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Autore: Marco1989    29/03/2020    0 recensioni
Da un momento all'altro, la tua vita cambia all'improvviso: un istante, uno schianto, e ti trovi in un mondo che hai soltanto sognato. Ti trovi di nuovo ragazzo, e coinvolto in una avventura che mai avresti sognato di vivere. Matteo Simoncini si troverà improvvisamente catapultato ad Hogwarts, e dovrà decidere cosa fare in quel nuovo mondo, mentre una oscura minaccia si avvicina, e lui potrebbe essere il solo ad avere il potere per fermarla.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A strange, new world'
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Salve a tutti i lettori della mia storia.

Ho deciso di anticipare di qualche giorno la pubblicazione del secondo capitolo. Ho voluto dare un po’ più di materiale ai lettori, sperando che decidano di lasciarmi qualche commento in più!

Scherzi a parte, mi farebbe molto piacere leggere le vostre opinioni: è molto tempo che non scrivo una fanfiction, e vorrei veramente scoprire cosa ne pensate, anche se dovessero essere commenti negativi.

Grazie mille, e buona lettura!

 

CAPITOLO UNO

La prima cosa che vidi, quando aprii nuovamente gli occhi, fu la luce entrare dalle grandi finestre a sesto acuto dell’infermeria. Anche mentre cercavo di scrollarmi di dosso il sonno, non feci fatica a capire che il mio tentativo era fallito: non ero tornato a casa, non ero in un ospedale o nella mia camera. Ero ancora nello stesso luogo. Un luogo straniero, e che allo stesso tempo mi era fin troppo familiare. Girando lentamente la testa a sinistra, vidi Harry russare placidamente nel letto accanto a me, gli occhiali appoggiati sul comodino. Accanto al suo letto era posata una borsa. Sapevo che cosa conteneva: i resti della sua scopa, distrutta dal Platano Picchiatore dopo la partita contro Tassorosso, nel novembre del suo terzo anno di scuola.

Ricordarmi quel dettaglio fu più che sufficiente a farmi rischiare un crollo nervoso, e dovetti trattenermi dall’urlare. Non era un sogno! Era folle, assurdo, delirante, completamene impossibile… eppure era vero! Non ero più nel mio mondo. Non ero in alcun modo in grado di trovare una spiegazione razionale a quello che stava succedendo, eppure in quel momento io stavo guardando l’infermeria di Hogwarts!

Hogwarts… era impensabile. Mi voltai di nuovo a guardare Harry, che continuava a dormire senza avere idea della situazione nella quale versava quello che, per lui, era un semplice compagno di scuola. Io, dal canto mio, dovetti ammettere con me stesso di stare osservando quello che era stato con ogni probabilità il più grande eroe letterario della mia infanzia e della mia adolescenza, che in quel momento era vivo e vero a pochi metri da me.

Le mie viscere si rovesciarono letteralmente, ed avvertii un conato di vomito. Cercando di fare meno rumore possibile, mi catapultai verso una porta laterale, sperando che fosse il bagno. Per mia fortuna, avevo indovinato, perché feci appena in tempo a chinarmi sul water prima di vomitare tutto quello che avevo nello stomaco. Ci misi quasi un minuto prima di riprendermi a sufficienza da trascinarmi fino al lavandino e sciacquarmi la bocca. Con una certa dose di timore, alzai lo sguardo verso lo specchio. Quello che vidi mi costò quasi un infarto: il volto che mi osservava non era il mio… e allo stesso tempo lo era. Conoscevo bene quella faccia, anche se non la vedevo da molto tempo: quello che avevo davanti ero io…dodici anni prima. Nello specchio c’era un me tredicenne che mi fissava stupefatto: quello che stavo guardando era il volto paffuto di un ragazzino appena entrato nell’adolescenza, senza ancora neppure un accenno di barba. Riconobbi tutto: i capelli lisci, castani chiarissimi, lunghi sulle tempie come li portavo alle scuole medie; gli occhi marroni con un chiaro riflesso verde, in quel momento sgranati dal terrore; il naso leggermente schiacciato; perfino uno degli incisivi inferiori leggermente storto. Tutto perfetto, tutto identico. Abbassai lo sguardo: anche fisicamente ero perfettamente identico a come ero stato dodici anni prima. Ero relativamente alto per la mia età, e abbastanza robusto, anche se con un accenno di pancia, memoria di un bambino grassottello cresciuto di colpo in altezza due anni prima.

Aprii nuovamente la cannella e mi passai più volte l’acqua gelata sulla faccia, nel tentativo di schiarirmi le idee, poi mi trascinai al mio letto e vi crollai sopra, stanco come dopo una maratona. La notte di sonno aveva fatto sparire quasi tutti i dolori, ma mi sentivo ugualmente a pezzi. Respirai lentamente, cercando di fare ordine nella mia mente. Ormai era chiaro che ero finito, chissà in quale modo, in un mondo che sarebbe dovuto esistere solo nei libri. Ero entrato nella storia di Harry Potter, e in quel momento ero nel corpo di uno studente di Hogwarts.

‘Calmo, devo stare calmo. Farmi prendere dal panico non migliorerà in alcun modo la mia situazione. Devo cercare di riflettere’. Il problema era che nella mia memoria c’era un vero e proprio ciclone, con ricordi che si sovrapponevano apparentemente senza alcun controllo: da una parte c’era la vita di Matteo Simoncini, venticinque anni, studente italiano prossimo alla laurea in storia contemporanea; dall’altra, però, oltre quello che avrei potuto descrivere solo come un denso banco di scurissima nebbia, avvertivo la presenza di altri ricordi, dei quali riuscivo ad afferrare solo dei frammenti, dei flash, ma che sembravano premere per uscire.

‘Devono essere i ricordi dell’altro me, di questo ragazzo, di quello che sto impersonando’ mi dissi, cercando di trovare un filo conduttore nel caos. Già il mio ‘personaggio’, però, poneva un problema non da poco: avevo letto tutti i libri di Harry Potter almeno una mezza dozzina di volte, e la partita nella quale Harry cadeva dalla colpa faceva parte del terzo tomo. Purtroppo, a meno che non mi stessi perdendo qualcosa di fondamentale, solo Harry era caduto in quella partita. In maniera confusa, ricordavo di aver giocato da cacciatore in sostituzione di…di… di Alicia Spinnet, che si era presa una bronchite allenandosi sotto il diluvio, e di essere caduto a causa di un bolide che mi aveva colpito alla nuca. Nel libro che ricordavo io, però, nulla di tutto ciò era successo: Alicia aveva giocato regolarmente, e solo Harry si era fatto male. Un momento: mi stavo preoccupando delle modifiche improvvise alla trama di un libro quando mi trovavo intrappolato in un mondo di fantasia?

‘Ok, un problema alla volta. Cerchiamo di andare con ordine’. Mi resi subito conto che chiedermi in che modo ero finito lì mi avrebbe comprato solo un biglietto per l’ospedale psichiatrico più vicino. Non avevo neanche mezza possibilità di capirlo, andava decisamente oltre le capacità del mio cervello. La sola ipotesi che ero in grado di fare era che l’incidente mi avesse, in qualche modo, catapultato in quel mondo. Come fosse possibile che esistesse fisicamente un universo partorito dalla mente di una scrittrice, e come avessi fatto io a finirci dentro, mi era impossibile capirlo, e per assurdo, non era neanche particolarmente importante. La cosa fondamentale era che qualcosa mi ci aveva trasportato, e che non avevo idea di come poter tornare alla mia vita di prima. Sempre che – e qui un brivido mi attraversò la schiena – avessi ancora una vita alla quale tornare. L’immagine dell’albero mi invase la testa: l’ultimo evento che mi aveva riguardato nel mio mondo era stato un terrificante incidente stradale. Forse – secondo brivido – ero morto, e quello nel quale mi ero ritrovato era l’Aldilà. Cercai di scartare questa ipotesi come semplicemente troppo assurda: sembrava la trama di un pessimo fantasy. La misi da parte, anche se una minima parte della mia mente non riuscì a lasciarla completamente perdere.

‘Bene, per prima cosa mettiamo i punti fermi: mi trovo nel modo di Harry Potter, per la precisione poco prima della metà del suo terzo anno, e non so come uscirne. Cosa devo fare?’. Incredibilmente, la soluzione era molto semplice: se non potevo andarmene, dovevo restare. Dovevo vivere quella vita, nella speranza che mi si presentasse l’occasione per tornare alla mia normale esistenza. Nel frattempo, sarei stato uno studente tredicenne di Hogwarts. Un momento, ecco il secondo problema: chi diavolo ero io? Avevo già appurato che la partita da me giocata contro Tassorosso sotto il fortunale stonava con la storia ufficiale, ma in generale non avevo alcun ricordo del mio personaggio nei libri. Tanto per cominciare, come accidenti mi chiamavo? Non Matteo Simoncini, di questo ero sicuro. Vediamo… Madama Chips e la professoressa Mc Grannitt (sì, ormai potevo chiamarle così) mi avevano chiamato ‘signor Carter’, e Harry mi aveva apostrofato come ‘Josh’. Provai a scavare nella mia memoria, andando a cozzare contro il muro di nebbia… ecco, vedevo qualcosa… Joshua Carter! Ecco il mio nome! Joshua Carter... un momento: chi diavolo era Joshua Carter? Non ricordavo nessuno, nella saga di Harry Potter, con un nome simile. Cercai di scartabellare i miei ricordi dei sette libri, e già in quel momento vidi le prime avvisaglie di qualcosa di strano: nonostante in teoria dovessi conoscere a menadito tutta la storia dei sette anni, per quante volte avevo letto la storia, i miei ricordi erano chiari e nitidi solo fino ad un punto ben preciso: la partita contro Tassorosso del giorno prima. Avrei potuto ripetere quasi giorno per giorno quello che Harry, Ron, Hermione e tutti gli altri avevano fatto nei primi due anni della loro carriera scolastica, dalla difesa della Pietra Filosofale alla battaglia contro il basilisco, fino all’incidente di Harry con sua zia Marge dell’estate precedente, tutto fino al giorno prima. Più avanti, però, le cose cambiavano nettamente: dal giorno dopo i miei ricordi erano oscurati, annebbiati, confusi. Riuscivo a strappare solo qualche barlume. In quel momento non ci feci granché caso, attribuendo il fatto allo stato confusionale nel quale versavo.

In ogni caso, una cosa era sicura: nei primi due anni e mezzo della storia non c’era alcun Joshua Carter. Non era un personaggio creato dalla Rowling. Qualsiasi forza mi avesse scaraventato in quel mondo, sembrava aver pensato a tutto: non solo aveva inventato un personaggio specifico nel corpo del quale inserirmi, ma sembrava avergli costruito anche un background che lo amalgamasse agli altri personaggi, modificando la storia quel tanto che bastava perché ‘Joshua Carter’ ne entrasse a far parte.

C’era solo un piccolo problema: della storia di questo nuovo ‘me’ io per il momento ricordavo poco e niente. A giudicare dalla matassa di nebulosi ricordi che occupavano la mia mente, ero certo che prima o poi avrei recuperato i ricordi della vita di Carter, ma per il momento come avrei fatto a presentarmi agli altri? Ah, ma la ‘forza misteriosa’ aveva pensato anche a questo! L’illuminazione mi giunse come un fulmine: la partita! Mi era stata fornita la scusa perfetta per una memoria ballerina: un bel colpo in testa, ed i ricordi confusi o mancanti diventavano perfettamente spiegabili. Chiunque, o qualsiasi cosa mi avesse voluto lì, si era impegnato di brutto perché la mia presenza fosse più che giustificata. Una conclusione leggermente inquietante, in effetti, ma in quel momento non me ne preoccupai più di tanto, avevo già sufficienti pensieri.

“Vedo che si è svegliato, signor Carter. Voglio sperare che questo significhi che si sente meglio”.

Alzai gli occhi: Madama Chips stava uscendo dal suo ufficio, un sorriso rassicurante sul volto.

Mi passai la mano sulla faccia, simulando una sofferenza molto superiore rispetto a quella che realmente provavo: “Ancora un po’ dolorante, Madama Chips, ma decisamente meglio di ieri. Ho ancora un po’ di mal di testa e di dolori alle ossa, ma migliorano velocemente”.

“Ne ero sicura. In fondo, ho visto infortuni molto peggiori del suo. E per quanto riguarda la memoria?”.

Scossi la testa: “Non bene. Ricordo bene l’incidente, ma il resto è una serie di flash, di frammenti. So di chiamarmi Joshua Carter, di essere un Grifondoro del terzo anno, e di aver fatto un bel volo dalla scopa ieri, ma poco altro”.

L’infermiera della scuola sembrava molto sorpresa: “Una reazione molto forte, anche per un colpo in testa violento come quello che ha incassato lei. Non ha proprio altri ricordi chiari? Non si ricorda, per esempio, della sua famiglia?”.

Prima che potessi inventarmi qualcosa per rispondere, visto che della famiglia di Joshua Carter non ricordavo in quel momento niente di niente, Harry, forse disturbato dalla nostra conversazione, iniziò a muoversi, e pochi secondi dopo sollevò la testa dal cuscino, afferrò gli occhiali dal comodino e li indossò: “Buongiorno, Madama Chips” disse, mentre il suo sguardo si abbassava sulla sacca contenente i miseri resti della sua scopa. Vidi i suoi occhi adombrarsi.

“Buongiorno, Potter. Vedo che anche tu ti stai riprendendo – disse l’infermiera, mentre i suoi occhi correvano ai rimasugli di legno e saggina – Ho aspettato che ti svegliassi prima di buttarla, immagino fossi affezionato alla tua scopa…”.

“No – rispose seccamente Harry, lo sguardo ancora cupo – La prego, non la getti”.

“Potter…- riprese Madama Chips, con voce quasi compassionevole – mi dispiace molto, ma credo tu ti renda conto che non è riparabile, è ridotta in pezzi…”.

Harry scosse nuovamente la testa, poi, quasi a troncare la discussione, si girò verso di me: “Tu come ti senti, Josh? Hai fatto un volo quasi peggiore del mio”.

“Fisicamente abbastanza bene – risposi, con una sincerità insolita per uno nella mia situazione – E’ la testa che non va”.

“Ancora problemi di memoria?” chiese Harry, con una nota di preoccupazione.

“Già. Tutto quello che è successo prima di ieri sera sembra avvolto nella nebbia” dissi mestamente. Un attimo dopo, mi venne un’idea. Era assurda, ma forse poteva avere qualche speranza di riuscita. Probabilmente sarebbe stato come prendere a calci una macchina ingolfata, ma tanto valeva provare: “Perché non mi racconti quello che sai di me? - chiesi ad Harry – Può darsi che, con un po’ di stimolo, la mia memoria si decida a tornare a funzionare”.

In realtà non ci contavo molto, ma ero sinceramente curioso di sapere qualcosa di più riguardo alla vita di Joshua Carter, il ruolo che io, per così dire, mi stavo trovando ad interpretare.

Harry mi osservò sorpreso per qualche secondo, poi rispose: “Posso provarci, ma devo ammettere che ancora non so moltissimo di te, sei arrivato solo da tre mesi. Ci hai raccontato di essere di padre americano e di madre gallese. Sei nato a Filadelfia, e hai frequentato i primi due anni a Ilvermorny. Poi i tuoi genitori hanno divorziato, e tu sei tornato in Gran Bretagna con tua madre e tua sorella…”.

“Sheila!” lo interruppi. Incredibile a dirsi, aveva funzionato. Le parole di Harry avevano aperto una breccia nella nebbia della mia memoria, e alcune informazioni erano riuscite a farsi strada: “Mia sorella si chiama Sheila, ha dieci anni, e inizierà a frequentare Hogwarts il prossimo settembre. Mia madre si chiama Katherine Jones, lavora come erbologista. Mio padre è Benjamin Carter, lavora per il MACUSA, il Ministero della Magia americano, e non lo vedo da giugno, da quando c’è stato il divorzio. Ho conosciuto te e gli altri il primo di settembre, sul treno per Hogwarts, e la stessa sera il Cappello Parlante mi ha smistato a Grifondoro”.

Avevo ripetuto quelle informazioni come una sorta di apparecchio elettronico, e ad Harry non poté che sfuggire una risata: “Niente male, considerando che hai detto tutto praticamente senza riprendere fiato! Altro?”.

Iniziai a ridere anche io: “No, per adesso no. Immagino che il resto tornerà con il tempo”.

Era esattamente quello che pensavo: nell’assurdità della mia situazione, la sola cosa che potevo fare era aspettare e stare a vedere. Non avevo la minima idea di quello che mi aspettava in quel mondo, che mi era allo stesso tempo nuovo e conosciuto. Ancora non riuscivo a ricordare gran che di quello che, secondo la storia ‘ufficiale’, sarebbe accaduto negli anni successivi, ma sapevo che presto le cose si sarebbero fatte difficili, addirittura drammatiche. C’era qualcosa nell’aria… una tragedia che incombeva, ancora distante, ma in avvicinamento. In quel momento ero certo che mi sarebbe venuto in mente tutto, e che forse sarei addirittura riuscito ad evitarla, qualsiasi cosa fosse. Casa mia non mi era mai sembrata più distante, non sapevo se sarei mai riuscito a tornarci, ma ero consapevole di una cosa: se volevo sperare di trovare un sistema per tornare ad essere Matteo Simoncini, il solo modo era vivere come Joshua Carter.

La porta dell’infermeria si aprì, e la squadra di Quidditch al completo, questa volta accompagnata anche dal capitano Baston e da una convalescente Alicia Spinnet (accidenti, le avevo sempre immaginate carine le tre cacciatrici di Grifondoro, ma erano addirittura meglio di quanto credessi!). Erano venuti tutti a visitare i loro compagni infortunati. Con un sorriso, tornai nel ruolo di Joshua Carter e mi preparai ad accoglierli.
  
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