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Autore: Adele Emmeti    10/04/2020    1 recensioni
La Fuga non è un rimedio, ma un tentativo di allontanarsi dalla fonte primaria del proprio dolore.
E Mizu lo sa bene, perché lei sta fuggendo da un torto assoluto, da un male gratuito e ingiustificato, da un'ingiustizia silenziosa ma lacerante. Lifeline è il racconto del suo lento percorso di rinascita, della sua sofferta risalita, dell'insieme di amore e gentilezza che nuovi e vecchi amici sono in grado di fornire.
Perché tutti, prima o poi, hanno bisogno di un'ancora di salvezza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Niente male.
Sì. Davvero niente male.
Mentre salgo lungo la collina che conduce a casa, rivolgo lo sguardo al sole che sta per tramontare sul mare in lontananza. La giornata sta volgendo al termine e l'avanzare del buio non mi sta mettendo alcuna ansia, come succede ultimamente. Questo perché ho affrontato un piccolo ostacolo e mi sembra di aver intravisto la vecchia Mizu in fondo al baratro. Mi sembra di averne scorto gli occhi, per un brevissimo istante. Di aver avuto la sua voce e la sua forza, finalmente, dopo tanto tempo.
Arrivo davanti la porta di casa e mi accorgo che c'è un auto parcheggiata di fianco a quella di Beky. Quando entro, percepisco subito un profumo di caffè arabo nell'aria.
«Ah eccola... è arrivata. Mizu, siamo in salotto!»
Seguo la voce di mia zia e mi fermo all'ingresso della stanza. Ho ancora un leggero fiatone per lo sforzo della salita, i miei abiti profumano di salsedine e di smog cittadino. La mia mente è trionfante, il mio cuore un tantino più leggero.
«Ciao tesoro. Ti presento Niba, è un mio amico.»
Un uomo sulla cinquantina, dai tratti orientali, quasi sicuramente indiano, si alza dal divano rigido, in pelle, e mi sorride, porgendomi la mano.
«Ciao Mizu.»
«Buonasera.» Gli rispondo, avanzando la mia.
«Siediti qui, con noi. Niba è un avvocato... »
Nel sentire la parola avvocato, un lampo nero mi oscura la vista. Mi siedo di fianco a lei, ma resto con lo sguardo basso.
«Ecco... gli ho raccontato la tua storia, quello che hai vissuto e... gli ho descritto Ryan, la sua posizione sociale e quanto sia complesso attaccarlo, dal punto di vista legale, per via della sua ottima reputazione.»
«Non... voglio che qualcun altro racconti la mia storia. Soltanto io posso farlo... » sussurro piano, cercando di mantenere la calma.
«Sì, lo so, ma non volevo farti rivivere l'evento ancora una volta. L'hai già dovuto fare con me, due giorni fa.»
Non controbatto. Mi limito a socchiudere gli occhi e stringere i pugni.
«Mi spiace che non fossi presente quando Rebecca mi ha parlato di te e di quello che ti è successo. Ma voleva farlo nel mondo più preciso e accurato possibile. È molto importante che si affronti la cosa con calma e si cerchi di individuare tutti i punti deboli di questo individuo. Comprendi?»
Comprendi? Mi sta chiedendo se comprendo? Io che l'ho vissuto fin dentro la pelle e le ossa, io che rivedo la sua faccia e le sue mani appena si fa buio, che sento la sua voce e l'eco delle sue parole nelle orecchie ogni volta che cala il silenzio, dovrei ancora comprendere qualcosa?
«Abbiamo passato mesi a studiare un modo per colpirlo. Ma lui non ha punti deboli.» Gli rispondo, mentre un sibilo insopportabili inizia a fischiarmi nella testa.
«Questo non è possibile... bisogna scavare nel suo passato, indagare tra tutti coloro che l'hanno conosciuto prima che arrivasse a Shellville, raccogliere testimonianze e pareri, anche quelli più inutili.»
«L'abbiamo già fatto. Mio padre l'ha già fatto. Mia madre l'ha già fatto.» Alzo gli occhi nella sua direzione. Non volevo che la serata si concludesse così. Non volevo che l'immagine di quel tramonto, visto mentre salivo lungo la collina, mi venisse strappato così rapidamente dalla mente.
«Io l'ho già fatto. Nei pomeriggi e nelle sere, nelle notti infinite, passate sveglia, davanti a un computer. Siamo andati in tutte e sei le scuole che ha frequentato nel corso della sua vita. Abbiamo parlato con professori, studenti, tutor, assistenti, amici di famiglia, vicini di casa e gruppi di preghiera. Persino con i macellai, i panettieri e i giornalai dei suoi quartieri. La loro risposa era sempre la stessa: “Ryan è un bravissimo ragazzo. Ryan è serio. È altruista. È gentile e generoso. Lui è massimo che dei genitori possano desiderare. Ryan è un angelo.»
I miei occhi si stanno riempiendo di lacrime. Ma non sono lacrime di tristezza. Sono lacrime di rabbia. Il ricordo di me e di mio padre in auto, stanchi e sconsolati, di ritorno a casa, dove mia madre ci aspettava con le luci spente, è sempre qui, nella testa. E non andrà mai via.
«Calmati tesoro... non vogliamo ferirti o sminuire quello che avete fatto. Noi vogliamo soltanto cercare di riprendere in mano questa storia e riaffrontarla insieme, per darti giustizia. Chissà che non venga fuori qualche particolare che vi è sfuggito, che magari escano altri testimoni o che qualcuno si sia convinto a testimoniare.»
«Non ora... » Sussurro.
«Se lasciamo sfumare gli eventi, tutto questo passerà nel dimenticatoio, e se adesso abbiamo poche speranze di raccogliere qualche indizio, immaginiamoci tra mesi o anni. Non possiamo far passare tutto questo tempo. Dobbiamo muoverci... e agire in fretta.» Continua l'avvocato.
«Non ora. Non adesso.» Dico a denti stretti.
«Perché non adesso? Niba è un avvocato molto in gamba, il migliore di tutta la contea. Suo padre era un grande amico del nonno. Sai quante volte mi ha salvata da false accuse o tentativi di mettermi in ginocchio? Niba è una certezza... possiamo fidarci ciecamente di lui.»
«Ho detto non ora!» Mi alzo in piedi. La rabbia mi sta sommergendo e mi tremano le mani.
«Ho appena iniziato una scuola nuova! Sto conoscendo gente diversa e sto cercando di integrarmi! Sai cosa significa avere di nuovo degli amici? O parlare con dei professori che non ti guardano come se fossi una patetica bugiarda? Una disperata in cerca di attenzioni?»
Prendo lo zaino che ho lasciato a terra.
«Non è ancora il momento per riaprire quel capitolo! Sai quanto mi costa? Sai quanto è doloroso e straziante? Pensi che se ne possa parlare amabilmente seduti in salotto, con una tazza di caffè? No! Non è così! Io non ce la faccio! Non ce la faccio... ancora.»
Non posso più reggere. Scoppio a piangere. Maledizione. Odio piangere davanti agli altri, soprattutto se sconosciuti. Complimenti Becky, sei stata approssimativa e superficiale come in tutti i precedenti casi che hanno riguardato la nostra famiglia.
«Mizu... » mi dice sollevandosi, con lo sguardo affranto.
Io esco dalla stanza e vado verso la scalinata. Corro al piano di sopra e mi chiudo in camera.
Lancio lo zaino sulla scrivania e mi avvicino al letto. Non riesco a respirare... mi manca l'aria. Ho bisogno di ossigeno ma non voglio uscire fuori, non voglio aprire il balcone, nemmeno soltanto avvicinarmi alla finestra. Vorrei chiudermi in un sarcofago e farmi sotterrare sotto metri di terra.
Papà, mi spiace per tutti quei pomeriggi silenziosi, passati davanti alla tv, per quelle telefonate andate a vuoto, per le umiliazioni che ti ho fatto subire quando, parlando con la gente, si rivolgevano a noi con astio e arroganza. Mi spiace per tutto il tempo che ho passato chiusa in bagno, senza risponderti, immersa nella vasca, a cercare di far andare via i lividi col sapone. E mi spiace se ho iniziato a rispondere male alla mamma, soltanto perché quella sera ha fatto tardi a lavoro e non è passata a prendermi. Mi spiace se vi ho lasciati in quel silenzio malato. Se ve l'ho portato in casa e ve l'ho lasciato come il peggiore degli amici mai ospitati.
Crollo a terra e continuo a piangere disperata. La mia ferita si è riaperta. Non doveva succedere. Non ora. Non adesso.

Il mattino seguente, i gabbiani mi svegliano, ma non sono allegri come sempre. Il cielo è bianco. Suppongo che verrà a piovere.
Ho la bocca impastata, i capelli arruffati e lo stomaco che brontola. Non sono uscita dalla mia camera, ieri sera. Non ho fatto cena e sono crollata sul letto come un sacco di farina, dopo lo sfogo.
Mi faccio una doccia. Scendo al piano di sotto e di fianco ai biscotti e alla marmellata rubino, trovo un bigliettino di Beky: “Sono profondamente dispiaciuta. Perdonami. Volevo iniziare a fare qualcosa, ma ho sbagliato a non chiederti il permesso. Questa sera ne riparleremo. Ti voglio bene da morire.”
Mentre scendo lungo la collina, osservo le notifiche del cellulare e trovo un'e-mail spedita da un indirizzo sconosciuto. Mi fermo per aprirla. Diamine... avevo dimenticato quello stupido progetto di storia. Samuel Hyden mi ha spedito la bellezza di tre pagine di istruzioni, scalette e link dai quali attingere per fare le mie ricerche. In fondo trovo scritto in grassetto: “da consegnare entro tre giorni”.
Tre giorni? Ma è pochissimo! Maledetto... vuole mettermi pressione e costringermi a lasciargli il controllo di tutto. Vuole dimostrarmi che non riesco a stare ai suoi ritmo.
Tranquillo caro Samuel. Adesso ti mostro come si studiava nel mio vecchio istituto.
Accelero il passo e arrivo a scuola con una furia che mi riempie il petto come una pentola a pressione.
Le ragazze sono già in aula e restano leggermente stranite dalla mia espressione, a metà tra un toro inferocito e un foglio accortocciato.
«Tutto bene?» Mi chiede Greta, ma il professore di letteratura è appena entrato e ha sbattuto i suoi libri sulla cattedra. Dannato uomo stanco, se soltanto la smettessi di trascinarti come un bradipo avresti la forza di reggere quei tre manuali che ti porti costantemente dietro.
A mensa le ragazze continuano a guardarmi preoccupate. Mi rendo conto di non potermela prendere con loro e che se inizio a trattarle male, resterò sola di nuovo.
«Scusatemi... ho litigato con mia zia e ho dormito male. In più quel Samuel mi ha messa alla prova con un quantitativo di ricerche infinito, da consegnargli entro tre giorni.»
«Litigato con Rebecca Allen? Non ci credo... non è possibile.» Afferma Fely.
«Avrà avuto i suoi buoni motivi. Mi spiace tanto... spero nulla di grave.» Continua Greta, avanzando una mano sottile e delicata sulla mia. I suoi enormi occhi azzurri mi sciolgono un po' del catrame che ho accumulato dentro.
Le sorrido.
«Sì, nulla di grave.»
«Comunque quel Samuel è davvero un deficiente. Io andrei a dirgliene quattro! Ti sta soltanto provocando, lo sai?» Fely fa roteare la sua forchetta.
«Sì, lo so. Infatti ho intenzione di andare in biblioteca, prendere un bel po' di libri di storia e passargli davanti. Voglio mostrargli che non mi ha affatto spaventata.»
«Ben detto! Se vuoi veniamo anche noi e prendiamo altri libri! E poi ci sediamo al suo tavolo e iniziamo a leggerli a voce alta!»
«Questa non mi sembra una buona idea... è solo una sottile dimostrazione, quella che vuole fare Mizu, non un teatrino sguaiato.» Greta la richiama, come sempre, e mi fanno scoppiare a ridere. Le adoro.
Dopo le lezioni, saluto le ragazze e vado in biblioteca. Sarà anche un gesto infantile, ma siccome di maturo, qui, c'è ben poco, allora abbassiamoci al suo livello e facciamogli vedere con chi ha a che fare.
Supero il settore di storia moderna e mi avvicino a quella di storia antica, ma non vedo alcuna luce provenire dallo “studio” di Samuel. Giro l'angolo e mi accorgo che la sua scrivania è spoglia, le sedie vuote, nessun libro o quaderno aperto, nessun pc acceso o mucchio di penne e matite.
Di Samuel neanche l'ombra.
Sarà già andato a casa. Ripasserò domani.
Esco da scuola e imbocco il viale principale, quando da dietro mi sopraggiunge una voce famigliare.
«Mizu!» Mi volto e vedo Andy sopraggiungere dal cortile, a bordo di un motorino color crema, dalle rifiniture nere, molto elegante.
«Sono due giorni che non ti vedo!»
«Ho avuto un po' di cose da fare... sai, instaurare amicizie, costruirmi una vita sociale, abbindolare i professori... »
Andy mi sorride arricciando il naso. La luce aranciata del sole gli colora il viso e gli arriva giusto negli occhi, che sembrano ancora più verdi.
«Sali su, ti do un passaggio!»
Non me lo faccio ripetere due volte. Infilo il casco e salgo alle sue spalle. Mi invita ad aggrapparmi, ma intravedo, in lontananza, la sua ragazza mentre sale in auto con due amiche. Il suo sguardo carico di incredulità e odio mi arriva fino alle ossa. Mi sa che Andy non passerà una piacevole serata.
Partiamo e sfrecciamo lungo il viale, ma non svoltiamo a destra, verso la collina, ma a sinistra, verso le spiagge.
«Mi sa che da quando sei qui... non hai ancora toccato il mare.» Mi urla e una sensazione di infinito sollievo mi stempra tutto il fumo che mi annebbiava la testa.
Arriviamo alla prima spiaggia della conca nella quale giace e si estende Whitecliff.
Il mare è calmo, le onde sopraggiungono con costanza e pazienza. Sono di un incredibile color corallo, così come il cielo, ove le nuvole del mattino si sono dipanate e sono violacee al centro, magenta nei bordi spampanati. Lascio il casco ad Andy. Mi tolgo le scarpe e infilo un piede nella sabbia, subito dopo il marciapiede. È ancora leggermente tiepida, ma fredda in profondità. Cammino lentamente, un venticello salino e dolciastro mi scuote i capelli. Siamo nel centro esatto della semiluna circondata a destra e a sinistra dalle bianche scogliere. Withecliff è davvero un angolo di paradiso nascosto in una tasca, come mi raccontava sempre mio nonno.
Mi bagno i piedi e l'acqua porta con sé il mio rancore. Lo vedo scivolare via e allontanarsi, verso le profondità marine.
Ci sediamo poco dopo il bagnasciuga.
«E tu? Cosa hai fatto di bello in questi due giorni?» Gli chiedo.
«Allenamenti... impegni con mio padre. Ah, e poi ho perso un mucchio di tempo dietro al progetto di storia.»
«Quello del professor Clark?»
«Sì. Ve ne ha già parlato?»
«Sì... »
«E vi ha già divisi in coppie? Io sono finito con un tipo squilibrato, che passa il suo tempo ad allevare ragni esotici e serpenti. Non poteva capitarmi di peggio... »
«Ah beh, a me non è andata meglio.»
«Con chi ti hanno messa?»
«Con Samuel Hyden. Scommetto che ne hai già sentito parlare.»
«Impossibile... » sogghigna come se lo stessi prendendo in giro.
«È vero. Te lo giuro! Come potrei conoscerlo altrimenti?»
«Puah... ma se quel tipo non esce dalla biblioteca da due o tre anni. Non parla con nessuno, nemmeno con la signora Mandy dell'information-desk.»
«Eppure è così! Il professor Clark mi ha fatto uno spiegone sul fatto che collaborare con lui potrebbe assicurarmi un voto altissimo, che io sono l'unica sua speranza di riuscire ad avvicinarlo al mondo degli umani.»
«E ha accettato? Sei riuscita davvero a convincerlo?» I suoi occhi colmi di incredulità mi divertono.
«Certo! Non è stato semplicissimo... ma ce l'ho fatta. Collaboriamo... per modo di dire. Lui fa la ricerca, io partecipo compilando schede e rintracciando fonti che mi chiede espressamente. E non basta: ho anche dei tempi ben precisi di consegna.»
«Ma dai... non ci credo. Quindi sei andata lì, ti ha vista e... ha accettato.»
«Prima abbiamo quasi litigato, ha finto di non essere il Samuel che cercavo e ho dovuto inventarmi una storiella infantile su quel libro che avevo letto in treno... però sì, ha accettato.»
Andy inizia a fissarmi con le labbra e le sopracciglia imbronciate.
«Che c'è?» Gli chiedo.
«Secondo me ti trova carina.»
Sbando.
«Cos... cosa?»
«È l'unica giustificazione che riesco a trovare.»
«Ti assicuro di no. Ha lo sguardo di un automa programmato per conquistare l'universo. È come se davanti agli occhi vedesse grafici e formule di provenienza aliena. Ti assicuro che fossi stata un rinoceronte con le orecchie da coniglio non se ne sarebbe accorto.»
«È pur sempre un ragazzo, come me... come tanti.» Continua, stringendo le spalle.
«E tu sei... tu sei Mizu.» Rivolge lo sguardo alle onde e diventa improvvisamente più serio.
Il vento gli scompiglia i capelli color paglia, ma non li scosta dal volto. Insieme alla salsedine, mi arriva il suo profumo di muschio. Se fosse stato mio fratello lo avrei picchiato per quanta bellezza la natura gli ha concesso.
«Ti assicuro che non mi ha trovata carina. Scommetto che mi vedesse adesso per strada, non mi riconoscerebbe. Ha accettato perché... sono stata convincente!»
«Non ho dubbi. Lo ammetto: è molto più intelligente di me. Io avrei accettato e basta, senza nemmeno chiederti il motivo per il quale mi avevi cercato.»
Scoppio a ridere e mi stendo sulla sabbia, a braccia aperte.
«Grazie per avermi portata qui. Io amo il mare!» Urlo con i polmoni spiegati.
«Io amo il Withecliff!» Urlo ancora.
Andy si stende al mio fianco e urla insieme a me.
«Io amo il mare!»
Ci guardiamo con una certa complicità e mi sebra di essere tornata bambina. Di essere tornata a quei momenti in cui gli adulti iniziavano a sistemare la roba da portar via, tra asciugamani, ombrelloni, ciotole e bottiglie d'acqua, e io e il mio amico ci aggrappavamo alla sabbia per non farci portare via. 
Ti sono grata Andy, perché senza di te sarebbe tutto meno semplice.
E grazie papà, per avermi convinta a partire.
Grazie mamma per avermi incoraggiata ad andarmene.
Grazie per esservi tenuti il silenzio e avermi salvata da lui.
Spero di rivedervi presto, perché mi mancate tanto.
Mi mancate come l'aria.


Piccola nota dell'autrice:
Grazie a tutti coloro che stanno seguendo la mia storia e che si stanno inoltrando nei meandri della sofferenza di Mizu. Capitolo un po' lungo ma ho faticato a interromperlo, perché ho davvero un mucchio di cose da raccontare. Siamo solo all'inizio e spero di riuscire a portarvi con me fino alla fine.
Un abbraccio a chiunque sia passato di qui. :)
Adele MT

   
 
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