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Autore: Stella cadente    31/03/2020    4 recensioni
Hogwarts, 2048: dopo la Seconda Guerra Magica e una lunga ricostruzione, la Scuola di Magia e Stregoneria è di nuovo un luogo sicuro, dove gli studenti sono alle prese con incantesimi, duelli con compagni particolarmente odiosi, le loro amicizie e i loro amori – come qualunque giovane mago o strega.
Ma Hogwarts cova ancora dei segreti tra le sue mura; qualcosa di nascosto incombe di nuovo sul mondo magico e sulla scuola, per far tornare un conto in sospeso rimasto sepolto da anni...
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«Che cosa gli è successo?»
Il Preside sospirò.
«Anni fa, Black era Preside, ma... ben presto fu chiaro a tutti quale fosse la sua reale intenzione. Non voleva fortificare Hogwarts, bensì renderla più intollerante. Tutti noi insegnanti abbiamo temuto, finora, che tornasse. Io l’ho sconfitto ed esiliato, ed io l’ho privato di quello che era il suo posto. Un posto ambito, e soprattutto influente.»
[...]
«Ascoltami, Elsa» riprese, con tono cupo. «Fa’ attenzione, soprattutto al tuo potere. C’è bellezza in esso, ma anche un grande pericolo.»
Pausa.
«Ricorda», aggiunse, «la paura sarà tua nemica.»
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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44.
 
 
Merida
 
 
«È preoccupante, dottore?»
La voce di Elinor – sua madre – le sembrò come sempre insopportabilmente apprensiva, come se lei non fosse in grado di badare a sé stessa. Aveva undici anni, in fondo, non due. E sapeva perfettamente che cosa fare.
«Non nel senso negativo della cosa; molti giovani maghi, prima di andare a scuola, manifestano poteri incontrollati.  Nel caso specifico di Merida, credo che non ci sia nulla di cui preoccuparsi – a meno che, ovviamente, questo non sfugga al suo controllo anche dopo. In quel caso, ci sarebbero senza dubbio dei provvedimenti da prendere.»
La ragazzina strinse i pugni; odiava quando qualcuno parlava di lei in sua presenza senza guardarla, come se non fosse neanche lì.
«Che tipo di provvedimenti?» fece quindi, ignorando l’occhiataccia che sua madre le lanciò immediatamente.
Il medico – Dr. William Hastings, recitava la targhetta sulla sua uniforme – era un esperto in anomalie magiche dell’età adolescenziale, e Merida, chissà perché, se lo immaginava come una specie di strizzacervelli. Aveva una voce pacata e dei modi prudenti, come se interagisse continuamente con persone instabili. «Beh» disse appunto, con quel tono affettato che la faceva arrabbiare. «Dovremmo tenerti sotto osservazione, ecco. Hai detto che il fuoco è sfuggito al tuo controllo, vero?» le chiese, mentre prendeva un blocchetto per gli appunti.
«Sì» disse solo la ragazzina, serrando la bocca sottile. «Ma solo per un momento.»
Elinor rimase in silenzio, senza puntualizzare come suo solito – senza dire che, in quell’unico momento, Merida aveva rischiato di bruciare vivo suo fratello.
Forse anche lei aveva capito che, se la verità fosse venuta fuori, sua figlia sarebbe finita in un istituto di correzione.
Forse anche lei voleva dimenticare, e fingere che andasse tutto bene.
 
Da quando suo padre Fergus era stato ucciso da un orso, lei era diventata cupa, arrabbiata verso tutto e tutti. E quella volta… la sua rabbia era esplosa in qualcosa di strano.
Sua madre aveva paura di lei; la sentiva, a volte, mentre parlava al telefono con sua zia Maud, che era preoccupata e avrebbe voluto farle fare decine di visite. L’unico in cui era assente quel velato sospetto era il suo fratellino John – che aveva quattro anni e che vedeva ancora semplicemente la sua sorellona, che lo avrebbe sempre protetto dalle insidie di tutto il mondo.
Dopo, il fuoco si era addormentato per poi non svegliarsi più.
Fino ad ora.
Merida ci pensava, mentre camminava al fianco di Pitch Black, in mezzo alle altre ragazze. Aveva sempre cercato di respingere il fuoco, che quell’anno aveva ripreso a ribollire dentro di lei, come per gridarle che c’era, che era lì – che era sempre stato lì. Lo aveva odiato, aveva cercato di reprimerlo, senza dire niente a Merman, troppo concentrato su Elsa. Aveva immaginato che non fosse il caso, che non sarebbe stato giusto dare al Preside altri pensieri e altri problemi. Non voleva essere lei a complicare la situazione; in fondo, se si era acquietato per tutto quel tempo, che motivo c’era che ricomparisse? Nessuno.
Invece la sua logica l’aveva ingannata, e senza volerlo si era esposta ancora di più, fino a farsi trovare.
Come una gazzella che va spontaneamente nella tana del leone.
 
Elsa giaceva a terra, vicino al Platano Picchiatore, la brina nera che le attraversava le braccia in rami scuri. Meg, Anna e Quentin discutevano, ma lei non riusciva a reagire; sentiva la voce dura di Meg, che intimava ad Anna di non toccare la sorella, come se fosse ovattata.
Quello che riusciva a sentire molto chiaramente, invece, erano le mani che bruciavano.
Un bruciore sottopelle, che diventava più intenso man mano che si avvicinava a lei.
Ad Elsa. 
 
Forse era inevitabile. Forse avrebbe dovuto farsi davvero rinchiudere in un istituto di correzione per ragazzi con anomalie magiche. Forse era questo che era davvero: una strega fuori controllo. Che cosa avrebbe detto Anna, se lo avesse saputo?
Ormai era tardi per chiederselo, perché adesso stava per combattere contro Hogwarts. Il fuoco la chiamava, la costringeva a stare dalla parte di loro – dalla parte di Melicent, di Pitch Black, di Elsa, che adesso aveva lo sguardo trasognato di una che ha finalmente trovato il suo posto nel mondo, anche se è quello sbagliato. E di Lily, che come lei cercava di contrastare la sua abilità invano.
Il bruciore sottopelle era tornato; adesso, sulle sue braccia pallide comparivano delle venature rosse, come sottili fili di lava che però non le facevano male. Si intensificavano quando lei si avvicinava a Black. Non avrebbe mai immaginato che, quello di andare a cercare Elsa, sarebbe stato uno sbaglio così grande. Non avrebbe mai immaginato che quel potere fosse dentro di lei a causa di un disegno ben preciso, che prima o poi sarebbe stato portato a compimento.
Dentro di lei, adesso, si agitavano emozioni contrastanti: cosa sarebbe successo ad Hogwarts? Avrebbe dovuto uccidere Anna, Quentin, Esmeralda? Avrebbe dovuto guardarli negli occhi, prima di scagliare loro addosso un incendio con le sue stesse mani?
Anche con le dita chiuse a pugno, Merida riusciva a sentire il fuoco che la chiamava, ancora una volta.
Non puoi resistere.
Lo odiava.
Si odiava.
 
«Non puoi farci niente, Merida. Il fuoco ha attecchito su di te sin da quando sei nata, restando nel silenzio fino ad ora affinché arrivasse al momento opportuno. In Alchimia si chiama “latenza”: anche la ragazza che, prima di te, ha avuto il potere di governare questo elemento, ha attraversato la stessa fase. Non si è resa conto della presenza del fuoco, fino a che non è stato ingovernabile. E forse è stato meglio così.»
La ragazza si rifiutava di realizzare che la sua intera esistenza fosse solo funzionale ad un progetto di distruzione.
«Perché?»
«Perché tu rappresenti la Fenice, la Fine. E se tu lo avessi capito prima, saresti potuta sfuggire, tenendo il tuo potere per te. Non lo sai? È necessario il fuoco, per portare a compimento il Rituale. La sua potenza. Altrimenti, il Rituale fallisce. Fortunatamente per noi, non è andata così.»
«Per te, piuttosto» sibilò la Grifondoro. «È un tuo interesse riportare indietro gli Antichi.»  
Pitch Black la guardò con freddezza, e Merida capì di aver detto una cosa che non doveva dire. Ma non si spaventò – non adesso che sapeva di avere un potere inarrestabile. Il mago aveva una vaga paura di lei; se ne accorgeva da come le parlava, come se temesse in una sua esplosione da un momento all’altro.
Come il Dottor Hastings, sei anni prima.
«Non puoi opporti alla sua forza. E lo sai anche tu» si limitò a dirle Black, gelido.
Era come se, da quando era stata portata nel Limbo, non riuscisse più a ricordarsi chi era; tutto sembrava annientato dalla potenza del fuoco. Poteva sentire il crepitare delle fiamme nel cervello, continuamente, come se volessero dire tutte le parole che non avevano mai detto. Era così difficile resistere. Ma doveva, doveva farlo. Anche se era arrivata ad avere gli incubi. Anche se, per la prima volta in vita sua, aveva paura.
 La rabbia – una rabbia sconosciuta, estranea, come se dipendesse da qualcos’altro – prese possesso di lei, facendola sentire tutto un formicolare. Sentì il suo corpo irrigidirsi, lo scricchiolare delle scintille che le risalivano il collo, i capelli rossi che fluttuavano come fiamme.
Era terrificante, lo vedeva nello sguardo di Black. Il mago sollevò poi una mano, e un fulmine di un giallo innaturale squarciò il grande salone buio. Ad esso si aggiunsero spirali di granelli scuri e fini, che formarono presto un cavallo nero dagli inquietanti occhi gialli, che la guardò torvo. La stava provocando, era chiaro.
Un tempo avrebbe avuto paura, di quella situazione: invece, adesso aveva paura di sé stessa.
Rispose battendo il piede a terra, rilasciando istantaneamente delle fiamme alte quanto lei. Formavano un perfetto anello attorno alla sua sagoma, senza neanche toccarla: attraverso di esse, i suoi occhi erano puntati sul mago che le stava davanti. Lo guardò per un istante come a volerlo sfidare, poi protese le mani in avanti e un getto di fuoco esplose dalle sue dita, per poi partire verso l’alto; le fiamme si intrecciarono poi in una sfera iridescente, che, nel giro di qualche secondo, iniziò a plasmarsi nelle forme di una fenice, che dispiegò le ali ed emise un grido, per poi dissolversi.
Black chiuse la mano a pugno, e gli incantesimi che aveva evocato tornarono a lui, come se fossero risucchiati solo dalla forza del gesto che aveva fatto.
«È questo quello che sei» concluse il mago, muovendo qualche passo verso di lei fino a guardarla da vicino. «Mi sembra evidente.»
La lasciò lì, e quando chiuse l’enorme porta a battente Merida emise un lungo urlo di rabbia, che le rimbombò nelle orecchie sotto forma di eco.
 
 
Aveva ragione. Non poteva sottrarsi, e questo le provocava un nervosismo costante, feroce, che le faceva venire voglia di ribellarsi e distruggere tutto – distruggere lui.
Ma a quei pensieri il fuoco si infuriava e le faceva male.
Continuò a camminare nella notte accanto a Pitch Black – l’unico Antico rimasto – fingendo di non sentire il dolore delle sue braccia coperte di ustioni.
 

 
 
 
 
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Ciao a tutti! (fa ciao con la manina allegramente)
In realtà non ci sarebbe proprio niente da essere allegri, per quello che attualmente succede nella storia. A tal proposito, ho qualche nota da fare: poiché mi piace molto l’idea di far sentire ai lettori cosa provano i personaggi – in realtà è più una mania, ma vabbè – ho inserito alcune componenti che, seppur adattate al contesto del mondo magico, sono riscontrabili anche in quello babbano. Sto parlando, ovviamente, del Dr. Hastings, che ricorda per l’appunto uno psichiatra. Non è una cosa molto allegra, in effetti, quella che viene fuori, se pensate al significato metaforico di questo capitolo. Il cedimento all’oscurità, il lasciarsi andare pur sapendo che si faranno cose brutte. La rabbia mischiata alla rassegnazione. Insomma, questa fic, in poche parole, è partita come una storia tra adolescenti un po’ scema, e poi è diventata la fiera del disturbo mentale.
YAY.
Anyway, avete notato che non c’è mai stato un vero e proprio capitolo all’insegna del POV di Merida? Era proprio per questo motivo yuhuuu (si sente esaltata). Come mi pare di aver già detto una volta, la trama è ambientata al settimo anno di Hogwarts, e negli anni sono successe varie cose ai personaggi. Ognuno ha nascosto dei segreti – che però dovevano esser rivelati a tempo debito – tra cui la nostra impulsiva Grifondoro. Ed eccoci qua.
Adesso tutto combacia, le ragazze hanno scoperto la loro vera natura, ognuna reagendo in modo diverso, e si stanno preparando per l’attacco ad Hogwarts.
Il prossimo capitolo sarà nuovamente introspettivo, stavolta su Lily, personaggio tanto dolce quanto misterioso; dopodiché, entreremo nel vivo... e chissà cosa potrebbe succedere.
Un abbraccio a tutti e scusate il poema, alla prossima!
Sara


 
We're Sick - Auditions - Page 2
 
  
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