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Autore: Crudelia 2_0    01/04/2020    6 recensioni
«Ginny» iniziò tormentandosi le mani e senza avere il coraggio di guardare l’amica «non metterò quell’abito, è troppo piccolo».
«Ma che dici, Hermione? Abbiamo la stessa taglia» Ginny la guardava con le sopracciglia corrugate, uno strano presentimento aveva iniziato a farsi strada nella sua mente.
«C’è un motivo se ho scelto di non frequentare Hogwarts il prossimo anno e dare soltanto gli esami».
«Lo so. Non mi hai ancora voluto dire di cosa si tratta, ma so che c’è un motivo» sussurrò Ginny. All’improvviso sostenere quella conversazione ad alta voce era diventato troppo difficile.
«A villa Malfoy, dopo che Bellatrix aveva finito con me, mi ha dato in mano a Greyback » disse Hermione con tono incolore.
«Sì» rispose Ginny con la bocca asciutta. Incrociò lo sguardo dell’amica e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non aveva finito, ma già aveva capito.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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Note: ed eccoci ad un nuovo capitolo. Questa volta ho davvero rischiato di non pubblicare in tempo, ma ce l'ho fatta.
Ancora una volta, vi ringrazio tutti. Siete arrivati ad essere più di mille a leggere la mia storia, e ogni recensione, seguita, preferita e ricordata mi rende enormemente felice, e in questo periodo duro che non si sa quando finirà è la cosa più bella che possa esserci.
Spero, almeno un po', di rendervi il favore.
Un forte abbraccio,
Crudelia
 
P.S.: forse Hermione rischia di essere OOC (nella mia mente no, perché se è finita a Grifondoro un motivo dev’esserci), fatemi sapere il vostro parere.
 
 
 
Iniziative pericolose
 
 
 
 
Severus storse la bocca passandosi una mano tra i capelli: avrebbe dovuto farsi una doccia. E sebbene la pozione lo aiutasse leggermente con l'emicrania, il ghigno di Lucius rischiava di far precipitare la situazione.
«Avresti dovuto smettere di versarmi da bere dopo mezza bottiglia» borbottò rimproverando l'amico.
«E perdermi tutto il divertimento? Ma per chi mi hai preso…» strascicò Lucius in risposta. «Sono venuto a controllare che tu fossi ancora vivo, dovresti apprezzare questa grande dimostrazione di amicizia»
«A buttarmi giù dal letto, vorrai dire» lo corresse, acido.
«Perché, ci sei arrivato?» chiese Lucius con un sopracciglio arcuato.
Severus finì di chiudersi la camicia lanciando un'occhiata capace di uccidere che lasciò Malfoy del tutto indifferente. Avrebbe voluto ribattere, ma Lucius aveva ragione: al letto ci era arrivato a malapena, e non ricordava nemmeno come.
«Non avresti dovuto farmi bere così tanto»
«Sento la stessa frase da vent'anni»
Severus lo guardò torvo sopra le braccia incrociate. Sebbene Lucius spuntasse solo con mezzo busto dal suo camino non sembrava affatto curarsi della posizione di inferiorità, trattandolo con la solita superiorità e i modi da lord con il mondo in mano.
«Non accetto rimproveri da chi non può nemmeno uscire di casa» sbottò infine, deciso a non lasciar perdere. Ma da che mondo è mondo, Malfoy doveva avere l'ultima parola.
«Oh, ma abbiamo tutti le nostre restrizioni di guerra, non è vero, vecchio mio?» disse con tono apparentemente noncurante.
Severus gli lanciò un'altra delle sue occhiate, ma non rispose. Conosceva Lucius, sapeva quando era il momento di lasciar scorrere, ma soprattutto c'era un motivo se l'amico in entrambi i processi dopo la prima e la seconda guerra magica era uscito indenne. O quasi, almeno.
«In ogni caso non possono essere peggiori di questo» disse cadendo sul divano e fingendo di non aver capito il sottotesto. «Ho un mal di testa atroce» si lamentò chiudendo gli occhi e posandosi una mano sulla fronte.
«Sarà perché stai invecchiando» gli arrivò la voce strafottente di Lucius dal camino, ma prima che riuscisse a rispondere con una battuta pungente che conteneva la parola invecchiare e le sue nobili chiappe nella stessa frase, il campanello suonò.
Severus gemette prima di farsi forza con le mani sulle ginocchia per alzarsi. «Vedi di sparire, non vorrei che alla vecchia del piano di sotto venisse un infarto perché vede una testa bruciare nel mio camino».
Ignorando la risposta dell'amico, andò ad aprire.
La persona che si trovò davanti era così inaspettata che impiegò un paio di secondi a reagire, sebbene il consueto ciao, Severus! avesse già fatto breccia nel suo cervello.
«Dov'è tua madre?» fu la prima cosa che disse, brusco.
Il sorriso di Kathleen fu leggermente intaccato, ma non si spense. Comunque, si torse le mani prima di rispondere. «Al lavoro»
Severus la guardò meglio cogliendo con una sola occhiata il suo abbigliamento da piccolo scout: maglietta, pantaloncini e scarpe da ginnastica. I capelli erano legati in una coda e poi in una treccia sotto il cappellino verde con un logo stampato sopra. Ma fu quando vide come teneva le mani ancorate alle spalline dello zaino che un presentimento iniziò a pesargli alla bocca dello stomaco.
«Come sei arrivata qui?» chiese, aggrottando le sopracciglia.
«In metropolitana» rispose la bambina con tono ovvio, stringendosi nelle spalle.
Severus sospirò, facendo un passo indietro per farla entrare.
 
«Ti avevo detto di sparire!» disse Severus, entrando furioso nel salotto.
Lucius lo ignorò, stava guardando Kathleen contemplativo, il mento leggermente inclinato in alto e gli occhi socchiusi.
«E così è lei la piccola Granger» mormorò.
«E tu chi sei?» chiese Kathleen, curiosa, guardandolo in faccia senza timore.
Lucius scoppiò a ridere. «Che tipetta, uguale a sua madre!»
Severus si irrigidì. Sebbene Kathleen somigliasse ad Hermione aveva un altro genitore, un genitore che Lucius aveva conosciuto un po' troppo da vicino.
«Sparisci!» gli ringhiò contro. Era già pronto a gettargli una manciata di Polvere Volante in faccia, ma Malfoy aveva capito l'antifona: con il solito sorriso altezzoso agli angoli della bocca si ritirò con una fiammata verde.
«Siediti!» ordinò Piton quando il riverbero nel camino non si era ancora spento.
Kathleen si sedette sul divano in fretta, la faccia adesso seria di chi ha cambiato un guaio e sa di essere stato scoperto.
«Tua madre è al Ministero?» chiese Severus posizionandosi davanti a lei, le braccia conserte.
Kathleen annuì, la schiena dritta e le mani chiuse a pugno posate sulle ginocchia.
«Sa che sei qui?»
Questa volta scosse la testa, le labbra strette.
«Dove dovresti essere, adesso?» chiese lentamente.
«Al campo estivo» sussurrò la bambina con la speranza di non essere udita.
«Bene. Alzati e andiamo all-»
«No!» lo interruppe gridando.
Severus, già a metà strada verso la porta, si fermo e si voltò lentamente.
«Come?» chiese. Se non fosse stata una bambina e l'avesse conosciuto, Kathleen avrebbe capito che più la voce era calma e lenta più l'uomo era arrabbiato.
«Non voglio andare!» gridò in risposta, scattando in piedi. «Non mi piace il campo! Fa sempre caldo, i bambini più grandi mi prendono in giro e non posso mai parlare della magia e...» si guardò intorno, alla ricerca di un'altra motivazione per convincerlo. «Non voglio andare, voglio rimanere qui!»
Severus la guardò riprendere fiato dopo lo sfogo. Aveva le guance arrossate, i pugni stretti vicino al petto e negli occhi una minaccia di lacrime che non gli piaceva affatto. Un lieve pizzicore al petto lo fece tornare indietro: era solo una bambina, ed era stato tropo duro.
«Kathleen» iniziò lentamente, sedendosi sul divano per essere all'altezza dei suoi occhi. «Mi stai dicendo che sei scappata dal campo estivo?»
Kathleen annuì, tirando su con il naso. Severus notò con una punta di quello che poteva essere orgoglio che non aveva abbassato lo sguardo.
«Quindi non dovresti essere qui»
Sebbene non fosse stata una domanda, Kathleen scosse la testa. Una grossa lacrima sfuggì dal suo occhio per rotolare lenta sulla guancia.
Severus sospirò. Aveva già visto bambini piangere (troppi, da averne abbastanza per una vita), quindi non si seppe spiegare quella sensazione spiacevole che lo colse alla vista di quella gocciolina salata sulla guancia morbida della bambina, né l'istinto di asciugargliela con una carezza.
«Se la mamma ti porta in un posto, tu devi rimanerci. Lo capisci?»
Kathleen annuì ancora, soffocando un singhiozzo che comunque le scosse le spalle.
«Quindi adesso mi dirai l'indirizzo di questo campo e io ti riporterò lì, chiaro?»
Nonostante altre lacrime che scendevano, Kathleen scosse la testa, con forza.
«Kathl-»
«Non voglio!» lo interruppe.
«Non mi interessa cosa vuoi! Se tua madre ha deciso una cosa, così faremo. E non costringermi a chiamarla»
Kathleen lo guardò con gli occhi umidi e sgranati. Non sapeva che non aveva nessun modo per rintracciare la madre in tempi brevi, e si sentì un vigliacco per approfittarsi così della sua ingenuità.
Ma ancora, aveva fatto di peggio, gesti che avrebbe voluto dimenticare, perché sentirsi in colpa per una bambina con occhi troppo grandi da riempirle la faccia?
Kathleen, nel frattempo, vedendo che non desisteva, aveva estratto dallo zaino un quaderno che adesso gli stava porgendo. Severus osservò per qualche secondo la famigliare calligrafia di Hermione sulla pagina bianca prima di alzarsi e guidare la bambina fuori.
 
 
 
Per non essere ancora le nove faceva insopportabilmente caldo. Severus si chiese quindi come faceva Kathleen a saltellare invece che camminare, al suo fianco.
Ad un tratto, del tutto spontaneamente, aveva deciso di aggrapparsi alla sua mano, e da allora Severus le lanciava occhiate quasi meravigliate: la tristezza le era passata incredibilmente in fretta. Anche adesso, seduti sugli scomodi seggiolini della metropolitana, la bambina non gli lasciava la mano.
Ma almeno stava in silenzio, la sua emicrania era grata per questo.
«Sei ancora arrabbiato?» Chiese Kathleen, quasi avesse sentito i suoi pensieri.
«Non mi hai ancora detto come sei arrivata a casa mia» scelse di dire. Non le rispose, aveva l'impressione che se l'avesse fatto, contro ogni ragionevole dubbio, dalle sue labbra sarebbe uscito un no.
«Sì che te l'ho detto, in metropolitana» rispose la bambina alzando la testa per incontrare i suoi occhi.
Severus era più che consapevole che se a rispondergli in quel modo fosse stato uno dei suoi studenti con ogni probabilità si sarebbe trovato in punizione per una settimana, ma con quella bambina proprio non riusciva ad irritarsi.
«Come sapevi la strada?»
«L'ho fatta due volte con la mamma e- oh, guarda! Quella signora ha un gatto!» disse agitandosi sulla sedia e indicando una donna appena salita che si era seduta di fronte a loro, con un trasportino sulle ginocchia.
«Kathleen» la rimproverò, abbassandole il braccio con la mano. Nel farlo incontrò lo sguardo della donna, che gli rivolse un caldo sorriso di compressione. Severus se ne ritrovò disgustato, ma scelse di soprassedere. C'era ancora un punto che gli sfuggiva.
«Come hai fatto ad entrare, allora?»
«Ho suonato alla signora Anne. Le ho detto che ero uscita per prendere il gelato e si era chiusa la porta»
«Un gelato alle otto di mattina?»
Kathleen si strinse nelle spalle.
Severus la guardò sorpreso, inarcando un sopracciglio. Quella bambina era sveglia, troppo. E nella mente gli lampeggiò il pensiero che la colpa fosse di sua madre: più di una volta aveva avuto il sospetto che la trattasse come un'adulta. C'era però anche un lato positivo: se la bambina avesse ereditato le inclinazioni paterne a quell'ora si sarebbe trovato con un portone da riparare e una denuncia a carico di una bambina nemmeno sua.
Sbuffò a quell'eccesso di ironia. «Furba» si lasciò sfuggire.
Kathleen lo guardò con un sorriso furbo e compiaciuto. «Lo so» rispose, e Severus sbuffò un'altra volta.
Subito dopo si accigliò, non voleva darle l'impressione di apprezzare quel gesto sconsiderato. «Poteva succederti qualcosa»
«Ma sono stata attenta. Conosco le regole della strada» disse continuando a guardare gli occhi gialli del felino che spuntavano dalla gabbietta.
«Ma davvero?» chiese Severus ironico, alzando le sopracciglia.
«Sì! Devo aspettare il semaforo verde per attraversare la strada e guardare a destra e a sinistra, sapere dove vado e non cambiare strada, fare attenzione alle mie cose e non parlare con gli sconosciuti. A meno che non siano poliziotti, loro mi aiutano se ho bisogno»
«E tutto questo te l'ha insegnato tua madre»
«Certo!» rispose. Questa volta lo guardò, sorridendo.
«Perché sei già scappata una volta?»
«Nooo» rise. «Mi sono persa una volta in gita, ma ero piccola»
Severus alzo gli occhi al cielo a quella frase, senza capacitarsi di come ora potesse considerarsi grande, che nemmeno toccava il pavimento e i piedi si agitavano nel vuoto.
Avrebbe voluto approfondire la questione, ma erano arrivati alla loro fermata. Sempre tenendosi per mano, si avviarono all'esterno.
 
 
 
Individuare il campo estivo non fu difficile, soprattutto per gli schiamazzi che si spandevano nell'aria. Severus aveva convissuto con quel chiasso più della metà della sua vita, ed era un aspetto dell'insegnamento che non gli mancava affatto.
Il portone che dava accesso sul cortile era aperto, per favorire l'arrivo dei bambini. Severus e Kathleen lo varcarono il silenzio. Gli occhi dell'uomo vagarono per cogliere tutti i dettagli: il cortile era gremito di bambini che avevano la stessa età di Kathleen fino ad arrivare ad adolescenti allampanati intenti a giocare a palla, più in là si intravedeva un prato verde con un paio di altalene.
Kathleen lo guardava senza alcuna intenzione di allontanarsi. Severus stava per lasciarla quando venne loro incontro quella che immaginava essere un'animatrice. Poteva avere al massimo vent'anni, i capelli biondi legati in una coda disordinata e le gambe sode lasciate scoperte dai pantaloncini di jeans.
«Ciao, Kat!» la salutò sorridendo. «Sei arrivata, ti stavamo aspettando» sempre sorridendo alzò lo sguardo su Severus, tendendo la mano. «Mi chiamo Mary, lei dev'essere il padre»
Severus lasciò scorrere lo sguardo dalla mano tesa agli occhi un paio di volte, il tempo necessario perché la ragazza capisse che non aveva alcuna intenzione di stringergliela.
«No, per vostra fortuna. Non lascerei mai la bambina ad un branco di incompetenti come voi» disse brusco.
Il sorriso della ragazza scemò poco a poco fino a sparire, la mano abbandonata lungo il fianco. «Mi scusi?» trovò la forza di chiedere, con un pizzico di rabbia che a Severus non piacque per niente.
«La bambina era stata accompagnata qui già da sua madre, ed è riuscita ad allontanarsi. Spero per voi che questo sia un caso isolato e non una prassi»
La ragazza lo guardò stranita battendo le lunghe ciglia, alternando lo sguardo fra lui, la bambina e le loro mani intrecciate.
«Bene. Ti aspetto laggiù, Kat» disse infine, voltandosi. Severus la vide raggiungere un ragazzo e iniziare a parlare animatamente con lui, agitando le mani nella loro direzione.
«Forza, bambina» disse rivolto a Kathleen, spingendola in avanti con la mano che lei gli teneva sperando che si staccasse.
Ma lei alzò gli occhi su di lui, illuminati da una persistente e caparbia speranza.
«Devo andare?»
Lui alzò un sopracciglio, eloquente, aspettando che la bambina capisse. Se doveva essere sincero (e non lo voleva, dannazione, non gradiva affatto esserlo), trovava l'intera situazione alquanto spiacevole, ma aveva alternative?
Sì, gli rispose una voce nella sua mente, l'aveva. Poteva scrivere un gufo ad Hermione, avvertirla che la bambina era riuscita a raggiungerlo e occuparsi di lei per la giornata. L'aveva già fatto in fondo, no?
No. No, non poteva. Quella soluzione presupponeva un grado di intimità fra loro che era meglio non raggiungere.
«Lo dirai alla mamma?» la voce di Kathleen lo scosse dai suoi pensieri.
Aprì la bocca, ma non ne uscì un suono. Sì, per Merlino, , avrebbe dovuto dirglielo, e dirle anche di fare più attenzione a quella bambina che spariva non appena si voltava la testa.
«No» disse alla fine, arrendendosi all'evidenza. Tacere quell'incidente non gli sarebbe costato fatica, specialmente visti i mancati risvolti negativi. «Ma che non succeda più» si obbligò ad aggiungere, in tono severo.
Kathleen esplose in uno dei suoi sorrisi capaci di illuminarla, poi si gettò sulle sue gambe. «Grazie!» gridò stringendogli i fianchi.
Severus ebbe appena il tempo di poggiarle una mano alla base del collo, stupito, che era già corsa via ridendo.
 
 
 
Hermione si sedette in poltrona felice che la giornata fosse finita. Era stata lunga e faticosa, e faceva davvero troppo caldo.
Dopo aver fatto il bagno a Kathleen si era concessa una lunga doccia, e adesso era più che mai intenzionata a godersi la frescura seduta in poltrona a leggere un libro.
Lanciò un'occhiata alla figlia mentre apriva il libro, e la vide coricata per terra al centro di un lago di costruzioni. Probabilmente aveva appena distrutto un muro con il camion di plastica che aveva in mano. Tuttavia, anche l'altra mano era impegnata.
«Cos'hai lì, Kat?» chiese.
«Niente!» rispose in fretta la bambina, nascondendo l'oggetto bianco sotto la pancia.
«Ma come niente?»
«Niente!» ripeté, guardando la madre con gli occhi sgranati e leggermente allarmanti.
«È un regalo?» insistè Hermione, un sorriso agli angoli della bocca.
«È un segreto» disse un po' troppo forte la bambina.
«Un segreto» ripeté Hermione, il sorriso adesso per niente celato.
«Sì, non posso dirtelo»
Hermione lasciò cadere il discorso, gettando ogni tanto occhiate divertite alla bambina.
 
Fu verso sera che Kathleen confessò.
Hermione era alle sue spalle, intenta a pettinarle i capelli prima dimetterla a letto, mentre Kathleen si rigirava tra le mani quello che ormai la madre aveva identificato come un fazzoletto bianco.
«Mamma?»
«Sì?» rispose Hermione. Sapeva che le avrebbe svelato di cosa si trattava, ma non voleva metterle fretta.
«Ti devo dire una cosa».
 
 
 
Hermione picchiò la porta con tanta violenza da farsi male al palmo.
«Severus, apri! So che ci sei, quindi apri, o giuro che butto giù la porta!» urlò continuando a battere il legno.
«Oh, final-» ma non era lui. Ancora una volta, ad aprirle la porta fu una donna.
Hermione ebbe il tempo di constatare che almeno questa volta lei era vestita, che la donna si portò le mani alla bocca gemendo.
«Oh, mio Dio, è sposato!?» strillò.
«Dov'è?» chiese Hermione fra i denti, completamente disinteressata a rispondere ai dubbi della donna.
«In bagno» farfugliò questa in risposta, poi corse per le scale senza un'altra parola.
Hermione si chiuse la porta alle spalle senza curarsi del frastuono e si diresse a grandi passo verso la porta da cui proveniva il suono dell'acqua corrente.
«Severus!» esordì aprendo la porta con irruenza. «Esci da lì, dobbiamo parlare» gridò per farsi sentire sopra il frusciare dell'acqua.
«Severus!» gridò quando capì che non aveva intenzione di ascoltarla, sbattendo un piede a terra. Fu quando la porta del box si aprì che si rese appieno conto di quello che stava facendo.
«Hermione» la salutò calmo, un sopracciglio inarcato e un sorriso ironico all'angolo della bocca.
Lei fece un passo indietro e si voltò, sentendosi avvampare. Gli avrebbe lasciato giusto l'intimità di coprirsi, non aveva alcuna intenzione di cedere.
Quando lo vide muoversi si accorse di essere davanti allo specchio, leggermente appannato ai bordi. Lui uscì con calma e prese un asciugamano tra le mani.
Hermione lo vide passarselo sui capelli, frizionandoli leggermente per poi spingerli all'indietro.  Continuò a seguire con gli occhi la linea della nuca per proseguire verso le spalle e la schiena. La pelle pallida copriva i muscoli longilinei che lei aveva avuto l'opportunità di intuire dalle sue braccia, ma si accorse, con la gola secca, che era percorsa da tante e piccole cicatrici. Una più spessa, però, più larga e slabbrata, partiva dalla metà della colonna vertebrale e proseguiva in diagonale fino a...
Strizzò gli occhi, obbligandosi a non pensare a ciò che aveva effettivamente visto.
«Ebbene, cos'è tanto urgente da interrompermi con così tanta irruenza?» La sua voce gli arrivò pericolosamente vicino all'orecchio. Hermione spalancò gli occhi, scorgendo la sua figura dietro di sé. Aveva le mani appoggiate al lavandino, intrappolandola tra la ceramica e il suo corpo umido, ma non la stava toccando.
Deglutì, prima di rispondere. «Kathleen mi ha detto tutto». Voleva essere un'accusa, ma la voce le uscì più come un sussurro che andava a perdersi nella condensa.
«Ah» Severus disse compiaciuto, quasi fosse il punto a cui finalmente voleva arrivare. «Allora forse dovrei complimentarmi su come tu abbia cresciuto bene tua figlia»
Hermione si voltò, fulminandolo con lo sguardo.
«Avresti dovuto dirmelo!» disse, e questa volta c'era la giusta dose di rabbia nella sua voce. «Poteva succederle qualcosa»
Lui la guardò serio, ed Hermione si accorse di quanto effettivamente fossero vicini.
«Ma non è successo» rispose lui e lentamente alzò una mano fino al suo viso, dove spostò un ricciolo che era sfuggito al suo controllo. Hermione sentì la scia umida e calda delle sue dita sul collo.
«Non importa, avresti-»
«Cosa?» la interruppe lui. «Smeterializzarmi con la bambina? Presentarmi al Ministero? Mandarti un gufo e aspettare che ti raggiungesse in un paio d'ore? Deve imparare che non può fare sempre come vuole» concluse lui, la voce spedita che non tradiva l'irritazione.
Hermione lo guardò incrociando le braccia. «Infatti è in punizione» disse. Non voleva che pensasse che lei fosse una di quelle madri che in nome dell'amore che provano per il proprio figlio gli permettono qualsiasi cosa. Aveva imposto delle regole, e pretendeva che venissero rispettate.
Questo, però, lo sapeva anche lui. Per questo si era premurato di spiegare alla bambina il perché la stesse riportando dove doveva essere. Kathleen le aveva raccontato anche quello.
«C'è un motivo, se non vuole stare in quel campo» disse lui rompendo il silenzio.
«Lo so» rispose Hermione storcendo la bocca. «Me l'ha detto». E non le piaceva affatto, sapere che Kathleen non era contenta, ma non poteva certo affidarla tutti i giorni a Molly o ad Andromeda: era sua figlia, una sua responsabilità.
Responsabilità che stava condividendo con Piton, ultimamente.
Ignorò il pensiero, sbuffando. «Sono comunque arrabbiata» disse riportando gli occhi sull'uomo di fronte, il cui sorriso storto era tornato all'angolo delle labbra. «Ma penso di doverti anche ringraziare» si obbligò ad aggiungere.
«Arriverà il giorno» iniziò Severus avvicinandosi «che chiederò il prezzo...» Hermione chiuse gli occhi, cercando di ricordarsi come si respirava. Era così vicino che poteva sentirne il calore attraverso il vestito leggero che indossava e il profumo della sua pelle calda e non ancora del tutto asciutta. «per tutti questi favori» finì soffiando nel suo orecchio. Hermione sentì il suo fiato accarezzarle il collo e mandarle i brividi lungo la schiena.
Già una volta le era successo, ed era stata ad un soffio dal baciarlo. Quella mattina, però, si fece guidare dalla rabbia che ancora aleggiava nel suo stomaco.
Dopotutto, il professore non era l'unico a poter giocare quella carta.
Hermione aprì gli occhi e li fissò in quelli di Severus. Sciolse le braccia e con un dito, lentamente, iniziò a percorrere la pelle dell'uomo a partire dal polso.
«Forse...» sussurrò. Arrivò al bicipite e aprì la mano, facendo aderire il muscolo sodo al suo palmo. Avrebbe voluto guardarlo in faccia, ma si trovò ammaliata dal movimento dei muscoli al passaggio della sua mano e dall'incresparsi della pelle.
Sorrise, la mano scese lungo il petto e per l'addome piatto. «E forse io sarò ben contenta di pagarlo» finì alzando gli occhi su di lui.
Non aspettò che il senso delle sue parole fosse compreso dall'uomo, con uno scatto veloce della mano strinse l'asciugamano e lo fece cadere a terra. Fu rapida ad infilarsi sotto il suo braccio e sgusciare fuori dal bagno.
Mentre scendeva le scale poté quasi sentire il suo ringhio nelle orecchie.
   
 
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