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Autore: MackenziePhoenix94    09/04/2020    1 recensioni
“E adesso?”
“Adesso reggiti forte”
“Che vuoi fare?”
“Ti fidi di me?” le chiese di getto lui; le aveva già rivolto quella stessa domanda nel corso della notte trascorsa sopra il tetto di casa Anderson e, come in quella occasione, Ginger rispose senza esitare.
“Sono uscita di casa in piena notte di nascosto, ho preso un treno per Cambridge e ti ho appena aiutato a rubare una bici dalla casa di tua madre: pensi che avrei fatto tutte queste cose se non mi fidassi ciecamente di te, Syd Barrett?”.
Le labbra del ragazzo si dischiusero in un sorriso.
“Allora reggiti forte, perché stiamo per prendere il volo”.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ginger aprì gli occhi, si stiracchiò e sbadigliò sonoramente; gli unici indumenti che indossava erano un paio di slip neri ed una maglietta blu, a maniche corte, che apparteneva a Syd e che si era infilata la notte precedente dopo aver fatto l’amore con lui una seconda volta.

Era stato perfetto.

Nonostante tutto, era stato semplicemente perfetto come la loro prima volta.

Sbatté più volte le palpebre e si guardò attorno, capì che c’era qualcosa che non andava nello stesso istante in cui mise a fuoco la stanza in cui si trovava: non era il disordinato salotto dell’appartamento, bensì una stanza molto più piccola e completamente spoglia di qualunque mobile; le pareti erano bianche e c’era un’unica finestra chiusa.

Ginger non ricordava affatto di essere entrata in quella stanza.

Perché, poi, avrebbe dovuto dormire sul pavimento di una stanza completamente spoglia? Non aveva alcun senso logico.

Si alzò dalle assi in legno, si avvicinò alla porta, girò il pomello verso destra… E scoprì che era chiusa a chiave.

Provò una seconda, una terza e perfino una quarta volta, ma la porta continuava a rimanere sprangata; provò a spingerla, a tirarla, ma non ottenne nulla.

Iniziò a battere il palmo della mano destra contro il legno ed a chiamare ad alta voce Syd.

“Syd! Syd! Questa maledetta porta è bloccata, non riesco ad uscire!”

“Non è bloccata” rispose lui dall’altra parte, in tono tranquillo “l’ho chiusa io a chiave”.

La ragazza restò in silenzio con gli occhi e la bocca spalancati.

Non poteva credere a quello che le sue orecchie avevano appena udito.

“Perché mi hai chiusa a chiave qui dentro?”

“Perché tu non sei reale. Sono stati i vermi a mandarti” disse il giovane nello stesso tono tranquillo di poco prima.

“Syd, i vermi non esistono!” gridò la rossa, afferrando il pomello della porta con entrambe le mani, perché ora iniziava ad avere davvero paura “Syd, apri questa porta, per favore! Non puoi fare sul serio, non puoi volermi davvero tenere segregata qui dentro! Syd? Syd, maledizione!”.

Non ottenendo alcuna risposta dall’altra parte, la ragazza prese a picchiare con forza i palmi delle mani sul legno; arrivò perfino a prendere a calci la porta nella vana speranza di sfondarla, ma si arrese ben presto quando rimase senza fiato, dopo essersi ferita in modo superficiale il piede sinistro.

Si voltò a guardare la finestra e si precipitò verso quella che poteva essere la sua sola salvezza per scoprire, con orrore crescente, che anche quella era ermeticamente sigillata e che non c’era alcun modo di aprirla, a meno che non sfondasse il vetro lanciandoci contro un oggetto pesante.

Peccato che lì dentro non c’era assolutamente nulla.

Ginger tornò indietro e riprese a picchiare con forza i pugni contro la porta, piangendo disperata.

“Non puoi fare sul serio! Non puoi fare sul serio!” ripeté più volte singhiozzando forte “non puoi volere questo! Non puoi volermi tenere segregata qui dentro! Syd? Syd? Syd, maledizione, rispondi! Syd!”.

Continuò a battere i pugni ed a gridare a squarciagola inutilmente, finché non si ritrovò con le nocche che sanguinavano e con la gola secca e gonfia.

Dal salotto non giunse mai alcuna risposta.



 
Ginger osservò le persone che camminavano di fretta sui marciapiedi, i mezzi pubblici che passavano velocemente e le piccole gocce di pioggia che battevano con insistenza contro il vetro; si sistemò una ciocca di capelli sudati, e sporchi, dietro l’orecchio destro, emise un profondo sospiro e si allontanò dalla finestra chiusa ermeticamente per tornare a sedersi sulle assi del pavimento, con la schiena appoggiata ad una parete.

Era rinchiusa in quella maledetta stanza da tre giorni ormai, e non aveva la più pallida idea di quanto tempo ancora ci sarebbe rimasta.

Durante quelle trentasei lunghissime e strazianti ore di agonia aveva provato più e più volte a battere i pugni contro la porta ed a supplicare Syd di liberarla, ma lui era sempre rimasto muto e l’aveva ignorata; tutto ciò che aveva fatto era stato passarle qualche biscotto, di tanto in tanto, attraverso la fessura della porta.

Ginger si era arresa dopo l’ennesimo tentativo andato a vuoto e si era lasciata andare alla disperazione più profonda ed assoluta.

Aveva preso a schiaffi Richard, gli aveva ripetuto più volte che era profondamente disgustata e delusa dal suo comportamento e che non voleva avere più nulla a che fare con lui.

Aveva spinto violentemente mommi quando lei aveva provato a fermarla ed a farla ragionare.

Se ne era andata di casa volontariamente.

Aveva trattato in modo orrendo due delle persone a cui teneva di più al mondo ed aveva troncato in modo violento ogni rapporto con loro.

E ora…

Ora nessuno sarebbe andato a cercarla.

Nessuno si sarebbe preoccupato, nessuno si sarebbe presentato all’appartamento di Syd per verificare la situazione di persona e lei sarebbe rimasta lì.

Sarebbe rimasta chiusa a chiave dentro quelle quattro mura senza acqua e con qualche biscotto come unico sostentamento, fino a quando il suo corpo non avrebbe ceduto ed avrebbe esalato l’ultimo respiro, spirando di stenti; e tutto perché aveva testardamente deciso di aiutare Syd da sola, senza dare retta alle parole degli altri.

Alle parole di Roger.

Ora, dopo tre giorni di segregazione, le parole del bassista non iniziavano più a sembrarle così dure e fredde, anche se continuava a considerarlo un gran bastardo per il modo in cui aveva voltato le spalle al suo più caro amico d’infanzia.

La ragazza tirò su col naso, si accucciò sul pavimento e spiò attraverso la fessura della porta: dall’altra parte, scorse la figura solitaria di Syd, di spalle, seduto sul materasso vecchio e malmesso; capì che stava fumando una sigaretta perché riuscì delle piccole nuvolette di fumo grigio che apparivano ad intervalli regolari.

Si tirò su col busto, appoggiò la fronte contro il legno e provò a fare un altro, disperato, tentativo.

“Syd, ti prego, per favore. Apri questa porta. Ho bisogno di parlarti. Non ce la faccio più a stare qui dentro, non so per quanto ancora riuscirò a resistere dentro questa stanza. Ho freddo, ho fame, ho sete ed ho assolutamente bisogno di farmi una doccia. Ti prego. Non sono arrabbiata, voglio solo parlare ed aiutarti, Syd” Ginger attese a lungo, ma le sue preghiere vennero ignorate come le precedenti; lacrime silenziose iniziarono a scorrerle lungo le guance, allontanò la fronte dalla superficie liscia e fredda della porta e si appoggiò ad essa con la schiena, deglutendo a fatica un grumo di saliva “so che non vuoi ascoltare le mie parole perché pensi che sia uno scherzo crudele che i vermi ti stanno giocando, ma ti posso assicurare che non è così. Se non fossi reale, se fossi solo una loro illusione, come potrei ricordare tutte le bellissime lettere che mi hai scritto mentre ero bloccata a casa con la caviglia ingessata? O come potrei ricordare la bellissima notte che abbiamo trascorso insieme a Cambridge? La ricordi? Ricordi quanto è stata magica? Mi hai svegliata lanciando dei sassi contro la finestra della mia camera e mi hai trascinata in una folle corsa per prendere in tempo l’ultimo treno della notte per Cambridge. Quando siamo arrivati lì, hai preso di nascosto una bici a casa di tua mamma e mi hai portata a fare un giro in barca in quel meraviglioso laghetto circondato da canneti, su cui si specchiavano la luna e le stelle… E… E mi hai parlato di quel libro, te lo ricordi? Mi hai parlato del capitolo in cui i due protagonisti vivono un’esperienza altrettanto magica e mistica come la nostra. Mi mancano quei tempi, Syd. Mi mancano terribilmente, ma non è ancora troppo tardi per farli tornare indietro. Possiamo andare ancora a quel laghetto a Cambridge e ricominciare da zero. Possiamo farlo anche adesso. Per favore, Syd, apri la porta e torniamo insieme a quel laghetto per un pic-nic. Per favore. Per favore”.

La ragazza nascose il viso tra le mani e scoppiò in un pianto disperato.

Sollevò il viso di scatto, incredula, quando sentì la serratura della porta scattare; si aspettava di vederla aprirsi e di vedere comparire Syd, ma ciò non accadde.

Si alzò a fatica, con le gambe che tremavano, ed uscì dalla stanza guardandosi attorno, cercando Barrett con lo sguardo.

Vide che era di nuovo seduto sul materasso a fumare: si era alzato solo per aprire la porta e poi era tornato lì.

L’osservò in silenzio, in attesa di una risposta, di una qualunque reazione da parte sua, ma lui continuava a fissare il vuoto, con la sigaretta che si consumava sempre più rapidamente tra le dita.

“Syd?” lo chiamò in un sussurro appena udibile “per favore, dì qualcosa. Qualunque cosa”

“Ricordi perché Pan regala a Talpa e Topo il dono di dimenticare l’esperienza mistica vissuta? Perché se mai le loro menti riuscissero a ricordare l’esperienza mistica vissuta, allora il resto delle loro vite sarebbe rovinato dalla consapevolezza di non poterla mai più rivivere” Barrett girò lentamente il viso verso Ginger e la fissò con i due buchi neri che aveva come occhi “che senso ha, dunque, sforzarsi di ripetere una cosa che non può più tornare?”.

Ginger trattenne il fiato; per la prima volta, da mesi, aveva capito perfettamente il senso delle parole di Syd: a modo suo, le aveva appena detto che era troppo tardi per lui, che ormai si trovava rinchiuso in una prigione mentale dalla quale era impossibile uscire e che lei doveva smetterla di rincorrere un passato che non poteva essere rievocato perché non esisteva più.

Era finita. Nel peggiore dei modi, ma era finita.

La ragazza distolse lo sguardo dagli occhi assenti e spegni del giovane, recuperò in fretta lo zaino, i suoi vestiti che giacevano sul pavimento da tre giorni e scappò dall’appartamento con addosso solo gli slip e la maglietta blu che aveva preso a Syd; corse senza mai voltarsi indietro e piangendo, senza badare alle occhiate sconvolte che i passanti le lanciavano perché era mezza nuda, in lacrime e con i capelli ridotti ad una massa sporca ed arruffata.

Pamela la trovò in quelle condizioni quando andò ad aprire la porta d’ingresso, dopo aver udito qualcuno bussare più volte con insistenza: rannicchiata sotto il portico, davanti l’uscio di casa, con le braccia avvolte attorno ai fianchi e lo sguardo rivolto verso il basso; la povera donna per poco non ebbe un collasso alla vista della figlia maggiore (che ormai credeva perduta per sempre) ridotta ad uno straccio pallido e tremante come una foglia, e gettò d’istinto un urlo prima di soccorrerla ed aiutarla ad alzarsi.

Jennifer accorse a sua volta, richiamata dal trambusto, ed i suoi occhi si spalancarono in una espressione carica di orrore quando vide a sua volta la sorella.

“Mio dio, Ginger!” esclamò Pamela dopo essersi in parte ripresa dallo sconvolgimento iniziale “che cosa ti è successo?”.

La giovane sollevò finalmente il viso; provò a rispondere, ma le labbra iniziarono a tremare violentemente, impedendole di pronunciare una sola parola.

Emise un singhiozzo e poi si fiondò tra le braccia della madre adottiva, scoppiando in un pianto straziante e disperato.



 
Diverse ore più tardi, dopo essersi calmata, aver fatto un lungo bagno caldo ed aver indossato dei vestiti puliti, Ginger giaceva semi sdraiata sul proprio letto, sotto diversi strati di lenzuola morbide e profumate; Pamela le aveva lavato con cura i capelli, glieli aveva asciugati, pettinati ed infine raccolti in una treccia fiammeggiante.

Le aveva anche preparato una minestra fumante, ma il piatto era ancora perfettamente intatto sopra al comodino, e la donna lo notò subito quando rientrò in camera con una bevanda bollente per scambiare quattro chiacchiere.

“Non hai toccato cibo” osservò, sedendosi sul bordo del letto; Ginger rivolse una rapida occhiata al piatto e sospirò.

“Non ho fame”

“Ti va di parlare?” chiese allora Pamela “ti va di raccontarmi cosa è accaduto?”

“Io…” la ragazza si bloccò subito, la vista le si appannò ancora e Pam si affrettò a calmarla per evitare un’altra crisi isterica di pianto; Jennifer non era presente in camera, per quella notte avrebbe dormito con lei sul letto matrimoniale perché la sorella maggiore aveva bisogno di pace, tranquillità e di un po’ di tempo per sé stessa.
“Non sei costretta a dirmi tutto ora se sei ancora così scossa. Devi farlo solo e quando te la senti”

“Dopo essermene andata da qui, sono corsa al suo appartamento. Lui era lì, da solo, al buio. L’ho abbracciato, abbiamo parlato e… Abbiamo fatto l’amore” le guance della ragazza si tinsero di un rosa più acceso quando parlò del rapporto intimo che aveva avuto con Syd, benché quella non fosse stata la loro prima volta “quando mi sono risvegliata, la mattina dopo, mi sono ritrovata dentro una stanza e… E quando ho provato ad aprire la porta ho… Ho scoperto che era chiusa a chiave. Era stato lui a chiudermi lì dentro, ed aveva sprangato anche l’unica finestra che c’era. Era convinto che io non fossi reale e che fossi solo un’illusione creata dai vermi che crede di avere in testa. Sono… Sono rimasta rinchiusa in quella stanza per tre giorni prima che… Prima che riuscissi a convincerlo a liberarmi… E poi sono scappata”.

Ginger nascose il viso tra le mani e pianse silenziosamente; Pamela le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse a sé, appoggiando la guancia destra sulla morbida chioma rossa.

“Tesoro mio…” sussurrò soltanto, perché non sapeva che altro aggiungere “tesoro mio…”

“Ho fallito, mommi, ho fallito completamente. Non sono riuscita a salvare il ragazzo di cui mi sono innamorata ed ora l’ho perso per sempre. Non ho fatto nulla quando ancora ero in tempo ed adesso è troppo tardi… Troppo tardi… Ho perso Syd e non me lo perdonerò mai, mai e poi mai”

“Tesoro mio, non darti colpe che non hai. Forse Syd non poteva essere salvato fin dall’inizio. Forse la sua situazione è così grave che nessuno può fare nulla… Né uno specialista, né i suoi amici e neppure tu”

“Ma io lo amo, mommi. Io lo amo, lo amo, lo amo… E l’ho abbandonato” Ginger singhiozzò più forte e Pamela lasciò che si sfogasse in silenzio, accarezzandole i capelli ed asciugandole di tanto in tanto le lacrime salate che continuavano a rigarle le guance; sciolse l’abbraccio quando fu certa che la crisi fosse passata, le porse la tazza di the ai frutti di bosco (il suo preferito) e le disse di rilassarsi e riposare.

Si fermò sulla soglia della porta, richiama dalla voce della figlia adottiva maggiore.

“Sì?”

“Mi dispiace aver abbandonato te e Jennifer in quel modo e… Mi dispiace averti spinta a terra. Sono stata una persona orribile”

“Ginger, non scusarti di questo. Anch’io sono stata giovane ed innamorata una volta. Riposati ora, ne riparleremo quando ti sentirai meglio” Pam sorrise e poi chiuse la porta; la ragazza rispose al sorriso, ma non appena si ritrovò da sola nella stanza, divenne nuovamente seria.

Appoggiò la tazza sopra al comodino, vicino al piatto con la zuppa, aprì un cassetto e tirò fuori due blocchetti di fogli legati insieme da un nastro colorato: il primo era costituito da tutte le lettere che Syd le aveva scritto durante i viaggi in cui non aveva potuto essere presente a causa della caviglia rotta, il secondo, invece, erano tutte le fotografie che gli aveva scattato di nascosto, quelle che Roger le aveva strappato di mano nella sala d’attesa dell’ospedale e che aveva sfogliato con una smorfia contrariata.

Accese la lampada posizionata sopra il piccolo mobile e rilesse le lettere una ad una, muovendo appena le labbra, per poi passare agli scatti rubati che ritraevano Syd insieme alla band, nei giorni in cui era ancora il ragazzo sorridente ed allegro che le aveva rubato il cuore con una frase buffa e stravagante.

Dovrebbero disegnare te sulle scatole dei cioccolatini.

In una, in particolar modo, era riuscita ad immortalare la luce unica che brillava nei suoi occhi e che ora si era spenta per sempre, sostituita da un baratro che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.

Quando il peso dei ricordi divenne insostenibile, Ginger ripose i due blocchetti dentro il comodino e si strinse nelle spalle, ripensando alle parole del cupo bassista della band.

Waters aveva ragione.

C’erano persone che non volevano essere aiutate.

Altre, che non potevano essere aiutate.

E Syd aveva varcato da un pezzo il confine tra le due categorie.
 
   
 
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