Hidden Scars
Di baci dal retrogusto di sonno, carezze rubate e analgesici
Il buio stava calando, inghiottendo la piccola cittadina giapponese, lasciando che come una collana di perle uno ad uno i lampioni si accendessero lungo le strade, rischiarando uomini e donne impazienti di tornare alle loro abitazioni: percorrevano con un leggero entusiasmo gli ultimi metri che li separavano dall’agognato riposo, alcuni di loro parlavano al cellulare, altri si fermavano a fare piccoli acquisti mossi dall’impellente desiderio di una pietanza in particolare a cena. Il ragazzo dai capelli argentei li seguiva con lo sguardo affascinato di un bambino, con una spalla appoggiata al vetro della finestra, il cui davanzale combaciava con l’altezza del letto, che pareva pronta a infrangere quel muro per protendersi verso quelle persone lontane, piccole come formiche.
A risvegliarlo dai suoi pensieri fu il rumore della porta del bagno, seguito da quello dei piedi nudi che si avvicinavano con passi leggeri e stanchi al letto e un mugolio sommesso, accompagnato dal tonfo emesso dal rosso nel lasciarsi ricadere sulle coperte. Haizaki sorrise senza farsi vedere prima di voltarsi a guardarlo e battere con le mani sulle cosce ambrate, lasciate scoperte dai pantaloncini corti, in un muto invito che Nosaka non si fece ripetere.
«È quasi ora di cena» gli sussurrò, il tono addolcito mentre le dita sottili e scure presero ad affondare nella morbida chioma carminio, attorcigliandosi piccoli ciuffi ai polpastrelli, sfiorandone piano la pelle scoperta del collo e della fronte, soffermandosi quando incontrarono un lembo di pelle più dura, in rilievo, facendo interrompere confuso il ragazzo alla ricerca di spiegazioni nello sguardo del maggiore.
«È la cicatrice dell’operazione» la voce era sottile, impastata di sonno. Si girò faticosamente su un fianco prendendo con una mano quella del compagno, guidandola lungo quella striscia nascosta di punti riassorbiti, ormai guarita: il non essere visibile rese quel piccolo contatto di un’intima e immensa fiducia.
«Fa male?» chiese dopo qualche istante, incerto, accarezzandola con gentilezza, facendo scoppiare l’altro in una piccola risata. Haizaki sapeva che il corpo del ragazzo dai capelli rossi era disseminato di quei segni, prove di torture e soprusi che aveva subito per anni che troneggiavano su quella pelle di porcellana, come promemoria di ciò che aveva sconfitto.
«Non più.»
E si sollevò sulle braccia, Nosaka, per lasciare un bacio leggero, a fior di labbra, al fidanzato che con la sua sola presenza era l’analgesico da cui era diventato dipendente, specchiandosi sei suoi occhi prima di raggomitorglisi in grembo e riposare, beandosi di quelle attenzioni delicate che giorno dopo giorno lo guarivano.
❧Le cicatrici di cui è disseminato il corpo di Nosaka sono purtroppo canoniche, in una delle scene in cui è a petto nudo si gira di spalle per pochi istanti e ne ha una enorme tra le scapole, in più viene fatto vedere che serravano caviglie e polsi ai bambini di Ares, quindi immagino che qualche lesione l’abbia riportata
❧Parto dal presupposto che non tutti sappiano come avviene un’operazione di rimozione chirurgica di un tumore al cervello: il paziente viene operato da seduto, gli si solleva la calotta cranica (se è un tumore a larga estensione) oppure si sega via il pezzo di osso per poter operare (se è piccolo ed individuato). Insomma, diciamo che la cicatrice varia di lunghezza, spessore e luogo ma resta.
❧La stanza è immaginata un po’ come le classiche case vecchie, più inglesi che giapponesi: la finestra non ha un davanzale di pochi centimetri ma proprio un appoggio (di legno) su cui è possibile sedersi. In questo caso questo appoggio è attaccato al letto, quindi per raggiungerlo diventa necessario salire su quest’ultimo. A descrivere gli interni non sono bravissima, quindi mi sento in dovere di fare questa piccola annotazione.
-Ade