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Autore: Koa__    11/04/2020    2 recensioni
Questa raccolta conterrà storie più o meno brevi, incentrate sulla coppia John Watson e Sherlock Holmes e (anche, ma non soltanto) sul loro ruolo di genitori.
La storia: "La geniale imperfezione di Sherlock Holmes" partecipa al contest "Tante navi per una palma" indetto da GiuniaPalma sul forum di EFP.
Alcune di queste storie partecipano alle Challenge dei gruppi: "Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart" e "Aspettando Sherlock 5".
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note introduttive: In questo periodo sto facendo ordine ovunque, è un mio modo di gestire certe situazioni emotive, ma fatto sta che ho trovato questa nella mia chiavetta. Questa storia è vecchissima, la scrissi di getto e doveva essere tipo… il 2015? È ambientata in epoca vittoriana, come il canone, ma è un AU nel vero senso della parola. John è un ex soldato (Ma non un dottore) e Sherlock un aristocratico, allontanatosi dalla propria famiglia.
 
 




 
 
 
La Stoltezza del Soldato
 




 
 
 
 
Ci sono notti, notti come questa, in cui non dormo e durate le quali mi perdo in contemplazione del soffitto nonché dello scorcio di cielo stellato che si riesce ad ammirare da Regent’s Park. Ci sono momenti in cui non ho bisogno d’altro, se non di sentire il respiro spezzarsi nel gelo dell’alba. Il battito del mio cuore che galoppa sotto il ritmo sempre più accelerato dei miei passi. Ci sono sonni che non vengono e sogni dalle spaventevoli forme confuse. E poi risvegli bruschi, sudore che cola dalla fronte e pupille dilatate dal terrore. Non sono i ricordi della guerra, a tormentare i miei squarci di sereno. Non più, oramai. Loro sono svaniti da quando t’ho incontrato. Oggi sono ben differenti e di ben altra importanza.


Io ho visto la morte da vicino, so che consistenza ha. Ne conosco l’odore e persino il sapore e lo ricordo ancora adesso: sapeva di sangue, sudore e sabbia. L’ho guardata negli occhi, la fine e affrontata con quella che tuo fratello definirebbe: la stoltezza del soldato. Ma non ne ho paura, almeno non più. Quel che temo, al di là di ogni sensatezza, al di sopra di logica e ragione, è di perderti, Sherlock. Ho paura di commettere un errore, un qualcosa che t’allontani o che tu un giorno possa stancarti di me. So che tu credi sia ridicolo ma io sono certo che la realtà, la mia realtà, sia molto meno paradisiaca della tua. Tu possiedi l’enorme difetto di non comprendere chi tu sia veramente o di quale effetto tu abbia sugli altri. Sei eccessivo e neppure te ne rendi conto. Sei così tanto, così troppo! Così brillante, straordinario. Così fantastico! E non capisco davvero cosa tu abbia trovato d’interessante in un uomo semplice, banale e ordinario come me. Con tutta l’onestà di cui sono capace, corretto è dire che nulla ci accomuna e no, non si tratta di banali sfumature caratteriali, ideologie diverse o maniere opposte di concepire l’esistenza in questa società inglese che tu, seppur nobile, detesti con tutto te stesso. Al contrario, i miei timori nascono altrove. Su tutto, da ciò che siamo. Da quelle radici che con determinazione ti ostini a negare d’avere e sì, mi riferisco alla tua famiglia, Sherlock. Una casata che, nonostante i tuoi sforzi, è colei che t’ha formato. È la tua origine e ciò che ancora adesso ti pretende. Quel che un giorno ti porterà via da me. Sono conscio del fatto che detesti la tua nobiltà, oltre che a quel titolo che con tanta foga t’ostini a nascondere ogni volta qualcuno ne fa cenno, ma è ciò che sei. Ed è chiaro quanto il sole che splende nel cielo, che non sei un uomo comune. Sei e resti un nobile, un uomo il cui titolo viene prima d’ogni altra cosa. Nonostante i tuoi lodevoli sforzi di non dargli alcun peso rimani figlio di una nobile e antica famiglia.


Cosa ci accomuna?


Me lo domando ogni volta che ti concedi a me, in notti come questa. Me lo chiedo mentre ti accarezzo e intanto serro le palpebre, appena un poco convinto di non meritarti. La risposta ai miei tormenti arriva al primo mattino, quando scorgo i tuoi lineamenti far capolino dalle lenzuola sfatte. Non c’è sensatezza nel nostro stare insieme. Nulla ci accomuna se non questa passione travolgente e un nostro sfacciato amarci così tanto evidente che, a sol nasconderlo, pare ridicolo. Venerarsi non basta. I sogni di una vita futura da vivere insieme resteranno tali. E lo sappiamo entrambi. L’idilliaco presente che ci siamo costruiti un giorno non sarà sufficiente e ci si sgretolerà ogni felicità tra le mani. D’altronde, chi sono io? John Hamish Watson, un reduce zoppo che con ostinazione tiene ancora alla propria divisa, ma che non ha una famiglia e che senza quella stanza in cima alle scale, là al 221b di Baker Street o questo nostro strano lavoro, farebbe la fame. Prima di te non ero nessuno e tale resterò anche dopo che mi avrai lasciato. Perché avverrà, io lo so. Io ne sono certo e, che io sia dannato, se a oggi non ritenga quel giorno come l’ultimo della mia vita. Visto? La mano mi trema al sol figurarmi la porta che si chiude dietro il tuo portamento imperioso, mentre già alcune lacrime mi velano lo sguardo. Non voglio vederti andar via ma in un futuro avverrà, forse domani o magari tra un anno e io non potrò fare nulla per trattenerti. Sappi, però, che io finirò con te e che cesserò di essere quel che tu hai pazientemente formato nell’esatto istante in cui ti vedrò salire sulla carrozza, diretto lontano dalla mia vita. D’altra parte chi sono io, Sherlock e che cosa posso offrirti? A te? A un Holmes? Hai un’intelligenza che spaventa gli sciocchi, una sfacciataggine che fa inorridire gli ottusi ben pensanti di palazzo. Possiedi una bellezza che farebbe sfigurare la più splendida delle principesse e una compostezza da far impallidire una regina. Hai una parvenza di gelo nello sguardo che ridurrebbe il peggiore dei criminali a carne molla tremolante, un’oscurità che in pochi conoscono e che farebbe rabbrividire il demonio in persona. Eppure sei divino e angelico, al pari del più splendente dei serafini. Non avrei dovuto innamorami di te, ma e che io sia maledetto, è stato inevitabile. E anche se ci separeranno o se la tua ostentata libertà intellettuale non sarà sufficiente, io benedico il giorno in cui t’ho incontrato.


Ti amo, Sherlock Holmes.


Ti amo veramente. Ti amo pazzamente, come un marinaio ch’è stato incantato da una sirena e ora ne è schiavo. Ti amo profondamente e al punto da non pentirmi di nulla. Al punto d’uccidere. O di morire. Tanto da lasciarti andar via, un giorno, se mai me lo chiederai. E ho così paura che questo succeda, da ritrovarmi a scribacchiare alle tre di una notte gelida, io seduto su di una panchina del Regent’s Park, vergando parole che mai avrò il coraggio di pronunciare ad alta voce.


Vedi? La mano trema di nuovo, accade nel momento in cui capisco che non hai atteso il mattino e che mi sei venuto a cercare. Fai sempre così. Mi rincorri con lo sguardo. Mi cerchi. Mi trovi. Mi stani. Mi conquisti con una parola, mi rendi schiavo con un gesto. Già ti scorgo, in lontananza e quasi ho paura. Che ti dirò? Perché sei tu, io lo so. Riconoscerei la tua sagoma tra mille. Con quel ridicolo cappello e una coperta di lana gettata sopra al cappotto, ignorante degli sguardi della poca gente che a malapena noti, incurante di quello che possono pesare di te. O sei così libero, Sherlock. Come puoi esserlo? Come riesci a ignorare la società e i suoi dettami? Sì, sei tu che adesso cammini svelto verso di me. Preoccupato. Ansioso. Drammaticamente teatrale, come tuo solito. Tu, che appena i nostri sguardi s’incrociano, mi sorridi e io, sciocco soldato innamorato, mi ritrovo a fremere. Che tu non abbia ragione? E che non valga la pena di lottare come un leone? Non ne ho idea. So solo che quando mi sei vicino, le paure scemano e…
 
 

 
*


 

 
«Di notte in un parco, Watson? Davvero? A scrivere poi? E non dirmi che sei uscito di casa con questo freddo per una di quelle tue ridicole storielle da dare allo Strand Magazine. Almeno spero tu mi abbia menzionato o che mi abbia conferito l’importanza che merito.»
«No, non è un nuovo racconto. Sono solo… sciocchezze. Sono solo sciocchezze.»
 
 
 



 
Fine
 
Note: Un ringraziamento a tutti coloro che hanno letto e recensito tutti i capitoli di questa raccolta. Come vedete è molto eterogenea, è più che altro un posto in cui ficcare dentro di tutto. Tipo il panino che ti fai alle nove e mezza la sera perché hai un fame immonda, ecco.
Koa
   
 
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