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Autore: manpolisc_    30/03/2020    12 recensioni
•Primo libro della trilogia•
Sharon Steel è una ragazza di diciassette anni che vive a Ruddy Village, una cittadina tra il Nevada e la California. La sua vita non è mai stata semplice: è stata definita pazza per le cose che vede e alle quali la gente non crede, che l'hanno portata a sentirsi esclusa. Solo l'arrivo di una persona come lei riuscirà a farle capire di non essere sbagliata, ma solo diversa. Scoprirà la sua vera natura e dovrà decidere del proprio destino.
Dal testo:
- È solo un bicchiere che è caduto. - Mormoro. Mi guarda, accennando un sorriso divertito.
- E la causa della sua caduta è solo qualcosa alle tue spalle, che brancola nel buio, pronto ad ucciderti. -
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 4

- Dovresti parlare con Jackson. - Mi consiglia Delice, riferendosi a quanto accaduto ieri, mentre chiude il suo armadietto. Nonostante sia l'ultimo giorno di scuola, l'edificio è pieno di studenti. Ogni anno, quando l'ultima campanella suona, il cortile diventa un campo di battaglia. I ragazzi vengono e soffrono il caldo che riempie tutte le aule solo per usare pistole ad acqua e lanciare gavettoni non appena terminano le lezioni. È l'unico giorno in cui vuoi essere il primo a entrare in classe, cosicché, dopo, sarai il primo a uscire. Coloro che non sono in classe aspettano il suono della campanella chiacchierando e scherzando nei corridoi, senza le pressioni che hanno avuto durante tutto l'anno. Io e Delice, invece, preferiamo parlare dirigendoci verso le nostre classi. Alla prima ora ho matematica, l'unica materia che non voglio sorbirmi anche l'ultimo giorno di scuola. L'ho sempre odiata. Anzi, me l'hanno fatta odiare, e questa è colpa della mia insegnante.
Ho appena raccontato a Delice quelle piccole stranezze che avevo notato ieri, però non parlerò con Jackson Mitchell, non importa quanto lei insista. Dovrei, lo so, ma non posso presentarmi da lui e fargli domande riguardo ciò. Sembrerei una pazza a puntare il dito contro di lui, che non conosco, che non ho visto dietro le tende, che non ho visto portarci a casa, che non ho visto uscire dalla mia finestra. Non ho prove. O almeno, non concrete.
- Non credo che lo farò. Te l'ho detto. Ci vediamo dopo. - Saluto Delice non appena arrivo davanti alla mia classe, per poi entrare. Quanto la invidio: ha inglese. Ci vedremo a pranzo, ma già so che queste ore non passeranno mai. Mi siedo al mio posto, sempre in fondo ovviamente, e aspetto che la lezione inizi. Mrs. Balzac è già seduta alla cattedra, impegnata a scrivere qualcosa sul registro. È abbastanza anziana, ma ancora non si è decisa ad andare in pensione, sebbene ogni suo singolo alunno brami questo momento. Nonostante sia la più odiata dell'istituto, ha un aspetto dolce e innocente. Certo, finché non ci parli dato che ciò che dice non ha senso la maggior parte delle volte. La faccia è segnata dalle rughe ma cerca di recuperare gli anni truccandosi. Infatti sulle labbra ha costantemente un rossetto rosa scuro e sugli occhi un ombretto celeste perché, come dice lei, le risalta il grigio dell'iride. Ha i capelli corti, di un biondo platino, con un piccolo ciuffo che le scende sulla fronte, verso destra. Ha sempre una collana di perle bianche al collo, gli orecchini e un bracciale al polso destro abbinati. Al sinistro, invece, ha un orologio con un cinturino nero in pelle. Indossa sempre la stessa gonna nera e le stesse scarpe, anch'esse nere con un po' di tacco, le maglie solo bianche o nere (alcune volte anche di entrambi i colori) e sulle dita ha tre anelli in tutto, compresa la fede. Guardo verso la cattedra: un pacco di compiti corretti giace su di essa. La classe è quasi piena. Di June non si vede l'ombra, il che è una cosa buona, ma ho parlato troppo presto. Neanche due minuti dopo, infatti, fa il suo ingresso con un abito blu a fiori bianchi, lungo fino alle ginocchia. Dopo che l'ultima persona è entrata, la professoressa si alza per chiudere la porta e prende i nostri compiti. Solo la settimana scorsa abbiamo finito tutte le verifiche e l'ultima era proprio quella di matematica. Mi sorprende che questa volta non ci abbia impiegato un mese per correggerli.
- Come avete potuto vedere vi ho riportato i compiti. Sono sorpresa che siano andati tutti bene. - Annuncia mentre si alza a fatica, poi comincia a distribuirli. - Quasi tutti. - Aggiunge, fulminando con lo sguardo un ragazzo in ultima fila appena gli porge il suo compito. Quando passa accanto al mio banco lo lascia distrattamente e sarebbe caduto se non mi fossi affrettata a prenderlo. Non ha una simpatia per me, è vero, anche se non ne capisco il motivo. Sto costantemente alla lavagna, sono sempre la prima a relazionare e a essere rimproverata anche solo se mi muovo.
Una volta che ha finito il giro della classe, si va a sedere al suo posto nello stesso istante in cui la porta si apre e una testa bionda fa capolino da questa, costringendo l'insegnante a girare la testa per controllare chi sia.
- Mi scusi per il ritardo. - Mormora Jackson, abbastanza impacciato, sotto lo sguardo confuso di Mrs. Balzac. Lei non conosce lui e lui sicuramente si aspettava Mr. Douglas. In fin dei conti, nessuno vorrebbe avere la vecchietta malvagia e immortale di prima mattina, l'ultimo giorno di scuola, poi.
- Si vada a sedere signor... - Parla indossando i suoi piccoli occhiali rotondi, che tiene sulla punta del naso, mentre cerca il nome di Jackson sul registro di classe, inutilmente.
- Mitchell. - La anticipa lui. Mrs. Balzac gli fa segno di sedersi, senza importarsene più di tanto. Tutto quello che non conosce non sono affari suoi, come la sua materia, tra l'altro. Sicuramente non ha la stessa passione che ha Mr. Douglas, ma incolpiamo pure l'età invece che il desiderio di ricevere solo il suo stipendio.
Qualche secondo dopo l'inglese è seduto nel banchetto vuoto accanto al mio. Naturalmente nessuno si siede di fianco a me dato che la "Pazza" viene sempre isolata. Il nostro sguardo s’incrocia per un attimo, poi osserva la professoressa. Nonostante abbia girato la testa per guardare il compito, continuo a osservare il ragazzo biondo con la coda dell'occhio. Che senso ha ritornare qui, l'ultimo giorno tra l'altro, se poi ha già anche fatto il tour della scuola ieri? Mrs. Balzac si schiarisce la voce e poi riprende a parlare.
- Sono talmente sorpresa, forse sconvolta, che tutti voi abbiate passato anche quest'anno il mio corso. - Ricomincia a scrivere sul registro mentre parla. - E ora, Miss. Edwards, mi faccia il piacere di raccogliere i compiti. Tanto li avete visti e fanno schifo comunque. - June annuisce compiaciuta poiché per l'ennesima volta è lei a svolgere questo compito. Non che lo voglia fare io. Non voglio fare la leccapiedi.
June sta per prendere il suo stesso compito e alzarsi quando il foglio la precede. Si trasforma in un aereoplanino di carta e subito tutti gli altri fogli lo seguono. Il mio compito fluttua davanti al mio viso, trattenuto da chissà cosa. Sgrano leggermente gli occhi. Non è possibile, concepibile, questa cosa. Devo star per forza sognando.
- Ehm... Mrs. Balzac... - La chiama June con un filo di voce. Deglutisce subito dopo per sciogliere forse un nodo che le si è creato in gola. In un altro momento mi sarei anche divertita a farmi beffe di lei con Delice, ma ora anch'io mi sto pizzicando più volte il polso, cercando di capire se sia addormentata o meno. Come del resto tutta la classe, che si guarda intorno in modo confuso.
- Li poggi qui, signorina Edwards. - Lei continua a scrivere, ignara di tutto, battendo leggermente la mano sulla cattedra dove vuole che June poggi i compiti. Passo una mano sia sopra sia sotto il foglio, che continua a rimanere sospeso in aria. Spesso fanno scherzi gli ultimi giorni, ma questo è troppo perfino per loro. Mi guardo in giro. L'espressione di tutti è la stessa: panico totale, ma ancora nessuno riesce ad aprire bocca. Quella di Jackson, invece, si deve distinguere dalle altre: gli stessi occhi vitrei, come ieri. Picchietta con tre dita sul banco, indifferente a ciò che sta succedendo intorno a lui. Appena si sente abbastanza osservato, si gira verso di me, incrociando il mio sguardo. Distoglie immediatamente il suo dai miei occhi quando nota l'aereoplanino, corrugando la fronte. Sembra essersi appena svegliato da uno stato di trance. In quel momento tutti i fogli volano contro la lavagna, nella direzione della professoressa. La classe emette un urlo di terrore, costringendo Mrs. Balzac ad alzare lo sguardo. Si accorge giusto in tempo di quello che sta accadendo per buttarsi a terra, facendo cadere anche la sedia. I fogli si schiantano contro la lavagna, accompagnati dal tonfo sordo della sedia. I miei compagni di classe non perdono altro tempo a recuperare le loro cose ed escono di botto in pochi secondi, urlando spaventati. Tutti tranne me, Jackson, la professoressa e June, che guarda il ragazzo quasi inebriata. Lui mi rivolge un'altra occhiata e poi si alza, prendendo lo zaino da terra. Mi chiedo cosa ci sia dentro dato che non ha nessun libro. Lo seguo di corsa dopo aver afferrato anche il mio zaino mentre June si alza e corre ad aiutare la professoressa a tirarsi su. Vedo ancora il terrore nei suoi occhi. Sembra tremare mentre si lascia aiutare. Raggiungo Jackson e lo giro con forza una volta che gli ho strattonato il braccio. Il corridoio è vuoto e silenzioso. L'unica melodia che giunge alle mie orecchie è quella del mio cuore, che sta ancora impazzendo per quella scena assurda.
- Che cosa è successo lì dentro? - Gli chiedo in un sussurro, non trovando quasi la voce per parlare. Non riesco a spiegarmi cosa sia accaduto in classe. Non ci sono parole razionali per descrivere questa cosa. Non è razionale questa cosa. Mi guarda con un'espressione vuota, quasi strafottente. Quando incontra il mio sguardo mi sento avvampare e arrossisco. Non so neanche dove ho trovato il coraggio di fare una cosa del genere. Avrei dovuto correre fuori come sempre e invece, nell'euforia del momento, l'ho seguito. Come se fosse lui la causa di quello che è successo, poi. O forse sì? Mantengo lo sguardo fisso nei suoi occhi, ma non pensavo che fossero davvero così belli da vicino. Mi maledico mentalmente per essermi distratta quando si libera dalla mia presa.
- Un suicidio di massa. - Dice freddamente per poi allontanarsi da me, lasciandomi sola.
***
- Non ricordo di essere diventata famosa... - Mormora Delice mentre passiamo in mezzo ai tavoli della mensa, facendo attenzione a non far cadere il pranzo. Ci sediamo al nostro solito posto. Gli occhi dei ragazzi sono ancora puntati su di noi, cosa che m’infastidisce.
- È per quello che è successo in classe. - Guardo l'intera sala. Alcuni hanno lasciato perdere la nostra conversazione, altri ancora ci fissano ogni tanto, bisbigliando tra loro. Sospiro lievemente. Non mi piace che la gente parli di me alle mie spalle, figuriamoci se sono cosciente che lo stanno facendo. Non è colpa mia quello che è successo in classe e, anzi, ora mi sembra solo un ricordo sfumato nella mia mente. Come quei ricordi che non riescono a essere distinti tra il sogno e la realtà, e spesso si tende a credere che siano stati solo immaginati. Rimango ancora dell'idea che qualcuno abbia fatto uno scherzo, più che riuscito direi. Non c'è altra spiegazione.
- Ho sentito... non posso credere che tu abbia iniziato. - Commenta stupita, iniziando a mangiare. La guardo perplessa. Ecco perché tutti mi guardano in modo strano. Non che fosse una novità, ma maggiormente rispetto agli altri giorni. Di certo June ha messo voci in giro, false per giunta. Come posso aver iniziato io? Non sono mica una maga. Non che creda in queste cose, ma andiamo, è impossibile! Come fanno anche solo a crederci? Non è pensabile questa cosa! È... è... non so neanche io dire cosa è. So solo che non è normale quello che è successo in classe.
- Infatti non sono stata io. - Mi guardo intorno. Noto Jackson in un tavolo da solo a leggere. Non riesco a vedere quale libro, ma non sembra catturare molto la sua attenzione. Ogni tanto alza lo sguardo prima verso la mensa, poi verso il soffitto, come se stesse seguendo le tubature, poi verso di me. Quando nota che lo sto osservando, abbassa lo sguardo e riprende a leggere. Sembra si stia preparando per qualcosa e il libro sia solo una copertura. Delice continua a parlare, ma non ascolto neanche una parola di quello che sta dicendo. Alzo lo sguardo verso il soffitto per vedere cosa stava osservando solo pochi secondi fa. Jackson ripete gli stessi movimenti: mensa, tubature, me. Non capisco perché faccia così. Forse qualcuno gli ha già parlato della "Pazza" che vede i fantasmi e ora aspetta solo qualche mia scenata isterica.
- Mi stai ascoltando? - Delice mi scuote il braccio, facendomi riportare lo sguardo su di lei. Scuoto la testa, lei sbuffa e ricomincia da capo. Appena parla, sposto di nuovo lo sguardo sulle pareti tentando di capire cosa stia cercando Jackson. Appena Delice nota che per l'ennesima volta non m’importo delle sue parole, interrompe il discorso e sospira, rassegnata. - Ho capito. Ti do il tempo di osservare Mitchell quanto vuoi. Vado a prendere il mio cardigan in palestra. L'ho dimenticato lì. - M’informa con un tono abbastanza infastidito. Annuisco, guardandola, mentre lei si alza ed esce dalla mensa. Alcuni ragazzi la seguono con lo sguardo e poi ridono. Molte volte mi dispiace che Delice sia derisa per il semplice fatto che sia mia amica, perché non se lo merita per nulla.
Anche Jackson la osserva uscire. La stessa cosa fa Albert Sanchez, dall'altro lato della mensa, mentre al solito i suoi amici della squadra di nuoto parlano e schiamazzano. Vedo Jackson e Albert scambiarsi un'occhiata. Mentre il biondo riprende a leggere il libro, l'altro passa a guardare i muri, poi riprende a chiacchierare tranquillamente. Mi giro per mangiare quando noto una macchia su una parete. È così piccola che nessuno oltre a me sembra notarla. Solo Jackson cerca di capire cosa io stia fissando, spostandosi un po' di lato. Appena riesce a intravedere la macchia, leggermente più grande ora, si guarda intorno, allarmato. Sembra addirittura turbato, forse spaventato, ma non c'è bisogno di farne una tragedia: si sarà solo allentato un tubo. Invece, lui pare stia cercando una via di fuga. Il suo sguardo cade su Rosita, la signora della mensa, con la sua solita retina in testa che le regge i capelli neri, e il grembiule bianco. Adesso sta servendo il pranzo a delle ragazze del primo anno. Sto per alzarmi per chiedere a Jackson cosa abbia da guardare così tanto, dal momento che non sopporto essere fissata per molto tempo, quando un denso fumo nero appare dietro la donna. Una puzza di bruciato si sta diffondendo per la mensa. Quando Rosita se ne accorge, già delle piccole fiamme stanno uscendo dal forno. Porto lo sguardo su Jackson, che fissa il vuoto per l'ennesima volta, sebbene abbia gli occhi su di me. Il fumo raggiunge i rilevatori antincendio sul soffitto che si attivano. L'acqua inizia a cadere forte. I ragazzi si precipitano fuori, schiamazzando per il fatto che si bagneranno. Cerco Jackson con lo sguardo, ma è già sparito. Può anche essere una coincidenza, ma non ci credo tanto. Non è possibile che dopo che sia entrato in classe quei fogli siano diventati degli aereoplanini. La stessa cosa dopo aver notato quella macchia sul muro: il forno, infatti, ha preso fuoco. Non ho neanche un attimo per pensare che vengo trascinata fuori dalla folla. Prendo in tempo la mia roba e mi catapulto fuori insieme con gli altri. Non tanto per il forno in fiamme, dato che man mano si sta estinguendo, più che altro per l'acqua che cade dal soffitto. Già i miei capelli cominciano ad appiccicarmisi sul volto. Non riesco a raggiungere la porta d'ingresso per uscire che vengo spinta contro un armadietto e sbatto la testa. Prima di svenire vedo il ragazzo, uno dell'ultimo anno, che mi ha spinto, sento le urla e i passi dei ragazzi che risuonano in tutto il corridoio. I suoni vanno ad affievolirsi e le immagini ad annebbiarsi.
 
- Sharon! - Una voce lontana, colma di terrore, chiama il mio nome. Apro gli occhi, ma non vedo il mio corpo, solo quello che è presente intorno a me. Sembra uno di quei videogiochi in cui cerchi disperatamente di guardare in basso e scovare il tuo busto, ma puoi solamente osservare ciò che hai intorno. Sto sognando. Il posto è buio e distrutto per la maggior parte, come se un tornado ci fosse passato. Sento l'odore del sudore, vedo armadietti aperti e molti altri a terra, con le ante rotte o staccate, finite chissà dove. Conosco quel posto: sono gli spogliatoi della scuola. Una panca è addirittura sottosopra, mentre un'altra è messa a mo' di scudo. - Ho bisogno di aiuto... - Quella voce si sta trasformando in un sussurro. La voce è spezzata, tremante. Di una ragazza. La ragazza è Delice. Un verso mostruoso, gutturale, interrompe quel silenzio. La mia migliore amica urla.
 
Apro gli occhi di scatto all'udire la voce del preside dall'altoparlante. Cerca di far calmare tutti, tranquillizzandoli con tono fermo. Sfortunatamente non sta riuscendo nel suo intento. Ci sono ragazzi che ancora corrono, altri che si lamentano per essersi bagnati. Si stanno tutti dirigendo fuori dalla scuola. La testa mi fa male, ma nonostante tutto cerco la forza di alzarmi. Mi tiro su, appoggiandomi agli armadietti. Ora ci sono due possibilità: una plausibile e una folle. La prima è quella di uscire dalla scuola, pensando che sia una pazzia andare negli spogliatoi. Magari Delice è già fuori ad aspettarmi mentre io credo ancora ai sogni che faccio. La folle è quella di dargli retta, dato che la maggior parte delle volte hanno ragione, e morire nel luogo peggiore al mondo. Se non scendo, però, Delice potrebbe essere uccisa a causa del mio egoismo. Quindi opto per l'unica cosa che faccio quando non so cosa scegliere: smettere di pensare. Inizio a correre verso gli spogliatoi. Se non è lì, tornerò su il più velocemente possibile. Scendo le scale e imbocco il primo corridoio a destra. C'è una puzza di sudore mista a quella dell'acqua sporca. Le luci sul muro sono fuori uso. Arrivo davanti alla porta blu e guardo dentro: il caos. C'è dell'acqua sul pavimento che proviene dal bagno. La sua porta è spezzata in due: una metà giace a terra, l'altra è rimasta attaccata allo stipite. Su entrambe c'è un semicerchio, come se qualcosa ci fosse passato attraverso. Anche le ante degli armadietti sono esattamente come erano nel mio sogno. Apro lentamente la porta senza chiudermela alle spalle. Se dovessi scappare, non perderei tempo ad aprirla. Prendo un pezzo di ferro, forse di un armadietto, trovato a terra e lo incastro sotto la porta per tenerla aperta e ferma.
- Delice! - La chiamo, ma senza ricevere una risposta. Riprovo a chiamarla. Di nuovo niente. Sto già cominciando a preoccuparmi. Sapevo che non sarei dovuta venire qua. La mia mente sta già cominciando a fare pensieri orribili. Non ho mai visto gli spogliatoi così raccapriccianti.
All'improvviso, sento un verso, quasi metallico, e dei tonfi sordi sul pavimento, come se qualcuno stesse camminando con delle pinne bagnate ai piedi. Mi giro per controllare se ci sia qualcuno dietro di me, ma l'unica cosa che vedo è l'acqua che continua a uscire dal bagno. Mi giro e chiamo Delice per l'ennesima volta mentre scivolo su un panno bagnato, cadendo col sedere a terra. Impreco sotto voce sia per i pantaloni bagnati sia per il dolore. Solo dopo mi accorgo che quel panno è il cardigan di Delice. Questo vuol dire che lei è ancora dentro l'edificio. Non scapperebbe mai senza recuperare un suo capo d'abbigliamento, anche se ci fosse l'apocalisse. Lo prendo e mi siedo un attimo a terra con la schiena appoggiata a un armadietto per guardarmi in giro e cercarla. Perché hanno costruito gli spogliatoi così grandi? Non ho il tempo di pensare, fatico a respirare e so che l'ansia sta prendendo il sopravvento sul mio corpo, sulla mia mente. Poi, di nuovo quella risata metallica. La sento dentro le pareti, dentro i tubi. Fisso di fronte a me il bagno, da cui l'acqua non smette di fuoriuscire. Sto per alzarmi quando il muro vicino alla porta esplode. Mi copro la faccia con un braccio e urlo istintivamente dalla paura. Magari qualcuno mi ha sentita. Apro gli occhi, ma le uniche cose visibili sono le macerie sul pavimento e la polvere nell'aria. Dietro di questa, s’intravede una sagoma nera. Non ci credo che qualcuno sia sceso nonostante quello che stia accadendo sopra. - Sono qui. Sto bene. - Mi sto per alzare quando quella figura si avvicina. Infatti non ci ho creduto davvero. Nessuno è sceso giù. Guardo la porta: è chiusa. Il pezzo di ferro è sparito. Al contrario, c'è qualcosa dietro la porta, dall'esterno, per impedire che si apra. Sono bloccata qui. Morirò qui. Mi schiaccio contro gli armadietti quando la testa di un uomo spunta da quella polvere. Per un secondo penso che sia salva, che mi sia sbagliata e che sia stata colpa della mia immaginazione, adesso impossibile da controllare a causa della paura. Mi guarda con degli occhi azzurri che ricordano il mare. Sono dello stesso colore. Per un attimo penso che abbia l'oceano negli occhi. Poi, vedo qualcosa muoversi in essi: l'oceano stesso. O almeno, una microscopica parte. Quando esce dalla polvere lo vedo interamente. Si muove grazie a delle mani e dei piedi palmati. Una coda lunga due metri lo aiuta ancora meglio nel suo movimento. Ha una pinna dorsale simile a quella di uno squalo e la sua carnagione è di un colore grigio cenere, come le nuvole in tempesta. Dietro le orecchie, sul collo, ha delle branchie. La testa è l'unica cosa normale che possiede, o almeno così pensavo. Appena apre la bocca, infatti, mostra una fila di denti da squalo, appuntiti come rasoi. Emette un altro verso, ancora più forte, facendo volare un po' di saliva fino ai miei piedi. Li ritraggo appena in tempo. Non voglio quella cosa schifosa sulle mie scarpe, anche se è l'ultima cosa di cui mi sarei dovuta preoccupare dato che sto per essere divorata da questo essere. Sento il mio cuore martellarmi nel petto, in gola, in testa. Sono bloccata. Cerco di capire cosa sia, ma non so darmi una risposta. Respiro a fatica. Provo a muovere le gambe: se sono abbastanza veloce a scappare, posso salvarmi, ma niente; rifiutano i miei ordini. Goccioline di sudore mi cadono dalle tempie. È la fine per me. Delice non c'è. Sono stata una stupida a pensare davvero che fosse qui. Avrà sicuramente sentito la voce del preside e, non importandosene del cardigan, sarà uscita. In fin dei conti, stanno evacuando la scuola. Emette un altro urlo stridulo, deconcentrandomi dal quasi prendermi a schiaffi, e si lancia contro di me.
   
 
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