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Autore: RaidenCold    07/04/2020    1 recensioni
Fin dai tempi del mito, i cavalieri di Atena proteggono l'umanità dalle minacce più oscure.
Gettato nel loro mondo, sotto l'egida di una severa insegnante in pochi anni Ramiel si trasforma da fragile bambino a cavaliere d'oro; all'arrivo di una nuova minaccia sconosciuta, sembrerebbe che stia per iniziare una nuova guerra, ma lui scoprirà che la posta in gioco è molto più alta di quanto il Grande Sacerdote Saga ed i suoi cavalieri possano immaginare.
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gold Saints, Nuovo Personaggio, Sorpresa
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Zenovia nacque il due giugno, tre anni prima che scoppiasse la guerra contro il re degli inferi; sua madre, una donna di umili origini, svolgeva il ruolo di domestica presso il Santuario, dov’era amata da molti per la sua straordinaria bellezza, ma soprattutto per il suo carattere risoluto e determinato.

Quando morì, Zenovia aveva appena quattro anni; al funerale, che si tenne durante una fresca e soleggiata mattinata primaverile, furono presenti diversi cavalieri, e persino il sacro guerriero d’oro dei Gemelli, da poco divenuto grande sacerdote.

 

“Tu devi essere Zenovia, vero?” - chiese dolcemente l’uomo inginocchiandosi di fronte a quella bimba minuta vestita di nero.

“S-sì…” - rispose timidamente la piccola, sentendosi un po’ in soggezione di fronte a quell’imponente cavaliere e alla sua armatura scintillante.

“Il mio nome è Saga, e sono il tuo papà.”

“Il mio papà…?”

“Sì, la tua mamma non mi ha mai detto di te perché… perché io sono un cavaliere di Atena, e a noi non è permesso avere una famiglia, di solito. Però se vuoi, ora posso prendermi cura io di te, che ne dici?”

“Sì, ma solo se fai una cosa…”

“Dimmi pure.”

“Da grande voglio essere anche io un cavaliere.”

 

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Almeno alla fine del mondo, avrei voluto sapere per cosa abbiamo lottato.

 

Saga accompagnò Zenovia in una piccola arena senza spalti, cinta da un cerchio di colonne marmoree, al cui interno vi erano altre due bambine, ed un cavaliere con un’armatura decisamente meno appariscente di quelle dorate.

“Zenovia, costui è Blake della Fenice, un cavaliere veterano che ti insegnerà le basi dei principi cavallereschi.”

“Molto piacere.” - si presentò con riverenza Zenovia.

“Il piacere è tutto mio.” - rispose garbatamente l’uomo - “Queste che vedi saranno le tue compagne; anche loro si stanno addestrando per conquistare una sacra armatura d’oro, spero che andiate d’accordo.”

A quel punto una delle due bambine si fece avanti sorridendo:
“Io mi chiamo Ria!”

“Piacere, sono Zenovia.”

“Io invece mi chiamo Ikaros!” - aggiunse l’altra con tono più deciso.

“Mi piacciono molti i tuoi capelli!” - cinguettò entusiasta Ria.

“G-grazie…”

Quella bambina sempre sorridente dalla pittoresca chioma color menta e dai modi così gentili riuscì a ritagliarsi fin da subito un posto speciale nel severo cuore di Zenovia.

 

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Ormai anche se sono morto dentro da tempo, il mio corpo continua ad avanzare.

 

Zenovia se ne stava seduta sulla balaustra di una delle finestre del suo palazzo, intenta ad osservare la pioggia, che incessante scendeva sulla vallata del Grande Tempio.

 

“Zenovia…”

 

La giovane si voltò e vide il padre entrare in quell’ala dell’edificio, il quale le si rivolse con aria preoccupata:
“Come stai?”

“Sto bene.” - disse lei senza degnarlo di troppe attenzioni.

A quel punto Saga si portò alla finestra, e si sedette davanti a lei:
“Sono cinque giorni ormai che non esci dalla casa dei Gemelli…”

“Non c’è niente là fuori, se non altra oscurità in arrivo.”

“Sono preoccupato per te Zenovia, e non come Grande Sacerdote, ma come padre.”

“Le tue paure sono infondate,” - rispose secca - “Come ho già detto, sto bene.”

Capendo che il muro tra loro fosse in quel momento insormontabile, le accarezzò il viso e si alzò:

“Prenditi il tuo tempo, ma ricorda che non sei sola.” - disse avviandosi verso l’uscita.

“Siamo tutti solo ormai, a questo mondo…” - mormorò Zenovia.

 

Rimasta sola, si alzò ed andò verso la dispensa in cerca di qualcosa da mangiare. Aprì lo sportello di una credenza e sull’anta vi trovò, attaccata con del nastro adesivo, una foto di lei assieme a Ikaros e Ria, durante i lontani giorni di addestramento.

Strinse i denti e divenne paonazza, dopodiché con un gesto energico ribaltò il mobile e lanciò un urlo disperato; infine cadde a terra e si rannicchiò portando le ginocchia verso il petto, abbandonandosi ad un pianto inconsolabile.

“Non dovevi farmela questa, Ria…” - singhiozzò tenendo tra le mani la fotografia - “Non dovevi lasciarmi…!”

 

Qualche ora dopo, decise che quelle mura fossero diventate troppo strette, pertanto decise di sfidare il tempo e recarsi a valle a fare due passi.

Scendendo, trovò ai piedi della prima casa il cavaliere del Leone, intento a scrutare la pioggia silenziosamente; quando si accorse della sua presenza, Ramiel la fissò per un istante rimanendo interdetto.
“Ciao…” - disse infine, non riuscendo ad aggiungere altro.

“Ramiel.” - rispose lei senza troppa emozione.

Entrambi erano ancora amareggiati per i fatti dei giorni passati, e a stento riuscivano a guardarsi.

Dopo essere rimasti ancora in silenzio, Zenovia fece per andare oltre, ma Ramiel la chiamò:
“Mi dispiace.”

“Lascia stare, non dovevo aggredirti.”

“Zenovia” - si alzò e si avvicinò a lei sotto la pioggia - “non te l’ho mai detto, ma… ho sempre nutrito molta stima nei tuoi confronti.”

“Lo apprezzo.” - rispose lei, per poi rimettersi in marcia.

 

Il suo errare la portò presso la collina dove per anni aveva addestrato il suo allievo; quando giunse sulla cima, per un istante gli parve di vedere proprio la sua chioma canuta, ma osservando meglio attraverso la fitta pioggia, constatò fosse in realtà un’altra persona.

 

“Non dovresti startene sotto la pioggia in quel modo.” - le si rivolse quello sconosciuto vestito con un’armatura d’oro alata di cui aveva sentito parlare, ma che non aveva mai visto coi propri occhi.
“Da che pulpito, e comunque chi saresti?”

“Io sono Calipso, custode della nona casa.”

“Non sapevo che la sacra armatura d’oro del Sagittario avesse un nuovo proprietario…”

“Sono giunto da poco tempo al Santuario.”

A quel punto piombò un lungo silenzio, interrotto soltanto dallo scrosciare della pioggia che si abbatteva impetuosa sugli aghi di pino e sulle rocce.

 

“Tu cadrai, Zenovia dei Gemelli.”

La rossa gli si portò accanto e lo guardò dritta negli occhi:

“Cosa intendi?”

“Lo senti anche tu, dentro di te: il viaggio è finito, tu cadrai, i cavalieri cadranno, Atena cadrà.”

“Ma che razza di cavaliere sei, come puoi dire cose del genere? Noi siamo i sacri guerrieri che difendono il mondo dal male, non c’è tempo per l’autocommiserazione!”

In quell’istante, un forte boato attraversò l’aria, e Zenovia poté vedere in lontananza una massa oscura che ormai conosceva fin troppo bene:
“Dovremmo andare.”

“Dovremmo avvertire il Grande Sacerdote prima.”

“E allora vacci tu con le tue belle alette dorate; se qualcuno non interviene, quell’affare rischia di divorare qualunque cosa nei dintorni!”

Detto ciò la rossa svanì in un lampo dorato diretto verso il gorgo oscuro, il tutto sotto lo sguardo impassibile ed al contempo beffardo di Calipso:

“Il tuo viaggio finisce oggi, Zenovia dei Gemelli?”

 

 

“Anche tu qui?”

La rossa si voltò, e vide venirle incontro un viso familiare:
“Maestro Blake?”

“Sei cresciuta molto dall’ultima volta che si siamo visti.”

“Perdonami ma non ho davvero tempo per i convenevoli, come vedi…”

“Lo vedo, lo vedo; a tal proposito, come hai intenzione di fermarlo?”

Zenovia strinse i pugni e chinò il capo perplessa:
“Non lo so, ma in qualche modo devo provarci.”

“Posso suggerirti di creare un passaggio verso l’altra dimensione?”

“Non ho mai usato quella tecnica su qualcosa di tali dimensioni; inoltre, se aprissi un varco così grande nello spazio e nel tempo c’è il rischio che si formi un buco nero…”

“Posso provare a comprimere il gorgo con l’immenso potere della Fenice, ma per un solo istante; credi di potercela fare?”

“Non ne ho idea.”

Blake sorrise senza emozione ma con aria di sfida:
“Benissimo, non mi sembra ci sia altro da perdere.”

Il cavaliere di bronzo innalzò il proprio cosmo fino ai limiti estremi, e raggiunto il settimo senso avvolse la massa nera con la sua energia fiammante; nell’istante esatto in cui Blake comprimette il gorgo oscuro, Zenovia adoperò la prodigiosa tecnica legata alla costellazione dei Gemelli in grado di aprire un portale verso una dimensione sconosciuta.

All’improvviso, avvenne una cosa che mai era accaduta fino a quel momento: Zenovia avvertì qualcosa all’interno del vortice nero. Non riusciva a capire se si trattasse di un’emanazione di energia, o addirittura una manifestazione di volontà, ma era certa che vi fosse un qualche agente, per lo meno dietro la comparsa di quell’ultima calamità. Squarciando violentemente il cosmo infuocato della Fenice, il gorgo si espanse rapidamente, e con esso il passaggio dimensionale aperto dal cavaliere dei Gemelli, ora non più in grado di controllarlo.

“No, non può finire così…” - disse Zenovia - “Non lo accetto, non voglio morire!”

Infine il vortice ed il varco avvolsero i due cavalieri inghiottendoli al proprio interno:

“Non posso morire così, non ha senso!” - gridò la rossa cercando di respingere l’oscurità che avanzava inesorabile cercando di agguantarla - “Io sono Zenovia dei Gemelli, figlia di Saga, con le mie mani posso distruggere le galassie!!!”

Ma in quell’oscurità a nessuno interessavano i titoli e le qualità del cavaliere d’oro, e quella fredda indifferenza dell’universo le infiammò l’animo:
«Non è giusto, perché non sono riuscita a fermarlo? Non ho salvato nessuno, ho lasciato morire i miei compagni, ho lasciato morire Ria… chi è davvero il cavaliere dei Gemelli? Che senso ho di esistere se non riesco ad adempiere al mio ruolo, se non riesco a proteggere le persone a me care? Io ero nata per essere la migliore, era scritto nel mio sangue, allora perché continuo a vivere se non riesco ad adempiere al mio destino? Dovevano guardarmi tutti, ammirarmi, rispettarmi… amarmi! Non volevo altro, soltanto sentirmi amata, per dimenticare anche per un singolo insignificante secondo quanto profondamente io sia sempre stata… sola…»

 

«Non sei mai stata sola.»

 

Nel bel mezzo di quell’infinità di tenebre, in cui sentiva le sue membra sciogliersi nel nulla, Zenovia vide in lontananza una figura vestita con l’armatura dei Gemelli; tuttavia, a differenza di quella che aveva indosso, l’altra armatura era di un colore fosco, dai riflessi violacei.

«Padre…»

«Sei cresciuta così tanto… e somigli anche a tua madre in maniera sorprendente.»

«Che cosa ci fai qui, sei forse rimasto anche tu vittima del gorgo?»

«No, io sono defunto da molti anni ormai, ciò che vedi è solo un residuo della mia coscienza, all’interno dell’armatura dei Gemelli.»

«Non capisco… tu defunto?»

«E’ tempo che tu sappia la verità, figlia mia, sulla reale natura di tuo padre, e sul reale esito della guerra contro il re degli inferi.»

 

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Vorrei che qualcuno mi salvasse, vorrei che tu mi salvassi, ma la mia voce non sembra raggiungerti.

 

Il Grande Sacerdote sedeva sugli spalti dell’arena, dove dieci anni prima aveva investito Zenovia del titolo di cavaliere d’oro; ma da tre giorni ormai, di lei non si aveva più alcuna notizia.

“Atena…” - disse rivolgendosi alla giovane dea accanto a sé - “Perché tutto questo?”

Alexis non rispose, limitandosi a guardarlo con aria dispiaciuta.

“Perché non sono riuscito a proteggerla?” - singhiozzò l’uomo aggrappandosi al chitone della ragazza - “Avevo giurato, non doveva andare così!”

“Hai fatto tutto il possibile.” - disse la dea accarezzandogli il capo.

 

In quel momento il Grande Sacerdote percepì una presenza all’interno dell’arena, e voltandosi, vide una figura vestita di un’armatura nera dalle sembianze feroci, con grandi ali affilati dietro la schiena, e un elmo munito di lunghe corna appuntite.

“Atena… tornate alle vostre stanze.”

La ragazza lo guardò confusa:

“Ma io sono la tua dea, ho già abbandonato diversi cavalieri, non voglio lasciare anche te…”

“Io non sono chi credete sia, per tutti questi anni vi ho sempre nascosto la verità, e ora dovrò pagare per i miei peccati.”

Dispiaciuta, la dea gli accarezzò il viso guardandolo coi suoi grandi e imperscrutabili occhi celesti:
“Spero che tu possa infine trovare la redenzione che cerchi.”.

Detto ciò Alexis abbandonò l’anfiteatro, ed il Grande Sacerdote si alzò in piedi per affrontare il proprio avversario:

“Dovevo immaginare che il passato sarebbe venuto a bussare alla mia porta col tuo volto” - disse rivolgendosi all’uomo con l’armatura nera - “Radamante, Stella della Furia Celeste.”

“Sono solo un messaggero, un guscio vuoto senz’anima, in verità.” - tuonò lo Specter con voce cavernosa - “Eppure questo corpo ancora mantiene il ricordo dell’esplosione galattica che hai inflitto a entrambi.”

A quel punto Radamante sollevò il braccio minacciosamente, ed indicò il suo antico avversario:
“Che tu sia sopravvissuto fino ad oggi è stato soltanto un beffardo scherzo del destino, e anche se vengo qui davanti a te come agente del fato, sarò ben lieto di adempiere al mio compito: preparati ad essere inghiottito dall’oscurità, Kanon dei Gemelli.”

   
 
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