Capitolo 12
Non
toccarmi mai più, gli
aveva detto. L’aria era fredda e loro ancora accaldati,
lucidamente consapevoli
di aver perso una parte di se stessi nella sala dell’hov.
Sigyn non
sapeva quale forza l’avesse spinta a pronunciare le parole
che aveva rivolto al
dio degli inganni. Era stato uno squarcio nelle tenebre del futuro, un
buco
nella tela filata dalle Norne. Era la prima manifestazione della
scintilla, che
solo l’ingannatore e il suo furbo padre avevano avvertito.
Lei non era al
corrente di niente, ma aveva percepito, finalmente, che qualcosa di
oscuro e
sbagliato la corrodeva, rendendola simile al principe degli
Æsir.
Ne
ebbe paura.
Smarrita
e barcollante, raccolse le poche forze rimaste e tentò di
allontanarsi, di
fuggire, ma Loki la bloccò afferrandola per il polso.
“Altrimenti?”
le sibilò con voce roca costringendola a sollevare le ciglia
verso di lui.
“Cosa puoi farmi, tu?”
Sigyn
non rispose e l’Ase s’ avvicinò fino a
sfiorarle la bocca, a respirare il suo
sospiro. Scelse d’ignorare la tensione che gli scuoteva i
nervi ogni volta che
i loro corpi annullavano le distanze: doveva scoprire se la
sentiva
anche lei. Avrebbe potuto commettere un sacrilegio inammissibile,
perché Sigyn
era un’ancella vicina al giuramento, ma, di fatto, ancora
libera. Era la scintilla.
Intoccabile, come tutte le cose proibite e, per questo motivo,
necessaria più
dell’aria. Osò posare le dita sulle sue labbra
piene, oscillare sul filo
sottile che separava il desiderio dal sacrilegio, il lecito
dall’illecito,
sfruttare il tatto per saggiare quanto fossero morbide, umide, dolci.
Le
sollevò il mento – che lo guardasse in faccia, che
ripetesse l’avvertimento con
quel suo sguardo ardente di principessa. La sentì
sussultare, perdersi,
scoprire l’identica fitta che mordeva lui. Ghignò
soddisfatto – il caos li
avvolgeva, ne aveva avuto la conferma – e la fissò
con negli occhi una luce di
sfida. L’odore della sua pelle aveva qualcosa
d’inebriante – miele e vaniglia.
“Sono
un’ancella,” gli rispose infine con implacabile
alterigia.
Il
principe di Asgard fece una smorfia. L’incanto era stato
rotto. “Non ancora.”
Si allontanò di un passo senza lasciare il suo polso
sottile, di fata. “Non per
sempre. Non giurerai, non prenderai mai i voti. Non puoi,”
predisse – rivelò, a
denti stretti, con voce cattiva, mentre un pensiero urgente,
impossibile da
rivelarle, gli martellava nella testa – se lo facessi, lui
ti vedrebbe e
capirebbe cosa sei; pretenderebbe subito il tuo
sacrificio e noi non
avremmo tempo di fare niente.
Il
viso di Sigyn perse ogni colore. Si sentì tradita.
“Siete un popolo di barbari
senza morale né decenza,” esplose.
“E tu
un nostro ostaggio.”
“Nostro?
O tuo?” alluse con un tremito delle
labbra. Era terrorizzata, in
trappola, e lo riteneva il solo responsabile delle proprie sventure;
Sigurdr
aveva commesso un imperdonabile errore negando i propri aiuti ad
Asgard, ma era
stato Loki, solo Loki, a pretendere che li seguisse.
L’ingannatore
guardò quelle labbra piene che avrebbe desiderato
assaggiare, la pelle bianca e
invitante del seno che si alzava e abbassava rapida sotto il vestito.
Le lasciò
il braccio, perché un futuro re doveva essere in grado di
controllarsi. E poi,
toccarla era un’empietà.
“Mio
no, mai,” sostenne con forza. Vide un lampo di smarrimento
negli occhi di Sigyn;
fino a quel momento aveva provato più a volte a interrogarlo
circa il proprio
destino, ma il principe era stato sempre vago, evitando accuratamente
di
risponderle. E ora, lei non aveva in mano che i cocci di una serie di
ragionevoli sospetti. Decise di infierire, di mentirle.
Ghignò e la fissò con
insolenza, dall’alto in basso. “Ma sarebbe un
peccato, se Padre Tutto decidesse
di donarti a qualche valoroso Ase tanto presto, non trovi anche tu?[1]”
La
sua voce vibrò d’orrore al pensiero, ma lei non se
ne accorse, troppo offesa da
quella battuta bugiarda, che la consegnava a chissà che
esistenza opaca e
imposta, certamente più crudele della vita di clausura che
le sarebbe spettata.
Si convinse che Loki avesse agito spinto unicamente dalla precisa
volontà di
farle del male e abbandonò ogni contegno, riducendo
nuovamente la distanza tra
loro. “Sfacciato, profanatore, ladro! Avevi detto che potevo
servire gli
antenati!”
L’Ase
incassò l’insulto con un certo dispetto e
irrigidì la mascella affilata. Piccolissimi
fiocchi bianchi danzavano tra lui e Sigyn, ancora accaldati ed ebbri
d’idromele, con addosso l’odore pungente degli
incensi speziati e il loro,
mescolato, pericoloso. Non poteva biasimarla, perché ogni
sua certezza aveva la
consistenza di un sogno destinato a dissolversi, eppure la detestava
per il suo
profumo di miele e vaniglia, per la sua bocca ben disegnata, per la sua
assurda
fede in qualcosa che, alla fine, non
l’avrebbe salvata. Tenerla tra le
braccia non gli era bastato. “Per ora. Non è il
tuo destino, spiacente.”
La
secchezza della frase colpì Sigyn facendola avvampare. Aveva
colto nella sua
voce del gelido sarcasmo e nei suoi occhi chiari una punta
d’ingiustificato
rancore.
“Purché
non sia stare con te, mi andrà tutto
bene,” ribatté rabbrividendo per il
freddo e per l’idea.
Loki
inclinò il capo fissandola con irata sorpresa; non si
aspettava di suscitare
tanto disprezzo, eppure, in qualche modo, la cosa lo divertiva. Sigyn
sentiva
sempre il bisogno di ribadire come non gradisse la sua presenza. Aveva
ancora
il fiato corto e gli occhi accesi, ma qualche ciocca si era sfilata
dalle
trecce e le ricadeva, libera, sul viso. Era bella.
Riprese
il controllo di sé e allacciò le mani dietro la
schiena gonfiando il petto. “Cos’hai
visto nella sala?”
L’ancella
mancata scosse la testa e strinse le labbra. “Non lo
so.”
“Mi
hai parlato,” insistette.
Sigyn
si sfiorò il collo e la gola, come se le mancasse
l’aria. Le era rimasta
addosso la sensazione strisciante di aver osservato o sentito qualcosa,
mentre era nella sala, tra le braccia dell’Ase; una sorta di
presagio che,
calmandosi e concentrandosi a dovere, avrebbe potuto recuperare dalla
memoria,
ma che la presenza di Loki rendeva impossibile afferrare. Lui
catalizzava ogni
sua attenzione, fissandola con un’intensità
spiazzante e privandola di ogni
protezione. Davanti a lui si sentiva esposta, nuda, fallibile, ma
mostrarsi
vulnerabili davanti al figlio cadetto di Odino era pericoloso. Col suo
intuito
di lupo avrebbe saputo individuare ogni crepa nascosta nella sua anima
e
infilarci dentro il veleno. Un giorno, Sigyn si sarebbe mostrata a Loki
priva
di ogni difesa, ma non era quello il momento.
“Non
lo ricordo. L’idromele era troppo forte.”
L’Ase,
forse, non le credette. Strinse le palpebre come se volesse guardarla
meglio. “Stammi
il più possibile lontana, in futuro,”
suggerì, per poi incamminarsi a passi larghi
verso la foresta, il buio, la notte che non temeva – aveva
sempre trovato le
tenebre confortevoli e l’oscurità non era riuscita
a spaventarlo mai, nemmeno durante
l’infanzia.
“Non
sono io che ti cerco,” puntualizzò lei.
“Hai qualcosa di mio.”
Loki
si fermò girandosi appena. “L’ho
stregato.”
“Lo
rivoglio,” insistette Sigyn decisa. L’effetto
dell’idromele e del rito era stava
svanendo rapidamente grazie al freddo. Notò che
l’ingannatore aveva ancora i
capelli umidi e non soffriva il freddo. Non si chiese il
perché.
Lo
vide annuire e incamminarsi nuovamente verso gli alti alberi col suo
passo
svelto e altero. Ne osservò il portamento fiero dovuto alle
spalle diritte e
all’andatura decisa, ma provò un senso di
smarrimento quando la sua figura
ammantata di nero svanì nel folto del bosco:
l’immensa vastità di quei luoghi
selvaggi la spaventava – c’erano frassini
millenari, grotte e sentieri dove non
si udivano rumori a eccezione della foresta stessa, che respirava.
Quella
sera le fu concesso di cenare nelle sue stanze; spiluccò
appena e imputò la
mancanza d’appetito agli sconvolgimenti della giornata.
Provò a leggere un
libro di liriche, ma non le riuscì di concentrarsi. Le frasi
e le rime scorrevano
davanti ai suoi occhi perdendo il loro significato. Pensò
con rabbia a lui, che
l’aveva ingannata. Non era diverso da suo padre: era un
pirata a cui piaceva
giocare con le vite altrui, distruggendole. Spense il lume che era
comunque
troppo tardi, infilandosi tra le coperte ancora fredde. Avrebbe dovuto
farle
scaldare alla cameriera che si occupava di lei, ma se n’era
dimenticata. Rabbrividì
e si tirò su le coltri fino a
coprire quasi completamente la testa. Nel segreto del letto, prima di
addormentarsi, si sfiorò le labbra con la punta delle dita
perché lui le aveva accarezzate,
ripensando all’unico momento sopravvissuto
all’oblio del blót –
lei che
gli toccava il petto largo e forte, di guerriero.
Non
si videro per giorni. Balder, un mattino, venne a cercarla
nell’ampio giardino
su cui si affacciavano le sue stanze per mostrarle l’ennesimo
giocattolo creato
da Loki: un bellissimo drakkar in miniatura con tanto di timone a poppa
e vela
quadrata, simile a quello su cui Sigyn aveva viaggiato per giorni. Di
nuovo,
non poté non notare l’abilità con cui
era stata costruita la nave; per creare
certi dettagli, l’ingannatore aveva dovuto per forza
infilarsi tra l’occhio e
il naso una qualche lente d’ingrandimento e, quindi,
intagliare con precisione
gli uomini, i remi, la fiera prua decorata con un serpente marino. Gli
chiese
dove fosse il fratello, ma il bambino rispose con un’alzata
vaga di spalle.
Arrivò a chiedergli se avesse lasciato detto di consegnarle
qualcosa, un
messaggio o un oggetto, ma Balder non sapeva niente. Sigyn decise che
doveva scoprire
quale fosse il suo destino e chiese di poter vedere Odino –
riteneva fosse giusto
conoscere almeno il nome del valoroso Ase sacrilego cui pareva essere
destinata. La conversazione con Padre Tutto, però, non
avvenne mai.
L’aria
di Asgard era gelida, il suo vento tagliente come le lame che gli
Æsir
portavano sempre appese alla cintura o infilate negli stivali. Il
palazzo di
Odino e il fiordo un mattino si ricoprirono di bianco, il cielo divenne
grigio
e senza luce. Sigyn non aveva mai visto così tanta neve in
vita sua: s’incantò
di fronte allo spettacolo stupendo dei giardini candidi e immobili,
della
foresta che sembrava appartenere a un sogno o a una fiaba. In mezzo a
quello
stupore, scoprì che Loki si era assentato da Asgard, ma non
seppe mai il
perché. Sembrava che il figlio cadetto di Odino fosse solito
compiere viaggi e
ambascerie dall’obiettivo apparentemente oscuro, che forse
avevano a che fare
con la sua spaventosa abilità nell’utilizzare il
seiðr. Era stato nel corso di una
di queste missioni che il suo sorriso si era fatto più
tagliente, i suoi
ragionamenti più spietati, ma tutto ciò a Sigyn
sarebbe stato raccontato dopo.
Il mondo
era ancora avvolto in un bianco e gelido mantello quando
l’ingannatore tornò. Lei
si stava avviando verso le sue camere dopo essere stata presso gli
altari degli
antenati e, istintivamente, si ritrasse dietro una colonna per vedere
senza essere
vista. Loki irruppe nel cortile mentre era ancora in sella al suo
cavallo
nervoso e sbuffante, dal pelo scuro come il suo mantello, e scherzava
pesantemente con il fratello maggiore, venuto ad accoglierlo. Doveva
aver
compiuto qualche impresa particolare, perché di fronte a una
battuta di Thor
buttò il capo all’indietro e rise di gusto. Sigyn,
nonostante tremasse per il freddo,
non si mosse dal suo pur blando nascondiglio. Non avrebbe mai
immaginato che Loki
potesse ridere così. Sfoggiava perennemente un sorriso
arrogante e sarcastico, carico
di veleno. Il suo intento era quasi sempre volto a ferire o irretire il
malcapitato interlocutore di turno, ma, nascosta dietro una colonna,
Sigyn
scoprì che il giovane principe degli Æsir sapeva
lasciarsi andare a un moto di
pura, assoluta gioia, priva di doppi fini. Celata al suo sguardo
intelligente e
indagatore, ne studiò il profilo affilato e regolare,
virile, soffermandosi
sulla mascella squadrata e sugli zigomi taglienti. Notò la
sicurezza che
accompagnava ogni suo gesto, colse la pacca gentile che diede al
cavallo dopo
essere smontato agilmente di sella. Ogni movimento del suo corpo
nervoso e
scattante sprigionava forza. Le battevano i denti per il freddo
– colpa dell’abito
troppo sottile che doveva indossare per officiare riti da cui presto
sarebbe
stata esclusa, ma scelse di rimanere dov’era per non
permettere agli occhi di
Loki di violarla con uno dei suoi sguardi rapaci. L’Ase
parlò a lungo con suo
fratello e non la notò. Era troppo preso da una
conversazione che assomigliava
più a un monologo, in cui il primo figlio di Odino si
limitava a rispondere a monosillabi
e ad ascoltare l’altro, tutto preso ad accompagnare ogni
concetto o racconto con
i movimenti misurati e calzanti delle belle mani di mago.
L’argomento era lei,
ma questo Sigyn non poteva saperlo.
Loki Odinson
non era tornato da un viaggio di piacere. Era riuscito a rientrare ad
Asgard
prima che il tempo peggiorasse drasticamente e una tormenta invernale,
la prima
della stagione, si abbattesse con violenza sul fiordo. Alcuni giorni
prima
aveva finito di tradurre e trascrivere gli antichi tomi che parlavano
di una
profezia legata alla scintilla, ma alcune
informazioni non tornavano,
erano contraddittorie e particolarmente oscure. Di ciò aveva
parlato a lungo
con Padre Tutto e, alla fine, entrambi erano arrivati alla stessa
considerazione;
occorreva trovare una copia della pergamena consultata, possibilmente
più
antica, per capire se le informazioni combaciavano o si era trattata di
una
svista del copista[2].
Un lampo d’orgoglio gli infiammò lo sguardo al
ricordo. Il lieve sorriso che
aveva increspato le labbra nascoste dalla barba di suo padre gli aveva
suggerito
come il suo lavoro fosse stato apprezzato. A voler essere onesti, la
ricerca si
era rivelata un eccesso di zelo; le due pergamene erano differenti in
qualche
punto, ma su una cosa concordavano assolutamente: il destino di Sigyn
era
segnato, a meno di non tentare un qualche atto violento, folle e
disperato.
Increspò
le labbra in una smorfia e si massaggiò il collo. Era notte
fonda e oltre le
finestre sprangate infuriava la tormenta. Si versò
l’ultimo goccio d’idromele
nel corno sperando che gli facilitasse il sonno e tornò a
posare gli occhi sul
trattato scritto dal nano Brokk di Nidavellir su come rendere
più veloci le
navi da guerra[3].
Intinse la penna nel calamaio e aggiunse l’ennesima chiosa,
dedicandosi poi ad
appuntare su una pergamena stesa una serie di considerazioni che
avrebbe fatto
leggere a Padre Tutto. Un timido bussare interruppe il suo lavoro
rompendo l’atmosfera
sospesa. Credette di essersi sbagliato e rimase in attesa, ascoltando
il
silenzio rotto unicamente dal vento che fischiava schiantandosi contro
il
palazzo, col braccio sollevato e la penna stretta tra le dita; una
goccia d’inchiostro
cadde creando una macchia tra un paragrafo e l’altro dei suoi
appunti e il colpo
si ripeté. Si alzò con un movimento fluido, senza
dimenticare di recuperare
velocemente uno dei suoi pugnali più affilati; non aspettava
visite e Thor bussava
in modo diverso, seguendo un codice antico messo a punto
quand’erano bambini. Se
qualcuno osava cercarlo a quell’ora, doveva trattarsi di
un’emergenza o un
imprevisto grave. Attraversò con delle ampie falcate le
stanze sobrie ed
eleganti assieme, che portavano i segni sfacciati della sua
personalità
intrigante, fiera e curiosa: tappeti di Vanheim, qualche trofeo di
guerra,
armi, astrolabi, compassi, pergamene, libri e ogni sorta di
curiosità e di stranezza
raccolta in giro per i Nove Regni. Quando aprì la porta si
trovò di fronte a una
delle serve più anziane di sua madre. Torcendosi le mani e
chiedendogli perdono
mille volte per averlo disturbato, lo informò che Sigyn si
era sentita male e aveva
bisogno di un guaritore o di una pozione capace di abbassarle la
febbre. Loki inarcò
un sopracciglio e quella proseguì, raccontando che la
tormenta rendeva
impossibile andare a cercare i guaritori; nel palazzo, al momento, non
c’era
nessuno che s’intendesse abbastanza di medicamenti a parte
lui. Il primo
cerusico disponibile sarebbe arrivato solo all’alba.
Loki
piegò le labbra sottili in una smorfia infastidita e
seguì la serva lungo i
corridoi del palazzo, camminando rapido tra i pannelli di legno
affrescati e i
mosaici arricchiti con l’oro, trafugati da città
assoggettate e poi distrutte. Aveva
portato con sé nient’altro che il tomo oggetto del
suo studio e un paio di
ampolle, di quelle che era solito infilare nel suo scarno bagaglio: non
era un
guaritore, ma conosceva molte delle rune che sanavano il corpo e aveva
studiato
accanto ai migliori di loro, perché un principe di Asgard
doveva sapere come
ricucire una ferita e curarsi in caso di stretta necessità.
Chi usava il seiðr
in questo era avvantaggiato, specie se poi, come lui, si dilettava nel
creare
veleni. Non si sarebbe mai mosso dalla sua stanza se lei non fosse
stata un
ostaggio incredibilmente prezioso, preteso e perduto al tempo stesso.
La stanza
di Sigyn era avvolta nella penombra e ben scaldata, ma non possedeva
quasi
nulla di lei. C’erano dei libri sulla scrivania, che
l’Ase conosceva molto bene
perché venivano dalla ricca biblioteca di Odino, qualche
schizzo abbozzato dei
paesaggi di Asgard, di discreta fattura, l’abito bianco di
lino indossato dalla
ragazza quel pomeriggio. Loki osò sfiorarne il tessuto
leggero e, alzando lo
sguardo, incontrò un oggetto che non si aspettava di
trovare. Il cavallino di
legno che aveva intagliato per suo fratello. Balder doveva averglielo
regalato
e lei, chissà perché, lo teneva in bella vista
sulla toeletta, accanto al
pettine e a qualche fermaglio. Si avvicinò al letto,
concentrando l’attenzione
su Sigyn. I bei capelli biondi erano sparpagliati sul cuscino e
malamente
legati con un nastro scuro da cui sfuggivano numerose ciocche. Le dava
fastidio
persino la luce della candela e teneva gli occhi chiusi, ma quando lui
ordinò
alla serva di prendere un bicchiere d’acqua e qualche goccia
d’idromele forse riconobbe
la sua voce, perché schiuse le palpebre rivelando gli occhi
grigi e lucidi. Batteva
i denti dal freddo nonostante le fossero state date altre coperte e
provò a dirgli
qualcosa d’incomprensibile.
Loki
le mise una mano sulla fronte: scottava. Mormorò delle rune
e si fece dare
dalla donna accanto a lui un paio di pezze che al tocco delle sue dita
divennero tanto fredde da sembrare fatte di ghiaccio.
L’ancella mancata,
sentendo la stoffa gelida sulla fronte, emise un sospiro di sollievo.
“Non
sei abituata al freddo di Asgard. Chiederò che ti vengano
dati abiti più
pesanti – noi queste temperature non le sentiamo
neppure,” le spiegò l’ingannatore
mescolando rapido il contenuto delle boccette con l’acqua, ma
lei a malapena l’ascoltava.
Sigyn
schiuse le labbra riarse e la serva lei si accostò
sollevandole la testa e le
spalle con la delicatezza che avrebbe riservato a una figlia o a una
bambina,
aiutandola a bere la pozione. Loki l’aveva addolcita
aggiungendo dell’idromele,
ma non era riuscito a togliere del tutto il sapore fastidioso e acre
degli
ingredienti uniti insieme. Osservò la scena e
pensò che non le era mai sembrata
tanto vulnerabile come in quel momento. Alzandosi, la camicia da notte
si era
tirata scivolandole sulla spalla e l’Ase si
ritrovò a fissare l’inaspettata
pelle morbida e bianca che segnava il principio dolcemente rotondo di
un seno,
l’ombra scura della punta che quasi sfiorava l’orlo
della camicia. Deglutì e distolse
lo sguardo, tentando d’ignorare la fitta di desiderio che lo
aveva ghermito. Pensò
al piacere che avrebbe provato se solo avesse potuto stringerla e far
scorrere
le labbra su di lei, accarezzando con la bocca ogni dettaglio,
lambendole quell’areola
rosata solo intravista, ma era maledetta – sospirò
e scacciò il pensiero violento.
“Puoi
riposare,” ordinò spiccio alla serva.
“Non mancano molte ore all’alba.”
La
donna gli lanciò una lunga occhiata interrogativa e
uscì senza proferire parola.
Dopo che se ne fu andata, l’Ase avvicinò una
poltrona e s’accomodò accanto al
letto, ma non troppo. Aprì il grosso volume scritto da Brokk
e riprese lo studio
dove l’aveva interrotto, gettando di tanto in tanto
un’occhiata a Sigyn, finalmente
addormentata.
Le rune
avevano cominciato a confondersi davanti ai suoi occhi quando la voce
flebile e
impastata di lei, poco più che un sussurro, non lo
risvegliò immediatamente. Il
vento, ormai, soffiava con meno intensità, segno che la
tormenta stava
cessando.
“Che
ci fai qui?”
“Sono
rimasto per controllare che la pozione che ti ho dato non ti
avvelenasse,”
ghignò chiudendo il libro con un gesto secco. Si
alzò per posarle una mano sulla
fronte; scottava ancora, ma molto meno di prima.
Lei
sgranò
gli occhi, in visibile imbarazzo per la stanza avvolta nella penombra
notturna,
per essere sola con lui, per il tocco gelido delle belle dita
dell’Ase, per il
sudore che le era rimasto addosso mentre la temperatura scendeva. Loki
le tastò
anche il collo con un gesto leggero e misurato; Sigyn non si accorse
della
tensione che lo irrigidiva scorgendo il suo petto che si alzava e
abbassava
sotto la camicia da notte, delle labbra strette in una smorfia
contenuta.
“È
il
caso che tu beva un altro goccio di pozione,” le disse per
smettere di
guardarla, di pensarla. Piegò la testa
di lato offrendole il calice e, nell’atmosfera
sospesa di quell’ora tra la tenebra e la luce, le loro dita
si sfiorarono. “Sembra
che i nostri incontri debbano incominciare sempre con io che ti offro
da bere. È
seccante,” considerò l’Ase[4].
Sigyn
bevve e si lasciò ricadere tra i cuscini, sfinita.
“Non ti ho detto tutto
quello che ho visto nella sala, durante il sacrificio,” gli
confessò. “Credo di
aver ricordato alcuni dettagli. C’era qualcosa,
accanto a me.” Rise,
girando la testa verso di lui, e raccontò quello che a
chiunque sarebbe sembrato
un delirio incomprensibile – parlò di un fantasma
che le sussurrava di come si
sarebbe svegliato come lei, con lei – ma
che seccò il palato di Loki e
fece accelerare il suo respiro.
“Dimmi
di più,” ordinò, valutando seriamente
se fosse il caso di violare i suoi
ricordi con qualche incantesimo.
Sigyn
s’irrigidì. Ogni percezione del futuro era
svanita, ricacciata via dalla sua
coscienza più o meno vigile. Nel momento in cui aveva
rivelato il resto della
visione avuta tra le braccia dell’Ase, quella era scomparsa
definitivamente. Il
tono del principe, poi, l’aveva spaventata. Che
voleva da lei? “Tu mi
hai strappata dalla mia casa. Tu sei quasi morto per colpa di mio
padre. Perché
non prendi per te ciò che hai preteso?”
Un
lampo attraversò gli occhi dell’Ase, ma lei non
poté notarlo.
“Lo
vorresti.”
fu la risposta sfacciata.
“Mi
offendi e mi tormenti. La mia devozione è tutta per gli
antenati,” ribatté Sigyn
con la poca forza che aveva, tirando fuori da sotto le coperte il polso
sottile, di fata.
Loki le
guardò a lungo il braccio delicato, la mano affusolata. Si
mosse per allungarle
un’altra pezza gelida senza alcuna grazia. “Non te
l’ho domandato.” Era arrivata
al punto da avere una qualche percezione del suo destino e mantenere il
segreto
rischiava di essere controproducente. Sfilò da una tasca
della bandoliera il
bracciale che aveva riparato e lo mise accanto al letto, sul comodino.
“Sarebbe
stato meglio per tutti, presumo, ma vedi, non possiamo: sei la
scintilla. Farti
fare l’ancella come se niente fosse è
impensabile.”
Sigyn
aveva seguito con gli occhi il suo gesto. Lo
fissò, febbricitante e sconvolta. “Tu sei
un bugiardo. Le scintille non esistono più.
Sono streghe. Le hanno
bruciate tutte.”
Un
sospiro. “Tu sei l’ultima di loro.”
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Sono
giornate difficili per tutti. Il tempo scarseggia – lo smart
working è pesante
e le distrazioni ridotte – e scrivere e leggere sono le sole cose
che mi
tengono a galla. Poi ci siete voi ♥. Ero titubante sulla
scena della febbre di
Sigyn e spero che non mi odierete per averla inserita – anche
se il suo è un malanno
di stagione dovuto all’estremo freddo di Asgard a cui non
è abituata. Sono
giorni difficili e stiamo soffrendo tutti, pertanto ogni riferimento a
quanto
sta accadendo è straziante, ma la scrittura serve a evadere,
la letteratura a
ricordarci la vita com’era e come deve tornare a essere.
Ne
approfitto per mandare un messaggio: Loki è un discreto
pozionista e in quanto
soldato conosce i rudimenti del soccorso, ma ascolta i
guaritori e chi ne sa
più di lui. Fate lo stesso ♥ e #iorestoacasa
continui a essere il
vostro mantra.
Adesso mi
chiuderò nuovamente con i miei amatissimi
Loki e Sigyn. Siamo
rimasti nel passato, come avete visto: volevo inserire anche il
presente e,
anzi, vi confesso che ho dovuto tagliare un po’ di scene, ma
è tutta colpa di
Loki, come sempre. In realtà, sto ragionando su come
inserire il presente perché
a un certo punto la storia deve piotta’,
come diremmo a Roma.
Come
sempre, v’assicuro che tutto torna e tornerà (ho
riletto tutte le loro battute
affinché tornasse). Spero che le mie storie
possano tenervi compagnia in
questi giorni difficili ♥, quanta ne
fate a me quando leggo della vostra
presenza perché vi palesate recensendo o listando.
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo. Bastano
undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’
della magia che la
lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando l’infinita Melania
G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la
freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito il
cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e
un po’ di divertimento… c’è
la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter e Instagram ;)
Ricordo che Vanheim e il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia
personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere
originali
anche per quanto concerne miti, rituali e per alcune caratteristiche di
Loki
che non vengono espletate e/o chiaramente mostrate nei film. Il
blót
esiste, ma gli darò delle accezioni in più che
considererò headcanon. Anche l’espressione
“Per le Norne” che compare
sempre nei miei scritti dal 2017 lo è.
Vi informo anche che ho nuove
cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere
presto!
E la settimana prossima? Ah,
boh, non ho ancora deciso XD
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
[1]
Questa frase chiudeva uno dei primissimi capitoli della storia,
riallacciandosi
con i ricordi sparsi di Loki e di Sigyn. Se vi tornano espressioni e
battute è
voluto in questo senso.
[2]
Loki sta facendo il filologo. I suoi dubbi sono leciti, così
funziona quando si
ha a che fare con le pergamene. Tutto ciò che viene detto su
pergamene e simili
è frutto di esperienze personali.
[3]
Questa cosa di Loki insonne è un mio headcanon: ritorna in
“Tutte le tue bugie”,
“Confessioni,” “Solo un
accordo,” e qua.
[4]
È un leitmotiv di questa storia; Loki offre da bere a Sigyn
numerose volte
nella storia e qui ironizza sulla frequenza di tali scene che hanno un
valore
simbolico (lei rifiuta, bagna le labbra, beve perché
obbligata, beve perché capisce
che non le vuole fare del male). Dato che è una storia dark
ogni tanto un
qualche elemento più “da commedia”
secondo me ci sta.