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Autore: Duncneyforever    09/04/2020    1 recensioni
{Seguito di " Canone inverso - Behind enemy lines "}
Tratto dal testo:
Lui si china verso di me, dolce, fragile quasi, lasciandomi un candido bacio sulla fronte. " Se ti avessi persa, non sarebbero bastate le urla di mia madre, il dolore di mio fratello o il richiamo della patria a dissuadermi dal raggiungerti... "
~
" Questo non devi dirlo mai. " Dopo aver rizzato la schiena, lo rimiro con gli stessi suoi occhi tersi, scossa dal magone. " Perché morirei due volte se scoprissi di aver ucciso te. "
Genere: Drammatico, Guerra, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Reiner si rassetta l'uniforme, ammirando l'immagine riflessa dell'uomo che era stato. 

Piccolo principe... 

È finito il tempo degli onori, in cui ancora potevi vantare di essere un paladino della patria. 

Lui si raccoglie un istante; inspira l'odore della terra, si riempie le orecchie delle sirene degli Stuka, annunciatrici di morte e gli occhi delle scie luminose generate dalla detonazione dei mortai. 

- Era marzo del quaranta; io ed il mio reparto avevamo attraversato le Ardenne, una zona boschiva senza strade, accidentata, che pareva esser ostile persino ai cingoli dei nostri Panzer. I francesi non si aspettavano il nostro arrivo; avevano concentrato il grosso delle loro truppe a nord, verso Liegi, così che a difesa della zona rimasero solo dei cacciatori belgi che non avevano ricevuto l'ordine di ritirarsi... dei veri ossi duri, sai? I francesi, nel frattempo, si occuparono di far saltare i ponti sulla Mosa e si riorganizzarono. Noi della 10. Panzer Division, che avremmo dovuto sfondare a Sedan, passammo la frontiera il dieci, ritrovandoci a combattere contro la 2º divisione di cavalleria leggera. - 

- La decima... il fianco sinistro del 19º Panzerkorps, quello di Guderian! - Conosco due generali tedeschi che presero parte alla Seconda Guerra Mondiale; uno è l'ormai celeberrimo Rommel e il secondo è proprio Guderian, coloro che disubbidirono agli ordini diretti dell'Alto comando tedesco, rischiando di farsi revocare il comando. Mi emoziona, perché ho sempre ammirato la loro prontezza nel raggirare gli ostacoli, la loro astuzia nel congeniare brillanti strategie di attacco. 

- Ti vedo informata. - Asserisce, stirando la bocca in un sorriso d'orgoglio. Io annuisco frettolosamente e scarico il peso sui gomiti, con la stessa espressione curiosa e innocente dei puttini ritratti da Raffaello. Lui si perde a guardarmi, fisso, nella luce scintillante che pare accendermi lo sguardo. 

- E poi? Cos'è successo dopo? - Lo incalzo, attendendo di scoprire dove e quando sia avvenuto il suddetto atto di eroismo. 

- Quando cadde Sedan, ci muovemmo verso Stonne per supportare la 1. e la 2. divisione. - Si interrompe un secondo. Sorride. - Iniziai la campagna di Polonia come ufficiale di fanteria, poi fui mandato lungo la linea Maginot, dove il corpo a piedi era praticamente inesistente. Mi posero a capo di una Schütz-Brigade, che oggi rientra nella Panzergrenadier, come supporto alla divisione corazzata e finii per improvvisarmi carrista. L'anno prossimo farò domanda presso la Luftwaffe, così potrò dire di non essermi fatto mancare nulla. - Rido alla sua battuta, pur sapendo che ne sarebbe persino capace. 

- Quindi lo sai guidare un carro armato... - Intuisco che è esattamente qui che voleva arrivare; è in questo frangente che si è distinto tra gli altri, altrimenti che ulteriore motivo avrebbe avuto di slittare da un reparto all'altro... 

Il suo viso, nel ricordare quelle giornate, s'adombra e scatta qualcosa nella tranquillità dei suoi occhi, un dolore che riesce a perforare la dura corazza di soldato. 

- A Stomme ebbe luogo una battaglia tra carri e fanteria, una battaglia lunga e sanguinosa, in cui perdemmo molti uomini valorosi... La difesa francese a guardia del bosco di Raucourt si rivelò più strenua del previsto. Io e la mia brigata eravamo in prima linea... fu terribile. Ci imbrattammo il volto di fango per renderci meno visibili, ma non avemmo neppure il tempo di scavare buche nelle quali nasconderci. Procedemmo quasi alla cieca... strisciavo come un verme per non farmi localizzare e poi, non appena anima viva si approssimava sufficientemente alla linea di fuoco, urlavo ai miei uomini di sparare a raffica, fin quando non avessi avuto libera la visuale. Non gli chiesi di mirare al cuore o alla testa, perché in quel caos infernale era impossibile. - Si pizzica tra le dita l'attaccatura del naso, serrando violentemente le palpebre. Io aspetto, perché so che è questo che vuole, così come so che ha bisogno di confidarsi a mente lucida, senza venir distratto dal ricordo di quel che ha vissuto sul fronte occidentale. Schiaccio il suo berretto sulla fronte, assicurandomi che non mi caschi nel piegarmi sul materasso. 

Non dico nulla per non mettergli fretta, tuttavia, distendo il braccio, accarezzandogli il retro della coscia. 

- Il suolo era ricoperto di schegge di legno, tronchi spezzati dai cingoli e sangue, pozze vermiglie che si mescolavano col terriccio, in cui erano immersi arti mozzati e viscere. L'ultima volta che mi voltai, Adelbrecht correva all'impazzata tra i boati delle granate che piovevano ad un palmo dai suoi piedi; era un mio compagno d'arme, quello a me più caro. Aveva lasciato la sua posizione, perché voleva distruggere l'autoblindo che ci aveva sotto tiro. Quando il suo corpo cadde a terra, lui era ancora vivo e agonizzava senza possibilità di venir recuperato dai soccorritori. L'ultimo colpo fu mio... - La sua gola si contrae per il magone, anche se i suoi occhi liquidi non si sciolgono del tutto. 

Il senso d'impotenza, la disperazione... Sono emozioni che conosco bene, sebbene io, in un certo senso, sia stata graziata: Fried mi ha abbandonata lontano dal mio sguardo, per mano sua e non per mano mia. 

E se avessi dovuto sferrargli io il fendente mortale, sarei morta prima di poterlo fare. 

- Ero sicura che avessi sofferto anche tu... non sapevo quanto. - " Mi dispiace ", parole vuote di finta compassione. Non avrebbero alcun valore e, per questo, le taccio. - Posso aspettare domani, o quando vorrai. - 

- Mi fa bene parlarne e mi fa star bene ricordare. - Ritratta, facendomi ritendere l'orecchio in ascolto. - Stonne si può equiparare a Verdun; ci fu un imponente dispiegamento di carri, da entrambe le parti. Furono loro i veri protagonisti, che si affrontarono in campo aperto. La nostra artiglieria era appostata sulla linea di cresta; cannoni controcarro, mitragliatrici, obici, mortai... Nuvole di fumo nero si nobilitavano dai mezzi abbattuti dai cannoni: il rumore era assordante; ogni metro conquistato su quel terreno era un miracolo... L'infanterie Großdeutschland era il reparto più esposto e subì perdite massicce; noi, più lontani, eravamo bersaglio dell'artiglieria nemica, ma avevamo la possibilità di ripiegare nel bosco, qualora lo avessimo ritenuto necessario. C'era un carro a quattrocento metri, uno dei nostri Panzer IV... - Mi alzo sui gomiti, scalpitando per conoscere il seguito. Quasi simultaneamente, lui sospende la narrazione e si umetta le labbra, cadendo preda delle sue pulsioni. 

- Qualcosa ti distrae? - Chioso, fingendo di non sapere dove sia ricaduto il suo sguardo. - Va bene, mi rimetto giù. Come continua la storia? Ti prego, sai quanto sono curiosa! - Lui, che pare essersi risvegliato da un sogno, riprende il filo, anticipandomi che ciò che lo spinse ad agire in un determinato modo fu genuino senso di responsabilità, che nulla aveva a che fare con il desiderio di primeggiare. 

- ...Era stato colpito al fianco destro; io, che avevo a tiro un cacciatore, vidi la vedetta fuoriuscire dal portello e gettarsi giù dal carro; agitava le braccia e si rotolava nell'erba per estinguere le fiamme che gli avevano intaccato la divisa. Il Panzer fumava, emetteva una sorta di brontolio metallico che non era che un ronzio fastidioso, a confronto. Restai pietrificato, con il dito ancora poggiato sul grilletto dopo aver sparato a casaccio; poi mi dissi che quel ragazzo era vivo, che a casa aveva anche lui una famiglia ad attenderlo e, così come avrei cercato di salvare Johann, avrei dovuto soccorrere quel ragazzino. Era piccolo, più giovane di me e lo stavo guardando bruciare. - Il lenzuolo si imbeve di lacrime evanescenti. Alzo gli occhi verso di lui, che a sua volta mi guarda, come in un cenno d'inconsapevole complicità. 

Ecco perché non osò rimproverarmi il giorno in cui per poco non sacrificai la vita nella vana speranza di salvarne un'altra... Perché lui, molto prima di me, aveva fatto lo stesso; si era immedesimato in me, ritrovando il suo stesso pensiero nel mio e, nonostante avessi gettato fango sulla sua reputazione per un prigioniero già condannato a morte, non mi diede addosso. Mi raccolse da terra come un uccellino ferito e mi sciacquò il viso cinereo. 

Tacque. 

- Abbandonai il fucile e corsi, tra il fischio dei proiettili perforanti che s'infrangevano brutalmente contro il metallo e il ruggito dei carri; zompavo come una ghiandaia da una parte all'altra per evitare di saltare per aria. Quasi volai per cercare di attraversare quella sorta di " Terra di Nessuno ", ma sopravvissi anche per merito dei miei compagni, che mi fornirono fuoco di copertura. Quando gli fui abbastanza vicino, lui si trovava all'ombra del carro immobile, sdraiato per terra; il fuoco era spento, ma si era ferito ad una gamba lanciandosi dalla torretta: gli feci passare il braccio sulle mie spalle, attorno al collo, così da poter sostenere il suo peso e gli chiesi di farsi forza sulla gamba buona per aiutarmi... Da quei secondi sarebbe dipesa la nostra vita. - Si rigira tra le dita la croce di ferro, come se la vedesse per la prima volta. La rimira attraverso lo specchio, stoico come un soldatino di piombo. Io, nel venire a conoscenza di questa sua impresa, me ne sento attratta, ma non solo fisicamente, perché ciò non è dovuto alla sua bella divisa, ma in una maniera del tutto nuova, frutto della suggestione. 

Come una falena che si approssima ad una lucerna e, al contempo, mantiene le distanze, per non rischiare di venir accecata dalla sua luce. 

 - Tre carristi che vi erano all'interno, temendo di venir annientati da una seconda esplosione, tentarono di uscire sui lati, venendo falcidiati dalle mitragliatrici. Piovvero corpi tutt'intorno a noi: erano nel panico; li avvisai, ma non mi diedero ascolto. Quello che mi caricai in spalla, riuscii a trarlo in salvo e a portarlo dietro la nostra linea, tuttavia, sapevo che il mio compito non era ancora giunto al termine. Ce n'era un altro; me ne resi conto quando sentii un rumore provenire del Panzer, danneggiato, ma ancora in funzione. - 

- Sei tornato... - La mia voce è un soffio dolce, che racchiude tutta la mia ammirazione. 

- Sì, quel fortunato figlio di puttana ne era uscito praticamente indenne. - Capisco che quell'appellativo sia giocoso quando lo vedo ridere a fior di labbra. - Io, per entrare in quel buco, per poco non ci rimisi il cranio. Il colpo mi sfiorò appena, ecco da dove salta fuori la cicatrice sopra all'orecchio. - 

Pensare che, a primo acchito, mi era sembrata una sforbiciata andata male...  

- E dopo? Come avete fatto ad uscire? - 

- Non siamo potuti uscire; sapevamo entrambi che, presto, ci avrebbero inflitto il colpo di grazia. Non so chi tra loro ebbe l'accortezza di portarsi due sacchi di sabbia a bordo ma, quando scesi, lui mi urlò di prendere postazione e caricare il cannone. Faceva caldo, caldissimo; più che nel nord nella Francia pareva di trovarsi nel mezzo del deserto del Sahara: bruciavano gli occhi per la fumaglia che si era andata a creare, ma la sua frenesia nel gettare secchiellate di sabbia sull'incendio ci concesse una manciata di minuti vitali. - Replica, suscitandomi stupore e meraviglia. 

- Come hanno fatto a non colpirvi? Ne avete abbattuto qualcuno? - 

- Quello che ci stava alle calcagna, più altri due; lui prese il posto del pilota e ci andò di fortuna: in due, in condizioni di semi-mobilità, con un rogo non del tutto domato a roderci il didietro... non fu affatto male come risultato. Dopo averlo intaccato, dovemmo darci alla fuga per non arrostire. Quando tornammo in patria, ricevette anche lui un riconoscimento, mentre la mia medaglia, la Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia e Spade, mi venne assegnata in base ai meriti che mi furono attribuiti nel corso dell'intera campagna. -  

Non fu affatto male? Vuole scherzare, spero. È incredibile... E lui è un eroe a pieno titolo. Non credo di averlo mai pensato fino in fondo, ma oggi mi ha dato un motivo per essere orgogliosa di lui, sì, proprio lui, che ora porta la divisa da parata e firma condanne a morte dietro ad una scrivania. Era stato un uomo virtuoso, un uomo d'onore e le circostanze lo hanno condotto qui; per questo, mi rincuora almeno un po' sapere che lui, tuttora, preferirebbe trovarsi in mezzo a quel marasma che è la guerra " calda ", piuttosto che in un campo di lavoro. 

- Sì, dovresti darti all'aviazione - scherzo, una volta avutolo di fronte. - Sono così contenta... - Fremo contro il suo stomaco, arricciandomi come un tenero animaletto. 

- Il giorno in cui annunciarono il mio ritiro dalle armi, la considerai una degradazione, ma se c'è una cosa per cui non maledico quest'incarico, è l'aver conosciuto te. - 

A quale prezzo... Il nostro amore è la sola cosa che salverei, se potessi cancellare tutto il resto. 

- Dimmi che resti - il cielo notturno è terso, meravigliosamente stellato. Non voglio neppure che scenda le scale per paura che possa incontrare Schneider; ho fiducia nelle sue capacità, dopotutto è nato per guerreggiare, ma ho avuto modo di constatare sulla mia stessa pelle quanto il rosso sia furbo e rapido nel muoversi, oltre ad avere un occhio fino, in grado di cogliere ogni minuzia. 

- Non hai fame? - 

- Potrei mangiare te. - Sulle sue labbra si apre un sorriso malizioso e retrocede, colpito, poiché non si sarebbe mai aspettato una simile provocazione da parte mia. 

Ma io non sono un tenero " fiorellino ", così come mi aveva soprannominata Rüdiger, ma una donna fatta di carne che vuol essere trattata al pari delle altre, anche se con quel pizzico di sentimento in più, che renderebbe unico un atto di per sé istintivo. Non è mia intenzione raggiungere la catarsi, né negarmi a lui, se non sarà questo che mi comanderà il cuore. Ed è per questo che traggo piacere nel vederlo positivamente sorpreso. 

- Mi piace come idea. - Se questo basta per tenerlo legato a me, senza causare ulteriori danni a noi o ai ragazzi, sarei più che felice di soppiantare il Conte Dracula e morderlo giocosamente. 

- Torna qui allora, anche con l'uniforme, non fa niente. - La croce di ferro viene riposta sul comodino, il paio di galoche ai piedi del letto; lui sale sul materasso a gattoni e si sfila il cinturone con la fondina, vuota, che ricade sul pavimento con un tonfo. Subito mi rannicchio al suo fianco, indagando il tessuto grigio con i polpastrelli. - L'altra è più morbida... ironico. - Commento, trovandolo sensato, ma contraddittorio: la divisa di un ufficiale delle SS è scenografica, incute terrore ed è di ottima manifattura, griffata persino, dal momento che fu partorita dalla mente di Hugo Boss, il noto stilista. La divisa nera è sempre immacolata a contrario di quella dell'esercito regolare, perché i suoi componenti non sanguinano, non si rotolano nella polvere né annaspano nella terra bagnata dalla pioggia. - Loro sono al sicuro? - 

La sua mano, prima stretta in una carezza sulla curva dolce del fianco, ritorna sul materasso, dove incontra la mia.  

- Per come lo conosco io, non credo che gli nuocerà ora che lo hai reso nervoso. Non uccide con questo umore, di solito. - 

Confortante! Adesso sì che sono preoccupata, visto che finora non ha quasi mai attuato secondo le mie previsioni. È una persona imprevedibile; aveva giurato che non mi avrebbe uccisa e, invece, il grilletto lo ha premuto lo stesso.  Sarei morta, se non mi fossi spostata. 

- L'ungherese è tornato a Birkenau. - Sac... Perché? Di nuovo in balìa di quei mostri che lo vogliono distruggere, oltre che dei prigionieri stessi, che lo reputano un traditore e vorrebbero vedere la sua testa in un nodo scorsoio... Che ha fatto mai quel ragazzo per meritare una sorte così avversa? 

- È stato lui o sei stato tu? - Il dubbio mi fa prendere le distanze, rendendomi apatica anche di fronte alla sua indignazione. 

- Sapevo che, se lo avessi allontanato io, tu avresti reagito così... ed è per questo che non l'ho fatto. - Ribatte, innervosendosi. - Vieni qui. - Solo dopo aver capito che la sua reazione non avrebbe portato a nulla, se non a farmi spaurare, abbassa i toni, addolcendosi. - Per favore. - 

- Guardami. Non è sufficiente a farti capire quanto io ti adori? - 

- Tutti ti amano e tu ami loro, ma io vorrei il tuo amore per me soltanto. - Si giustifica, scostando il lenzuolo e stringendosi al ventre scoperto, valle tenera in cui maturerà il frutto della nostra unione. 

- Non essere sciocco, lo sai. - Lo ammonisco, stringendogli i capelli tra le dita, che dapprima mi sfiorano le costole, poi la pancia. - Reiner... - 

- Domani a pranzo ci abbufferemo, promesso. - 

Eppure io non avvertivo fame, né sete, né tantomeno sonno, perché tutto ciò di cui avevo bisogno era là ed è qui ancora adesso che mi sono svegliata. È un evento raro che io mi sia alzata prima di lui. Il mio soldato riposa sereno; il petto si solleva ad intervalli regolari, l'aria incanalata fuoriesce dalle narici come uno sbuffo. Mi è andata bene che lui non russi, ma spesso, quando riposa supino, respira in modo buffo: inspira con una certa avidità, come se gli mancasse il fiato. Non so a cosa sia dovuto; a quanto mi ha detto, non soffre di alcuna patologia, per cui posso solo ipotizzare che abbia inalato tanto di quel pulviscolo e polvere pirica da convincersi inconsciamente di poter soffocare, qualora non immagazzinasse abbastanza ossigeno. 

Non appena sento bussare, la mia colonna vertebrale fa un guizzo, scrocchiando sinistramente. Io arretro, rivolgendo alla porta chiusa uno sguardo di puro terrore. 

Reiner continua a dormire; mugugna qualcosa nel sonno, ma gli occhi non li dischiude. 

- Aprite signorina, sono io. Vi porto la colazione. - Oddio, Ariel! Posso tirare un sospiro di sollievo... 

- Arrivo! - Ma dove accidenti sono finiti i miei vestiti... guarda qua che casino! Sono le sue mutande quelle che pendono dalla maniglia? O prendo in prestito qualcosa di suo o sradico il lenzuolo e mi ci copro alla buona. Sinceramente, non mi sento di svegliarlo in un modo così " brutale ", per cui mi metto addosso la sua camicia e vado ad aprire. C'è un leggero imbarazzo tra noi: mi sono rimboccata le maniche per non scomparire in quello che, dal mio punto di vista, è un vestito troppo largo, mentre Ariel, che attraverso lo spicchio visibile di stanza, è riuscito ad intravedere le beltà esposte del comandante, è arrossito ed ha chinato il capo con fare colpevole. 

- Non è come sembra. Ecco... noi non abbiamo... insomma... - 

- Non vi dovete giustificare. - Risponde lui, attaccandosi il vassoio al petto e facendo tintinnare le tazzine con il caffellatte e il piatto di bomboloni farciti. 

Hanno un aspetto squisito.   

- Non ti faccio schifo? - Mi devo asciugare in fretta il viso per ripulirlo da quelle che, in fondo, sono lacrime di vergogna. 

Ariel subito spalanca gli occhi, incredulo, ma poi mormora qualcosa di rassicurante, senza utilizzare l'impersonale formula di cortesia. Egli, infatti, mi ha detto che non dovrei piangere su ciò che mi rende felice in nome di una credenza, che non c'è nulla che si possa definire " immorale " in me, addirittura, che non ho colpa. 

Al sentirlo, la voglia di abbracciarlo è tale che, dopo avergli sfilato il vassoio dalle mani e averlo poggiato a terra, mi decido a cingergli la vita magra e ad accostarmi sul suo petto. È spigoloso, come se avessi premuto la testa contro il suo scheletro e non contro la carne. 

Dopo un attimo di impaccio, ricambia anche lui, pur mantenendosi distaccato, come lo ritiene consono. 

- Ti faranno bene un po' di zuccheri. - Statuisco, facendogli capire di dover prendere un dolce. - E a pranzo conservami una seconda porzione; la lascerò a te. - 

Ho generato un tale fracasso con tutte queste stoviglie, che mi stupisce il fatto che Reiner non si sia ancora svegliato. Doveva essere stanco; non so cos'abbia dovuto fare per cercarmi, ma quello sforzo deve avergli richiesto molte energie, per aver ridotto così uno che è sempre scattante, in piedi fin dalle prime ore dell'alba... 

Adagio delicatamente il plateau sul comò, ridacchiando nel sentirlo borbottare di nuovo. Mi sistemo una ciocca dietro all'orecchio, avvicinandomi al letto e cercando di far passare una gambe oltre al suo bacino, così da potermi sedere a cavalcioni. Prima di poterlo fare, però, mi ci vedo trascinata da lui, che sorride sornione. Ho trattenuto un gridolino, ma gli ho comunque tirato un pugno sulla spalla per ripicca. 

- Stronzo! - Lo apostrofo, incrociando le braccia. - Da quanto sei sveglio? Hai sentito la conversazione, immagino. - 

- Non credevo che cercassi la loro approvazione. - Diventa serio per un istante, accarezzandomi la guancia con il dorso della mano. 

- Non influenza quel che provo per te, solo la considerazione che ho di me. - Sarei voluta ricadere sul suo petto per non farmi vedere, però lui ha voluto diversamente: mi ha spinta all'indietro, riportandomi nella posizione iniziale. 

- Ti sto facendo del male standoti accanto? - Ma che dice... È stata la sua costante presenza ad impedirmi di impazzire; è stato lui ad avermi offerto una seconda possibilità di essere felice, lui ad avermi fatto da " maestro di vita ". 

Prendo il suo viso tra le mani, come un calice e lo bacio teneramente. Temendo che non mi renda il bacio, resto incollata alle sue labbra e gli artiglio le spalle nude, singhiozzando; lui non ricambia subito, mi tortura, facendomi morire sulla sua bocca nell'attesa di una reazione. Tremo con gli occhi sigillati, ansimando nel sentire il suo corpo aderire pian piano al mio: il mio stomaco si dibatte affannosamente contro i muscoli addominali, come un pesce sottratto al mare, fin quando una carezza non ne affievolisce il tremolio. 

- Vuoi sentirmi dire che ti amo? - I suoi occhi guizzano nei miei, esposti ad una luce che li rende d'oro; rassomigliano alla terra spaccata dal sole, che sboccia per pochi e da frutti dal sapore di miele. 

- Sarebbe carino. - 

- Io odio i nazisti; per me potete crepare, pure oggi! tant'è che vi odio tutti quanti, tutti a parte te e solo perché non riesco a fare a meno di amarti. Per cui sì, ti amo oltre ogni umana razionalità. - Volevo punirlo per quello " sgarro " e la sua espressione sbigottita mi ha ripagata della durezza con la quale mi sono rivolta a lui... È anche vero, però, che le parole che gli ho dedicato erano sì aspre, ma anche sincere e profonde e lui non è riuscito ad offendersi. 

- Aspetta di prendere un Krapfen e vedrai come ti riduco quel musetto impertinente. - Su entrambi i nostri volti si dipinge un sorriso di sfida, con il risultato di esserci quasi ammazzati per prendere quei dolci, finendo per cospargerci di crema, olio di frittura e zucchero. 

- Oh mamma! Potevi versarmi addosso anche il latte, già che c'eri. - Passo le mani sulle braccia, trovandole cosparse di glassa appiccicosa. 

- Dai, che ti ho fatta sorridere! Quel disastro li vale tutti... - 

 

 

 

 

 

Angolino autrice: 

Eccomi tornata, come promesso, con un giorno di anticipo. Pubblicherò regolarmente, una volta a settimana o meno. Ringrazio già da ora tutti coloro che hanno continuato a seguirmi e supportarmi. Alla fine della storia, elargirò biscotti al burro telematici a tutti i miei lettori e lettrici ^^. 

 

 

 

  
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