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Autore: manpolisc_    28/03/2020    14 recensioni
•Primo libro della trilogia•
Sharon Steel è una ragazza di diciassette anni che vive a Ruddy Village, una cittadina tra il Nevada e la California. La sua vita non è mai stata semplice: è stata definita pazza per le cose che vede e alle quali la gente non crede, che l'hanno portata a sentirsi esclusa. Solo l'arrivo di una persona come lei riuscirà a farle capire di non essere sbagliata, ma solo diversa. Scoprirà la sua vera natura e dovrà decidere del proprio destino.
Dal testo:
- È solo un bicchiere che è caduto. - Mormoro. Mi guarda, accennando un sorriso divertito.
- E la causa della sua caduta è solo qualcosa alle tue spalle, che brancola nel buio, pronto ad ucciderti. -
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo 3

Mi giro di scatto per capire cosa ci sia dietro di me. In quel nanosecondo penso a tutte le ragioni per cui potremmo finire nei guai se il proprietario ci beccasse. O peggio: se ci beccasse il ragazzo nuovo, l'unico in tutto la città a non considerarmi pazza. Ancora. Quando mi giro, però, vedo solo un gallo. Ha un piumaggio maculato di colore nero che tende al blu. Sembra anche più grosso dei soliti galli, ma forse è solo la mia impressione. Lascio un grande sospiro di sollievo per liberarmi dell'ansia che si è accumulata. Delice, invece, libera un verso, misto a un urlo e a un sospiro, per scacciarla. La zittisco, preoccupata che qualcuno possa scoprirci per davvero questa volta. Se non l'ha già fatto, a causa delle urla, ma nessuno sembra raggiungerci.
- Era solo un gallo, fortunatamente. - Dice col suo solito sorriso da "e anche questa volta l'abbiamo scampata". Annuisco e la prendo per il polso con l'intenzione di trascinarla via di qui. È meglio andar via prima che il ragazzo nuovo possa uscire e tempestarci di domande alle quali sarebbe difficile rispondere. Non penso che "la mia migliore amica sbava per te perché crede che tu sia un vampiro e vuole cercare la tua bara" sia una buona scusa. Il gallo continua a guardarci, seduto comodamente sul terreno. Alterna ripetutamente lo sguardo da me a Delice e viceversa. Sembra che si stia godendo il nostro spavento.
- Spero che lo spettacolo gli sia piaciuto. Ora possiamo andare. - Mi muovo, ma lei rimane lì a fissare il gallo e costringe anche me a fermarmi. S’inginocchia con l'intenzione di avvicinarsi. L'animale la guarda in modo strano, curioso, chinando la testa di lato. Nonostante Delice odi lo sporco, ama gli animali. Davvero, ogni singola creatura vivente. Però, non mi sembra questo un buon momento per fargli le coccole. Poi non capisco che ci faccia un gallo in giardino. Mi guardo in giro, in cerca di una possibile gabbia che possa ospitarlo, ma non c'è. Non sono l'emblema della normalità, e va bene, ma perfino io non ho un gallo come animale domestico. Non ha senso tutto questo. È tutto troppo bizzarro.
- Ma guardalo! - Allunga la mano verso di lui per accarezzarlo. Sento una forte fitta allo stomaco, come se un coltello stesse spingendo da dentro per uscire fuori, bucandomi ogni parete interna. Mi porto istintivamente le mani su di esso, premendoci sopra per cercare di alleviare quel fastidio. Quella sensazione dura qualche secondo, poi sparisce. Non mi preoccupo più di tanto; ho spesso fitte del genere, e di certo queste sono causate dall’agitazione per le circostanze in cui ci troviamo. Il gallo mi guarda un secondo, come avvertendo il mio dolore, poi riporta lo sguardo su Delice. Sembra che le stia sorridendo, anche se è impossibile per lui.
- Non toccarlo. È pericoloso. - La avverto prima che possa accarezzarlo.
- Ma è solo un gallo! - Osserva divertita. Annuisco confusa, cercando di capire perché abbia detto una cosa che non sapevo, e che non avrei mai pensato, ma le parole sembrano essere uscite da sole. È solo un gallo, come può essere pericoloso? Scuoto lievemente la testa, sorpresa delle mie stesse parole. Credo che la pazzia sia tornata. Perché devo sempre pensare che qualunque cosa mi possa far del male o addirittura uccidere? Non riesco davvero a capirlo. Mi sono portata dietro questa convinzione fin da piccola. Ricordo ancora una volta quando gettai via delle caramelle al limone con la convinzione che fossero avvelenate. E poi questa costante sensazione di far del male alle persone che mi stanno intorno: alcune volte vorrei rinchiudermi in una camera blindata e non uscirne più.
Delice è a un passo dal toccarlo quando il gallo scatta in piedi (beh, sulle zampe) e inizia a chicchiriare, ma in un modo così forte che sembra urlare. Lei sussulta dallo spavento, cascando all'indietro, ma caccia un urlo di terrore solo quando si accorge della coda in fiamme. Il mio respiro sembra bloccarsi e così tutto il mio corpo. La coda brucia, eppure non c'è odore di fumo nell'aria. Appena riacquisto la capacità di respirare, lo faccio in modo irregolare. A momenti sembra mancare. Cerco di convincermi più volte di non star sognando, pizzicandomi insistentemente il polso, ma tutto ciò è fin troppo reale. Delice si rimette in piedi in un lampo e viene verso di me, terrorizzata. Il gallo cammina verso di noi, continuando a chicchiriare. Non riesco a muovermi, paralizzata a causa della mia stessa paura. Fortunatamente in mezzo alla strada non c'è mai nessuno. Se passasse qualcuno e vedesse ciò che sta accadendo, se realmente sta accadendo, sarebbe difficile spiegarlo. Incrocio lo sguardo dell'animale e solo ora mi rendo conto che i suoi occhi hanno un colore diverso: uno è del tutto nero, l'altro bianco. Con quest'ultimo sembra guardare Delice, con l'altro me. Lei, accanto a me, cade in ginocchio con le mani sulle orecchie e inizia a lamentarsi.
- Fallo smettere con questo rumore! - Urla, strizzando gli occhi e premendo fortemente le mani sulle orecchie, cercando di bloccare un suono inesistente. Fisso prima lei, poi l'animale, poi mi guardo in giro. Quale rumore, esattamente? Ritorno a guardarla.
- Smettila di scherzare, Delice. - Aspetto che interrompa il suo spettacolino per andare via. Non è proprio il momento di giocare. Delice spesso fa buffonate del genere, nonostante la maggior parte delle volte siano di cattivo gusto. Il gallo si è bloccato, ma la sua coda continua ad ardere. Tuttavia, solo ora mi rendo conto che non sta fingendo. Non riesce ad alzarsi e non è la persona che sta a terra, e sporcarsi i pantaloni, per fare uno scherzo del genere. Nella situazione meno adatta, poi. I pantaloni bianchi ora sono sporchi di terra. Cerco di aiutarla ad alzarsi ma continua a urlare, quasi dal dolore. Le sue urla non possono passare inosservate. Qualcuno dietro la finestra, infatti, sta osservando la scena, ma non riesco a distinguere i suoi tratti. Ci guarda senza intervenire, nessuna emozione sul volto coperto dalle tenebre. Il suo cappuccio nero, poi, non è d'aiuto dato che gli copre ulteriormente il viso. Osserva e basta. Sembra quasi una prova. Lui è dietro il vetro e ci sta studiando, noi siamo chiusi nella camera bianca e il test non sta andando bene.
- Sharon! - L'urlo di Delice mi riporta alla realtà e sposto di scatto lo sguardo su di lei, pensando che sia accaduto qualcos'altro. Fisso un'ultima volta la finestra appena noto che non è successo nulla di nuovo, ma non c'è nessuno. Me lo sarò sicuramente immaginato. Dovrei far qualcosa, ma sono completamente nel pallone. Non ho la minima idea di come aiutarla. Io ancora non sento nulla.
Il gallo smette di fissare Delice, che è appena caduta a terra, immobile, e sposta lo sguardo su di me. Inizio a sentire un ronzio fastidioso, poi il raschio delle unghie sulla lavagna, il rumore di un trapano elettrico, urla di persone e pianti di bambini. Cado anch'io in ginocchio con le mani sulle orecchie, cercando di fermare quei rumori insopportabili. Non posso farci niente, però, perché quei suoni sembrano provenire da dentro la mia testa. Sebbene non riesca a farli smettere, cerco di raggiungere Delice che non si muove più. Ho paura che sia svenuta. Purtroppo, la vista mi si sta gradualmente annebbiando e non riesco a raggiungerla. Cado con la faccia sul terreno e l'ultima cosa che vedo è quel dannato gallo che se ne sta andando. La sua coda è perfettamente intatta, come se non avesse preso fuoco per niente. Non posso essermi immaginata tutto ciò. Cerco di alzarmi da quel terreno freddo, facendo leva sulle mie braccia, ma non ci riesco. Crollo definitivamente, sentendo le palpebre degli occhi pesanti. Qualcuno con delle Converse nere si sta avvicinando. Il gallo rimane a guardare colui che deve essere il suo padrone mentre quest'ultimo avanza verso me e Delice. I suoni stanno andando via insieme ai miei sensi. Lo scricchiolio delle foglie sotto i piedi del ragazzo sono l'ultimo rumore che riesco a udire. Poi, il buio totale.
***
Il silenzio a volte è il suono più dolce di sempre. È come se avesse una propria melodia che pochi riescono ad ascoltare. Cerco di aprire gli occhi appena riprendo coscienza, ma le palpebre sembrano attaccate e la testa mi pompa. Le uniche cose che riesco a distinguere appena li apro sono le ombre dei mobili. Sbatto le palpebre più volte e, man mano che riacquisto la vista, mi tiro su a sedere nonostante il dolore alla testa. La stanza è buia: soltanto la luce dei lampioni la illumina un po'. Siamo nel mio soggiorno. La televisione è accesa e sta trasmettendo un programma di cui non ricordo il nome. Il volume è bassissimo. Si sente il presentatore parlare e fare battute mentre il pubblico applaude e ride. Chiamo Delice in un sussurro roco per farla svegliare, ma lei continua a dormire sull'altro divano. La sua borsa si trova, invece, sulla poltrona di pelle nera, a fianco al divano. Continuo a guardarmi in giro per cercare di capire cosa sia successo, se effettivamente sia accaduto qualcosa, ma tutto sembra essere al proprio posto. Accanto alla televisione, l'ampia libreria piena di CDs, DVDs e libri è in ordine; la lampada ancora all'altro lato della televisione. Lo stesso vale per il tavolino, tra quest’ultima e il divano, che poggia su un tappeto shaggy dello stesso colore del legno. Sopra al tavolino c’è sempre quel piccolo vaso contenente un cactus, ma in aggiunta sono presenti un piatto con delle caramelle, una tazza di tè e un fogliettino che il vento si porterà via a momenti a causa della finestra aperta.
"FAI MANGIARE QUELLE CARAMELLE A DELICE, HA AVUTO UN CALO DI ZUCCHERI. IL TÈ È PER TE. TI VOGLIO BENE, MAMMA."
Delice continua a dormire. Non ricordo di essermi addormentata. Non ricordo niente in verità, solo forti rumori ed un'emicrania pazzesca. Prendo la tazza e bevo velocemente data la gola secca, almeno il tè non è male. Inizialmente sembra aspro, ma dopo diventa dolce. Sento Delice muoversi leggermente sul divano e sbadigliare. Anche lei si è tirata su e si sta stiracchiando. Come fa a non essere a pezzi? Sembra che io abbia lottato per dei posti in prima fila a un concerto.
- Ci siamo addormentate... - Mormora lanciando prima uno sguardo a me, poi alla televisione. Assottiglia gli occhi per vedere cosa stia trasmettendo. - Si vede che quel film era molto noioso... - Corruga la fronte appena ritorna a guardarmi in faccia, cercando di capire se ci sia qualcosa su di essa o meno. Mi tocco una guancia, non sapendo bene cosa stia fissando. Magari è qualche ombra che mi fa sembrare la faccia sporca. Infine decide di non fare domande e guarda le caramelle, afferrandone una. Annuisco alla sua affermazione perché è l'unica cosa che posso fare. Nonostante cerchi di aggrapparmi a qualche ricordo, sembrano tutti spariti. Guardo l'orologio: quasi le otto di sera. Alza lo sguardo verso di me.
- Mangiale tutte. - Dico indicando le caramelle. Mi guarda confusa. Già è tanto che ne mangi una, figuriamoci tutte. - Hai avuto un calo di zuccheri, fai bene a mangiarle. - Le fissa per un po'. Sicuramente si sta chiedendo se non finiscano sui fianchi. Una volta che ho finito di bere il tè, poggio la tazza vuota nel piatto.
- Calo di zuccheri... - Ripete elaborando le mie parole. - Ecco perché mi sento così stanca. - Dopo le prende e le mangia una alla volta. Mi sento sollevata: almeno non sono l'unica che si sente uno schifo. Ci alziamo dal divano. Chiudo la finestra del soggiorno e saliamo in camera mia. Il mio sguardo cade sui suoi pantaloni, sulle ginocchia, sporchi di terra. Corrugo la fronte, ancora più perplessa di prima: non ricordo che siamo uscite.
- Delice, ma che film stavamo guardando? - Chiedo dopo che siamo entrate in camera. Lei si siede sul letto, io rimango in piedi vicino alla finestra e mi giro a guardarla.
- Non mi ricordo... - Risponde confusa. Aggrotta la fronte cercando di ricordare qualcosa, ma sembra delusa perché anche lei, come me, non riesce a trovare i suoi ricordi.
- Pensavo di essere l'unica con questo problema... - Mormoro portando poi lo sguardo fuori, un po' preoccupata. Nonostante mi sforzi, non riesco proprio a capirci qualcosa in tutta questa storia. E ci sono un sacco di cose a cui non riesco a dare una spiegazione plausibile, ma questa…
- Penso che abbiamo avuto entrambe una giornata pesante. Meglio se vada, a domani. - La saluto con un gesto della mano mentre esce. Qualche minuto dopo, la sua macchina abbandona la strada. A parte la Jeep nera parcheggiata davanti casa di Jackson Mitchell, la strada è deserta, come sempre. Non c'è vento: tutto è immobile, come se stesse per succedere qualcosa. Perfino la signora Moore non si trova in giardino come ogni sera. Trascorre le serate fuori a giocare a solitario mentre il suo gatto le gira intorno, bramante di carezze. Quando capisce che la padrona è troppo occupata a giocare, cammina via offeso e si stende davanti alla porta, aspettando che torni in casa. Alzo lo sguardo sulla finestra di fronte alla mia, quella del ragazzo nuovo probabilmente, osservando quanto vuota e buia la stanza sia. A un certo punto, dietro il vetro, spuntano due occhi bianchi nel mezzo di quel buio così nero che sembra nascondere qualcosa di soprannaturale. Mi strofino gli occhi per poi riaprirli: la stanza è di nuovo buia, ma quelle iridi erano lì fino a due secondi fa, non posso averle immaginate. All'improvviso, la mia mente viene presa in assalto da quelli che sembrano dei ricordi, anche se non so ben dire da dove sbuchino fuori: un gallo, delle fiamme e delle Converse nere. Cerco di capire da dove provengano e perché siano riemersi solo ora, senza una motivazione precisa. Inoltre, ancora non riesco a darmi una spiegazione riguardo ai pantaloni bianchi di Delice, sporchi di terra. Cerco di capire cosa sia successo e chi abbia scritto quel biglietto sul tavolo dato che solo ora, che sono meno assonnata, mi rendo conto quella non era la scrittura di mia madre, ma ogni ipotesi nella mia mente dura solo qualche misero secondo. C'è sempre qualcosa che non s’incastra con gli altri pezzi. Poi, la finestra in soggiorno non è mai aperta quando mia madre non è a casa. Inoltre, quale motivo c'era di aprirla? Non c'è neanche tutto quel caldo afoso, ma magari durante la giornata sì e Delice l'ha aperta, dato che io non lo faccio mai. Poi ci siamo addormentate e nessuna l’ha chiusa, forse. Ora nella mia testa c'è un tornado di punti interrogativi. Decido di andare a farmi una doccia per riprendermi. Devo levarmi questa stanchezza di dosso. Quando passo davanti allo specchio noto qualcosa di scuro sulla mia guancia. Mi avvicino per controllare. Ecco cosa stava fissando Delice prima: c'è della terra sulla mia faccia.
   
 
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