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Autore: Vanclau    10/04/2020    0 recensioni
Il bianco e il nero sono due colori molto diversi tra loro, opposti, proprio come Angeli e Demoni, come Dwight e Luxor; eppure, nonostante tale diversità, anche due individui apparentemente opposti possono avere similitudini tra di loro, un qualcosa che possa farli avvicinare. Così, le storie di Dwight e Luxor si intrecciano in un percorso che li farà incontrare, crescere e li aiuterà a capire il loro posto in questo mondo, mentre la guerra tra i loro due popoli infuria con gli umani nel mezzo.
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crystal odiava la scuola. Non riusciva a capire come potesse esserci qualcuno che osava anche solo pensare di continuare gli studi dopo le superiori iscrivendo all’università o come imparare qualche lingua morta potesse essere d’aiuto nel periodo storico che stavano vivendo. Le uniche due lezioni che riusciva appieno ad apprezzare erano la storia, che la affascinava, e la ginnastica per la quale era incredibilmente portata, risultando migliore fisicamente di molti altri maschi suoi coetanei. L’unica cosa che la consolava mentre ascoltava disinteressata l’ennesima noiosa lezione di un ennesimo noioso giorno di scuola era che quello sarebbe stato l’ultimo anno prima di poter fare richiesta di ammissione all’Istituto coronando il suo sogno fin da quando era uscita dall’orfanotrofio.

Istintivamente si guardò il polso destro, osservando nei minimi dettagli il piccolo braccialetto di stoffa che vi era legato ormai annerito dal tempo e in alcuni punti sfilacciato ma che per lei raffigurava il suo più grande tesoro, la prova di una promessa che aveva deciso di mantenere a tutti i costi.

Aveva dieci anni quando si era legata quel braccialetto e sette ne erano passati dal giorno della sua adozione, ma mai avrebbe dimenticato le parole dette in quel momento.

«Signorina Dawson.» La voce proveniva dall’ingresso dell’aula, non dall’insegnante che si interruppe nella spiegazione guardando l’orologio appeso alla parete; la sua espressione non era sorpresa, come se si aspettasse che quel momento sarebbe arrivato. Anche Crystal Dawson stava, dopotutto, aspettando quel momento. «Vostro padre è venuto a prendervi.»

Crystal si limitò ad annuire riponendo il materiale scolastico nella cartella e alzandosi sotto gli sguardi attenti dei suoi compagni di classe, i quali parevano non volerle staccare gli occhi di dosso fino al momento della sua uscita. Quando fu fuori nel corridoio dietro alla professoressa che l’aveva chiamata, sospirò. Quello era un altro dei motivi per cui odiava la scuola.

Suo padre, anche se adottivo, era un importante aristocratico e fin dal suo arrivo era sempre stata trattata con eccessivo riguardo dal personale, che fossero insegnanti o semplici inservienti, mentre gli altri ragazzi parevano evitarla di proposito. Alla fine, non aveva mai avuto un vero rapporto di amicizia o anche solo una vera conversazione con qualcuno in circa cinque anni che andava in quella scuola; infine, ma non per importanza, c’era il momento del rientro a casa.

Lord Dawson la veniva a prendere personalmente ogni giorno, dai trenta minuti all’ora di anticipo rispetto la fine delle lezioni regolari e ogni volta doveva sorbirsi la sfilata per raggiungere l’uscita dall’aula; quell’anno, poi, il destino aveva voluto che il suo banco fosse nell’angolo opposto rispetto alla porta, dovendo quindi attraversarla tutta, anche se credeva fosse stato fatto di proposito. Davanti agli altri le mostravano assoluto rispetto e riverenza, ma dietro quella maschera l’odio e il disprezzo nei suoi confronti erano palpabili considerando chi fosse suo padre. Più volte si era ritrovata vittima di scherzi infantili come la sparizione delle scarpe da ginnastica, del materiale scolastico o anche solo qualche disegno sul suo banco o sull’armadietto della palestra; nonostante fosse arrabbiata per tutto ciò, cercava di fare a buon viso cattivo gioco fingendo di non preoccuparsene. L’unica volta che davvero si era fatta prendere dall’ira arrivando a colpire un ragazzo della sua classe era stata quando, dopo essersi di nuovo addormentata in classe, si era pensato bene di tagliarle il braccialetto e nasconderlo. In quell’occasione era sicura che l’insegnante avesse fatto solo finta di non accorgersene e, presa dalla rabbia, aveva colpito ripetutamente il colpevole e dovette intervenire il Corpo Armato per fermarla. Sul braccialetto ancora si poteva vedere una parte più lucida dove era stato riparato con un pezzo di scotch.

Il solo ricordo di quell’avvenimento la faceva sia soffrire sia scoppiare di rabbia, dovendo mordersi il labbro per non urlare mentre cercava qualcosa per distrarsi, qualcosa che trovò osservando fuori dalla finestra. Fu un attimo, eppure una singola piuma nera le sembrò passare rapidamente dall’alto verso il basso, come fosse stata strappata da un uccello in volo. Dopo aver battuto una volta le palpebre per lo stupore, della piuma non c’era più traccia.

Quando la professoressa si fermò, Crystal vide l’uomo intento a parlare al telefono. Non sembrava essersi accorto del loro arrivo e sembrava parecchio infuriato mentre urlava nell’apparecchio, quasi volesse aggredire lo sfortunato interlocutore, attirando alcuni sguardi di chi stava passando per l’ingresso della scuola in quel momento.

Crystal odiava la scuola, ma ancor di più odiava la famiglia Dawson di cui ora portava il cognome.

 

«Sybil?» Il tono interrogativo con cui stava venendo apostrofata dall’insegnante aveva una sfumatura rassegnata e la giovane non poteva dargli certo torto. Ormai tutti in classe si erano abituati al suo stare spesso distratta nonostante in generale avesse voti piuttosto buoni a scuola, ma nonostante i continui richiami per le sue distrazioni le capitava di ritrovarsi a sognare a occhi aperti fin troppe volte, di solito perdendosi il filo della lezione e quindi dovendo raddoppiare l’impegno a casa nello studio.

Però non poteva farci niente, lei era così sin da bambina e ricordava tanto con felicità quanto con nostalgia le numerose volte che le era stato rimproverato ai tempi dell’orfanotrofio. Non che potesse lamentarsi della sua vita dopo essere stata adottata, la famiglia Price si era dimostrata incredibilmente affettuosa nei suoi confronti senza mai farle mancare niente, nonostante l’unica cosa che davvero volesse ancora non era riuscita ad averla.

«Mi scusi» rispose mortificata cercando di ritornare attenta, ma lasciandosi sfuggire uno sguardo al braccialetto di stoffa che portava al polso e sul quale gravava una promessa. Erano ormai passati sette anni dal giorno in cui si era separata da Crystal eppure non avrebbe mai potuto dimenticare le ultime parole che si erano detto quel giorno. Si erano promesse che si sarebbero riviste, presto o tardi che fosse, perché in quanto sorelle gemelle dovevano essere inseparabili.

A quel tempo lo aveva anche detto ai suoi nuovi genitori, ma questa era l’unica cosa che non erano mai riusciti a darle. Non perché non ci tenessero, ma la famiglia Dawson aveva adottato Crystal prima e non avevano voluto prendere una seconda figlia, solo in seguito i Price avevano adottato Sybil e in quanto erano piuttosto modesti come stato sociale arrivare a chiedere ai Dawson di poter far incontrare le due sorelle era praticamente impossibile o almeno queste erano state le spiegazioni del padre dopo aver sentito la storia di Sybil.

«Un giorno dovrai insegnarmi come fai a dormire durante le lezioni e a prendere comunque buoni voti, vorrei riuscirci io almeno potrei fare tutt’altro a scuola!» Il ragazzo, mentre uscivano dall’edificio dopo la fine delle lezioni, stava parlando con tono incredibilmente serio, come pensasse davvero ci fosse qualche metodo particolare.

«Mi spiace, ma mi limito a studiare molto più di voi a casa» rispose invece Sybil come fosse la cosa più normale.

«Ragazzi, avete sentito le ultime notizie?» Il secondo ragazzo che si era inserito nella discussione si parò loro davanti mostrando il cellulare. «Forse la pace è possibile!»

Incuriositi, tutti iniziarono a guardare lo schermo, compresa Sybil, commentando quel che diceva l’articolo sulla possibilità di terminare finalmente quel lungo conflitto.

«Mi chiedo come fosse vivere prima della guerra» disse alla fine una ragazza.

«Purtroppo le ultime tre generazioni sono nate a conflitto iniziato, quindi non potremo mai chiederlo a qualcuno» rispose un’altra ragazza, intristita. «E per questo tante vite sono andate perdute.»

Il ragazzo che aveva ancora in mano il cellulare le fece un rapido cenno con la mano e quella si voltò subito verso Sybil, scusandosi, ma quest’ultima scosse la testa. «Non preoccuparti, va tutto bene.»

Era stata la guerra a rendere orfane lei e Crystal, facendole finire in quell’orfanotrofio fino alla loro separazione, ma ormai la giovane non ci pensava neanche più nonostante nei pochi ricordi che ancora conservava dei suoi veri genitori essi erano amorevoli con lei e Crystal, quasi risplendendo di luce propria. «Hai ragione, molti hanno perso i loro cari per questa guerra, quindi speriamo finisca davvero» disse con un sorriso.

Dopo che ebbe finito di parlare, la sua attenzione venne colta da un rapido movimento tra le fronde di un albero nel lungo viale che dovevano passare. Fu un singolo istante, ma per un attimo le era sembrato le foglie si fossero mosse pur senza un alito di vento e, infine, che qualcosa fosse caduto a terra.

Ignorando i compagni di classe che la stavano chiamando, Sybil si avvicinò notando qualcosa che brillava ai suoi piedi. Una piuma. Una piuma bianca.

 

Gli piaceva il nero. Il più forte dei colori, il più ambizioso, così tanto da non accontentarsi di essere un singolo colore ma tutti, assorbendo la luce senza rilasciarne una singola sfumatura. Per Luxor era una perfetta metafora della vita, di come non ci si doveva mai accontentare e prendere tutto il possibile. Gli piaceva il nero e gli piacevano gli umani, che comparava proprio al nero che mai si accontentava.

Gli umani erano incredibili. Nonostante fossero così deboli, compensavano il tutto con l’ingegno e un sorprendente istinto di sopravvivenza che li rendeva capaci di opere altrimenti impossibili. La storia sin dalla comparsa del genere umano lo testimoniava e Luxor ne era stato in gran parte testimone. Anche dopo l’apparizione di Demoni e Angeli, come venivano comunemente definiti dagli umani, pur con una ben comprensibile paura di ciò che non conoscevano si erano ripresi e avevano pensato di volerne scoprire di più con svariati contatti tra le due nuove creature sensienti scoperte. Il primo contatto era avvenuto quasi per caso, anche se si trattò più di uno sbaglio compiuto sia da Demoni sia da Angeli, che invece già sapevano tutto di loro e li osservavano da molto tempo, alle volte interferendo direttamente. Voler apprendere di più, quella fama di conoscenza così radicata nella debole razza umana, tutto ciò lo affascinava e forse era proprio questo a renderlo così unico tra i suoi simili.

Anche dopo lo scoppio dell’inevitabile ennesima guerra tra Angeli e Demoni, gli umani che per la prima volta nella loro storia si erano trovati nel mezzo avevano trovato il modo di sopravvivere e riorganizzarsi in un mondo ormai devastato come quello in cui ora vivevano.

Le gerarchie angeliche e demoniache erano molto simili e semplici, ai suoi occhi, rispetto a quelle umane e ciò era motivo di maggior fascino per Luxor non si sarebbe mai stancato di osservarli. Angeli e Demoni dopotutto rispondevano a un singolo individuo e i loro numeri erano infinitesimali rispetto ai miliardi di umani che popolavano la Terra e nonostante le diverse fazioni, sette e gruppi in entrambe le razze, non potevano competere con le numerose nazioni umane, le loro gerarchie di comando e la loro politica. In effetti, pensava, Angeli e Demoni non avevano mai avuto bisogno di complicarsi tanto con sotterfugi e questioni politiche, anche se il semplice essersi mescolati agli umani aveva comunque dato loro una qualche idea rivoluzionaria come il Codice degli Angeli o la Catena dei Demoni, che pur con nomi diversi avevano la medesima funzione come raggruppamento di leggi in costante aggiornamento.

Dopo lo scoppio della guerra, tale complessità politica era rimasta radicata negli umani anche con il sorgere di nuove città sui resti delle vecchie, sopravvivendo con le unghie e con i denti a una vera e propria Apocalisse e arrivando loro stessi a sviluppare capacità incredibili o, meglio dire, a risvegliarle. Aveva sentito dire che in situazioni di difficoltà un essere umano poteva arrivare a fare cose altrimenti impossibili ma tutto quanto era già accaduto aveva portato il genere umano a trovare la forza sopita in loro, capacità che già possedevano inconsciamente e che la situazione di pericolo, più l’essenza stessa di Angeli e Demoni che ormai aleggiava su tutto il mondo degli uomini, ne aveva permesso il risveglio.

Sorridendo, si sistemò meglio sul tetto del piccolo edificio che svolgeva una funzione di istruzione, una scuola come l’avevano chiamata gli umani, chiudendo gli occhi. Quella era una delle maggiori città della zona e fungeva da punto di riferimento per la sopravvivenza umana. Ogni centro abitato era praticamente diventato una nazione a sé, ormai, ma sempre più umani continuavano a raggrupparsi per cercare una qualche organizzazione, fino al sorgere del Corpo Armato con cui Luxor aveva già avuto dei trascorsi, così come ne aveva avuti volente o nolente con i Cavalieri dell’Ala e i Guerrieri dell’Abisso; nomi molto iconici, secondo lui, ma che raffiguravano i tre principali schieramenti di umani in quel momento. I Cavalieri dell’Ala erano coloro che “combattevano per il bene”, schierati apertamente con gli Angeli, mentre i Guerrieri dell’Abisso erano quegli umani che si erano alleati ai Demoni nonostante nella storia umana i Demoni si erano macchiati di numerosi crimini nei loro confronti, semplicemente perché più numerosi e tendenzialmente la fazione più forte. Il Corpo Armato stava nel mezzo, non schierato con nessuna delle due fazioni, affermavano di “combattere per l’umanità”.

Luxor li ammirava e disprezzava allo stesso tempo, apprezzando l’ambizione umana che non consentiva loro di lasciarsi trasportare dagli eventi alleandosi con Demoni o Angeli e li disprezzava perché avevano scelto di “tradire” la propria umanità rispecchiandosi maggiormente in una delle due razze. A conti fatti, tra i tre gruppi, il Corpo Armato era il suo preferito poiché aveva mantenuto la sua identità e ambiva a vivere rimanendo fedele a essa, al suo essere un’organizzazione di umani. Ironico, invece, era che doveva considerarli nemici al pari dei Cavalieri dell’Ala e degli Angeli.

«Il nero è un bel colore» commentò aprendo gli occhi e osservando le nuvole che andavano a coprire il cielo. Quella notte si preannunciava tempestosa. Si alzò, dispiegando le ali piumate nere come il carbone. «È il colore dell’ambizione.» Si voltò senza mostrare la minima sorpresa. «Non sei d’accordo, Orion?»

«Sfortunatamente non ho tempo per parlare di filosofia con te, Luxor.» Il Demone che gli era apparso davanti lo sovrastava fisicamente sia per prestanza muscolare sia per altezza, eppure agli occhi di Luxor appariva incredibilmente piccolo. Anche Orion doveva sentirsi così, davanti a lui, a giudicare dallo sguardo colmo di rispetto che gli stava riservando. In quegli occhi, però, Luxor lesse anche rammarico e rancore, come del resto accadeva sempre ai loro incontri. Orion era stato per un brevissimo tempo il diretto superiore del Demoni dai capelli corvini, ma Luxor gli si era dimostrato superiore sin da subito sorpassandolo e suscitando un sentimento vendicativo nei confronti dell’altro. La cosa non gli dispiaceva, significava che Orion era pieno di quell’ambizione che tanto gli piaceva. «Sembra che gli Angeli si preparino a un offensiva, ma la tua presenza potrebbe farli desistere.»

«Oppure ci concederebbe una rapida vittoria.» Luxor si alzò in volo, seguito da Orion. Raggiunsero così rapidamente una quota non visibile da terra che sarebbe stato impossibile anche solo accorgersi della loro presenza in cielo, nonostante Luxor non si rese conto che l’alta velocità aveva fatto staccare una piuma dalle sue ali, che stava passando davanti agli occhi azzurri di una ragazza dentro l’edificio della scuola. «Andiamo, mi spiegherai i dettagli lungo la strada.»

 

Gli piaceva il bianco. Nonostante riflettesse tutti i colori era in grado di esistere, generoso oltre ogni immaginazione. Dwight si sentiva proprio come quel colore da lui tanto apprezzato, altruista e generoso, forse ancor più dei suoi simili, forse anche troppo.

Da sempre gli Angeli erano visti dagli umani come entità benevole, che li aiutavano nei momenti di difficoltà e, dato che in passato era davvero successo, la cosa non gli dispiaceva. Tale nomea aveva permesso agli Angeli di essere accettati meglio dei Demoni nonostante alcuni umani per paura dell’altra razza avevano deciso di servirli.

«A volte mi chiedo se sia stato un bene o un male per gli umani apprendere della nostra esistenza» commentò rivolgendosi all’Angelo che gli stava di fianco in quel tranquillo primo pomeriggio. Le guerre tra Angeli e Demoni, considerando l’immortalità di entrambe le razze al trascorrere del tempo, erano decisamente più lunghe di quelle tra umani ed entrambi gli schieramenti avevano concetti di vita e di morte ben diversi. Spesso, quindi, capitavano anche tregue lunghe diversi anni, tanto che un umano avrebbe potuto considerarla una vera pace anche se era temporanea.

«È inutile continuare a pensarci, ormai quel che è fatto è fatto.» L’Angelo che aveva parlato, una ragazza piuttosto minuta, volse lo sguardo al cielo. «L’unica cosa che possiamo fare è continuare a combattere per difendere questo mondo dai Demoni, come sempre abbiamo fatto.»

«Eppure i Guerrieri dell’Abisso sono umani, ma li combattiamo.» Dwight non sapeva come comportarsi in tale circostanza. Le sue mani erano già sporche del sangue degli umani appartenenti a quello schieramento e in altre circostanze si era ritrovato a battersi con il Corpo Armato, il cui unico scopo sembrava la mera sopravvivenza senza appoggiare le due fazioni.

«Sono traditori cui il cuore è stato corrotto dai Demoni» fu la lapidaria risposta che ricevette. «Dubito possano ancora essere considerati umani.»

«Credo tu sia troppo severa con loro, Camie. Nella loro posizione, anche io avrei faticato a prendere una posizione.» Dwight prese un sasso da terrà, facendoselo rigirare tra le dita distrattamente. Per fortuna fisicamente Angeli, Demoni e umani si somigliavano, così erano liberi di camminare per le città e mescolarsi agli ultimi senza che questi se ne accorgessero; solo Demoni e umani particolari sembravano in grado di notare le differenze e la loro essenza angelica.

«Sono oggettiva. A questo punto potevano rimanere con il Corpo Armato e non schierarsi, sarebbe stato meglio per tutti.» Camie sembrava irremovibile.

Dwight sospirò. «In un certo senso noi, Demoni e umani siamo più simili di quanto possiamo credere. Forse abbiamo le nostre convinzioni, ma le linee di pensiero sono tutte differenti da individuo a individuo.»

«Solo in questo possiamo definirci veramente simili» commentò Camie.

Dwight lanciò il sasso tra le fronde dell’albero che aveva davanti, rendendosi conto solo in quel momento che stava passando un gruppo di ragazzini di una scuola locale e maledicendosi dopo essere stato apostrofato “idiota” da Camie che aveva già dispiegato le ali alzandosi in volo. L’Angelo la imitò affrettandosi per non essere visto, senza però rendersi conto che una singola piuma bianca gli si era staccata, planando dolcemente vicino l’albero colpito e sotto gli occhi verdi di una ragazza.

   
 
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