto di quel che significava veramente essere genitori di una Mangiamorte.
<< Me la passo bene >> annuì Bellatrix << Cissy? Come sta? >>
<< Andromeda e Narcissa stanno bene, Bella. Dovresti parlarci, con tua sor… >>
<< Mamma, per favore, non sono venuta qui per farmi fare la predica. Non ho intenzione di parlare con quella. Non la considero più mia sorella, lo sapete, lo sapete tutti. E’ strana. >>
Bellatrix guardò la stanza come se non la riconoscesse, come se non ci avesse vissuto per diciassette anni. Il suo passato non le apparteneva, aveva chiuso con l’infanzia, ora era una nuova Bellatrix che si era stufata delle brave maniere e delle apparenze, era appena nata, aveva iniziato a vivere. Aveva appreso che oltre quelle quattro mura c’era un mondo vero e proprio che le si addiceva, doveva solo lasciarsi andare e rompere ogni muro mentale. Se solo lo avesse fatto quando era ancora ad Hogwarts…

Hogwarts, 30 ottobre 1969
Corridoi



<< Tonks! >> Andromeda stava rimettendo i libri nella borsa quando aveva visto passare il Tassorosso. Gli corse dietro << Tonks! >> urlò di nuovo.
Ted sospirò, fermandosi e girando sui tacchi << Sì, Black, lo so, sono fuori oltre il coprifuoco. Quanti punti vuoi togliermi? >> Non aveva più avuto modo di parlare con la Black dopo la giornata in treno, aveva deciso che voleva evitarla e farsi meno male possibile, che avrebbe provato a dimenticarla.
<< No, Tonks, nessuno. Volevo solo ringraziarti per il tema >> Andromeda si avvicinò a lui, sorridente. << Ho preso una E per il mio… per il tuo compito. >>
<< Oh, beh… figurati… >> Ted era alquanto confuso. Da quando Andromeda era gentile con lui? Da quando superava la distanza “di sicurezza” senza prenderlo a pugni?
Andromeda passò il suo braccio sotto a quello del ragazzo, incapace di smettere di sorridere. Era felice di rivederlo, non riusciva a capire perché, ma le era mancato. Il gesto spiazzò alquanto Ted, ma la ragazza parve non accorgersene, riprendendo a camminare << Dove andavi, Tonks? >>
<< D-da nessuna parte >> rispose Ted, incapace di formulare una risposta di senso compiuto.
<< Allora non ti dispiacerà accompagnarmi al mio dormitorio, immagino, Ted >> Andromeda non sapeva perché dicesse quelle parole o perché si comportasse in quella maniera. Così le andava, non si rendeva neanche conto di lasciare sempre più perplesso il Tassorosso, che aveva appena chiamato per nome dopo sei anni che lo conosceva.
<< Certo che no… Andromeda >> mormorò Ted, che aveva appena mandato al diavolo tutti i suoi propositi e che aveva deciso di cogliere la situazione.
<< Sai che non ho mai saputo dove sei nato o cosa fanno i tuoi genitori, Ted? >>
<< Sono di Glasgow e i miei genitori sono Babbani, mio padre è avvocato e mia madre è insegnante di inglese. Nulla di straordinario, insomma. >> Ted iniziò seriamente a pensare che quella ragazza era ubriaca. Non aveva altra spiegazione per il suo comportamento altrimenti inspiegabile.
Andromeda, però, trovava straordinariamente straordinario quel che Ted le aveva appena detto. Camminarono a lungo, ed Andromeda continuava a rivolgergli domande su di lui, sulla famiglia, sulla sua vita Babbana, e Ted rispondeva ogni volta sempre più stranito. Però quella situazione gli piaceva, eccome se gli piaceva!
<< Immagina te cosa direbbe mia sorella se ci vedesse in questo momento! >> ridacchiò Andromeda, fermandosi il corridoio prima dell’ingresso della Sala Comune. << Sei anche troppo vicino, non puoi sapere di più sulla nostra Sala Comune… >>
<< Ma se so perfettamente dov’è… >> le disse Ted, ponendosi davanti a lei.
Andromeda si fece più vicina a lui, le sue mani che sfioravano quelle del ragazzo, nei suoi occhi un bagliore che nessuno aveva mai visto prima. Lo guardava con occhio diverso, quel mese di lontananza le aveva fatto capire che lei aveva bisogno di lui, che alla fine non era così male, forse aveva sempre sbagliato tutto con lui, forse aveva sbagliato ad odiarlo, forse non voleva più odiarlo, forse lo voleva…
<< Sì, ma comunque non puoi sapere la parola d’ordine! >>
<< Vorrà dire che mi tapperò le orecchie! >> Ted sorrise, il fiato corto, iniziava a sentire un calore che gli si spandeva nel corpo. “Non illuderti, Ted. E’ una Serpeverde, è una Black… Ora ti prenderà in giro, non illuderti!”
Andromeda sorrise a sua volta, quasi d’istinto. Accidenti, se era bello! Aveva gli occhi grigi, non se ne era mai accorta prima…
E, come se avesse atteso da sempre quel momento, Andromeda si avvicinò al viso di lui, fino a sfiorare le labbra del ragazzo con le proprie. Ted l’attirò a sé, Andromeda l’abbracciò a sua volta e si lasciarono andare in un lungo bacio carico di passione. Bacio che Ted sognava da parecchio tempo e che Andromeda, inconsapevolmente, aveva aspettato a lungo. E finalmente era arrivato.
<< E cosa direbbe tua sorella se ci vedesse adesso? >> sussurrò Ted, senza però avere intenzione di lasciare la ragazza. Era su di giri, aveva appena baciato Andromeda Black. Solo mezz’ora prima non l’avrebbe mai ritenuto possibile, ed ora…
<< Sai una cosa? Non me ne importa minimamente… Non m’importa né di lei né di nessun altro >> Andromeda fissava il volto del ragazzo come se lo vedesse per la prima volta, e in effetti era la prima volta che lo guardava seriamente, non più accecata dall’odio che aveva caratterizzato il loro rapporto per sei anni. Si era accorta solo in quel momento che l’astio che ostentava nei confronti del ragazzo era pura finzione, portata avanti per convenzione, mascherando a se stessa il verso sentimento che nutriva per il ragazzo da un po’ di tempo.
<< Devo andare… >> mormorò Ted dopo qualche minuto. Non riusciva a capacitarsi degli avvenimenti di quella serata. Per prima cosa, Andromeda Black era stata gentile con lui. Poi gli aveva chiesto di accompagnarla al suo dormitorio, dove l’aveva baciato. E infine gli aveva detto che della sua famiglia, della gente e dei loro pensieri non gliene importava niente. Poteva immaginare una serata migliore?
Andromeda fece un passo indietro, sorridente << A domani… >>
<< A domani >> Ted la guardò allontanarsi per raggiungere l’ingresso della Sala Comune, un sorriso ebete sul volto.
<< Ah, Tonks! >> Andromeda si voltò prima di girare l’angolo << Cinque punti in meno per Tassorosso, sei sempre fuori oltre il coprifuoco, non penserai mica di avermi corrotto! >>

Banbury, 31 ottobre 1969



<< Si nasconde qui, quindi? >> chiese Bellatrix ai suoi compagni Mangiamorte. Quella notte era una notte particolarmente favorevole per il loro piano. Potevano passare per il centro della città indisturbati, nessuno avrebbe trovato strani i loro abiti.
Bellatrix però era infastidita da tutti quegli addobbi, da tutti quei bambini che correvano da una casa all’altra, insomma, Halloween era una festa loro, non dei Babbani.
<< Sì >> annuì Rabastan, qualche passo dietro la Black. Ultimamente era lei a condurre le varie “visite”, anche se era quella più giovane, era la persona più adatta al compito. Crudele, cinica, nessuno l’aveva mai eletta al capo, era stata una cosa automatica.
I tre Mangiamorte avanzarono tranquilli per le strade della città, indisturbati. Questa volta non dovevano uccidere, dovevano semplicemente “prelevare” una strega, una pozionista. Non sapevano cosa aveva di particolare, ma il Signore Oscuro la voleva, e loro gliel’avrebbero portata. Solo complicava le cose, nascondendosi prima in una città e poi in un’altra. Ma ora Bellatrix era stufa di questa situazione, la voleva e l’avrebbe avuta. Quella sera.
Callen Troow era seduta su una panchina della piazza della città. Le piaceva l’Halloween Babbano, non potevano certo sapere che le streghe e i maghi esistevano veramente, festeggiavano con innocenza quella ricorrenza, con zucche ai balconi e bambine vestite da streghe, con una ramazza in mano. Il tempo della giovinezza per lei era andato da parecchio tempo, aveva sui cinquant’anni ma non aveva mai smesso di armeggiare con le pozioni, non riusciva ad immaginare la sua vita senza pozioni. Sapeva di essere ricercata dal Signore Oscuro per le sue abilità, ma lei non aveva nessuna intenzione di raggiungerlo, di lavorare per lui.
<< E’ lei >> Bellatrix la individuò non senza difficoltà. Se da una parte Halloween rendeva normali i loro abiti da Mangiamorte, faceva diventare quasi impossibile riconoscere una strega << Ha il segno sotto l’occhio, quella col vestito blu scuro. >>
Nello stesso tempo che Bellatrix sussurrò quelle parole, Callen si voltò alla sua destra. Li vide. Sgranò gli occhi, era stata una incosciente ad uscire di casa quella sera… L’avevano beccata, non sarebbe stata in grado di fuggire. Scattò in piedi, estrasse la sua bacchetta, pronta.
<< Oh, ha voglia di sfidarci >> ridacchiò Bellatrix << Ci penso io, non ci vorrà molto >>.
Bellatrix avanzò, la bacchetta nella mano destra, espressione divertita e arrogante allo stesso tempo. Amava quelle situazioni, si divertiva sempre, non capiva perché i suoi compagni volessero sempre fare in fretta. << Troow… ti conviene non fare storie, non credi? >>
<< Stupef… >>
Un cenno della bacchetta di Bellatrix fece volare via quella della donna << Sarai anche una brava nozionista, Troow, ma in quanto velocità… >>
Callen si voltò ed iniziò a correre tra gli sguardi allibiti dei Babbani che assistevano a quella scena. Bellatrix parve indispettita di quella svolta, lei odiava quando le sue vittime scappavano, odiava correre, preferiva risolvere tutto con un incantesimo e via. << Crucio >> disse, puntando la bacchetta verso la donna, che cadde per terra, dolorante.
<< Troow… Inizio ad innervosirmi. Facciamola finita, su. Non fare la bambina >> Bellatrix si avvicinò ancora alla donna, che urlava per il dolore e la supplicava. Bellatrix cessò l’incantesimo e l’afferrò per un braccio. Era stizzita, non era stato divertente quella sera. Ma del resto a lei piaceva uccidere, non rapire. Rapire era una cosa stupida, uccidere le dava soddisfazione. << Pensateci voi alla loro memoria, io vado. >>
Gli sguardi dei Babbani, i colori di quella festa interrotta, il bellissimo viso furente di Bellatrix furono fra le ultime cose che Callen vide. Bellatrix si smaterializzò, portando la donna con sé, ma la donna non sarebbe sopravvissuta a lungo, preferì morire che donare la sua scienza a Voldemort.

Hogwarts, 31 ottobre 1969

<< Tu cosa…? >> A Gwenog andò di traverso il pezzo di mela che aveva appena addentato.
<< Io… io lascerò William oggi. Insomma, hai sempre avuto ragione, no? Non ne sono innamorata >> Andromeda sorrise, non aveva ancora raccontanto a nessuno di quel che era successo la sera prima, ed ora aveva intenzione di lasciare William. Non poteva stare con un ragazzo e sbaciucchiarne un altro, no? Così doveva decidere. O il bravo ragazzo con cui stava da anni ma che non amava, o il ragazzo figlio di Babbani che aveva appena scoperto di amare nonostante l’odio che aveva provato per un sacco di anni.
<< E perché? >> chiese Narcissa, seduta affianco alla sorella. Lei era ogni giorno più felice, tutto le andava bene. A scuola aveva buoni voti, aveva un sacco di amici e aveva un fidanzato che amava. << Perché… perché sì >> rispose Andromeda, arrossendo.
<< Chi è? >> chiese Gwenog << Avanti, chi è? >> era offesa perché l’amica non le aveva detto che c’era un altro nel suo cuore, e la cosa era evidente, altrimenti mai e poi mai avrebbe lasciato William…
<< N… Nessuno! >> disse Andromeda, alzandosi << Ci vediamo stasera! >> tagliò corto, avviandosi verso il portone. Aveva visto Ted uscire, voleva raggiungerlo e parlargli.
<< ‘Dromeda! >> Ted sorrise nel vederla uscire dalla Sala Grande, incurante dei ragazzi che passavano vicino a loro. Il loro odio era noto a tutta la scuola, e questo cambiamento di atteggiamento poteva essere sospetto.
<< Ted… >> lo salutò Andromeda. Ted la prese per il polso, trascinandola in un corridoio vuoto. Fece per baciarla, ma lei si scansò << Ted, non posso. Non ancora. >>
Ted la lasciò, sospirando. Era stata una serata troppo perfetta, in effetti. << E perché no? >>
<< Fammi prima lasciare William. Lo farò, oggi, prima di tornare al castello. >>

*



<< Tu stai con chi? >> esclamò Gwenog. Era con Andromeda fuori in giardino, in un punto nascosto, dove nessuno le avrebbe viste o sentite.
Andromeda sorrise. Aveva previsto questa reazione. Anche Joseph, l’amico di Ted, aveva avuto la stessa reazione alla notizia. Del resto non era una cosa prevedibile, nessuno ci avrebbe scommesso sopra, no? Dopo sei anni passati a lanciarsi incantesimi di ogni sorta un fidanzamento era l’ultima cosa che chiunque avrebbe previsto. << Con Ted Tonks, Gwen! >>
<< T… Ted Tonks? Quel Ted Tonks? Tu hai lasciato William per Ted? >> Gwenog aveva perso alle parole, non riusciva a credere che l’amica avesse fatto un atto folle come quello. Doveva essere uno scherzo, Andromeda Black non sarebbe fidanzata mai e poi mai con Ted Tonks, e viceversa!
<< Sì >> annuì Andromeda. Gwenog, tuttavia, non poté fare a meno di notare che quella che leggeva sul volto di Andromeda era vera felicità, non l’aveva mai vista così brillante ed euforica, non per un ragazzo almeno. << Solo, Gwen, capisci che nessuno, dico nessuno deve saperlo. Non ancora, almeno. >>
<< Non ti preoccupare, Meda >> disse Gwenog, seria. Anche perché, onestamente, chi le avrebbe creduto se fosse andata in giro a spargere la notizia che Andromeda Black e Ted Tonks s’erano messi insieme?
Passarono i giorni, mesi, ma ancora la notizia non si era divulgata. Andromeda non si sentiva pronta a farlo sapere alla famiglia, voleva prima compiere 17 anni in modo di trovarsi –in caso- una casa in cui abitare, come aveva fatto Bellatrix. Mancava poco al diventare maggiorenne, ormai. Quel nascondere tutto, però, non faceva vivere ai due ragazzi la loro relazione come un peso, anzi rendeva tutto più divertente quasi. Appena qualcuno si avvicinava subito cambiavano atteggiamento, insultandosi e litigando pesantemente, ma di certo tutta Hogwarts aveva notato che dove c’era uno, c’era anche l’altra. Non poteva essere un caso, vero, ma nessuno degli studenti avrebbe mai pensato ad una relazione amorosa fra i due.
Perfino Narcissa, che attribuiva l’aumento di allegria e di gioia di Andromeda alla lontananza di Bellatrix, non si sarebbe mai immaginata una notizia del genere.
Ai due ragazzi non importava del comportamento della famiglia Black in seguito alla scoperta di tale fidanzamento, probabilmente avrebbero fatto di tutto per separarli o avrebbero diseredato Andromeda, volevano solo accertarsi che la ragazza fosse in grado di vivere da sola e in possesso dei mezzi economici necessari.
Loro erano felici così, delle reazioni, delle parole, dei pensieri degli altri non se ne importavano. Come potevano importarsene, quando avevano tutto quel che desideravano? A chi può mai importare degli altri quando si nutre un amore profondo e incondizionato, fra l’altro ricambiato?
<< Sicuro che tua madre non mi butterà fuori di casa quando mi vedrà? >> chiese Andromeda, affiancandosi al volto di Ted e mettendosi in posa affinché il ragazzo scattasse l’ennesima foto, che avrebbe poi mandato a casa.
<< Certo che no >> ridacchiò Ted. Andromeda avrebbe passato le vacanze di Pasqua a casa di Ted, non senza la complicità di Gwenog e della sua famiglia, che avevano accettato di essere complici della ragazza. Mentre la famiglia Black credeva Andromeda a casa di Gwenog, lei avrebbe conosciuto il significato del vivere Babbano a casa di Ted.
Andromeda era pronta a correre il rischio di essere scoperta, magari così avrebbe evitato anche di dover parlare. Non se ne curava minimamente, non aveva certo legami indissolubili con la sua famiglia, era pronta a cambiare di vita una volta reso noto il fidanzamento. Ted questo lo sapeva, si sentiva quasi in debito. Non sono molte le ragazze pronte a cambiare totalmente per amore, Ted lo sapeva e anche per questo ammirava la sua fidanzata.
<< Tonks, ma che cazzo vuoi? >> Andromeda saltò in piedi non appena vide una Corvonero girare l’angolo. La ragazzina si girò a guardarli per un secondo, trovava divertente vedere quei due ragazzi urlarsi contro. Quando passò oltre, Andromeda si rimise a sedere, ridendo. << Insultarti è sempre divertente, sai Ted? Liberatorio quasi… >>
<< Oh, ‘Dromeda, potrei dire la stessa cosa >>.

Hogwarts, maggio 1970



<< Cissy! >> Ruth Goyle corse incontro a Narcissa, per poi bloccarla con le braccia << Cis… E’ vero che tua sorella sta col Mezzosangue? >>
<< Sì >> rispose Narcissa, liberandosi dalla stretta e proseguendo. Era livida di rabbia, rigida come un tronco, le braccia lungo i fianchi, i pugni stretti, le labbra sigillate fra loro. Voleva trovarla, bastarda.
<< Andromeda >> la chiamò, quando la vide. Eccola lì, affianco al Mezzosangue. Così adesso era diventata la puttana dei Mezzosangue? << Vieni con me >> le intimò.
Andromeda si alzò, seguita da Ted << No >> gli sussurrò la Black << E’ un affare di famiglia. Me la vedo io. >>
Arrivate in un pezzo remoto del parco, lontano da occhi indiscreti, Narcissa estrasse la bacchetta e, senza che la sorella maggiore se ne potessero rendere conto, si voltò di scatto, schiantandola.
Andromeda attenuò la caduta atterrando sui gomiti. Per fortuna, Narcissa non era ancora così potente da poterla schiantare. Strinse la sua bacchetta in mano, rimettendosi in piedi << COSA STAI FACENDO, BLACK? >>
<< Cosa pensi di fare tu? >> urlò di rimando Narcissa << Ti rendi conto di quello che fai o no? >>
<< Oh, certo, essere Mangiamorte è lecito, amare no! >>
<< Non puoi amare un Mezzosangue! Ci hai disonorati! Tutti! Me, Bella, i nostri genitori, i nostri nonni, i nostri morti! >>
<< Facciamone una questione di stato, allora! Ma che cazzo di male c’è nell’amare una persona che non è figlio di maghi? COSA? >>
<< C’è di male che tutti ora ridono di noi! Ma cosa pensi? Che lui ti ami veramente? E anche se fosse, meglio sposare un Purosangue senza amarlo che sposare feccia! >>
<< Non accetto consigli da chi è la sgualdrina del primo che è passato e che la sta solamente usando >> sibilò Andromeda. Lei non era una persona che amava urlare, più s’incazzava, più basso era il tono della sua voce. << Non ti preoccupare, Black, non metterò più piede nella vostra casa >> Andromeda, poi, la schiantò, dando sfogo a tutta la rabbia e il rancore che aveva dentro di sé. << Impara a schiantare, Black. >>

Stazione di King’s Cross, 1 luglio 1970



Andromeda e Ted oltrepassarono la barriera del binario 9 e 3/4, insieme, come avevano trascorso quegli ultimi mesi di scuola. Andromeda non sapeva dove avrebbe dormito quella notte, probabilmente in un hotel, il giorno dopo avrebbe ritirato parte dell’eredità che si trovava nella sua camera di sicurezza. Appena raggiunta la maggiore età, aveva fatto sì che il suo oro fosse stato reperibile per lei e solo per lei. Non parlava più con nessun Serpeverde, eccetto Gwenog, tanto meno con la sorella, di cui realmente non le importava più nulla. Aveva Ted, e questo bastava.
<< Ci vediamo, Ted >> sussurrò lei, dando un bacio sulle labbra al ragazzo. Sapeva che pochi metri più in là c’era la sua famiglia, ma non aveva nessuna intenzione di salutarla.
<< Dove pensi di andare, Black? Mia madre ti ha già preparato la camera, tu vieni con me. >>

  
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