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Autore: shilyss    04/04/2020    23 recensioni
Storia sulla discesa nell'oscurità del dio degli inganni. L’astuto e sfrontato principe Loki si è macchiato di una colpa terribile, per cui non prova alcun tipo di pentimento. L’esilio di Thor è ancora lontano, ma molte ombre stanno cominciando ad addensarsi sul trono di Odino. Perché ogni sacrilegio deve essere punito, solo che.
Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell’ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.
“Chi di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa, non priva, però, di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una notte intera.

[pre-Thor] [Thor] [hurt/comfort]
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 12

 

Non toccarmi mai più, gli aveva detto. L’aria era fredda e loro ancora accaldati, lucidamente consapevoli di aver perso una parte di se stessi nella sala dell’hov. Sigyn non sapeva quale forza l’avesse spinta a pronunciare le parole che aveva rivolto al dio degli inganni. Era stato uno squarcio nelle tenebre del futuro, un buco nella tela filata dalle Norne. Era la prima manifestazione della scintilla, che solo l’ingannatore e il suo furbo padre avevano avvertito. Lei non era al corrente di niente, ma aveva percepito, finalmente, che qualcosa di oscuro e sbagliato la corrodeva, rendendola simile al principe degli Æsir.

Ne ebbe paura.

Smarrita e barcollante, raccolse le poche forze rimaste e tentò di allontanarsi, di fuggire, ma Loki la bloccò afferrandola per il polso.

“Altrimenti?” le sibilò con voce roca costringendola a sollevare le ciglia verso di lui. “Cosa puoi farmi, tu?”

Sigyn non rispose e l’Ase s’ avvicinò fino a sfiorarle la bocca, a respirare il suo sospiro. Scelse d’ignorare la tensione che gli scuoteva i nervi ogni volta che i loro corpi annullavano le distanze: doveva scoprire se la sentiva anche lei. Avrebbe potuto commettere un sacrilegio inammissibile, perché Sigyn era un’ancella vicina al giuramento, ma, di fatto, ancora libera. Era la scintilla. Intoccabile, come tutte le cose proibite e, per questo motivo, necessaria più dell’aria. Osò posare le dita sulle sue labbra piene, oscillare sul filo sottile che separava il desiderio dal sacrilegio, il lecito dall’illecito, sfruttare il tatto per saggiare quanto fossero morbide, umide, dolci. Le sollevò il mento – che lo guardasse in faccia, che ripetesse l’avvertimento con quel suo sguardo ardente di principessa. La sentì sussultare, perdersi, scoprire l’identica fitta che mordeva lui. Ghignò soddisfatto – il caos li avvolgeva, ne aveva avuto la conferma – e la fissò con negli occhi una luce di sfida. L’odore della sua pelle aveva qualcosa d’inebriante – miele e vaniglia.

“Sono un’ancella,” gli rispose infine con implacabile alterigia.

Il principe di Asgard fece una smorfia. L’incanto era stato rotto. “Non ancora.” Si allontanò di un passo senza lasciare il suo polso sottile, di fata. “Non per sempre. Non giurerai, non prenderai mai i voti. Non puoi,” predisse – rivelò, a denti stretti, con voce cattiva, mentre un pensiero urgente, impossibile da rivelarle, gli martellava nella testa – se lo facessi, lui ti vedrebbe e capirebbe cosa sei; pretenderebbe subito il tuo sacrificio e noi non avremmo tempo di fare niente.

Il viso di Sigyn perse ogni colore. Si sentì tradita. “Siete un popolo di barbari senza morale né decenza,” esplose.

“E tu un nostro ostaggio.”

“Nostro? O tuo?” alluse con un tremito delle labbra. Era terrorizzata, in trappola, e lo riteneva il solo responsabile delle proprie sventure; Sigurdr aveva commesso un imperdonabile errore negando i propri aiuti ad Asgard, ma era stato Loki, solo Loki, a pretendere che li seguisse.

L’ingannatore guardò quelle labbra piene che avrebbe desiderato assaggiare, la pelle bianca e invitante del seno che si alzava e abbassava rapida sotto il vestito. Le lasciò il braccio, perché un futuro re doveva essere in grado di controllarsi. E poi, toccarla era un’empietà.

“Mio no, mai,” sostenne con forza. Vide un lampo di smarrimento negli occhi di Sigyn; fino a quel momento aveva provato più a volte a interrogarlo circa il proprio destino, ma il principe era stato sempre vago, evitando accuratamente di risponderle. E ora, lei non aveva in mano che i cocci di una serie di ragionevoli sospetti. Decise di infierire, di mentirle. Ghignò e la fissò con insolenza, dall’alto in basso. “Ma sarebbe un peccato, se Padre Tutto decidesse di donarti a qualche valoroso Ase tanto presto, non trovi anche tu?[1]

La sua voce vibrò d’orrore al pensiero, ma lei non se ne accorse, troppo offesa da quella battuta bugiarda, che la consegnava a chissà che esistenza opaca e imposta, certamente più crudele della vita di clausura che le sarebbe spettata. Si convinse che Loki avesse agito spinto unicamente dalla precisa volontà di farle del male e abbandonò ogni contegno, riducendo nuovamente la distanza tra loro. “Sfacciato, profanatore, ladro! Avevi detto che potevo servire gli antenati!”

L’Ase incassò l’insulto con un certo dispetto e irrigidì la mascella affilata. Piccolissimi fiocchi bianchi danzavano tra lui e Sigyn, ancora accaldati ed ebbri d’idromele, con addosso l’odore pungente degli incensi speziati e il loro, mescolato, pericoloso. Non poteva biasimarla, perché ogni sua certezza aveva la consistenza di un sogno destinato a dissolversi, eppure la detestava per il suo profumo di miele e vaniglia, per la sua bocca ben disegnata, per la sua assurda fede in qualcosa che, alla fine, non l’avrebbe salvata. Tenerla tra le braccia non gli era bastato. “Per ora. Non è il tuo destino, spiacente.”

La secchezza della frase colpì Sigyn facendola avvampare. Aveva colto nella sua voce del gelido sarcasmo e nei suoi occhi chiari una punta d’ingiustificato rancore.

“Purché non sia stare con te, mi andrà tutto bene,” ribatté rabbrividendo per il freddo e per l’idea.

Loki inclinò il capo fissandola con irata sorpresa; non si aspettava di suscitare tanto disprezzo, eppure, in qualche modo, la cosa lo divertiva. Sigyn sentiva sempre il bisogno di ribadire come non gradisse la sua presenza. Aveva ancora il fiato corto e gli occhi accesi, ma qualche ciocca si era sfilata dalle trecce e le ricadeva, libera, sul viso. Era bella.

Riprese il controllo di sé e allacciò le mani dietro la schiena gonfiando il petto. “Cos’hai visto nella sala?”

L’ancella mancata scosse la testa e strinse le labbra. “Non lo so.”

“Mi hai parlato,” insistette.

Sigyn si sfiorò il collo e la gola, come se le mancasse l’aria. Le era rimasta addosso la sensazione strisciante di aver osservato o sentito qualcosa, mentre era nella sala, tra le braccia dell’Ase; una sorta di presagio che, calmandosi e concentrandosi a dovere, avrebbe potuto recuperare dalla memoria, ma che la presenza di Loki rendeva impossibile afferrare. Lui catalizzava ogni sua attenzione, fissandola con un’intensità spiazzante e privandola di ogni protezione. Davanti a lui si sentiva esposta, nuda, fallibile, ma mostrarsi vulnerabili davanti al figlio cadetto di Odino era pericoloso. Col suo intuito di lupo avrebbe saputo individuare ogni crepa nascosta nella sua anima e infilarci dentro il veleno. Un giorno, Sigyn si sarebbe mostrata a Loki priva di ogni difesa, ma non era quello il momento.

“Non lo ricordo. L’idromele era troppo forte.”

L’Ase, forse, non le credette. Strinse le palpebre come se volesse guardarla meglio. “Stammi il più possibile lontana, in futuro,” suggerì, per poi incamminarsi a passi larghi verso la foresta, il buio, la notte che non temeva – aveva sempre trovato le tenebre confortevoli e l’oscurità non era riuscita a spaventarlo mai, nemmeno durante l’infanzia.

“Non sono io che ti cerco,” puntualizzò lei. “Hai qualcosa di mio.”

Loki si fermò girandosi appena. “L’ho stregato.”

“Lo rivoglio,” insistette Sigyn decisa. L’effetto dell’idromele e del rito era stava svanendo rapidamente grazie al freddo. Notò che l’ingannatore aveva ancora i capelli umidi e non soffriva il freddo. Non si chiese il perché.

Lo vide annuire e incamminarsi nuovamente verso gli alti alberi col suo passo svelto e altero. Ne osservò il portamento fiero dovuto alle spalle diritte e all’andatura decisa, ma provò un senso di smarrimento quando la sua figura ammantata di nero svanì nel folto del bosco: l’immensa vastità di quei luoghi selvaggi la spaventava – c’erano frassini millenari, grotte e sentieri dove non si udivano rumori a eccezione della foresta stessa, che respirava.

 

Quella sera le fu concesso di cenare nelle sue stanze; spiluccò appena e imputò la mancanza d’appetito agli sconvolgimenti della giornata. Provò a leggere un libro di liriche, ma non le riuscì di concentrarsi. Le frasi e le rime scorrevano davanti ai suoi occhi perdendo il loro significato. Pensò con rabbia a lui, che l’aveva ingannata. Non era diverso da suo padre: era un pirata a cui piaceva giocare con le vite altrui, distruggendole. Spense il lume che era comunque troppo tardi, infilandosi tra le coperte ancora fredde. Avrebbe dovuto farle scaldare alla cameriera che si occupava di lei, ma se n’era dimenticata.  Rabbrividì e si tirò su le coltri fino a coprire quasi completamente la testa. Nel segreto del letto, prima di addormentarsi, si sfiorò le labbra con la punta delle dita perché lui le aveva accarezzate, ripensando all’unico momento sopravvissuto all’oblio del blót – lei che gli toccava il petto largo e forte, di guerriero.

 

Non si videro per giorni. Balder, un mattino, venne a cercarla nell’ampio giardino su cui si affacciavano le sue stanze per mostrarle l’ennesimo giocattolo creato da Loki: un bellissimo drakkar in miniatura con tanto di timone a poppa e vela quadrata, simile a quello su cui Sigyn aveva viaggiato per giorni. Di nuovo, non poté non notare l’abilità con cui era stata costruita la nave; per creare certi dettagli, l’ingannatore aveva dovuto per forza infilarsi tra l’occhio e il naso una qualche lente d’ingrandimento e, quindi, intagliare con precisione gli uomini, i remi, la fiera prua decorata con un serpente marino. Gli chiese dove fosse il fratello, ma il bambino rispose con un’alzata vaga di spalle. Arrivò a chiedergli se avesse lasciato detto di consegnarle qualcosa, un messaggio o un oggetto, ma Balder non sapeva niente. Sigyn decise che doveva scoprire quale fosse il suo destino e chiese di poter vedere Odino – riteneva fosse giusto conoscere almeno il nome del valoroso Ase sacrilego cui pareva essere destinata. La conversazione con Padre Tutto, però, non avvenne mai.

 

L’aria di Asgard era gelida, il suo vento tagliente come le lame che gli Æsir portavano sempre appese alla cintura o infilate negli stivali. Il palazzo di Odino e il fiordo un mattino si ricoprirono di bianco, il cielo divenne grigio e senza luce. Sigyn non aveva mai visto così tanta neve in vita sua: s’incantò di fronte allo spettacolo stupendo dei giardini candidi e immobili, della foresta che sembrava appartenere a un sogno o a una fiaba. In mezzo a quello stupore, scoprì che Loki si era assentato da Asgard, ma non seppe mai il perché. Sembrava che il figlio cadetto di Odino fosse solito compiere viaggi e ambascerie dall’obiettivo apparentemente oscuro, che forse avevano a che fare con la sua spaventosa abilità nell’utilizzare il seiðr. Era stato nel corso di una di queste missioni che il suo sorriso si era fatto più tagliente, i suoi ragionamenti più spietati, ma tutto ciò a Sigyn sarebbe stato raccontato dopo.

Il mondo era ancora avvolto in un bianco e gelido mantello quando l’ingannatore tornò. Lei si stava avviando verso le sue camere dopo essere stata presso gli altari degli antenati e, istintivamente, si ritrasse dietro una colonna per vedere senza essere vista. Loki irruppe nel cortile mentre era ancora in sella al suo cavallo nervoso e sbuffante, dal pelo scuro come il suo mantello, e scherzava pesantemente con il fratello maggiore, venuto ad accoglierlo. Doveva aver compiuto qualche impresa particolare, perché di fronte a una battuta di Thor buttò il capo all’indietro e rise di gusto. Sigyn, nonostante tremasse per il freddo, non si mosse dal suo pur blando nascondiglio. Non avrebbe mai immaginato che Loki potesse ridere così. Sfoggiava perennemente un sorriso arrogante e sarcastico, carico di veleno. Il suo intento era quasi sempre volto a ferire o irretire il malcapitato interlocutore di turno, ma, nascosta dietro una colonna, Sigyn scoprì che il giovane principe degli Æsir sapeva lasciarsi andare a un moto di pura, assoluta gioia, priva di doppi fini. Celata al suo sguardo intelligente e indagatore, ne studiò il profilo affilato e regolare, virile, soffermandosi sulla mascella squadrata e sugli zigomi taglienti. Notò la sicurezza che accompagnava ogni suo gesto, colse la pacca gentile che diede al cavallo dopo essere smontato agilmente di sella. Ogni movimento del suo corpo nervoso e scattante sprigionava forza. Le battevano i denti per il freddo – colpa dell’abito troppo sottile che doveva indossare per officiare riti da cui presto sarebbe stata esclusa, ma scelse di rimanere dov’era per non permettere agli occhi di Loki di violarla con uno dei suoi sguardi rapaci. L’Ase parlò a lungo con suo fratello e non la notò. Era troppo preso da una conversazione che assomigliava più a un monologo, in cui il primo figlio di Odino si limitava a rispondere a monosillabi e ad ascoltare l’altro, tutto preso ad accompagnare ogni concetto o racconto con i movimenti misurati e calzanti delle belle mani di mago. L’argomento era lei, ma questo Sigyn non poteva saperlo.

 

Loki Odinson non era tornato da un viaggio di piacere. Era riuscito a rientrare ad Asgard prima che il tempo peggiorasse drasticamente e una tormenta invernale, la prima della stagione, si abbattesse con violenza sul fiordo. Alcuni giorni prima aveva finito di tradurre e trascrivere gli antichi tomi che parlavano di una profezia legata alla scintilla, ma alcune informazioni non tornavano, erano contraddittorie e particolarmente oscure. Di ciò aveva parlato a lungo con Padre Tutto e, alla fine, entrambi erano arrivati alla stessa considerazione; occorreva trovare una copia della pergamena consultata, possibilmente più antica, per capire se le informazioni combaciavano o si era trattata di una svista del copista[2]. Un lampo d’orgoglio gli infiammò lo sguardo al ricordo. Il lieve sorriso che aveva increspato le labbra nascoste dalla barba di suo padre gli aveva suggerito come il suo lavoro fosse stato apprezzato. A voler essere onesti, la ricerca si era rivelata un eccesso di zelo; le due pergamene erano differenti in qualche punto, ma su una cosa concordavano assolutamente: il destino di Sigyn era segnato, a meno di non tentare un qualche atto violento, folle e disperato.

Increspò le labbra in una smorfia e si massaggiò il collo. Era notte fonda e oltre le finestre sprangate infuriava la tormenta. Si versò l’ultimo goccio d’idromele nel corno sperando che gli facilitasse il sonno e tornò a posare gli occhi sul trattato scritto dal nano Brokk di Nidavellir su come rendere più veloci le navi da guerra[3]. Intinse la penna nel calamaio e aggiunse l’ennesima chiosa, dedicandosi poi ad appuntare su una pergamena stesa una serie di considerazioni che avrebbe fatto leggere a Padre Tutto. Un timido bussare interruppe il suo lavoro rompendo l’atmosfera sospesa. Credette di essersi sbagliato e rimase in attesa, ascoltando il silenzio rotto unicamente dal vento che fischiava schiantandosi contro il palazzo, col braccio sollevato e la penna stretta tra le dita; una goccia d’inchiostro cadde creando una macchia tra un paragrafo e l’altro dei suoi appunti e il colpo si ripeté. Si alzò con un movimento fluido, senza dimenticare di recuperare velocemente uno dei suoi pugnali più affilati; non aspettava visite e Thor bussava in modo diverso, seguendo un codice antico messo a punto quand’erano bambini. Se qualcuno osava cercarlo a quell’ora, doveva trattarsi di un’emergenza o un imprevisto grave. Attraversò con delle ampie falcate le stanze sobrie ed eleganti assieme, che portavano i segni sfacciati della sua personalità intrigante, fiera e curiosa: tappeti di Vanheim, qualche trofeo di guerra, armi, astrolabi, compassi, pergamene, libri e ogni sorta di curiosità e di stranezza raccolta in giro per i Nove Regni. Quando aprì la porta si trovò di fronte a una delle serve più anziane di sua madre. Torcendosi le mani e chiedendogli perdono mille volte per averlo disturbato, lo informò che Sigyn si era sentita male e aveva bisogno di un guaritore o di una pozione capace di abbassarle la febbre. Loki inarcò un sopracciglio e quella proseguì, raccontando che la tormenta rendeva impossibile andare a cercare i guaritori; nel palazzo, al momento, non c’era nessuno che s’intendesse abbastanza di medicamenti a parte lui. Il primo cerusico disponibile sarebbe arrivato solo all’alba.

Loki piegò le labbra sottili in una smorfia infastidita e seguì la serva lungo i corridoi del palazzo, camminando rapido tra i pannelli di legno affrescati e i mosaici arricchiti con l’oro, trafugati da città assoggettate e poi distrutte. Aveva portato con sé nient’altro che il tomo oggetto del suo studio e un paio di ampolle, di quelle che era solito infilare nel suo scarno bagaglio: non era un guaritore, ma conosceva molte delle rune che sanavano il corpo e aveva studiato accanto ai migliori di loro, perché un principe di Asgard doveva sapere come ricucire una ferita e curarsi in caso di stretta necessità. Chi usava il seiðr in questo era avvantaggiato, specie se poi, come lui, si dilettava nel creare veleni. Non si sarebbe mai mosso dalla sua stanza se lei non fosse stata un ostaggio incredibilmente prezioso, preteso e perduto al tempo stesso.

 

La stanza di Sigyn era avvolta nella penombra e ben scaldata, ma non possedeva quasi nulla di lei. C’erano dei libri sulla scrivania, che l’Ase conosceva molto bene perché venivano dalla ricca biblioteca di Odino, qualche schizzo abbozzato dei paesaggi di Asgard, di discreta fattura, l’abito bianco di lino indossato dalla ragazza quel pomeriggio. Loki osò sfiorarne il tessuto leggero e, alzando lo sguardo, incontrò un oggetto che non si aspettava di trovare. Il cavallino di legno che aveva intagliato per suo fratello. Balder doveva averglielo regalato e lei, chissà perché, lo teneva in bella vista sulla toeletta, accanto al pettine e a qualche fermaglio. Si avvicinò al letto, concentrando l’attenzione su Sigyn. I bei capelli biondi erano sparpagliati sul cuscino e malamente legati con un nastro scuro da cui sfuggivano numerose ciocche. Le dava fastidio persino la luce della candela e teneva gli occhi chiusi, ma quando lui ordinò alla serva di prendere un bicchiere d’acqua e qualche goccia d’idromele forse riconobbe la sua voce, perché schiuse le palpebre rivelando gli occhi grigi e lucidi. Batteva i denti dal freddo nonostante le fossero state date altre coperte e provò a dirgli qualcosa d’incomprensibile.

Loki le mise una mano sulla fronte: scottava. Mormorò delle rune e si fece dare dalla donna accanto a lui un paio di pezze che al tocco delle sue dita divennero tanto fredde da sembrare fatte di ghiaccio. L’ancella mancata, sentendo la stoffa gelida sulla fronte, emise un sospiro di sollievo.

“Non sei abituata al freddo di Asgard. Chiederò che ti vengano dati abiti più pesanti – noi queste temperature non le sentiamo neppure,” le spiegò l’ingannatore mescolando rapido il contenuto delle boccette con l’acqua, ma lei a malapena l’ascoltava.

Sigyn schiuse le labbra riarse e la serva lei si accostò sollevandole la testa e le spalle con la delicatezza che avrebbe riservato a una figlia o a una bambina, aiutandola a bere la pozione. Loki l’aveva addolcita aggiungendo dell’idromele, ma non era riuscito a togliere del tutto il sapore fastidioso e acre degli ingredienti uniti insieme. Osservò la scena e pensò che non le era mai sembrata tanto vulnerabile come in quel momento. Alzandosi, la camicia da notte si era tirata scivolandole sulla spalla e l’Ase si ritrovò a fissare l’inaspettata pelle morbida e bianca che segnava il principio dolcemente rotondo di un seno, l’ombra scura della punta che quasi sfiorava l’orlo della camicia. Deglutì e distolse lo sguardo, tentando d’ignorare la fitta di desiderio che lo aveva ghermito. Pensò al piacere che avrebbe provato se solo avesse potuto stringerla e far scorrere le labbra su di lei, accarezzando con la bocca ogni dettaglio, lambendole quell’areola rosata solo intravista, ma era maledetta – sospirò e scacciò il pensiero violento.

“Puoi riposare,” ordinò spiccio alla serva. “Non mancano molte ore all’alba.”

La donna gli lanciò una lunga occhiata interrogativa e uscì senza proferire parola. Dopo che se ne fu andata, l’Ase avvicinò una poltrona e s’accomodò accanto al letto, ma non troppo. Aprì il grosso volume scritto da Brokk e riprese lo studio dove l’aveva interrotto, gettando di tanto in tanto un’occhiata a Sigyn, finalmente addormentata.

 

Le rune avevano cominciato a confondersi davanti ai suoi occhi quando la voce flebile e impastata di lei, poco più che un sussurro, non lo risvegliò immediatamente. Il vento, ormai, soffiava con meno intensità, segno che la tormenta stava cessando.

“Che ci fai qui?”

“Sono rimasto per controllare che la pozione che ti ho dato non ti avvelenasse,” ghignò chiudendo il libro con un gesto secco. Si alzò per posarle una mano sulla fronte; scottava ancora, ma molto meno di prima.

Lei sgranò gli occhi, in visibile imbarazzo per la stanza avvolta nella penombra notturna, per essere sola con lui, per il tocco gelido delle belle dita dell’Ase, per il sudore che le era rimasto addosso mentre la temperatura scendeva. Loki le tastò anche il collo con un gesto leggero e misurato; Sigyn non si accorse della tensione che lo irrigidiva scorgendo il suo petto che si alzava e abbassava sotto la camicia da notte, delle labbra strette in una smorfia contenuta.

“È il caso che tu beva un altro goccio di pozione,” le disse per smettere di guardarla, di pensarla. Piegò la testa di lato offrendole il calice e, nell’atmosfera sospesa di quell’ora tra la tenebra e la luce, le loro dita si sfiorarono. “Sembra che i nostri incontri debbano incominciare sempre con io che ti offro da bere. È seccante,” considerò l’Ase[4].

Sigyn bevve e si lasciò ricadere tra i cuscini, sfinita. “Non ti ho detto tutto quello che ho visto nella sala, durante il sacrificio,” gli confessò. “Credo di aver ricordato alcuni dettagli. C’era qualcosa, accanto a me.” Rise, girando la testa verso di lui, e raccontò quello che a chiunque sarebbe sembrato un delirio incomprensibile – parlò di un fantasma che le sussurrava di come si sarebbe svegliato come lei, con lei – ma che seccò il palato di Loki e fece accelerare il suo respiro.

“Dimmi di più,” ordinò, valutando seriamente se fosse il caso di violare i suoi ricordi con qualche incantesimo.

Sigyn s’irrigidì. Ogni percezione del futuro era svanita, ricacciata via dalla sua coscienza più o meno vigile. Nel momento in cui aveva rivelato il resto della visione avuta tra le braccia dell’Ase, quella era scomparsa definitivamente. Il tono del principe, poi, l’aveva spaventata. Che voleva da lei? “Tu mi hai strappata dalla mia casa. Tu sei quasi morto per colpa di mio padre. Perché non prendi per te ciò che hai preteso?”

Un lampo attraversò gli occhi dell’Ase, ma lei non poté notarlo.

“Lo vorresti.” fu la risposta sfacciata.

“Mi offendi e mi tormenti. La mia devozione è tutta per gli antenati,” ribatté Sigyn con la poca forza che aveva, tirando fuori da sotto le coperte il polso sottile, di fata.

Loki le guardò a lungo il braccio delicato, la mano affusolata. Si mosse per allungarle un’altra pezza gelida senza alcuna grazia. “Non te l’ho domandato.” Era arrivata al punto da avere una qualche percezione del suo destino e mantenere il segreto rischiava di essere controproducente. Sfilò da una tasca della bandoliera il bracciale che aveva riparato e lo mise accanto al letto, sul comodino.

“Sarebbe stato meglio per tutti, presumo, ma vedi, non possiamo: sei la scintilla. Farti fare l’ancella come se niente fosse è impensabile.”

Sigyn aveva seguito con gli occhi il suo gesto.  Lo fissò, febbricitante e sconvolta. “Tu sei un bugiardo. Le scintille non esistono più. Sono streghe. Le hanno bruciate tutte.”

Un sospiro. “Tu sei l’ultima di loro.”

 

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

Sono giornate difficili per tutti. Il tempo scarseggia – lo smart working è pesante e le distrazioni ridotte – e scrivere e leggere sono le sole cose che mi tengono a galla. Poi ci siete voi ♥. Ero titubante sulla scena della febbre di Sigyn e spero che non mi odierete per averla inserita – anche se il suo è un malanno di stagione dovuto all’estremo freddo di Asgard a cui non è abituata. Sono giorni difficili e stiamo soffrendo tutti, pertanto ogni riferimento a quanto sta accadendo è straziante, ma la scrittura serve a evadere, la letteratura a ricordarci la vita com’era e come deve tornare a essere.

 

Ne approfitto per mandare un messaggio: Loki è un discreto pozionista e in quanto soldato conosce i rudimenti del soccorso, ma ascolta i guaritori e chi ne sa più di lui. Fate lo stesso ♥ e #iorestoacasa continui a essere il vostro mantra.

 

Adesso mi chiuderò nuovamente con i miei amatissimi Loki e Sigyn. Siamo rimasti nel passato, come avete visto: volevo inserire anche il presente e, anzi, vi confesso che ho dovuto tagliare un po’ di scene, ma è tutta colpa di Loki, come sempre. In realtà, sto ragionando su come inserire il presente perché a un certo punto la storia deve piotta’, come diremmo a Roma.

 

Come sempre, v’assicuro che tutto torna e tornerà (ho riletto tutte le loro battute affinché tornasse). Spero che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando leggo della vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.

Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.

 

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter e Instagram ;)

 

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere originali anche per quanto concerne miti, rituali e per alcune caratteristiche di Loki che non vengono espletate e/o chiaramente mostrate nei film. Il blót esiste, ma gli darò delle accezioni in più che considererò headcanon. Anche l’espressione “Per le Norne” che compare sempre nei miei scritti dal 2017 lo è.

Vi informo anche che ho nuove cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere presto!

E la settimana prossima? Ah, boh, non ho ancora deciso XD

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Questa frase chiudeva uno dei primissimi capitoli della storia, riallacciandosi con i ricordi sparsi di Loki e di Sigyn. Se vi tornano espressioni e battute è voluto in questo senso.

[2] Loki sta facendo il filologo. I suoi dubbi sono leciti, così funziona quando si ha a che fare con le pergamene. Tutto ciò che viene detto su pergamene e simili è frutto di esperienze personali.

[3] Questa cosa di Loki insonne è un mio headcanon: ritorna in “Tutte le tue bugie”, “Confessioni,” “Solo un accordo,” e qua.

[4] È un leitmotiv di questa storia; Loki offre da bere a Sigyn numerose volte nella storia e qui ironizza sulla frequenza di tali scene che hanno un valore simbolico (lei rifiuta, bagna le labbra, beve perché obbligata, beve perché capisce che non le vuole fare del male). Dato che è una storia dark ogni tanto un qualche elemento più “da commedia” secondo me ci sta.

   
 
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