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Autore: Marco1989    05/04/2020    0 recensioni
Da un momento all'altro, la tua vita cambia all'improvviso: un istante, uno schianto, e ti trovi in un mondo che hai soltanto sognato. Ti trovi di nuovo ragazzo, e coinvolto in una avventura che mai avresti sognato di vivere. Matteo Simoncini si troverà improvvisamente catapultato ad Hogwarts, e dovrà decidere cosa fare in quel nuovo mondo, mentre una oscura minaccia si avvicina, e lui potrebbe essere il solo ad avere il potere per fermarla.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A strange, new world'
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Salve a tutti

Ecco a voi il terzo capitolo della mia storia

Anche se i due precedenti non hanno riscosso il successo che avrei sperato, ho deciso, almeno per il momento, di andare avanti con la storia.

Ancora una volta, vorrei invitarvi a lasciarmi un commento, anche se negativo.

 

CAPITOLO DUE

Mi sono sempre considerato una persona piuttosto adattabile: mettetemi in un qualsiasi luogo, ed entro poco tempo io riuscirò ad abituarmici. Detto questo, adattarsi alla vita di Hogwarts non fu semplice neanche per me: le settimane successive al mio rocambolesco arrivo in quel mondo furono estremamente complicate e spossanti. A mia difesa, chi non si sarebbe trovato in difficoltà? Non soltanto dovevo affrontare lo shock di essere ridiventato di colpo un adolescente, come se superare una volta quell’età meravigliosa quanto assurda non fosse stato sufficiente, ma dovevo anche barcamenarmi con quello che voleva dire studiare in una scuola di magia. Una scuola di magia! Roba da matti. Mi trovavo a vivere cose che avevo solo letto nei libri. Allo stesso tempo un sogno e un incubo.

Hogwarts era perfino più incredibile di quanto avessi mai anche solo immaginato. C’era tutto: dalle scale che all’improvviso decidevano di cambiare direzione ai personaggi dei quadri che si muovevano e parlavano. Era superiore addirittura a quello che avevo visto nei film! E la Sala Grande… la prima volta che vidi il soffitto stregato per essere una copia esatta del cielo, il lunedì a colazione dopo essere uscito dall’infermeria, rischiai l’infarto! E ne rischiai un secondo pochi minuti dopo, quando il fantasma di Nick-Quasi-Senza-Testa spuntò dal tavolo passando con la testa proprio attraverso il mio piatto! Sicuramente qualcuno dei miei compagni di scuola notò il mio comportamento insolito, ma suppongo abbiano attribuito la cosa al mio status di convalescente. Dovetti però ammettere che la cucina di Hogwarts era addirittura migliore di quanto Harry e gli altri dichiaravano nei libri.

Mentre cercavo di abituarmi al castello e alla mia nuova esistenza, dovetti mettermi al lavoro sulla mia vita sociale. Purtroppo la mia memoria continuava a funzionare a scartamento ridotto, almeno per quanto riguardava il passato recente di Joshua Carter, quindi dovetti continuare a fingermi rintronato dal colpo in testa mentre cercavo di fare chiarezza sui miei rapporti con i miei compagni di casa. Non fu un’impresa facile, soprattutto considerando che mi stavo approcciando al compito come un venticinquenne che vestiva i panni di un tredicenne. Una situazione che presentava qualche lato leggermente oscuro, lo ammetto, ma in quel momento io, a tutti gli effetti, ero un adolescente in mezzo ad altri adolescenti, e in effetti non ci misi molto a ricordare che cosa voleva dire avere quell’età, quando tutto ti sembra possibile e a portata di mano. Se sul momento non fu semplice, nell’arco di pochi mesi sarei tornato quasi letteralmente indietro nel tempo, ed avrei affrontato le situazioni più come un ragazzo che come un adulto. Nei primi giorni dopo il mio traumatico risveglio, però, la cosa che più mi premeva era capire il posto che Joshua Carter occupava all’interno della storia che mi stavo trovando a vivere. Per mia fortuna, non fu affatto difficile: gli altri ragazzi si rivelarono particolarmente aperti e gentili. A quanto pareva, il Cappello Parlante mi aveva smistato a Grifondoro, ed in qualche modo era stato fatto entrare un sesto letto nel già abbastanza affollato dormitorio del terzo anno. Condividevo la stanza, oltre che con Harry e Ron, con Neville Paciock, Seamus Finnigan e Dean Thomas. Come gli altri che avevo visto fino a quel momento, anche i tre ragazzi erano praticamente identici a come li immaginavo: il grassottello e timido Neville, Seamus, che era lo stereotipo del più puro irlandese, e Dean, scuro e riccioluto. A quanto scoprii quasi subito, proprio con gli ultimi due avevo sviluppato un ottimo rapporto, sia pure in appena tre mesi: passavamo insieme praticamente ogni minuto libero, che si trattasse di studiare, giocare a Spara Schiocco (quel gioco impiegò circa cinque minuti ad appassionarmi) o a fare qualsiasi altra cosa. Passare tutto quel tempo insieme a loro era fantastico: certo, sentivo la mancanza degli amici che avevo lasciato “dall’altra parte”, come ero arrivato a definire il mio mondo, ma Dean e Seamus, pur essendo tecnicamente appena entrati nella mia vita, mi facevano sentire come un fratello, e nell’arco di una settimana ero arrivato a considerarli tali. Con una certa sorpresa, sviluppai rapidamente un ottimo rapporto anche con Ginny Weasley, la sorella più piccola di Ron: dai libri, almeno nei suoi primi anni ad Hogwarts, risultava una ragazzina timida e insicura, devota in maniera quasi patologica ad Harry, ma in realtà si rivelò presto una persona simpatica e volitiva, che non si sarebbe mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno. Già il secondo giorno dopo il mio risveglio ci ritrovammo a discuteresu un problema relativo al regolamento del Quidditch, e andammo avanti qualcosa come un’ora e mezza, senza che nessuno dei due fosse disposto a recedere dalle sue posizioni, per poi finire in una grassa risata. Ginny passava spesso i pomeriggi con noi, insieme alla sua amica e compagna d’anno Mary Sutton. Mary rappresentò una sorpresa per me, perché non compariva in nessuno dei libri. A quanto pareva, quel mondo si stava impegnando per completare anche le parti della storia che la Rowling aveva trascurato, inserendo i ragazzi che nel corso della vicenda raccontata dall’autrice erano rimasti semplicemente sullo sfondo. Mary, arrivata a Hogwarts l’anno prima, era una dodicenne piccola e sottile come un giunco, ma il suo viso  delicato, i lunghi capelli biondi e mossi e gli occhi color del mare raccontavano chiaramente quale bella donna sarebbe diventata nell’arco di pochi anni. L’aspetto dolce non doveva però ingannare: aveva addosso abbastanza pepe e peperoncino da mettere a posto chiunque si fosse fatto venire l’idea di comportarsi da prepotente con lei o con chi le stava vicino.

Per quanto riguardava gli altri tre compagni di stanza, i rapporti erano cordiali ma più superficiali: Neville era bloccato dalla sua timidezza, mentre Harry e Ron tendevano a fare squadra da soli, al massimo con la collaborazione di Hermione Granger. Mi promisi comunque di cercare di avvicinarmi di più ad Harry: non ricordavo ancora bene il motivo, ma sapevo che lui sarebbe stato al centro di tutto negli anni successivi. In generale, mi resi conto che Joshua Carter era riuscito a mantenere buoni rapporti con tutta la casa di Grifondoro molto meglio di quanto Matteo Simoncini fosse mai riuscito a fare con le sue vecchie classi delle medie e del liceo. Mi promisi di continuare, per quanto possibile, su quella strada, anche perché non avevo mai avuto dei compagni di scuola così interessanti. I gemelli Weasley, poi, lo erano anche troppo: mi bastarono un paio di giorni ed una improvvisa trasformazione in una sorta di canarino gigante a causa di una crostatina che avevo incautamente assaggiato per comprendere che, per quanto potessero essere spassosi, con loro era meglio mantenere sempre alta l’attenzione.

Se i rapporti umani procedettero da subito nel migliore dei modi, i miei primi approcci con la magia mi provocarono una serie di esperienze ai limiti del panico, che iniziarono già domenica pomeriggio, quando finalmente Madama Chips si decise a dimettermi dall’infermeria. Mentre, dopo essermi infilato con qualche difficoltà la divisa di Hogwarts, mi apprestavo a lasciare la stanza, infatti, l’infermiera mi ricordò di prendere la mia bacchetta dal cassetto del comodino. Il mio cuore ebbe un tuffo: la mia bacchetta magica! Non ci avevo neanche pensato fino a quel momento! Certo era normale che Joshua Carter ne avesse una, ma impegnato com’ero a cercare di mettere ordine nella mia memoria non mi ero neanche chiesto dove fosse.

Con mano tremante aprii il cassetto. Mi si rivelò un bastoncino di legno rossastro, lungo poco meno di trenta centimetri e finemente lavorato. Dovetti ingoiare un groppo che stava minacciando di bloccarmi la gola, perché un pensiero orribile mi aveva attraversato la mente: e se non fossi stato in grado di usarla? Joshua Carter sarà pure stato un mago, ma Matteo Simoncini era un Babbano in tutto e per tutto. Quale dei due avrebbe ‘sentito’ la bacchetta? Che diavolo avrei potuto fare in quella scuola se non fossi stato in grado di fare incantesimi?

Il terrore scomparve nell’istante esatto nel quale le mie dita si strinsero intorno alla bacchetta: avvertii una sorta di formicolio, a metà tra un’ondata di calore e una lieve scossa elettrica. Fu come se un rivolo di acqua calda mi risalisse lungo il polso e il braccio. Avrei avuto voglia di lanciare subito un incantesimo, uno qualsiasi, ma mi trattennidal fare esperimenti, Madama Chips difficilmente avrebbe apprezzato. Anche senza fare prove però, ero certo di possedere la magia. Prima di uscire dall’infermeria guardai più attentamente la bacchetta, ed una sorta di flash mi attraversò la mente: ‘Undici pollici e mezzo, abete rosso e piuma della coda di un Thunderbird, un Uccello del Tuono’. L’insolita combinazione mi sorprese per un istante, poi però ricordai: Joshua Carter aveva passato i suoi primi due anni di scuola a Ilvermorny, quindi quella bacchetta era stata acquistata negli Stati Uniti. Non era certamente un prodotto di Ollivander, laggiù utilizzavano nuclei molto diversi, ricordavo di averlo letto da qualche parte.

Il mio sollievo, comunque, non fu di lunga durata, perché già il lunedì mattina, mentre mi avviavo alla prima lezione della mia vita (Trasfigurazione con la Mc Grannitt) il terrore era già tornato a piena forza. Possedere la magia era, infatti, una cosa, saperla usare era un’altra! In teoria io ero quasi a metà del mio terzo anno, ero tutt’altro che un principiante, eppure mi sembrava di non ricordarmi assolutamente niente: non un incantesimo, non una formula per la trasfigurazione, non una pozione. Tabula rasa. Quando entrai in classe le gambe mi tremavano: la scusa della memoria mi avrebbe forse potuto salvare per un paio di giorni, poi però l’infermiera avrebbe confermato che in me non c’era nulla che non andava. A quel punto che avrei fatto? Avrei tentato di dire la verità? Chi mi avrebbe mai creduto? Rischiavo di essere semplicemente preso per pazzo.

Ancora una volta, però, il problema si risolse da solo non appena mi trovai a prendere la bacchetta per eseguire la trasfigurazione richiesta dalla professoressa, che a quanto pare era una sorta di ripasso delle lezioni precedenti. Nell’istante nel quale la mia mano tremante si strinse sul legno, mi sembrò che il mio corpo agisse in automatico nel muovere la bacchetta e nel pronunciare la formula. Un attimo dopo, il topo che avevo davanti era diventato una perfetta tabacchiera d’argento, un exploit che mi valse i complimenti della Mc Grannitt e cinque punti per Grifondoro. Nelle lezioni seguenti sperimentai situazioni simili praticamente in tutte l materie: a quanto pareva, almeno per quanto riguardava la vita e le esperienze di Joshua Carter, la mia memoria funzionava, per così dire, ‘a spinta’; aveva bisogno di essere stimolata, ma poi iniziava ad andare. Con il passare dei giorni riuscii a ricostruire la maggior parte del mio bagaglio magico.

Dalle reazioni dei professori, in particolare, compresi che, chiunque fosse stato per loro Joshua, in certi ambiti era molto diverso da me, e lo studio era uno di questi: non che il ragazzo americano fosse scarso, ma io e lui sembravamo avere interessi e capacità differenti in alcuni campi. Trasfigurazione e Incantesimi non furono un problema: Carter era piuttosto bravo, ed io, novizio nel mondo della magia, le affrontai da subito con un entusiasmo tale da sorprendere sia la Mc Grannitt che Vitious. Lo stesso si può dire per Difesa contro le Arti Oscure: fin dalla prima lezione mi trovai ad adorare Lupin, sa come persona che come insegnante, anche se, da qualche parte nella mia mente, avvertivo che c’era in lui qualcosa che non tornava. La vera sorpresa, però, fu Storia della Magia: scoprii fin da subito che Ruf era perfino più noioso di quanto si dicesse nei libri, ma in questo caso mi aiutò non tanto Joshua, quanto Matteo. Da laureando in Storia, ci misi circa cinque minuti ad appassionarmi a quelle vicende incredibili. Non avevo bisogno neanche degli appunti: divoravo letteralmente il gigantesco libro di testo come se fosse stato un romanzo avvincente, lasciando stupefatti Dean e Seamus, che fino a quel momento mi avevano visto utilizzare quel tomo unicamente come cuscino durante le lezioni, ma soprattutto Hermione, che rischiò di cadere dalla sedia quando, al primo test, io fui il solo oltre a lei a prendere il massimo dei voti. Scoprii di essere stato fortunato anche per quanto riguardava le materie a scelta del terzo anno: Joshua frequentava Babbanologia, e per uno che fino a pochi giorni prima era vissuto da Babbano era una pura e semplice passeggiata, Cura delle Creature Magiche, che era piuttosto interessante, e Antiche Rune, per le quali otto anni di esperienza con il latino tra liceo e università mi permisero addirittura di alzare un po’ i voti.

Fin qui le note positive, ma fin da subito mi resi conto che in alcuni settori le cose non sarebbero state per niente facili. Se infatti in Astronomia mantenni il livello “senza-infamia-e-senza-lode” del Carter ‘pre-incidente’, lo stesso non si poteva dire per quanto riguardava Pozioni. Mi trovai a scoprire che la Rowling aveva descritto Piton alla perfezione: viscido, untuoso, parziale in maniera spudorata, carogna fino all’ultima fibra del suo essere, un vero e proprio Bastardo. Per di più, riuscii da subito a scontrarmi con lui a causa della mia assoluta incapacità di tenere la bocca chiusa e per la fin troppo ampia capacità di rispondere in maniera tagliente. Una pessima idea, con chi può punirti liberamente: nell’arco di due settimane riuscii a far perdere quaranta punti a Grifondoro e a beccarmi tre giorni di punizione in tre occasioni diverse. Davanti al calderone, le cose non andarono meglio: ero sempre stato scarso in chimica, e Pozioni era fin troppo simile per i miei gusti. Miracolosamente, riuscii a non far esplodere niente, ma i risultati furono pessimi, cosa che, davanti ai suoi occhi, mi pose appena un gradino sopra Harry: un idiota del quale si sarebbe volentieri liberato alla prima occasione.

Gli scontri con Piton furono solo la prima dimostrazione di un fatto innegabile: Matteo Simoncini aveva lasciato in eredità a Joshua Carter il suo caratteraccio. Per quanto riuscii a capire, Joshua era considerato un ragazzo tranquillo, quasi timido, quindi fu per gli altri una grossa sorpresa vederlo trasformarsi in un elemento ostinato e abbastanza permaloso, perfino attaccabrighe se la situazione lo richiedeva, impossibilitato per natura a restare fuori dai guai e, soprattutto, incapace di sopportare l’altrui prepotenza, anche se non rivolta direttamente a lui. Inevitabilmente, questo mi portò allo scontro con certi personaggi di una certa Casa dai colori verde e argento. Impiegai appena due giorni prima di mettermi nei guai: mentre mi spostavo da una classe all’altra, vidi un gruppetto di Serpeverde, trai quali riconobbi due bestioni dall’aria stupida che non avevano bisogno di presentazioni ed una testa bionda che ne necessitava anche meno, sghignazzare spudoratamente mentre uno di loro tormentava una ragazzina minuscola con la divisa di Tassorosso. Quando lo vidi cercare di strapparle la borsa dei libri non riuscii a trattenermi: misi la mia cartella in mano ad uno stupefatto Neville senza tante cerimonie, mi fiondai su di lui, lo afferrai per il bavero e lo spinsi via, apostrofandolo con alcune espressioni non esattamente educate, che fecero restare più di uno dei presenti a bocca aperta. Solo a quel punto lo osservai meglio: era magro come un chiodo, con una faccia allungata ed un naso arricciato che gli davano l’aspetto di un coniglio troppo cresciuto. Solo in seguito scoprii che si trattava di Theodore Nott, ma in quel momento, per quanto mi poteva interessare, si sarebbe potuto trattare anche di Merlino in persona, ero troppo impegnato a scambiarmi ‘piacevolezze’ con lui per preoccuparmi della sua identità. Non saprei dire esattamente come si sviluppò il nostro confronto, fatto sta che dopo neanche un minuto entrambi avevamo sfoderato le bacchette e ce le stavamo puntando addosso. Altri dieci secondi, e almeno un’altra decina di persone ci avevano imitati. Difficile dire cosa esattamente avessi intenzione di fare con la bacchetta: in quel periodo, visto il poco che riuscivo a ricordare, nelle mie mani era poco più di un bastoncino. La tentazione maggiore, in effetti, era quella di metterla via e sferrare a Nott un bel pugno. Una vera e propria battaglia nel corridoio fu evitata solo dal tempestivo intervento di Vitious, che si mise in mezzo obbligandoci a riporre le bacchette. Una volta che i presenti gli ebbero spiegato come si erano svolte le cose, il piccolo professore si produsse in una pesante ramanzina collettiva, riservando una particolare attenzione a Nott, per poi togliere venti punti a Grifondoro e trenta a Serpeverde. Io e Nott ci guardammo ancora in cagnesco, un’occhiata che prometteva un futuro regolamento di conti, ma sul momento non successe niente, e ci allontanammo. Vedendo le facce di Dean e Seamus, che comunque avevano estratto le loro bacchette in mio appoggio, compresi che una reazione così decisa non era tipica di Joshua. Mi giustificai dicendo di essere stato preso dalla rabbia vedendo Nott attaccare una del primo anno, e questo sembrò convincerli. Nelle settimane successive, però, mi fecero notare in diverse occasioni che il bolide in testa mi aveva regalato una nuova personalità, decisamente più volitiva.

Tornando alle lezioni, fu sicuramentein Erbologia che il crollo si rivelò disastroso, e probabilmente abbastanza vergognoso, almeno a giudicare dalla faccia della professoressa Sprite. Purtroppo non potevo farci nulla: il mio alter ego sarà stato probabilmente aiutato dall’avere una madre erbologista che gli aveva trasmesso la passione per piante e funghi magici, ma io non ero mai riuscito a far sopravvivere neanche un cactus. Nell’arco di poche settimane distrussi letteralmente un Puffagiolo nel tentativo di staccare i baccelli, venni aggredito e brutalmente sgraffiato da un Pugnacio e soffocai un Grinzafico con talmente tanto fertilizzante da farlo collassare in due ore. Un disastro completo. Difficilmente mia… la madre di Carter sarebbe stata soddisfatta dei risultati del figlio in quel particolare campo.

Katherine Jones era senza dubbio uno dei punti più critici per abituarmi alla mia nuova vita: inutile dirlo, provavo una nostalgia profonda e viscerale per la mia famiglia, che mi aveva portato addirittura a versare qualche lacrima nel cuscino. Non avevo la minima idea del modo nel quale mi sarei rapportato con lei e con quella che doveva essere mia sorella, anche perché per il momento i ricordi che avevo di loro erano molto scarsi. Guardavo con terrore all’idea di tornare a casa per le vacanze di Natale. Non avevo la minima speranza: se Katherine somigliava anche minimamente a mia madre, ci avrebbe messo circa quindici secondi a capire che in suo ‘figlio’ c’era qualcosa che non tornava per niente, e questo avrebbe portato ad una conversazione estremamente sgradevole. Ancora una volta, però, la fortuna mi venne in aiuto: il giovedì successivo al mio rientro in classe, durante la colazione, un grosso gufo scuro lasciò cadere una lettera davanti al mio piatto. Con un piccolo tuffo al cuore, sulla busta vidi scritto ‘da mamma’.

La aprii, e quasi tirai un sospiro di sollievo: dopo avermi informato della perfetta salute sua e di mia ‘sorella’, avermi raccontato qualche aneddoto della città dove vivevamo (a quanto pareva, Bangor nella contea di Gwynedd, Galles del Nord) e avermi chiesto le classiche informazioni su scuola e amici, la signora Jones mi confermava il fatto che lei e Sheila, nelle vacanze di natale, si sarebbero recate a trovare mia ‘zia’ in Nuova Zelanda, dichiarandosi molto dispiaciute per essere costrette a partire prima che la scuola finisse, e che quindi non sarei potuto andare con loro. Sentii un peso sollevarsi dalle mie spalle: avrei avuto tempo fino all’estate, e sperabilmente per allora la mia memoria sarebbe stata in condizioni sufficientemente dignitose da permettermi di parlare con loro senza essere immediatamente scoperto. Già nel pomeriggio le inviai una risposta con un gufo della scuola, rispondendo alle domande che mi aveva fatto e dichiarando che non ero assolutamente offeso, e che anzi ero molto curioso di passare il Natale nella nuova scuola. La parte più difficile, lo devo ammettere, fu scrivere ‘Cara mamma’ in cima alla pergamena, e mi provocò una fitta di nostalgia così violenta da costringermi a soffocare un singhiozzo: anche se era solo una lettera, mi sembrava un tradimento, e mi chiesi come avrei mai fatto a dirle quella parola in faccia.

In breve, nell’arco di un paio di settimane ero arrivato a sentirmi a tutti gli effetti uno studente di Hogwarts: certo, mi addormentavo ancora con la timida speranza di svegliarmi nel mio mondo, ma ogni mattina nella quale questo non si realizzava diminuiva un po’. Cominciavo a considerare la possibilità che quella sarebbe stata, da quel momento in poi, la mia vita. Avevo anche brevemente considerato la possibilità di recarmi da Silente e raccontargli tutto: fin dal primo secondo nel quale avevo visto il Preside seduto al tavolo degli insegnanti in Sala Grande, avevo sentito un’ondata di fiducia invadermi, e mi ero scoperto ad apprezzare quell’uomo anche se non ci avevo mai parlato. Alla fine, però, avevo deciso di non confessare: sapevo che Silente era tipo da ascoltare fino in fondo uno studente, anche se la sua storia era folle, ma la mia era talmente strana da essere, a mio parere, impossibile da credere anche per una mente aperta come quella del Preside. Oltretutto, sembrava trattarsi di un caso unico: avevo provato a fare qualche ricerca in biblioteca, ma non c’era neanche un accenno alla possibilità che un mago si trovasse di colpo in un mondo totalmente diverso dal suo. Certo, non avevo spulciato tutto lo scibile magico, ma la sensazione che provavo mi diceva che il mio caso era realmente un’eccezione assoluta, e che solo il tempo avrebbe potuto dirmi come sarebbero andate le cose. Nel frattempo, dovevo cercare di vivere meglio che potevo.

In una situazione tutto sommato soddisfacente, la più grossa delusione, nelle prime settimane da mago, venne dalla mia memoria: subito dopo essermi svegliato avevo attribuito la quasi totale mancanza di ricordi relativi a ciò che era scritto nei libri della saga, e quindi, in quel mondo, agli eventi futuri, allo shock del mio viaggio. Ero però convinto che, presto o tardi, mi sarebbe tornato tutto in mente, e avrei guadagnato un’assoluta conoscenza sugli eventi che si sarebbero verificati. La parte più egocentrica della mia personalità già mi vedeva come una sorta di ‘deus ex machina’, capace grazie alle sue conoscenze di cambiare il corso della storia. In questo ambito, però, dovetti ricredermi: nei giorni successivi le cose non migliorarono, e cercare di chiarire le cose assomigliava sempre di più al tentativo di acchiappare la nebbia. Qualunque forza avesse deciso di spedirmi in quel mondo, aveva prestato attenzione a tutti i particolari, e aveva deciso di non donarmi l’onniscienza: non solo non ero in grado di vedere il futuro, ma perfino gli eventi che avvenivano nel presente e dei quali non avevo un’esperienza diretta mi restavano oscuri. Una condizione frustrante. Questo non vuol dire, però, che la mia conoscenza del mondo di Harry Potter fosse completamente scomparsa. Qualcosa era sopravvissuto. Difficile dare una definizione esatta di quello che provavo…per quanto sciocco possa sembrare, avevo sviluppato qualcosa di molto simile ad un ‘Senso di Ragno’: quando accadeva un evento nel quale era contenuto qualcosa che andava al di là di quello che Joshua Carter poteva comprendere con i normali cinque sensi, la mia mente mi mandava qualcosa di molto simile ad una piccola scossa elettrica, una sorta di avviso sul fatto che davanti a me c’era più di quello che sembrava. Qualche volta la scossa era accompagnata anche da qualcosa che somigliava a flash di memoria, che, con una buona dose di impegno e fortuna, potevano permettermi di ricostruire l’accaduto, come una sorta di puzzle.Lo stesso, avrei scoperto in seguito, avveniva quando stava succedendo qualcosa di particolarmente importante o particolarmente pericoloso: il ‘Senso di Ragno’ provava ad avvisarmi, anche se, non dandomi indicazione sul tipo di pericolo e la sua provenienza, l’utilità era tutto sommato limitata.

In un certo senso, mi sentivo deluso: avevo creduto di poter diventare una sorta di divinità, invece mi ero trasformato in Spider Man! In realtà, comunque, non potevo lamentarmi: era vero che non avevo le ragnatele, ma la bacchetta magica mi sembrava una valida sostituzione!

  
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