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Autore: MaxB    02/04/2020    6 recensioni
Ossessionata dalla saga de La Passe-Miroir, non riesco a pensare ad altro da settimane.
E ho bisogno di approfondire alcune scene dei primi tre (e spoiler del quarto) volumi.
Ci saranno missing moments, scene descrittive relative a Thorn, soprattutto alla sua infanzia, e immersioni nei dialoghi tra Ofelia e Thorn, per come me li immagino io. Ed eventuali scene mancanti che ci starebbero bene.
Per possibili spoiler sul quarto volume verranno dati avvisi in cima alla pagina.
Aggiornamento irregolare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ok lo ammetto. Doveva essere un capitolo, breve, come sempre, ma ormai i miei capitoli fanno quello che vogliono ed è uscito fuori tutt'altro. Oltretutto avevo un estremo bisogno di leggere cose affettuose e smancerose su Ofelia e Thorn e quindi mi sono arrangiata da me e le ho scritte. Spero di non averli snaturati troppo, io sinceramente in una situazione del genere li vedo. Specialmente dopo aver letto degli estratti del quarto libro ihihi.
Tagliando corto, questo cap è basato su questo: http://www.passe-miroir.com/2017/12/22/faq-de-noel/#more-1026
Sito de La passe-miroir ufficiale di C. Dabos, domande dei lettori n.4 e 5: quando Ofelia si è innamorata di Thorn? E viceversa. Le ho tradotte più o meno fedelmente inserendole dentro la storia, se volete una traduzione effettiva usate Google Traduttore o chiedetemi pure in privato. Parlo sempre volentieri di loro. (Ofelia: http://www.passe-miroir.com/wp-content/uploads/2017/12/ITV_2.jpg e Thorn: http://www.passe-miroir.com/wp-content/uploads/2017/12/ITV_4.jpg)
E niente, scoprire di preciso quando si sono innamorati mi ha sconvolta. Da Ofelia un po' me l'aspettavo, ma Thorn... non l'avrei mai detto.
AVVERTIMENTO: alcuni spoiler di una scena del quarto libro verso fine capitolo. Niente di troppo spoileroso o specifico, ma è una scena adorabile tra i due che ho dovuto citare per forza.
Grazie a tutti di cuore e buona lettura.



3. Tomber amoureux


Ofelia passeggiava nervosamente per la stanza, mordicchiandosi le cuciture del guanto. Era sicura che continuando a quel ritmo avrebbe aperto un buco su ogni dito, rendendo inservibile quel nuovo paio. La zia le avrebbe dato una bella strigliata.
D’un tratto si fermò, colta dalla paura di aver scavato il pavimento della camera con il suo andirivieni, ma il parquet ricoperto da spessi tappeti era a posto.
Era un piovoso pomeriggio e l’ambiente era immerso nella penombra. A pranzo non aveva toccato cibo e ora il suo stomaco reclamava attenzione, ma allo stesso tempo era stretto in una morsa che avrebbe impedito ad Ofelia di mangiare.
Non vedeva Thorn da un mese. Non vedeva Thorn da un mese e sarebbe dovuto tornare due giorni prima. E come se non bastasse non aveva notizie di lui da una settimana. Era andato a Babel, sotto espresso invito dei gemelli Helena e Polluce, per dare una mano con le pratiche di archiviazione che lui stesso aveva impiegato due anni per avviare e mettere in moto. Adesso che era tornato al Polo, riprendendo la sua mansione da intendente, il loro trascorso a Babel era solo un ricordo lontano, e nessuno dei due avrebbe desiderato far ritorno in quel posto così caldo e diverso dal loro stile di vita. Troppo caotico, organizzato e rigido, che nascondeva bugie e falsità in pieno giorno invece che mascherarle sotto illusioni ben architettate, come al Polo. Ad Ofelia faceva venire i brividi la ligia categorizzazione di cittadini, la competitività degli aspiranti precorritori, degli stessi insegnanti. A Thorn anche.
Però era partito lo stesso: sarebbe stato alquanto disdicevole, persino per uno come lui, rifiutare un invito diretto di non uno, bensì due spiriti di famiglia.
Ofelia aveva ricevuto l’ultimo telegramma interfamiliare di Thorn sette giorni prima, data coincidente con l’inizio del suo viaggio di ritorno. Il messaggio era parco di parole come lo stesso Thorn, senza sprechi o aggiunte superflue, e a Ofelia aveva fatto venire ancora più nostalgia del marito. Se non fosse stata così in ansia, la situazione sarebbe stata quasi comica. Comicamente surreale. Erano stati separati quasi tre anni dal giorno del loro matrimonio, e Ofelia in quel periodo non era nemmeno stata in grado di ammettere con sincerità i suoi sentimenti. Ora, non solo aveva presentato a Thorn delle infondate rimostranze riguardo alla sua partenza, ma era addirittura in ansia, tesa, all’idea che fosse in ritardo di soli due giorni.
Sapeva che la sua preoccupazione era sprecata. Dal Polo a Babel il viaggio era lungo, e una qualsiasi condizione climatica avversa avrebbe potuto ritardare sensibilmente il suo arrivo. Eppure non riusciva a levarsi di dosso quella sensazione sgradevole di catastrofismo. Doveva essere successo qualcosa. Sicuramente era successo. E non avrebbe più rivisto Thorn.
La sciarpa, animata dal suo acuto nervosismo, si agitava come la coda irrequieta di un gatto, muovendosi a scatti e frustando l’aria con impazienza ed energia. Voleva chiamare Berenilde, lei avrebbe saputo cosa fare, ma la zia Roseline l’aveva trattenuta asserendo che fosse “irragionevole come un cucchiaino da dolce in una zuppa”. Ofelia aveva trovato il paragone alquanto calzante, anche se non era servito a calmarla.
Si fermò in mezzo alla stanza, d’un tratto determinata. Se Thorn non si fosse fatto vivo entro l’indomani mattina, avrebbe mobilitato Berenilde. Tre giorni di ritardo giustificavano abbondantemente una denuncia di smarrimento.
 Determinata, si mosse verso la porta della camera, che le stava diventando stretta, ma se la trovò spalancata davanti nel momento in cui allungò una mano per afferrarne la maniglia. Si fece tutto nero per un attimo, e Ofelia credette di essere svenuta, anche se aveva tutti i sensi all’erta. A riportarla alla realtà fu un battito sordo e regolare che le arrivava dritto all’orecchio. Il battito inconfondibile di un cuore.
Allontanandosi di un passo, si rese conto che per guardare in volto il detentore di quel cuore avrebbe dovuto alzare la testa fin quasi a farsi venire il torcicollo. Le si inumidirono gli occhi quando capì, senza bisogno di vederlo, che solo con una persona al mondo doveva fare quello sforzo titanico.
Thorn.
Di fronte a lei, in carne ed ossa, abbastanza umido per via della pioggia, con i capelli che gli spiovevano sugli occhi d’acciaio. Brillavano sotto le palpebre socchiuse, nella penombra, scrutandola come per studiarla e capire cosa stesse facendo o pensando. Thorn corrugò la fronte quando vide gli occhi umidi di Ofelia, quando percepì il suo palpabile nervosismo. Non gli sfuggiva mai nulla che la riguardasse.
- Ti ho spaventata? – chiese soltanto, facendola sussultare nonostante avesse usato lo stesso tono laconico e sommesso di sempre.
La sua voce produsse in lei anche un brivido che la scaldò dentro come un fuocherello a cui viene accostato un nuovo ciocco di legna.
Si scoprì incapace di parlare. Come al solito, nel momento in cui doveva esternare i suoi sentimenti, in quel caso dirgli quanto era preoccupata e insieme sollevata, la voce le mancava, il cervello pensava vorticosamente ma non traduceva in suoni le sue emozioni.
Thorn increspò ancora di più le sopracciglia chiare, accartocciando la cicatrice che ne attraversava una. Le posò le mani sulle spalle, delicatamente, come temendo che Ofelia potesse ribellarsi e sottrarsi a quel contatto.
Infuriata con se stessa, lei strinse i pugni. Non aveva il controllo delle sue corde vocali, ma poteva muoversi. Ringraziando il fatto che Thorn si fosse arcuato per cercare di scrutarla in modo ravvicinato, Ofelia si alzò sulle punte dei piedi e gettò le braccia al collo del marito, avvicinandolo ancora di più a sé e baciandolo con foga.
Thorn aveva gli occhi spalancati dalla sorpresa, e la cosa avrebbe fatto ridere Ofelia se non fosse stata troppo impegnata a cercare di godersi quel contatto con lui. Quella riunione tanto agognata. Non si era resa conto che le fosse mancato tanto finché si scoprì incapace di allontanarsi da lui, anche solo per riprendere fiato. E non era facile concentrarsi sul bacio: i capelli di Thorn bagnavano i suoi, il suo volto era freddo e la punta del suo naso affilato la solleticava.
Percepì a mala pena lo stridore della sua armatura quando si mosse per allontanarsi dalla porta e poi chiuderla, e capì che lui l’aveva presa in braccio e si era avvicinato al letto solo quando ricadde pesantemente sul materasso, con Thorn a sovrastarla.
Le sue intenzioni erano chiare, del resto gli si era gettata addosso appena aveva messo piede in casa, ma non fece nulla per aiutarlo a spogliarla. Sarebbe stata solo d’impiccio, con le sue goffe dita. Non aveva però considerato il fatto che Thorn era freddo. E zuppo. Non ci aveva fatto caso, o meglio, non aveva voluto farci caso, ma quando le sue grandi mani gelide le sfiorarono la pelle accaldata schizzò a sedere trattenendo a mala pena un urlo. E gli diede una testata.
Lui si massaggiò la tempia con sguardo impassibile, scrutandola, cercando di capire cosa fosse successo. Ofelia non aveva mai reagito così…
Seduto di fronte a lei, silenzioso come un’ombra, allungò una mano per afferrarle gentilmente il braccio, cercando di farla parlare, ma Ofelia lo respinse con energia come se si fosse scottata.
- Hai le mani gelide – sussurrò con un filo di voce, seminuda di fronte a lui.
Thorn inarcò le sopracciglia, facendo diventare ancora più lunga la sua ampia fronte, rimanendo in silenzio. Dopo alcuni attimi di immobilità, si allontanò e si alzò, facendo cigolare tutta l’armatura. Che si bloccò a metà movimento, lasciandolo con la gamba piegata. Thorn sbuffò leggermente e non incrociò lo sguardo di Ofelia mentre la sistemava. Lei, dal canto suo, era ancora seduta sul letto, in mezzo ai vestiti sparsi e alle lenzuola sfatte, basita dopo il suo tentato rapimento a danno del marito. Era rossa fino alle orecchie.
- Scusa – le disse lui, rompendo il silenzio, fissando la porta della sala da bagno. – Mi concederò una doccia prima che… prima di…
Abbassò la testa, in lotta con se stesso. Ofelia lo trovava estremamente tenero in quei frangenti, talmente poco abituato ad esprimere a parole i suoi sentimenti da provare un vero calvario nel tentare di farlo.
- Meglio se mi asciugo – decise Thorn alla fine, dirigendosi verso il bagno.
Ofelia però non voleva che finisse così. Tremava dallo shock. Si stava immaginando gli scenari più atroci di morte o cattura del marito quando lui era entrato sommergendola con la sua mole imponente. Era un po’ scossa, aveva bisogno di toccarlo, sentirlo, per accertarsi che fosse davvero lì con lei, al sicuro. Non voleva aspettare, aveva già atteso un mese.
Cadde dal letto nel tentativo di raggiungerlo prima che si chiudesse in bagno, e Thorn si precipitò ad aiutarla senza rendersi conto che non poteva toccarla. Tutta quella situazione era un po’ bizzarra. Si era aspettato di trovare Ofelia a casa… tranquilla. Magari leggermente preoccupata. Ma di sicuro non in quello stato. Sapeva cosa provava la moglie per lui, ma anche dopo la sua confessione era rimasto convinto che tra i due fosse lui quello che l’amava di più. Del resto, come poteva essere altrimenti? Ofelia provava affetto per molte persone, mentre nel cuore di Thorn c’era posto quasi esclusivamente per lei.
Non sapeva interpretare quella foga, quel bisogno di toccarlo. L’aveva trascinato a letto senza nemmeno salutarlo! Ofelia continuava a sorprenderlo, giorno dopo giorno, e Thorn si rese conto, finalmente, che passare la vita con lei non sarebbe mai stato noioso. Lo avrebbe preso in contropiede anche dopo dieci anni, probabilmente. Quel pensiero gli fece battere il cuore, però riuscì a nascondere la smorfia di disappunto. Non poteva reagire così ogni volta che la vedeva!
Alla fine Ofelia si alzò da sola, e si diresse verso il bagno anticipando Thorn vestita sola con un corpetto succinto, la sottogonna e delle calze pesanti.
Notando la fronte aggrottata del marito, increspata in un muto interrogativo, Ofelia si accinse a riempire di acqua e sapone la vasca. Sempre più perplesso, Thorn non sapeva cosa fare, lì in piedi di fronte alla porta del bagno. Quando Ofelia ricominciò a spogliarsi tenendosi addosso solo i guanti, pensò che volesse farsi il bagno prima di lui. Era intenzionato ad uscire per lasciarle la sua intimità quando Ofelia riprese a spogliarlo da dov’era rimasta, trascinandolo dentro la stanza con lei e chiudendo la porta.
Alla fine decise di lasciarsi guidare e si chinò per baciarla, prima di seguirla dentro la grande vasca bollente.
 
Il vapore che impregnava la sala da bagno rendeva l’aria soffocante e umida, ma Thorn non si sarebbe mai lamentato. Sdraiato nell’acqua calda, con la testa reclinata all’indietro contro il muro, un braccio penzoloni fuori dalla vasca e l’altro sulla pancia di Ofelia, con le ginocchia ossute che sporgevano dal pelo dell’acqua, aveva raggiunto la pace dei sensi. Non si era reso conto di avere così tanto freddo finché sua moglie, non l’acqua calda ma sua moglie, l’aveva scaldato. Scaldato dentro. La tensione delle sue membra si era sciolta come ghiaccio in quella grande vasca, e lui rilasciò tutto il nervosismo che non sapeva nemmeno di aver provato: Ofelia era lì con lui, stava bene, ed erano insieme.
Con la schiena appoggiata al suo busto, immersa fino al mento, lei gli pesava piacevolmente addosso, accarezzando la grande mano che era appoggiata sul suo ventre, finalmente non più fredda.
- Bentornato, comunque – mormorò, un sussurro a malapena udibile.
Thorn aprì gli occhi e fissò la nuca di Ofelia, piena di capelli ricci e asciutti sulla sommità e lisci e bagnati sulle punte, dove si immergevano nell’acqua. Le stavano crescendo parecchio in fretta, ma del resto era anche passato molto tempo da quando li aveva tagliati drasticamente, all’orto botanico di Babel.
- Ho notato – bofonchiò lui, tornando a reclinare la testa e chiudere gli occhi.
Non si era mai concesso un bagno così lungo, un ozio del genere. Era sempre impegnato, ogni secondo scandito dal ticchettio del suo orologio era uno spreco, una pratica che si accumulava, un verdetto non emesso o un verbale non stipulato. Ma non in quel momento. Non lì, con Ofelia, dove il tempo sembrava non esistere nemmeno.
- Come?
- Ho notato, ho detto – ribadì lui, incapace di lasciar trasparire nel tono di voce la serenità e l’affetto smisurato che provava dentro
- Hai notato cosa? – lo incalzò Ofelia, muovendosi per girarsi e scrutarlo.
Ma lui non si spostò di un millimetro, gli occhi ostinatamente chiusi. Ne aprì giusto uno spiraglio per contemplare il viso della moglie, accaldato per quello che avevano fatto poco prima e per il vapore.
- Di essere il bentornato. Era superfluo dirlo, me l’hai dimostrato chiaramente.
Le gote di Ofelia si riscaldarono ancora di più, di sicuro non per il calore della stanza, e lei distolse lo sguardo. Non si perse però il fremito delle labbra di Thorn, quello che ormai aveva categorizzato come un molto mal riuscito tentativo di sorridere. Ma lei lo apprezzava lo stesso.
- Non mi sembrava… non mi sembra che ti sia dispiaciuto.
- Non ho detto che mi sia dispiaciuto.
Questa volta Thorn raddrizzò la testa e si sporse per baciarla, lentamente, quasi con pigrizia. Ofelia chiuse gli occhi e lo ricambiò, producendo un sacco di schizzi e rumori di scivolamenti mentre si sistemava in braccio a lui, cuore contro cuore. Interruppe il bacio e si sdraiò letteralmente contro il suo ampio petto, le braccia strette contro il seno per tenersi al caldo. Thorn le accarezzò la schiena con la punta delle dita, tornando a reclinare la testa.
- Non me l’aspettavo – aggiunse dopo un po’. Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato, e sentì l’impulso di sporgersi per raccogliere l’orologio da taschino. Contagiato dalle sue intenzioni, Thorn lo sentì animarsi per rispondere al suo bisogno di conoscere l’orario, ma era al di là della porta chiusa e lui non aveva la minima intenzione di alzarsi per recuperarlo.
Quella situazione era surreale, quasi non si riconosceva più. Tutta colpa della donna che gli stava sonnecchiando addosso. Aveva scombussolato tutto. Quando però la donna in questione si raddrizzò per guardarlo dritto negli occhi, Thorn non ebbe alcun rimpianto.
Poteva scombussolargli la vita quanto voleva, lei.
- Cosa non ti aspettavi? – gli chiese, incuriosita, tracciando con un dito la lunghezza di una cicatrice sul petto e sulla spalla.
- Che mi attendessi in modo così impaziente.
Ofelia lo fissò in silenzio, cercando di capire cosa gli passasse per la testa.
- Sei mio marito. Sei stato lontano un mese, certo che ero impaziente. Come se non bastasse non ho ricevuto notizie riguardo al ritardo in arrivo, per quanto ne sapevo potevi essere morto, o rapito dai genealogisti, o su un’altra arca. Hai ritardato di quasi tre giorni!
Il sollievo che aveva provato nel trovarselo davanti stava velocemente lasciando posto all’irritazione. Perché non le aveva inviato un telegramma? Perché non l’aveva in qualche modo avvisata dei suoi piani?
- Tre giorni, Thorn! – inveì ancora, senza mai urlare, come suo solito. Si sentiva incapace di aggiungere altro. Le vennero le lacrime agli occhi.
Thorn la strinse a sé delicatamente, una mano sulla nuca e una sulla schiena, per calmarla.
- Due giorni e quindici ore, non tre giorni.
Ofelia si agitò, stizzita, e le manopole dell’acqua iniziarono ad aprirsi e chiudersi da sole. Stava tentando di fare dell’ironia o era serio?  – Non mi sembra il caso di puntualizzare proprio ora.
- Siamo stati separati per due anni e sette mesi, prima che tu iniziassi a cercarmi. Non sapevi né dove fossi, né se fossi vivo. Un mese mi sembrava una facezia al confronto. Se sei sopravvissuta quasi tre anni senza mie notizie, com’è possibile che la mia mancanza di un mese ti abbia sconvolta tanto?
La voce era gelida. Era lo stesso tono che avrebbe usato per chiedere una zolletta di zucchero nel caffè, il silenzio in aula, o il numero di una pratica. Stavano parlando di cose più serie, per tutti i vocabolari! Come poteva essere così apatico e calcolatore?
- Dovresti aver capito quanto sei importante per me, ora – gli disse lei dopo un po’, cercando di calmare il nervosismo.
Thorn serrò la mascella, poco propenso a quelle dichiarazioni, o al modo in cui Ofelia spesso lo guardava e stringeva. Con affetto profondo, un sentimento che non aveva mai sperimentato e del quale non credeva di essere degno.
Non seppe come rispondere. Ofelia era ancora premuta contro di lui, ma fece leva sul suo petto per sollevarsi e scrutarlo in volto.
- Da quando ti ho ritrovato, sono state diverse le volte in cui eravamo separati, ma io sapevo sempre dove trovarti, e lo stesso valeva per te. Ed eravamo sulla stessa arca! Questo mese sei stato lontanissimo, e per più di una settimana non ho avuto tue notizie. La cosa come avrebbe fatto sentire te?
Thorn non voleva nemmeno immaginarlo. Le era mancata terribilmente, per quanto avesse soppresso quel sentimento malinconico nel momento stesso in cui l’aveva salutata per partire, ma il pensiero dei loro ruoli invertiti gli fu insopportabile: lei lontana, con chissà chi, senza sapere se fosse in pericolo, senza notizie.
Increspò le sopracciglia senza rispondere, d’un tratto teso.
Ofelia invece stava ripensando ai momenti che avevano vissuto insieme. Quelli spiacevoli: quando Thorn aveva finto di non riconoscerla nel Secretarium, senza nemmeno farsi sfuggire la minima espressione, o quando l’aveva liquidata per avergli fatto perdere tempo, sostituendola, quando lei aveva solo cercato di rendersi utile. Certo, col tempo era davvero migliorato: la metteva a parte di tutto e teneva in considerazione ciò che aveva da dire, la coinvolgeva. Avevano già convenuto entrambi di non essere una coppia ordinaria, e la cosa piaceva a tutti e due. Ofelia non dubitava dei suoi sentimenti, ma era sempre così freddo e imperturbabile che…
- A volte mi chiedo quanto sia profondo ciò che provi per me.
Nessuno dei due si aspettava una frase del genere. Ofelia arrossì e distolse lo sguardo. Non era decisamente una donna romantica, quelle amenità erano lontane da una loro conversazione tipo quanto lo erano le arche tra loro, eppure si rese conto di aver bisogno di una conferma. Thorn le dimostrava amore a gesti, ed era più che sufficiente, valeva più delle parole. Però aveva bisogno di quelle, in quel momento. La sua mancanza l’aveva resa vulnerabile e voleva una conferma verbale del fatto che l’amava, che era importante per lui.
- Che domanda sarebbe questa?
Fedele a sé stesso, il quesito era stato posto in modo quasi brusco. Thorn si coprì il volto con la mano: era arrossito, sorprendendo Ofelia.
- Thorn?
- Come puoi pretendere una risposta?
- Era solo una domanda – borbottò lei, di pessimo umore. Un semplice “molto” sarebbe bastato, come risposta. – A volte è difficile decifrarti.
- Dubiti del mio… -. Stava per dire “amore”, ma il solo pensare quella parola lo fece arrossire ancora di più. – Dubiti di me?
- No che non dubito di te! Di cosa dovrei dubitare? Non importa, dimenticati la domanda.
A disagio, Ofelia fece per alzarsi e uscire dalla vasca, ma le lunghe dita di Thorn si richiusero sul suo braccio, tirandola giù di nuovo. La baciò, soffocando le sue proteste, sentendola sciogliersi tra le sue braccia. Ancora una volta si chiese come fosse possibile che lei ricambiasse i suoi sentimenti. A volte l’amava così intensamente da provare un dolore fisico a non averla sempre sott’occhio.
- Ti ho già detto che ti amo – mormorò quando si separarono per riprendere fiato, le fronti premute una contro l’altra. – Sono stato il primo a farlo. E ti ho amata quando tu mi disprezzavi, per più di tre anni.
- Non ti ho mai disprezzato. E ti ho ricambiato dopo pochi mesi, quindi non dire che i tuoi sentimenti sono stati a senso unico per più di tre anni.
Thorn valutò il fatto che nemmeno Ofelia riusciva pronunciare il sostantivo “amore”, e si sarebbe soffermato su quella strana coincidenza se non fosse stato distratto da altro. Incuriosito, rifletté sulle parole della moglie.
Stringendole ancora le braccia, dopo aver riacquistato il pieno controllo di sé, le chiese: - Quando ti sei innamorata di me, di preciso?
Ofelia avvampò. L’unica cosa che riuscì a pensare fu che era una domanda troppo personale.
Però abbassò gli occhi e ci pensò seriamente.
 
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Era successo al circo, quando aveva portato suo fratello Hector a fare un giro, insieme a Renard.
Non vedeva Thorn da parecchio tempo e avrebbero dovuto sposarsi dopo quattro giorni.
Era stata una semplice frase a farla innamorare definitivamente, ma a dire il vero aveva sentito qualcosa dentro di sé nel momento stesso in cui, alzando la testa per scrutare il cielo, si era trovata davanti il suo volto.
Col senno di poi si rese conto che parlare con lui era stato naturale, come se avessero ripreso una conversazione interrotta pochi minuti prima, non settimane prima. Come due amici di lunga data.
O due coniugi.
L’aveva un po’ stupita l’atteggiamento scostante che Thorn aveva avuto nei confronti del fratellino. Sapeva che i “perché” di Hector erano estenuanti a volte, e lui era stato più schietto e ficcanaso del solito, ma la reazione di Thorn era stata a dir poco maleducata. Non solo non gli aveva rivolto la parola, usando lei come intermediaria, ma addirittura non l’aveva nemmeno guardato in volto e aveva chiamato Renard perché gli facesse da baby-sitter mentre loro parlavano. Oltretutto si era sentita imbarazzata dallo sguardo ammiccante del suo consigliere, che aveva velatamente insinuato che sarebbe rimasto a tenerli d’occhio, in quanto chaperon. Ma se Ofelia non provava nulla per Thorn, perché era arrossita in modo così vistoso?
Altro che chaperon. Di cosa avrebbero mai potuto parlare due sposini alla vigilia delle loro nozze? Di intrallazzi politici, ovviamente.
Thorn l’aveva messa a parte del suo lavoro come rappresentante dei clan dei decaduti, della scomparsa del conte Harold, il tutore del cavaliere, e le aveva chiesto della lettera minatoria che aveva ricevuto pochi giorni prima, senza sprecarsi nello spiegarle come facesse a saperlo.
Di tutta quella conversazione Ofelia ricordava solo due cose: la prima era che Thorn le aveva chiesto come fosse possibile che lui volesse sabotare il suo stesso matrimonio, date le lettere eloquenti che aveva ricevuto; la seconda era che l’aveva accusata di avere un’opinione meschina di lui. Nel primo caso, il tono apatico e freddo di sempre aveva lasciato trasparire una punta di sgomento, come se la cosa fosse assurda. Thorn non voleva rompere il fidanzamento, ma Ofelia aveva intravisto una certa… premura dietro quel sarcasmo. Non era solo una questione di interesse, altrimenti Thorn avrebbe parlato di sabotaggio dei suoi piani, non del suo matrimonio. Nel secondo caso, nel suo tono di voce c’era decisamente una nota di delusione. Non era felice dell’opinione che credeva Ofelia avesse di lui. Non voleva che lei lo considerasse meschino, non voleva che avesse una cattiva impressione di lui, nonostante tutto quello che stavano affrontando e il fatto che lui non l’aiutasse in alcun modo a pensare bene di lui.
Non avevano potuto continuare la conversazione perché erano subentrati i cugini decaduti di Thorn, minando non solo la tranquillità di quel pomeriggio al circo, ma la loro stessa vita. Thorn era stato lesto a farla cadere, con un movimento fluido che Ofelia non gli aveva nemmeno visto compiere. Si era ritrovata a pensare brevemente che fosse a suo modo elegante nei movimenti, nonostante la corporatura ossuta e i gesti spesso rigidi e macchinosi. Quando era rientrata in possesso degli occhiali che le erano caduti sulla sabbia, i suoi occhi avevano cercato inevitabilmente lui. Non aveva guardato cosa stesse accadendo, nonostante le grida di dolore di qualcuno, né aveva considerato la sua incolumità, osservando se ci fosse qualche minaccia prossima a farle del male.
No, lei aveva cercato Thorn, e si era tranquillizzata solo quando lo aveva visto in piedi, impavido come una statua di bronzo, per nulla intimorito. Non si era scomposto minimamente, non aveva mosso un dito, aveva ancora il portadocumenti in mano. Le era sembrato incredibilmente forte, e in quel momento il suo cuore si era calmato. Si era sentita protetta con lui, al sicuro, perché aveva capito che Thorn ci teneva a lei, alla sua sicurezza. Per rimarcarlo le aveva anche ordinato con voce stentorea di rimanere giù, e lei aveva prontamente obbedito.
Aveva avuto conferma del fatto che Thorn si curava eccessivamente di lei quando aveva scoperto la presenza di Vladislava, che vegliava su di lei al posto suo, riferendogli ogni singola stranezza. Aveva gli occhi del fidanzato costantemente puntati contro, e questo, nonostante lei gli servisse solo per i suoi piani, andava oltre ad una preoccupazione disinteressata.
La cosa che l’aveva colpita di più, però, era stata vederlo utilizzare gli artigli, con suo grande disgusto e disappunto. Sapeva che Thorn era cresciuto circondato da disprezzo e violenza, da arrivisti, egoisti e familiari anaffettivi; la sua infanzia, le sue esperienze avrebbero dovuto influenzarlo al punto di riempirlo di rabbia repressa e odio, renderlo pronto a sfogare quei sentimenti di livore al primo screzio. Ma non lui. Lui, per quanti colpi avesse subito, non voleva renderne nemmeno uno, e per quanto odio avesse incassato, non voleva restituirlo.
Thorn non era violento. Provava disgusto nel ferire gli altri. E si preoccupava enormemente per lei.
In quel momento gli era stato caro, ma non se n’era resa conto subito.
La vicenda aveva portato ovviamente ad una discussione sul suo potere familiare, sulla memoria che sua madre gli aveva trasmesso, quella stessa memoria che i suoi cugini avevano reclamato. E in quel frangente si era resa conto che Thorn non solo non era corrotto, anzi era un modello di integrità e imparzialità, ma nessuno gli dava il credito che meritava. Nonostante questo, lui avanzava implacabile, spinto dal proprio senso del dovere. Non gli faceva più una colpa per il fatto che ricercava il proprio tornaconto personale, perché lo faceva in modo corretto e onesto in una società che era agli antipodi di sincerità e moralità.
Aveva sentito una strisciante malinconia sostituire la rabbia che accompagnava ogni loro incontro, lasciandola triste e vulnerabile. Thorn le faceva un po’ pena. Le faceva tenerezza, ma per quanto quel sentimento si stesse consolidando in lei, non era ancora in grado di riconoscerlo.
- Volete sistemare tutti i problemi da solo, a costo di servirvi degli altri come fossero pezzi di una scacchiera, a costo di farvi odiare dal mondo intero – aveva aggiunto poco dopo, quando Thorn aveva riportato l’attenzione su di lei.
Era implacabile, un risolvitore di enigmi e problemi, un calcolatore stakanovista e troppo dedito al proprio lavoro, ma era integro. Migliore di molte altre persone che aveva conosciuto in quel periodo, gentili di facciata e marce dentro.
- E voi, mi odiate ancora?
Non era la prima volta che Thorn sollevava quella domanda. Nel suo tono laconico però c’era come una nota di… frustrazione. Assomigliava anche allo struggimento, in una certa misura…
Ofelia aveva risposto di getto, senza farsi sorprendere dal suo bisogno di conferme circa la sua opinione su di lui. – Credo di no. Ora non più.
- Meglio così, perché non mi sono mai dato tanto da fare per non farmi odiare da qualcuno.
Quella volta Ofelia l’aveva sentito a stento, ma riflettendoci in seguito, in quella calda vasca da bagno con lui, rievocando la vicenda, si rese conto che Thorn l’amava già profondamente, quella mattinata del trentun luglio, al circo. L’amava al punto da confessarle che aveva tentato, si era sforzato di cambiare se stesso quel tanto che serviva a rendersi degno di lei, sebbene non si fosse mai adeguato a nessuno e non tenesse minimamente in conto i giudizi altrui. Eppure teneva al suo tanto da voler cambiare la propria natura, rendersi… amabile. Quanto meno sopportabile.
Sulla spiaggia era troppo confusa per farci caso, ma quella di Thorn era una confessione in piena regola. Per uno come lui, era quanto di più vicino ad una dichiarazione d’amore ci fosse.
Inconsciamente doveva averlo capito, però.
- Dobbiamo tornare. Abbiamo già perso il traghetto di mezzogiorno, mia madre ci farà sicuramente una scenata.
Alternando lo sguardo tra Thorn e il fratellino che era insieme a Renard, e si stava avvicinando, Ofelia aveva notato che il fidanzato ora guardava Hector, titubante, come si fosse trovato a disagio. Il suo cervello stava macinando pensieri su pensieri, Ofelia lo vedeva chiaramente, ma non aveva capito cosa gli passasse per la testa finché non lo aveva sentito dire: - Questi piccoli grattacapi familiari sono cose di cui davvero non mi intendo.
Spinta da un impulso irrefrenabile e sconosciuto, gli aveva afferrato la manica per invitarlo in albergo con loro. Un gesto così confidenziale, azzardato e cameratesco le era sgorgato da dentro, senza imbarazzo, perché il suo cuore, senza che lei se ne rendesse conto, già scoppiava per quell’uomo arcigno e confuso che non sapeva come reagire alla proposta.
Quell’uomo tutto d’un pezzo, bistrattato da tutta la vita e fedele solo a se stesso che aveva sconvolto le sue abitudini e credenze per far posto nella sua vita a lei. Che aveva fatto di tutto per rendersi accettabile, per lei, perché non fosse a disagio con lui, affinché potessero stare bene insieme. Che sapeva tutto di corruzione, intrighi politici, odii familiari, disprezzo, calcoli di aritmetica e trigonometria avanzata, burocrazia e articoli di legge impronunciabili e dimenticati da tutti… ma non sapeva come comportarsi con la famiglia della fidanzata. O con i bambini. Perché non aveva mai avuto una famiglia con cui parlare, che attendesse il suo ritorno, o che avesse piacere di godere della sua compagnia.
Thorn non aveva avuto nulla di ciò che lei aveva da tutta una vita: l’amore dei parenti.
E si innamorò di lui per quello, senza accorgersene, perché con qualcuno che credeva in lui al fianco, Thorn sarebbe stato in grado di compiere gesti fuori dalla portata dei normali esseri umani. Era un uomo incredibile, e lei avrebbe tirato fuori la sua parte migliore, sciogliendo quella corazza di ghiaccio che gli proteggeva il cuore da ulteriori ferite e delusioni. Dal dolore di essere costantemente rifiutato.
- Vi prometto che non sarà così terribile come pensate.
Il pranzo non era stato dei migliori, ma Ofelia aveva tenuto fede alla promessa ricambiando il suo amore negli anni a venire. Proteggendolo, cercandolo, salvandolo; salvandolo da sé stesso e da una vita vuota e insensata.
Era stato il timore dei “piccoli grattacapi familiari” a cui era estraneo a farla innamorare con tutta l’anima.
 
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- Mh.
Il commento di Thorn fu a dir poco freddo, dopo che lei ebbe risposto a grandi linee alla sua domanda. Con la punta del dito Ofelia gli tracciò le cicatrici che aveva su petto e addome, cercando di distrarsi e non guardarlo in volto, mentre tentava di far calare il rossore. Per fortuna non aveva gli occhiali, perché altrimenti sarebbero diventati rossi anche loro, rendendo intollerabilmente palese il suo imbarazzo.
- Non hai niente da dire? – lo incalzò quado ebbe esaurito le cicatrici da ripassare, a disagio in quel silenzio riflessivo.
- Riguardo a cosa?
- A quello che ti ho detto!
Thorn si passò una mano tra i capelli che gli erano ricaduti sugli occhi, impedendogli la vista, e si chinò per osservare Ofelia. Faceva ancora fatica a decifrare il tono delle conversazioni che aveva con la moglie, quindi aveva sempre bisogno di scrutarle il volto per cercare di capirla al meglio. – Non sono un esperto in materia.
- Potresti cercare di essere meno criptico, per cortesia?
Thorn aggrottò le sopracciglia, sospirando appena. – Non so come funzionano queste cose. Come ci si innamora o corteggia. Certo il tuo è stato uno strano modo di farlo. Sei imprevedibile come sempre.
- È stato uno strano modo di innamorarmi?
- Esatto.
Thorn si mosse leggermente, a disagio, non tanto per la prolungata vicinanza con Ofelia, quanto per il tenore della conversazione, neanche fosse stato un dialogo sconcio. Stranamente il contatto con la moglie nel senso intimo del termine era stato più disinvolto del previsto, ma non voleva pensarci in quel momento, così aggrottò ancora di più le sopracciglia, accartocciando fronte e cicatrici.
- Non è che queste cose si possano comandare, Thorn. Solo quando sono spontanee sono autentiche, però, e la mia lo è stata di sicuro. Non un colpo di fulmine, ma un insieme di cose che… mi hanno… cioè…
Si ritrovò a balbettare la fine della frase, di colpo con la bocca secca. Che razza di modo era quello di affrontare argomenti del genere in modo tanto serio? Thorn era l’antitesi del romanticismo, però quella conversazione era quanto di più sentimentale potessero discutere, e rimase basita dalla cosa. Forse era colpa della lontananza che li aveva resi emotivi?
Thorn la strinse a sé e la baciò con foga, come suo solito, per farla stare zitta e placare quello sproloquio inintelligibile. Ofelia si ritrovò ad ansimare dopo poco, sorpresa dal modo in cui lui la faceva sentire con un solo tocco. Quando stavano insieme fisicamente non provavano il minimo imbarazzo, come se la loro unione servisse a rendersi completi, loro che erano stati separati per tutta la vita e avevano gran poco in comune. Erano ingranaggi di un meccanismo più grande di loro, che faticavano a comprendere ma accoglievano con tutte le forze che avevano, perché metteva in moto una macchina che li teneva in vita.
Una vita insieme.
- Aspetta – lo bloccò repentinamente quando sentì le sue mani farsi audaci e spingersi in altri posti, oltre i suoi fianchi.
Thorn era imbronciato come sempre, ma nei suoi occhi gelidi Ofelia intravide per un attimo un lampo di sorpresa: era lei a gettarsi su di lui di solito, a prendere l’iniziativa; non l’aveva mai rifiutato, cosa che lo aveva aiutato ad essere più rilassato e a suo agio con lei. Fiducioso.
I suoi quesiti, i suoi pensieri e le sue perplessità conversero verso il sopracciglio spezzato, che si inarcò.
- Aspetta – ripeté Ofelia, nonostante Thorn fosse completamente immobile, come solo lui riusciva ad essere. – Ora dimmelo tu quando ti sei innamorato di me e per quale ragione.
Thorn sussultò e anche l’altro sopracciglio schizzò verso l’alto, contribuendo ad allungare le cicatrici che aveva in volto. Aveva temuto quella domanda perché, al contrario di Ofelia, lui sapeva con precisione quando lei gli era entrata dentro, in che occasione e perché. E non reputava la questione molto lusinghiera, dal suo punto di vista, quindi avrebbe preferito non parlarne mai e chiudere la conversazione lì, in quella vasca da bagno deleteria e foriera di impaccio.
- Io… scusa? – esclamò, perdendo il controllo di sé e ritraendo le mani dalla moglie, non sapendo più dove posarle. Riprese il discorso in una serie di borbottii simili ad un motore a scoppio: - Che domanda è? Come credi che possa saperlo…?
L’occhiata ammonitrice di Ofelia e le sue braccia incrociate sul petto lo fecero zittire, e tentò di reprimere la stizza che si era impossessata di lui serrando la mascella, come ad impedirle di muoversi per parlare. Un’inaspettata e gradita riconciliazione di benvenuto si stava trasformando in una tortura umiliante quanto i colpi d’artiglio che aveva ricevuto da quando era nato.
Che razza di argomenti stavano trattando…
- Thorn – lo incalzò Ofelia. – Non ho avanzato rimostranze quando me lo hai chiesto tu. È a causa tua che ne stiamo discutendo.
Avrebbe voluto obiettare che era lei ad aver sollevato l’argomento, in primis, e si ricordava anche le esatte parole del loro dialogo, ma obiettare in quel frangente non lo avrebbe portato da nessuna parte. Sapeva bene che Ofelia faceva di testa sua e da lui otteneva sempre ciò che voleva. Si sarebbe soffermato ad analizzare quest’ultimo particolare poco virile se la moglie non lo avesse pungolato al petto, imbronciata e irritata.
Distogliendo lo sguardo e sentendo già le gote imporporarsi, con suo notevole disappunto, strinse i pugni e sputò quelle nove parole che lo avrebbero coperto di ridicolo.
 
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Tutta quella storia della moglie era davvero una scocciatura. Lo era ancora di più il dover deludere sua zia, che si aspettava una storia d’amore in piena regola. Odiava deluderla, ma a lui interessavano solo le mani della sua fidanzata.
Non avrebbe provato affetto per lei. Non avrebbe condiviso il letto, rabbrividì al solo pensiero, con lei. Non avrebbe generato una prole con lei.
Un paio di mani. Solo quelle gli servivano. Per il resto avrebbe potuto fare ciò che più riteneva consono. Gli bastava che arrivasse viva alla Cerimonia del Dono e si sarebbe concluso tutto per il meglio.
Lo stomaco gli aveva fatto un balzo in petto dal disgusto quando l’aeronave aveva attraccato al porto di Anima. Quei cavilli formali da espletare con la famiglia della giovane erano del tutto futili, una perdita di tempo e una farsa. Non gli interessava conoscere nessuno, non avrebbe tratto nessun giovamento o guadagno da quell’incontro.
Tuttavia aveva sceso le scale del gigantesco mezzo di trasporto e si era ritrovato in pochi secondi sotto una pioggia torrenziale che sembrava sbeffeggiarlo. Una cacofonia di risate, voci, urla e disordine lo aveva accolto come una marea umana, accerchiandolo e investendolo. Se non fosse stato così alto si sarebbe sentito soffocare, preda di un attacco di claustrofobia da eccessiva socialità. La voce di una donna bassa e rubiconda aveva sovrastato le altre, che si erano zittite ai suoi richiami, come se quella signora tonda fosse stata la più grande autorità del posto. Ma chi comandava in quel luogo, le madri grasse e ciarliere?
Thorn aveva aggrottato le sopracciglia, già intollerante dopo solo pochi minuti.
Nella fiumana di gente, possibile che fossero tutti parenti?, aveva sentito la donna tarchiatella, di sicuro la suocera, chiamare una certa “sciocchina”. Senza capacitarsi di ciò che stava succedendo e del perché le cose non potessero essere condotte con un minimo di giudizio, aveva sentito qualcosa sbattergli addosso.
Abbassando lo sguardo aveva notato una piccola figura, piccola quanto la signora che continuava a sproloquiare, stringersi nelle spalle sotto di lui. Aveva immaginato che quella fosse la fidanzata. Una minuscola fidanzata. Quanti anni aveva? Era davvero in età da marito? Quanto bassa poteva essere una persona?
Thorn le sovrastava di due teste, più che normale che lei non avesse nemmeno provato a sollevare la sua.
- Buonasera – aveva mormorato gelidamente, senza ottenere risposta dalla fidanzata ma ricevendo in cambio dei flebili applausi. Applausi per cosa, poi?
Senza potersi opporre, trascinato dal nugolo di animisti, si era ritrovato sulla carrozza con fidanzata, futura suocera e una delle Decane che avevano organizzato il matrimonio, un’autorità di Anima. La donna tonda non aveva fatto altro che blaterare amenità di nessun interesse, così Thorn era stato zitto e aveva mosso il capo in risposta alla donna, senza veramente cogliere il tema del soliloquio.
Guardava fuori dal finestrino della carrozza senza soffermarsi su nulla di preciso, ma di una cosa fu più che consapevole: la fidanzata lo stava osservando. Non in modo eloquente, eppure lui lo percepiva. Gli sembrava di sentire sulla pelle il ribrezzo che la sua vista doveva suscitarle, l’orrore all’idea di dover trascorrere un’intera vita con lui, un uomo ricoperto di cicatrici senza nulla da offrire sul piano affettivo. Per un attimo le aveva fatto quasi pena, quella piccola ragazza costretta ad un destino del genere. Del resto, lui aveva bisogno di quelle mani, di quel dono, e non aveva mai guardato in faccia nessuno per raggiungere i suoi scopi. Nessuno gli aveva dato nulla nella vita, non poteva permettersi di fare sconti a chicchessia. Solo che una donna così piccola avrebbe avuto ancora più difficoltà a sopravvivere al Polo.
Infastidito, aveva interrotto la chiacchierona ordinando al cocchiere di dirigersi all’osservatorio. La rabbia repressa della donna era palese, del resto lui aveva guastato la serata a tutti. Poco male, sperava che potesse servire a farla stare zitta, come in effetti fu. Mortalmente offesa, la futura suocera era rimasta in silenzio, ostinatamente imbronciata, ponendo fine a quel supplizio di accoglienza e festosità.
L’unica cosa che aveva notato, con un certo stupore, era il sorriso della fidanzata, mal nascosto dalla sciarpa che stringeva al collo e accarezzava come se fosse stata dotata di vita propria.
Un sorriso, dopo la figura maleducata che aveva fatto e la sua asocialità, era l’ultima cosa che si aspettava. Non era di certo rivolto a lui, ma all’intera situazione. Era stato pronto a ricevere insulti, sguardi incattiviti come quelli che gli rivolgeva la donna tonda, odio o addirittura scenate perché il matrimonio venisse annullato seduta stante. Di certo non un sorriso velato e compiaciuto della fidanzata.
Thorn era rimasto in silenzio per il resto del viaggio e non l’aveva più guardata, con gli occhi chiusi e la fronte aggrottata, ma il suo interesse non era più diretto verso l’incontro con madama Artemide.
Perché quella piccola fidanzata aveva sorriso quando lui aveva offeso sua madre?
Aveva sentito il suo sguardo su di sé quasi alla fine del viaggio, e aveva dischiuso una palpebra per verificare se effettivamente la fidanzata lo stava scrutando. L’aveva vista distogliere in fretta lo sguardo, come aveva immaginato, ma subito dopo la carrozza si era fermata e lui aveva archiviato la questione.
 
Perso nelle elucubrazioni insensate e illogiche, il tipo che odiava con più passione, sulla donna che avrebbe dovuto sposare, Thorn era stato l’ultimo a scendere dalla carrozza che li aveva condotti fino al porticato d’accesso all’osservatorio. La fidanzata era scesa per prima, aiutando la Decana a mantenere la stabilità sui gradini del convoglio. Aveva studiato l’etichetta, sapeva che avrebbe dovuto farlo lui, ma delle forme di cortesia e della galanteria se ne infischiava altamente. Doveva estrarre dalla valigia il dono di Faruk per Artemide, e non aveva avuto il tempo di farlo durante il viaggio a causa del poco spazio.
Era sceso solo quando aveva reperito la cassetta di suo interesse, salendo poi la scalinata di accesso all’osservatorio senza curarsi delle donne di cui era ospite: la madre era inferocita, la Decana in paziente attesa attaccata al braccio della fidanzata, che per qualche motivo sembrava più instabile della stessa anziana.
Ottenuti i dieci minuti che gli servivano per portare a termine il suo compito, Thorn si era incamminato verso l’entrata, facendo risuonare il rumore dei suoi passi sul marmo.
Si era fermato quando aveva sentito un certo trambusto, chiedendosi cosa fosse successo di così grave da suscitare urla e strepiti. Che ce l’avessero con lui?
Invece si era voltato in tempo per vedere la fidanzata scivolare sul ghiaccio e agitare le braccia prima di cadere malamente, perdendo gli occhiali, senza fiatare, come se scivolare in modo così rovinoso fosse un’abitudine. Aveva visto la Decana incespicare e la donna tonda e livida di rabbia afferrarla per evitarle la fine della figlia. E se l’era presa proprio con quest’ultima mentre lei recuperava gli occhiali che aveva perso nel volo.
La fidanzata sembrava… insofferente. Ignorava le lamentele della madre, il dolore che sicuramente la caduta le aveva inflitto e lo stato pietoso in cui versavano i suoi occhiali, decisamente rotti. Si stava alzando quando lui aveva sentito il cuore sussultargli nel petto, e preso alla sprovvista si era incamminato verso la direzione che doveva prendere. Aveva udito le proteste della donna tonda alle sue spalle, ma non se n’era curato e aveva continuato ad avanzare salone dopo salone e porta dopo porta per sfuggire a ciò che lo stava inseguendo.
Solo che quel qualcosa era dentro di lui, non alle sue calcagna.
Il volto senza occhiali della fidanzata, il suo sorriso malcelato, i suoi silenzi menefreghisti e la sua goffaggine. L’assenza di lamentele, di chiacchiere superflue, di civetteria… non la capiva.
Non riusciva proprio a capirla. Quale donna non fa un dramma di una caduta così violenta, vergognandosi o urlando il proprio dolore per un’unghia spezzata? E poi era così piccola e magra, gracile… non sarebbe mai sopravvissuta nel suo ambiente. Era fragile, non aveva spina dorsale. L’avrebbero spezzata come un rametto secco.
E la cosa gli dispiaceva. Non la conosceva, non le doveva nulla, ma…
Nessun ma. Nella sua vita non c’erano mai stati dei “ma”. I calcoli e i problemi hanno una sola soluzione.
Aveva serrato la mascella ed era avanzato alla volta di madama Artemide.
Le sue mani. Gli servivano le sue mani.
Perché inconsciamente il suo cuore voleva altro?
 
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Un’ora dopo il primo incontro. Osservatorio di Anima.
Ad Ofelia erano cadute le braccia.
- Un’o… un’ora dopo avermi vista? Dopo che sono caduta così malamente da rompere gli occhiali?
Thorn era imbarazzato come non lo aveva mai visto, se non quando l’aveva abbracciata di slancio poco dopo la loro prima volta insieme, incerto su come comportarsi. Ma in quel caso Ofelia lo comprendeva. Lui era apatico, decisamente poco sentimentale, asociale e freddo, eppure…
- Un colpo di fulmine…
Il mormorio di Ofelia lo costrinse a chiudere gli occhi, corrugando così tanto la fronte da riempirla di solchi.
- Argomento chiuso – sancì lapidario.
Ofelia ridacchiò. Si sentiva così bene… non aveva mai riscosso successo in campo amoroso, non si era mai infatuata di nessuno e nessuno di lei, ma sapere che un uomo ermetico e arido come Thorn aveva addirittura avuto un colpo di fulmine per lei
Lo abbracciò stretto, schizzando ulteriormente d’acqua il pavimento e costringendolo ad aprire gli occhi. Il rossore era ancora lì sulle sue guance, però Thorn stava riacquistando il controllo di sé. Ofelia sentì la sua corta barba impigliarsi tra i capelli quando seppellì il volto nel suo collo, facendolo sussultare. Ogni tanto sembrava un giocattolo caricato a molla, che si muoveva a scatti. Sapeva essere allo stesso tempo fluido e rigido come nessun’altro.
- D’accordo – concesse allora, felice. – Non ti chiederò più nulla in merito ai tuoi sentimenti.
- Non c’è altro da chiedere – la rimbeccò lui, laconico.
Quella conversazione proprio non gli andava giù, non era nelle sue corde e sperava proprio che Ofelia non tirasse più fuori l’argomento.
- Ogni tanto i dubbi vengono.
Thorn l’afferrò per le spalle e l’allontanò da sé, arcuandosi per guardarla bene negli occhi. – Non devono venirti. Se ti vengono vuol dire che c’è qualche mancanza da parte mia, e allora devi farmela notare. Non posso vivere nell’inquietudine che tu non sia convinta… che tu non sia contenta.
Ofelia gli accarezzò il viso e gli sorrise. – Questa conversazione l’abbiamo già avuta, a Babel – gli fece notare. – Come allora, oggi ti rispondo che io sono già felice. Non è cambiato nulla, e non cambierà mai.
Thorn si schiarì la voce. – Bene.
Ofelia ricordava bene cos’era successo dopo, quando mesi prima avevano avuto una conversazione simile a casa di Lazarus. Thorn si era chinato per baciarla ma l’armatura della gamba si era bloccata, fermandone lo slancio. Lei aveva riso di cuore mentre lui si affrettava a sistemarla con palese esasperazione.
In quella vasca, non c’era l’armatura a bloccarlo, e Ofelia rispose al bacio spronando le sue mani affinché riprendessero il percorso che avevano interrotto prima.
Sorrise mentre lo baciava, ripensando al passato, remoto e prossimo, al presente di quel momento, caldo e confortevole, e al futuro, che si prospettava sicuro e appagante. Non importava se lei aveva impiegato dieci mesi a innamorarsi e lui un’ora, l’amore che nutrivano l’uno per l’altra trascendeva tempo e spazio, cresceva ogni giorno di più ed entrambi erano certi che niente avrebbe potuto scalfirlo.
Avevano in mano i dadi della loro vita, ma Ofelia ringraziò quei piccoli e infimi dettagli che li avevano fatti giungere lì, in quel bagno, sapendo che la mancanza di anche una sola delle loro caratteristiche li avrebbe portati su due arche lontanissime.
Il suo essere la miglior lettrice di Anima, di cui Thorn aveva bisogno. La sua goffaggine, che lo aveva fatto infatuare. La sua intelligenza, che la spingeva a pensare con la sua testa ed essere, per questo, imprevedibile. O ancora, la condizione di bastardo di Thorn, che per quanto lo avesse fatto soffrire sin dalla nascita, lo aveva costretto a dover cercare una moglie su un’altra arca, la sua. Non per ultimo, il suo aver rifiutato due pretendenti, rendendole impossibile sfuggire a quel matrimonio forzato.
Sentì l’impulso irrefrenabile di dirgli che lo amava, lo amava come mai avrebbe creduto possibile amare qualcuno. Ma con Thorn, un uomo pratico, i gesti valevano più dei discorsi imbarazzanti che avevano sostenuto. Così si abbandonò a lui con tutta se stessa, perché era l’unica cosa che aveva da offrire.
Ed era l’unica cosa di cui lui avesse bisogno.
  
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