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Autore: Doux_Ange    12/04/2020    1 recensioni
Viste le numerose incongruenze della dodicesima stagione (particolarmente negli ultimi tre episodi), insieme al disastroso finale, io e la mia partner in crime Martina abbiamo pensavo di sviluppare quella che, secondo noi, avrebbe potuto essere l'edizione numero dodici della celebre fiction.
Speriamo vi piaccia!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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RICORDATI DI SANTIFICARE LE FESTE
 
 
Marco’s pov
 
“Ma che...?”
Il cellulare di Anna che squilla ancora prima della sveglia ci fa sobbalzare.
Non sono nemmeno le 8 del mattino, e lei non dovrebbe essere di turno, oggi.
Da qualche giorno, le cose tra noi sono tornate alla normalità, e io avevo fatto presto a recuperare la mia roba da Cecchini e trasferirmi di nuovo a casa nostra, mia e di Anna.
Abbiamo ancora un po’ di scatoloni in giro da sistemare, ma piano piano ce la faremo.
Certo, saremmo più veloci se non ci distraessimo facilmente, per recuperare il tempo perso, quasi fossero passati anni invece di pochi giorni separati, ma poco importa.
In ogni caso, stamattina volevamo prendercela un po’ comoda e poi terminare di organizzare tutto, per questo eravamo ancora a letto, a dormire abbracciati.
Il fatto è che Pasqua sta arrivando e vorremmo concludere il trasferimento prima di quella data, così da poter ospitare Chiara mentre Elisa, la madre di Anna, si appoggerà dal maresciallo. Gli hotel sono strapieni, per cui ci saremmo adattati tutti.
Solo che, evidentemente, qualcuno ha deciso che non è arrivato il momento di terminare ‘i lavori’, perché la chiamata arriva dalla caserma: a quanto pare, c’è stata un’aggressione presso un’area di servizio appena fuori Spoleto.
Anna si alza in fretta, correndo a prepararsi per poi raggiungere Cecchini e gli altri e recarsi sul posto.
Visto che comunque ormai sono sveglio anche io, senza Anna non ha senso restare a letto, per cui mi alzo e mi preparo, per aspettare lei e Cecchini direttamente in caserma, dopo aver avvisato anche Sara del nuovo caso.
 
Anna’s pov
 
La suoneria del mio cellulare mi ha letteralmente buttata giù dal letto.
Peccato, perché avrei voluto restare tra le braccia di Marco ancora un po’, ma il lavoro è lavoro, e un Capitano dei Carabinieri non si sottrae mai al suo dovere.
E Marco questo lo sa bene, che nonostante io abbia rifiutato l’incarico in Pakistan, la mia divisa avrà spesso la precedenza nella mia vita.
Ma mi ama anche per questo, no?
E allora, se la ama, non le chieda di cambiare... perché non è niente male.
In ogni caso, i nostri piani per la mattinata sono sfumati alla chiamata che ho ricevuto dalla caserma, e dopo un bacio veloce a Marco, sono corsa al lavoro, con Cecchini che mi attendeva sul pianerottolo.
Solo che, quando ci è arrivata la segnalazione dell’aggressione in autogrill, tutto ci saremmo immaginati, tranne la scena che ci si para davanti.
Arrivati sul posto, infatti, una donna bionda attira l’attenzione del maresciallo: è Lia, sua nipote, con i bambini.
Scopriamo allora che la persona aggredita è il Maggiore Tommasi, il genero di Cecchini, in viaggio per Spoleto insieme alla moglie e i figli Martina e Nino jr per fargli una sorpresa per Pasqua, visto che Assuntina non riesce a rientrare da Parigi.
Cecchini, naturalmente, è preoccupato. Lia sale sull’ambulanza insieme al marito, mentre chiede al maresciallo di occuparsi dei bambini. Loro non hanno visto niente, perché si erano fermati proprio per i bimbi che dovevano andare in bagno, e tutto è accaduto durante la loro assenza.
A primo impatto sembrerebbe una rapina finita male, ma bisogna verificare. Il maresciallo è impegnato a cercare di confortare il piccolo Nino, che pensa sia colpa sua. La sorella maggiore, Martina, cerca di tranquillizzarlo a sua volta con un abbraccio.
Intenerita da questa scena, lascio che Cecchini si occupi dei bambini e vada in ospedale per avere notizie su Tommasi, mentre io rientro in caserma.
Il maresciallo mi informa poco dopo che suo genero si è fortunatamente svegliato, anche se ha accennato a un piccolissimo problema: Tommasi, sembra, ha perso la memoria. Sperano non sia niente di permanente, anche se attendono di saperne di più dai medici.
 
Qualche ora dopo, quando Cecchini rientra in ufficio, ci raggiungono anche Marco e Sara.
“Volevo esprimervi la mia solidarietà per l’aggressione al vostro collega, vi sono vicina.” dice lei in tono preoccupato, dopo aver saputo del legame familiare col maresciallo.
“Grazie per la tua vicinanza... la apprezziamo, davvero.” rispondo. “In fondo, ormai anche tu fai parte della grande famiglia della caserma, sei gentile a preoccuparti.”
Lei mi rivolge un sorriso grato.
“Ho saputo che il Capitano si è già ripreso!”
“È un po’ confuso ma ci stiamo lavorando.” è la risposta tesa di Cecchini.
E già, perché Tommasi, per via della botta in testa, è convinto di essere ancora il Capitano di Spoleto, e di essere legato a Bianca Venezia, sua amica di lunga data e PM con la quale ha collaborato per un periodo.
“Ci sono novità sugli aggressori?” mi chiede Marco, cauto, tornando al caso.
“Abbiamo diramato la targa dell’auto rubata.”
“Ma è stato un caso o volevano proprio colpire lui?”
“Gli hanno rubato il portafoglio,” rispondo alla Procuratrice, “probabilmente è solo una rapina finita male. Però, se abbiamo novità vi faremo sapere.”
Lei allora si congeda, accompagnata fuori da Cecchini e Marco, mentre io inizio a fare il punto della situazione per aprire il fascicolo del caso.
 
Anch’io sono preoccupata per Tommasi, sebbene non lo conosca ancora di persona, ma ho sentito parlare molto di lui sia dal maresciallo che da Marco, con cui aveva iniziato a collaborare da poco, prima della sua promozione a Maggiore e il trasferimento a Roma.
Lo avrei dovuto conoscere a breve, comunque, nella rimpatriata che Cecchini stava a tutti i costi cercando di organizzare, non sapendo che il genero sarebbe venuto con tutta la famiglia per le festività pasquali.
Sono contenta per lui, erano mesi che non vedeva i nipotini e gli mancavano molto. È un vero peccato che sia successo questo incidente, ammesso che lo sia.
Ma questo devo scoprirlo io.
Decido di mettere da parte i pensieri, dedicandomi al lavoro.
 
Marco’s pov
 
Sara è appena andata via, chiedendomi di tenerla aggiornata.
Visto il modo in cui ci siamo conosciuti, sono sinceramente stupito del rapporto che si è creato con lei in caserma.
Non mi stupisce invece il fatto che abbia legato con Anna, e anche con Chiara. Sono certamente un trio di amiche ben assortito, con Sara a fare da trait-d’union tra le sorelle Olivieri.
“E quindi? Ora che avete fatto pace, Lei e la Capitana, come va?” mi chiede Cecchini, una volta scesi in piazza.
Mi viene da sorridere. Avrebbe problemi ben più gravi, eppure si preoccupa ancora per noi. So che ci vuole un gran bene, ci considera di famiglia, dei Cecchini anche noi due.
In qualche modo lo siamo anche stati, io e Anna, per lo spettacolo con Carlo Conti a cui avevamo partecipato per fare felice il piccolo Cosimo.
Sono stati giorni molto belli, quelli delle prove.
Quel bacio rubato ad Anna, con la scusa della scena, e noi due che avevamo dovuto ritrarre una famiglia felice con il bambino.
Chissà che quel momento non arrivi davvero, prima o poi...
Sì, all’epoca mi ero dimostrato molto restio all’idea di fare il padre, anche se per finta, ma adesso le cose sono nettamente cambiate. Non mi dispiacerebbe diventarlo davvero, anzi... Me l’immagino già, una piccola Anna o un piccolo me corrermi incontro per farsi prendere in braccio... Assurdo, mi sembra di vederla già ora, ad occhi aperti, una-
No, aspetta, non è un sogno.
C’è davvero una bambina che mi sta correndo incontro.
“Per favore, mi potete aiutare?”
È la piccola Ines, la figlia di Sergio La Cava. È ospite di Don Matteo, mentre il padre è ancora qui a Spoleto a fare chissà cosa.
“Che c’è?” Le chiediamo.
“Mi dovete aiutare!”
“Per cosa?”
“Per mandare in prigione Don Matteo!” Afferma lei, lasciando sia me che il maresciallo basiti. “Abita là, è sempre vestito tutto di nero, con una bicicletta, dice che fa il prete ma io non ci credo, i preti non sono così!”
Non trattengo un sorriso. Hai capito, la piccolina...
“Perché vuoi mandare in carcere Don Matteo?” domanda Cecchini, curioso.
“Perché è cattivo. Ha mandato mia nonna in un posto brutto.”
Mi abbasso sulle ginocchia per stare al suo livello. “Un posto brutto... che posto brutto?”
“Una specie di casa grande, dove ci sono persone tanto vecchie.” mi spiega, imbronciata.
Una casa di cura, probabilmente.
Noto il maresciallo osservare interessato la nostra interazione, con un sorriso eloquente stampato in volto.
So che sta pensando: ne ho fatta di strada, da quel giorno in cui a chiedermi aiuto c’era Cosimo.
Però che carina, questa bimba... molto intraprendente e sicura di sé. “Tu mandi in prigione Don Matteo e poi liberi la mia nonna!” esclama, festosa: ha trovato una soluzione.
“Però non è che funziona proprio così...” le rispondo, col tono più dolce che riesco a trovare.
Lei cambia tattica. “Ti prego, non ho più la mamma, il papà non ce l’ho... Ti prego!”
Mi intenerisce da morire, ma non posso aiutarla come vorrebbe lei...
“Lo so, ma io non so veramente che cosa fare...”
Lei fa una buffa espressione infastidita. “Mia nonna aveva ragione, ‘chi è rosso di capello non è capace di fare niente di bello’.” Mi accusa, lasciandomi senza parole e saltellando via.
Mentre la osservo andar via, ripenso alla scena immaginata poco fa. La piccola Ines mi ricorda qualcuno... qualcuno che ‘odia’ Don Matteo, che è intraprendente, sicura di sé e che vuole sempre trovare soluzioni da sola... la sua versione in miniatura, diciamo. E forse è per questo che mi ha colpito tanto.
A rendere il tutto ancora più familiare, l’immancabile commento di Cecchini.
“Non lo conoscevo ‘sto proverbio... però secondo me è giusto- sbagliato... che c’entrano i capelli...”
La rettifica serve a poco, perché ha dato ragione alla bimba esattamente allo stesso modo in cui dà ragione alla sua versione adulta durante i nostri battibecchi.
Sì, decisamente mi ha ricordato i momenti con qualcuna...
 
Sono le 17.
Sarò sincero, rischio di finire fatto a pezzettini per quello che sto facendo.
Cioè, sto facendo una bella cosa, ma comunicarlo a qualcuna non sarà esattamente una passeggiata. Il mio intento sarà anche nobile, ma sarebbe stato più opportuno avvisarla, credo. Comunque sia, ormai è tardi, la mia fine è già segnata.
Ah già, che sto facendo... Sto aiutando Cecchini a riempire l’appartamento mio e di Anna con la roba di Tommasi. Abbiamo fatto sparire gli scatoloni e le nostre cose (a tal proposito, evidentemente il problema è davvero che ci perdiamo per strada nel sistemare... con lui ci è voluta un’ora scarsa per finire), per sostituirle con quelle di suo genero perché la sua memoria non è ancora tornata, anzi. È convinto di essere ancora Capitano qui a Spoleto e, cosa peggiore, di essere fidanzato con la sua collega PM Bianca Venezia, oltre che a vivere ancora qui in questa casa.
Cecchini, quindi, ha già elaborato un piano tutto suo (e già la vedo male) coinvolgendo naturalmente anche me.
Solo che ci sono giusto un paio di ostacoli in questa faccenda.
Il primo è arrivato: la serratura della porta è appena scattata.
Aiuto.
 
Anna’s pov
 
È stata una giornata lunga al lavoro, e non vedo l’ora di riposarmi un po’.
Ultimamente mi sento più stanca del solito a fine giornata.
Sarà che finalmente sto rilasciando il peso delle preoccupazioni delle scorse settimane, tra la storia del Pakistan, il matrimonio posticipato, mia madre e il maresciallo... adesso che le acque si sono calmate, io mi sto finalmente liberando.
Comunque sia, entro in casa con l’obbiettivo primario di togliere la divisa e fare una lunga doccia rilassante per poi godermi una serata tranquilla con Marco, quando un oggetto cattura la mia attenzione: una foto di Tommasi attaccata al muro, e con quella tanti altri quadri non miei e attrezzi da palestra e boxe che di sicuro io non uso, né tantomeno Marco.
Non ci metto molto a notare l’artefice del trasloco. O meglio, gli artefici.
Perché sono due.
“Posso sapere che state facendo?”
Marco e Cecchini mollano quello che hanno in mano e mi raggiungono in soggiorno, un’aria leggermente colpevole stampata in faccia.
“Ah, finalmente, Signor Capitano, è arrivata...”
Il maresciallo farfuglia qualcosa sull’intenzione di avvisarmi (tra l’altro, Marco si becca una strigliata perché mi aveva detto che la chiamata urgente che aveva ricevuto era per lavoro), per poi spiegare, “Ehh... ci siamo portati avanti col lavoro, mi sono permesso di iniziare, sapendo che pure Lei c’ha un cuore grande... Siccome oggi il Capitano Tommasi è stato dimesso dall’ospedale, e...”
“... E Lei lo vuole mettere a casa nostra.”
Trattengo malamente il nervosismo. Le adulazioni con me non funzionano, lui lo sa, ma il vizio non se l’è tolto. Con molta esitazione, ammette che ho ragione.
“... Sì. Allora, che succede... che lui è convinto che questa sia casa sua! E allora come si fa? Si tratta soltanto di due giorni... Siccome lui a suo tempo aveva prenotato l’albergo qua a Spoleto, il PQ Hotel... Ci andate voi! Si può fare...?”
Se da un lato vorrei strozzarlo, perché ci ha praticamente sfrattati da casa senza chiedere, dall’altro mi ha fatto capitolare all’istante.
“... Lei farebbe di tutto per il suo Capitano.” mormoro, avvicinandomi ai due.
Marco nota immediatamente il mio cambio d’umore, accarezzandomi con dolcezza la schiena mentre io appoggio la testa contro la sua spalla.
So che Cecchini ha le migliori intenzioni, con Tommasi. È suo genero, in fondo, ed è normale che voglia aiutarlo. Di più, per Tommasi, Cecchini è praticamente un padre, come ormai lo è per me e per Marco, e so che farebbe davvero qualunque cosa per chi ama. Nessuno meglio di noi lo sa, lo abbiamo visto in questi due anni.
Anzi, fin da quella mattina in piazza, quando aveva affermato che il PM mi sarebbe piaciuto di sicuro. Ci aveva presi sotto la sua ala protettrice, e nonostante i suoi goffi tentativi di aiutarci, spesso falliti, in qualche modo ci aveva sempre riportati uno tra le braccia dell’altra.
“Sì, e farei di tutto pure per voi due, sempre.” afferma infatti, in tono sincero.
Ma lo so, non c’è bisogno che lo ribadisca, perché lo ha già fatto anche per noi.
Perché nei due anni che sono passati, mentre io e Marco eravamo convinti di occuparci di lui, di dover fare del nostro meglio per aiutarlo a superare la depressione subentrata dopo la morte di Caterina, in parte era lui che si occupava di noi. Col suo continuo impicciarsi, il volersi assicurare che le cose tra noi andassero bene... Perché se noi stavamo bene, anche per lui sarebbe stato tutto a posto.
Il Maresciallo è così, generoso... a volte anche troppo.
Ma è proprio questa la sua qualità migliore.
“Va bene, per questa volta fingiamo di fare i turisti e andiamo in hotel,” commento soltanto, con Marco che si mette a ridacchiare.
Mi rincuora vedere il maresciallo tornare a sorridere per l’appoggio.
“Grazie, grazie veramente... Patatino, divertiti questi tre giorni!” gli dice, mentre il cane lo osserva, curioso.
Aspetta un attimo...
“Aveva detto due!”
Lui cerca di riprendersi. “Ho sbagliato... Due, due sono, Patatino...!” conclude in fretta, dileguandosi oltre la porta.
Sospiro pesantemente.
Due giorni... i primi, mi sa.
Ma per lui, questo e altro.
Dopo aver rifilato un colpetto a Marco, che non la smette più di ridere adesso che Cecchini è andato via, prendiamo cane e valigie, recandoci poi in albergo, dove scopro che il maresciallo aveva già provveduto a informare del cambio per le camere e i nominativi.
Ci affrettiamo a prepararci, per poi tornare a casa Cecchini per la cena che lui ha organizzato per riaccogliere Tommasi.
 
Sono in cucina a dare una mano a Lia per gli ultimi dettagli della cena che lei ha preparato. Fino a qualche istante fa c’era anche Marco con noi, ma adesso si è spostato in salotto a parlare con gli altri.
Da qui, noto Cecchini spiegare con pazienza ai nipoti come comportarsi quando arriverà il loro papà. Col piccolo Nino è più facile fargli credere che sia un gioco, mentre Martina, più grande, sembra aver intuito parte della storia. Con l’intervento di Lia, comunque, anche lei accetta di fingere di non conoscerlo per un po’.
Che situazione surreale.
 
Marco’s pov
 
Io e Anna siamo stati invitati a casa Cecchini, per la cena con Tommasi, dimesso oggi dall’ospedale. Ci sono anche Ghisoni, Barba e Zappavigna, naturalmente con Lia e i bambini.
Mentre attendiamo il rientro del Capitano, non posso fare a meno di pensare a Lia, a come si senta. Suo marito non solo non si ricorda minimamente di lei, ma peggio, è convinto di stare con un’altra.
La situazione ha del surreale.
Io e Anna ne abbiamo parlato... non sarà facile, ma faremo il possibile per aiutare il maresciallo e la sua famiglia in questa situazione.
I miei pensieri sono interrotti dall’arrivo di Tommasi, che ci saluta tutti. Il Maresciallo ci ripresenta, come se non ci conoscessimo, ma è comprensibile: ha rimosso gli eventi degli ultimi quattro anni e mezzo dalla memoria, non può certo ricordarsi di quei pochi mesi in cui avevamo lavorato insieme dopo il mio arrivo a Spoleto per sostituire la mia collega Lucrezia Volpi.
Mi ricordo bene il nostro primo incontro.
Mi è sembrato subito un Carabiniere molto professionale e in gamba, meticoloso, molto attento ai dettagli. Ma anche un ottimo padre e un buon marito.
Eravamo diventati amici, per quanto si possa legare in pochi mesi, e avevo scoperto una persona con cui sarei andato molto d’accordo.
Un uomo tutto caserma e famiglia.
Mi viene quasi da ridere: dev’essere un tratto distintivo dei Capitani, questo.
Certo, quell’incontro non assomiglia minimamente a quello avuto con un altro Capitano...
Lì erano state scintille.
A tal proposito, Cecchini chiama Anna, che ci raggiunge, presentandola a Tommasi soltanto come la mia fidanzata, omettendo il fatto che sia anche un Capitano dei Carabinieri. Vorrei capire come faremo ad ovviare al tutto, ma non è il momento di pensarci, ora.
Cecchini ci ha detto che bisogna assecondare Tommasi in tutto per adesso, secondo le direttive del medico, ed ecco perché mi sono ritrovato ad assicurargli di conoscere la sua ‘fidanzata’ Bianca Venezia. Questo nome non mi è nuovo, forse ci siamo incrociati in tribunale qualche volta, oppure è per via dei racconti del Maresciallo, non sempre troppo positivi nei suoi riguardi.
La cena scorre abbastanza tranquillamente.
Oddio, più o meno, visto che il piccolo Nino soprattutto enfatizza un po’ troppo il giochino del ‘non conoscere’, e Tommasi non fa che sottolineare quanto ami Bianca.
La cena ha un brutto risvolto quando Tommasi propone un brindisi a Bianca, e Lia si alza, offesa, con la scusa di dover mettere i bimbi a letto.
La capisco... è terribile vedere la persona che ami affermare di essere innamorata di un’altra. Fa male, malissimo, ma spero che nel suo caso tutto possa risolversi presto. Lui ha solo perso momentaneamente la memoria, Federica all’epoca no, era pienamente consapevole. Con lei sono stato sfortunato. E dall’amore, ero passato velocemente ad odiarla.
Ma ogni caso è a sé.
Spero comunque che le cose si sistemino presto, per loro, ma anche per Cecchini.
Si vede che è molto preoccupato, anche se non lo dà a vedere, e non si darà pace finché non avrà posto rimedio alla cosa.
Quel pazzo ha un cuore grande quanto una casa. Una casa enorme, in cui ci abitano tutti i commensali di stasera.
Cecchini, comunque, ha incitato tutti ad andar via quando la situazione è sfuggita di mano, così io e Anna stiamo tornando in hotel, e stiamo commentando quanto successo.
Anche noi siamo preoccupati, soprattutto per il maresciallo.
È una roccia, ma la circostanza è delicata e da solo non reggerà a lungo il peso di questo fardello.
La nostra conversazione viene interrotta dallo squillo del cellulare della mia fidanzata.
Non è così tardi, ma a quest’ora, solitamente, se è la caserma come in questo caso, le notizie non sono mai positive.
Infatti, una ragazza è stata aggredita.
Anna si affretta a mandare immediatamente i suoi uomini per il sopralluogo.
Una volta in hotel, lei si cambia in fretta per raggiungerli, da sola e soltanto perché insiste che io non la accompagni come volevo fare.
Ma in effetti, non le sarei di grande aiuto in questa fase delle indagini.
 
Anna’s pov
 
 
È stata una lunga notte di lavoro.
Sono rientrata in hotel che erano quasi le quattro del mattino per riposarmi un paio d’ore prima di tornare in caserma.
Solo che è stato Marco a dovermi svegliare, poco prima delle 8. Ho dormito più di quanto avrei dovuto, ma Marco evidentemente ha capito che ero stanca, oltre che nervosa.
Pensavo fosse dovuto alla perdita di sonno, invece quando entro in ufficio, più che calmarmi, mi ritrovo sul piede di guerra.
“Che cosa ci fa lui qui?” Chiedo, furiosa, quando noto Tommasi gironzolare indisturbato oltre la vetrata. Già, perché è convinto di essere ancora il Capitano dei Carabinieri di Spoleto, ma magari fosse solo quello... oltre casa, si è preso pure il mio ufficio!
Giuro, mi sento più infuriata di quella volta che ci trovai qualcuno in mutande.
Veramente era vestito col completino per la partita di calcetto...
Zitta, vocina, non è il momento di contraddirmi!
Okay, okay, mi eclisso.
“Maresciallo, io posso capire la malattia, posso capire che devo dormire in albergo... però il lavoro no.”
Aspe’, però, Anna, respira. Che qua la pressione sale. Stai calma.
Lui fa spallucce, sconsolato. “C’ha ragione, però... gli parlo io, magari a me mi sta a sentire...” mi dice, ma io temo anche questo.
Perché, ieri sera, mi ha presentata solo come la fidanzata di Marco. Ora come glielo spieghiamo, che sono un Capitano e lavoro qui?
Che domande sceme che ti poni, certe volte. Hai Cecchini, davanti. In trenta secondi avrà pronta una scusa più o meno plausibile. Dagli corda, per una volta, su!
Tommasi esce, raggiungendoci. “Cecchini! Buongiorno Maresciallo! Mi scusi, ma... tutti i miei quadri, la mie foto, non ci sono più!” esclama, ignorandomi deliberatamente.
“Stiamo cercando di rimettere, diciamo, meglio...”
“E poi scusi, la divisa... io l’ho cercata a casa ma non la trovo!”
“L’ho portata in lavanderia io perché c’aveva una macchiettina...”
Io osservo lo scambio senza fiatare, tentando di restare calma.
“Mi sembra strano... Comunque pensiamo al lavoro, perché Ghisoni mi ha avvisato dell’aggressione. L’indiziata dov’è?”
L’occhiataccia a Ghisoni non gliela leva nessuno, così come qualche altro giorno di consegna. Inutile che si mangi le mani adesso. Ma che cavolo! Cos’è, si è già scordato chi è il Capitano, qui?
“L’indiziata è giù, sta salendo, diciamo... però, Lei, io la vedo più bianco... è meglio che si riposa, dopo tutto quello che Le è successo...”
“Quale riposo? Qua non c’è tempo di riposarsi! Io sono stato rapinato, è stata aggredita una ragazza, qui a Spoleto la situazione sta degenerando!”
Cosa?!
No, questo no. Va bene tutto, assecondarlo e quant’altro, ma questo non glielo faccio dire. Anzi! Semmai, molte cose io le ho sistemate!
“No, mi scusi, se permette... la situazione a Spoleto è perfettamente sotto controllo...!”
Lui si volta finalmente a guardarmi, come se fino ad ora non mi avesse nemmeno notata.
“Prego? Lei non è la fidanzata del Dottor Nardi?”
“Sì, infatti... ma sono anche-”
Cecchini si affretta a intromettersi, beccandosi una mia occhiata di sbieco, inventando una scusa. “Praticamente quando Lei è stato male, hanno mandato la sostituta... Conosce il caso alla lettera, sa tutti i dettagli, i particolari, però...” - tremo - “non ha l’esperienza che c’ha Lei! Una grande esperienza che a Lei farebbe comodo...! Quindi io farei ‘na cosa... L’interrogatorio lo fa Lei, e Lei invece supervisiona dall’alto!”
Non ho parole.
“Che faccio io, scusi?” fa l’altro, interdetto.
Mai quanto me, Maggiore, mai quanto me.
Non mi sembra tanto convinto, visto che avremmo potuto dirgli del mio ruolo anche ieri, senza contare il fatto che non avrebbe senso, che io viva a Spoleto ma lavori da tutt’altra parte. Non regge nemmeno la scusa che io stia con Marco.
Cecchini non demorde.
“Supervisiona, fa la supervisione dall’alto... giusto? Potrebbe essere una soluzione...”
“Va bene, sì, per il momento può rimanere. Venga, si accomodi.”
Perfetto, adesso vengo pure invitata ad accomodarmi nel mio ufficio.
Fantastico.
Santa pazienza... io ne ho tanta, di solito, ma qua mi sembra non basti affatto.
Mi ritrovo più nervosa che mai, oltre che stanca, ma ho dormito poco e male, per cui questa pressione addosso non mi aiuta di certo. Perché sentire darmi dell’inesperta, seppur indirettamente, mi manda su tutte le furie.
Come ha potuto il maresciallo dire una cosa del genere? Io posso capire e accettare tutto, ma-
Oddio, tutto non mi pare.
Non mi va che mettano in dubbio le mie capacità, soprattutto per uno che non mi conosce affatto.
Va bene, questo è vero, però ora calmati che se no ti prende un colpo.
 
Arriva finalmente l’indiziata.
Almeno posso ancora sedermi al mio posto, per ora.
Inizio l’interrogatorio.
“In che rappor-”
“Maresciallo, io questa pianta non la voglio,” mi interrompe bruscamente Tommasi. “La porti via, la porti via... No, anzi, la metta lì...”
Io osservo Cecchini fare avanti e indietro, incredula.
Ma dove siamo, all’asilo?
“Abbiamo finito?” Faccio a un certo punto, seccata.
“Ho sistemato la pianta... lì.”
“Ho visto...”
“Continui, continui...” concede Tommasi, finalmente. Mi trattengo dallo scuotere la testa. Ma che modo è?
“Scusi... in che rapporti è con sua figlia?”
“Ultimamente non buoni.”
“Perché?”
Lei fa un sorrisetto ironico. “Eh, sarà capitato anche a Lei di discutere con sua madre senza un motivo preciso, no?”
Abbasso lo sguardo, infastidita. “No, mia madre me ne dà tanti, di motivi... e anche ben precisi.” commento, con un’occhiataccia a Cecchini.
Perché, come dicevo, non mi bastano i miei pensieri, pure i biscottini non mi danno tregua.
“Le dica di non farsi coinvolgere dai casi...” sento mormorare Tommasi, e stavolta mi devo impegnare sul serio per non saltar su.
“Non ho sentito niente...” biascica Cecchini nel tentativo di ignorarlo, senza successo.
“... Sul lavoro, le cose personali... è un pochettino acerba...”
Acerba? Io?!
“Aehm, come?!”
“... Un pochettino acerba...” borbotta il Maresciallo senza guardarmi, ma io non demordo.
“Non ho capito...!”
“Continui!”
Grazie, Tommasi, veramente!
Riprendo, e vediamo se la possiamo concludere.
“... Dicevo, dov’era ieri pomeriggio?”
“In hotel, al lavoro, come sempre.”
“E ha incontrato sua figlia?”
“Sì.”
“A che ora?”
“Alle quattro, più o meno.”
“Glielo dico io...”
Mi lancio nella spiegazione di come secondo me potrebbero essere andate le cose, quando Agata fa uno strano commento su cui non possiamo indagare per via dell’arrivo di De Seta, che se la porta via.
 
Tommasi cammina fin davanti alla scrivania, un’espressione di sufficienza sul volto.
“Benino, benino... certo, Lei ha ancora tanto da imparare, se lo faccia dire.”
Ovvio, ma non è che la sua uscita sulla pianta sia stata più professionale...
“Sicuro...” mormoro, evitando di guardarlo per non fare o dire cose che non vorrei.
“Se la cavicchia... 6... 6 e lode?” mi corre in aiuto Cecchini, con Tommasi che lo guarda come a dire ‘ma non più di così’.
“Scusi, ma adesso io e il Maresciallo dobbiamo continuare a lavorare. Può andare, grazie.”
“Assecondiamolo, assecondiamolo...” borbotta il Maresciallo alla mia esitazione. Io mi affretto a uscire, non prima di aver sbattuto la matita sul tavolo, rabbiosa.
Sarà l’ennesima che spezzo, in questi giorni.
Per la prima volta nella mia carriera, non riesco a sedare la rabbia.
E nemmeno la gelosia.
Sì, sono gelosa!
Va bene assecondare Tommasi, va bene aiutarlo per l’amnesia, ma il resto non posso accettarlo.
Non che tutti continuino a considerarlo superiore a me, Cecchini e Ghisoni in primis. Formalmente lo è, è un Maggiore, ma non significa che sia obbiettivamente più capace.
Sono arrabbiata anche col Maresciallo, adesso, perché lui ha detto di voler aiutare anche me, ma così fa tutto il contrario! Capisco che sia suo genero e che lo dobbiamo assecondare, ma lui è un mio sottoposto, e sono io il Capitano qui a Spoleto!
Poi tutta quella storia che per lui sono come una figlia, e non ha preso le mie parti nemmeno un pochino, per una questione che lui sa essere assolutamente obbiettiva!
Come se non bastasse, Tommasi pretende di voler dirigere la caserma al mio posto, limitando ogni mia mossa.
E poi, va bene la memoria persa, ma ‘benino’? ‘Acerba’?
Ci sono rimasta veramente male. Mi sono sentita offesa come poche altre volte.
Ancora peggio quando ha detto che mi lascio coinvolgere dai casi, per un semplice commento empatico!
A quelle parole mi sono arrabbiata davvero.
Va bene che è un mio superiore, ma in questo momento è convinto di avere il mio stesso grado, solo con qualche anno in più. Soprattutto, nemmeno mi conosce e si permette di sputare sentenze.
Come qualcun altro aveva fatto prima di lui, del resto...
‘Lei si lascia commuovere... Prima o poi Le passerà.’
Sorrido al pensiero di quella mattina.
Lui si era ricreduto subito, però.
Non ti ci mettere anche tu, per favore. Io non mi lascio condizionare, faccio solo il mio lavoro.
Non ti conosco da molto, ma non ho mai pensato il contrario.
Niente, nemmeno ricordare le parole di Marco riesce a calmarmi, tutt’altro.
 
Scendo in strada per tornare in hotel, visto che in caserma non sono la benvenuta, quando Marco mi viene incontro.
“Ehi... sto andando in tribunale. Come mai qui giù?” mi chiede in tono preoccupato, notando probabilmente la mia espressione furiosa.
“Lasciamo stare, guarda, non è aria!” sbotto, prendendomela anche con lui.
Lui mi rivolge uno sguardo incerto. “... è successo qualcosa col maresciallo?”
“Marco, lascia stare. Anzi, è meglio che io me ne stia un po’ da sola, se no rischio di far danni!” lo metto in guardia, inviperita.
Lui alza le mani, e io faccio per andar via, ma vengo fermata da Spartaco, che mi blocca.
“Capitano, proprio Lei cercavo! M’hanno rubato il motorino!”
Non nascondo il mio fastidio.
“Guardi, perché non va dal Capitano Tommasi, che a quanto pare è più bravo di me...?” rispondo, astiosa.
Lui ignora il mio commento. “Io tanto so chi è stato, da quando c’è lui sono aumentati i furti.”
“Lui chi?”
“Sergio La Cava, l’ex carcerato! Se controllate dove vive, saltano fuori tutti i motorini rubati, scommettiamo?”
Approfittiamo della giornata libera, allora.
 
Marco’s pov
 
Mi sto avviando verso il tribunale, passando davanti alla caserma, quando noto Anna uscire dal portone d’ingresso. Mi sembra piuttosto nervosa, così mi avvicino.
No, okay, riformulo: la mia fidanzata è furibonda, e non ha nemmeno voluto dirmi cos’ha, andando via rifiutandosi di parlare.
Beh, in compenso non è arrabbiata per qualcosa che io ho fatto, ma ad occhio e croce, direi che come minimo c’entra Cecchini, ma non escluderei anche lo zampino involontario di Tommasi nella faccenda. Perché non mi stupirebbe scoprire che il Maggiore è tornato al lavoro, alla faccia della convalescenza.
In questo, non è molto diverso da Anna: quando c’è da lavorare non esistono orari né intoppi, il senso del dovere e il peso della divisa che indossano vengono spesso prima di tutto il resto, talvolta perfino prima dell’amore. Ma, se entrambi fossero stati diversi da come sono, non sarebbero arrivati ad essere Maggiore uno e Capitano l’altra. Dopotutto, vale sempre lo stesso assunto: non vale la pena cambiare per gli altri, è meglio rimanere se stessi.
Tornando ad Anna, è probabile che Tommasi abbia scoperto che lavoro faccia, e Cecchini abbia inventato qualcuna delle sue scuse per giustificare il tutto, mandandola su tutte le furie.
Osservo la mia fidanzata parlare qualche istante con Spartaco prima di andarsene.
È evidente che questa situazione le sta mettendo addosso molta pressione, perché sì, vuole aiutare Cecchini, ma è pur sempre di Anna che stiamo parlando: il maresciallo le ha fatto stravolgere vita e abitudini in meno di ventiquattr’ore, e tutti sappiamo che lei è una che vuole avere tutto sotto controllo il più possibile.
Mi ricordo che le prime volte in cui ero stato a casa sua per le lezioni di cucina, avevo notato una lavagnetta in cui aveva scandito un programma giornaliero in base ai suoi impegni.
Adesso la lavagnetta è sparita, anche se Anna cerca sempre di mantenere tutto quanto più in ordine possibile (sì che con me funziona poco e lei lo sa, visto che adoro sconvolgerle i piani, e adesso non si arrabbia nemmeno più). Vorrei darle una mano, ma so che forzarla, in questo momento, peggiorerebbe le cose. Spero solo però che il suo nervosismo si attenui in fretta, non le fa bene questo umore sempre alterato.
Cosa più importante, non voglio che finiamo per litigare anche noi due.
Il mio cellulare mi riporta alla realtà. Sara.
Oh cavolo, sono in ritardo!  
 
Anna’s pov
 
Raggiungo il luogo secondo cui, dalle mie fonti, risulta abitare Sergio al momento: un camper in una strada di campagna appena fuori Spoleto.
Guarda caso, lo trovo intento a fare ‘affari’ con dei motorini.
“ ‘giorno.” mi saluta quando mi vede, la sua espressione che per un attimo tradisce il nervosismo.
Beccato in flagranza di reato, eh?
“Buongiorno.”
“Scusami, non ti do la mano, ché le ho sporche...”
“Figurati... vedo che hai aperto una nuova attività.” commento, sarcastica.
“Sì, in carcere ho imparato ad aggiustare motorini, macchine... mi arrangio.”
“Aggiustare o a rubare?”
Lui fa quel suo solito sorriso strafottente. “Rubare? Ah, che paroloni... Sono accuse gravi, queste qui, Capitano...”
“Per te è tutto un gioco, vero?” gli chiedo, lasciando perdere il giro largo.
“Stai tranquilla, tanto tra qualche giorno me ne vado.”
“E Ines?”
“Cosa? Ines non ha bisogno di me.” afferma, ma non mi convince.
Perché inizio a sospettare che si tratti solo di una maschera, una facciata per nascondere la sua paura. Visto che il suo atteggiamento cambia non appena si nomini la bambina.
Se vuoi mentire, magari impara a farlo bene, Sergio, perché non è che la divisa l’ho vinta con i punti del supermercato, eh. Me la sono guadagnata.
“Tutte le figlie hanno bisogno di un padre.” è la mia risposta, che non sortisce l’effetto che vorrei.
“E allora sono io a non aver bisogno di lei.”
“Eppure sei ancora qui.” ribatto. Può negare quanto vuole, ma lo sguardo non mente.
Non è andato via, e il motivo è questo.
Lui non sa cosa rispondermi per qualche secondo, così cambia argomento.
“... che vuoi? Cosa vuoi? Se sei venuta qui per scoprire se ci sono dei motorini rubati, prego, accomodati... Il resto, non sono affari tuoi!” sbotta, barricandosi dietro un muro difensivo stupido.
Ancora? Guarda che ti sei lanciato tu nel discorso. Per essere uno a cui non importa della figlia, ne parli davvero parecchio.
Capisco comunque che è inutile insistere, e vado via senza replicare.
 
Il suo modo di fare mi innervosisce e basta.
Perché, perché?
Ma chi si crede di essere?
Ci mancava solo la questione di Sergio per il mio nervosismo.
Non capisco perché si ostini a comportarsi così. Io sto solo cercando di farlo ragionare, non gli sto mica chiedendo la luna!
Tutti i bambini hanno bisogno dei propri genitori, e Ines ha soltanto lui.
Conta poco, che lui dica di non importargli, perché so che non è così. Non sarebbe nemmeno venuto a Spoleto, se così fosse.
Sono sempre stata brava a leggere le persone che ho davanti, chi mi conosce lo sa bene.
Sergio non è un santo, certo, ma ciò non toglie che sia il padre di una bambina che ha bisogno di lui, e che ha solo paura di fallire.
E io sono troppo testarda per arrendermi così.
 
Torno in hotel che è abbastanza tardi, perché sono comunque passata dalla caserma a continuare il mio lavoro a ‘fine turno’ di Tommasi. Sono ancora estremamente irritata da tutta la situazione, se non si fosse capito.
Non appena apro la porta della camera scopro che Marco è già arrivato da un pezzo, e c’è un profumino niente male.
“Ehi, bentornata!” mi accoglie lui con un sorriso, venendomi incontro.
Mi stringe in un abbraccio senza che io dica nulla.
Come faccia a sapere sempre ciò di cui ho bisogno resterà il più grande mistero, per me, ma proprio perché ciò sfugge alla razionalità, mi piace così tanto.
Con lui, solo con lui, posso lasciarmi andare senza pensare troppo.
Dopo qualche istante, lascio che Marco mi sfili la giacca della divisa prima di farmi trascinare alla scrivania nell’angolo, riadattata a tavolo per il momento, per cenare.
Terminiamo abbastanza in fretta, soprattutto perché io sono particolarmente stanca, e poi lui mi spedisce a farmi una bella doccia rilassante per scaricare la tensione.
 
Marco’s pov
 
Mentre Anna è sotto la doccia, io ne approfitto per dare un’occhiata ad alcuni documenti.
Quando sento l’acqua smettere di scorrere, faccio un sospiro. Devo cercare di capire cos’è successo oggi in caserma, e magari adesso è il momento migliore.
Dopo qualche instante, eccola che emerge dal bagno, un asciugamano stretto attorno al corpo esile e un altro a raccogliere i capelli bagnati, un’espressione soddisfatta in viso.
Mi dispiace rovinarle il momento, ma se non si sfoga, domani sarà peggio per tutti.
“Adesso mi dici cosa è successo con Cecchini e Tommasi, stamattina?”
Il suo sorriso si trasforma in una smorfia infastidita.
Mi sembra una bimba beccata ad aver detto una bugia e per questo ha messo su un adorabile broncio. Non riesco a trattenere una risata.
Dopo avermi rivolto un’occhiataccia, si siede sul letto e, seppur molto riluttante, mi racconta di come ha trovato il Maggiore nel suo ufficio, della bugia del maresciallo e dell’interrogatorio.
Come avevo previsto, Cecchini ha il novanta percento della colpa, solo lui riesce a indisporla così tanto.
Questa cosa mi fa scoppiare a ridere di nuovo, ragion per cui mi becco un cuscino in faccia, che Anna mi ha appena lanciato con una mira degna del tiratore scelto qual è.
“Guarda che non c’è niente da ridere, è una catastrofe!” esclama, indispettita, incrociando le braccia.
La raggiungo sul letto, sedendomi dietro di lei e iniziando a farle un piccolo massaggio.
Avverto la sua tensione sotto i polpastrelli.
“Devi cercare di calmarti, amore. Finirai per sentirti male, se continui così.” mormoro, continuando col mio lavoro.
Anna sembra apprezzare, perché dopo qualche minuto la sento finalmente rilassarsi.
“Lo so che è fastidioso, ma lo stiamo facendo per aiutare Cecchini, no? In qualche modo glielo dobbiamo, dopo tutto quello che lui ha fatto per noi. E poi, per quanto mi riguarda, lo sto facendo anche per Tommasi. Per quel poco che ci conosciamo, so che se lo merita. So che ama Lia, ne sono convinto, e presto anche il suo cuore se ne ricorderà. In fondo, sta facendo quello che hai fatto anche tu giusto pochi giorni fa...”
Lei ride al paragone, dandomi ragione implicitamente. Avrà capito anche lei che Tommasi in questo le somiglia: la razionalità lascia raramente le redini al cuore, per loro, ma arriva il momento in cui succede, e ne vale sempre la pena, di aver atteso.
Il mio discorso sembra aver fatto centro, perché Anna si è davvero calmata.
Lascio che si asciughi i capelli e si cambi per andare a letto e, una volta fatto, mi raggiunge sotto le lenzuola.
Le accarezzo piano la schiena, notando il suo viso stanco.
“Ci mettiamo a dormire, mh?” dico, preoccupato.
Lei però scuote la testa. “Non ci siamo visti per tutto il giorno, non ho ancora voglia di dormire.”
La osservo per qualche istante, leggendo nei suoi occhi qualcosa che vorrebbe dirmi, ma che non sa come tirar fuori.
Mi sistemo meglio contro i cuscini, stringendola di più.
“Cosa c’è che non va, oltre alla questione di Cecchini?”
Lei mi rivolge uno sguardo grato, prima di spiegarmi cos’è che la turba.
Inizia a parlarmi dell’incontro con Sergio, partendo dalla sera al parcheggio fino al battibecco di oggi.
La ascolto attentamente, intuendo i suoi dubbi.
Anche io ci ho pensato spesso, alla storia del ragazzo, e a quella di Ines, ho capito che è tornato per lei ma che ci sia qualcosa a impedirgli di avvicinarsi alla figlia.
“Hai ragione... Io posso solo dirti che, per quel che si può, possiamo tentare di dar loro una mano. Così magari veniamo a capo dei tuoi dubbi e soprattutto Ines non correrà il rischio di trovarsi nella situazione che hai dovuto vivere tu.” le assicuro.
Sento il suo corpo rilassarsi tra le mie braccia, a conferma del fatto che avesse bisogno di sfogarsi per riuscire a dormire.
A tal proposito, mi accorgo che la bella addormentata ora respira profondamente con il volto appoggiato sul mio petto.
Non sono nemmeno sicuro che abbia sentito tutto il mio discorso, ma non fa niente.
Sorriso, posandole un bacio sulla fronte prima di chiudere gli occhi.
 
Anna’s pov
 
La mattina, dopo un sonno ristoratore, corro al mio appartamento.
Cecchini mi ha detto di aver chiamato Tommasi da lui per riconsegnarli la vecchia divisa da Capitano, così io posso approfittarne per prendere alcune delle mie cose che mi servono, quindi ho i minuti contati.
Mi sono trattenuta dal rinfacciargli cosa ha combinato ieri solo perché l’ho promesso a Marco prima di uscire.
Ecco, brava. Ascolta Marco, che sa essere molto saggio, quando vuole.
Penso di essere riuscita a scamparla, quando Tommasi sbuca fuori dalla porta alle mie spalle in tenuta da corsa, chiedendomi che ci facevo a casa sua.
Per fortuna - più o meno - Cecchini corre in mio soccorso, con una scusa poco credibile, ma pazienza. Forse, per via della botta in testa, Tommasi ha preferito non indagare troppo.
Alla fine mi ritrovo pure senza chiavi di casa.
Ma quanto deve durare la nostra permanenza in hotel?!
Un piccolo segnale di ripresa sembra arrivare quando Tommasi sembra ricordarsi di un’allergia della moglie, che ci ha appena raggiunti sul pianerottolo.
Bene, è un buon segno, no?
A completare il quadretto arriva Bianca, che a quanto pare aveva appuntamento col Capitano per andare a fare jogging.
Ah, bene, quindi Cecchini con me si rifiuta di fare pure mezzo esercizio di stretching, con Tommasi invece andava pure a correre. Ora me lo segno.
Altro che buon segno... Tommasi ha appena chiamato Bianca tesoro e se n’è andato a correre con lei, dopo aver chiesto a Cecchini se voleva unirsi a loro due.
Ok, scherzavo.
Lia non p molto contenta, e c’è da capirla.
Convince suo zio a seguire Tommasi e la PM, dopo che Cecchini mi ha riconsegnato in fretta le chiavi senza farsi notare, e io resto da sola con lei.
Cerco di consolarla come posso.
“Tranquilla, vedrai che in breve tempo tuo marito si riprenderà.”
Lei mi concede un sorriso amaro. “Mh, forse. Tanto la verità è che non conosci mai chi hai di fianco.”
La sua frase mi spiazza.
Cosa avrà voluto dire?
 
Queste sue parole mi accompagnano durante tutto il percorso a piedi verso la caserma.
Ma è sempre stata così ripida e faticosa, la strada per arrivare da casa in piazza? Perché ho il fiatone, e sono già stanca nonostante ieri sera sia crollata come un sasso.
Comunque, la frase di Lia era strana... Non è che si riferiva a qualche problema tra lei e Tommasi? Cioè, da quando sono arrivati, non ha detto niente di loro, ha parlato sempre e soltanto dei bambini. Ma di loro due mai, nemmeno quando Tommasi era fuori portata.
 
Marco’s pov
 
La giornata è trascorsa abbastanza velocemente.
Sul caso non abbiamo novità, quindi non sono passato dalla caserma, oggi.
Sto per tornare in albergo, quando ricevo una strana telefonata da Don Matteo, che mi chiede di passare in canonica.
È qui che mi trovo, adesso, mentre fervono i preparativi per la Pasqua. Sofia sta aiutando il parroco a dipingere le uova, insieme a Natalina e Pippo. Mi ritrovo seduto a tavola con loro, una tazzina di caffè abbastanza imposta tra le mani.
Quasi mi ero dimenticato che la festività è così vicina, e che domani devo andare a prendere Elisa in stazione, mentre Chiara arriverà con la sua auto.
Sto per chiedere a Don Matteo il perché della chiamata, quando noto il sottofondo musicale: Ines è intenta a suonare la sua chitarra, e Natalina ha iniziato a dare di matto.
“Come sta Ines, è ancora arrabbiata?” chiedo, con un sorriso.
“Lei che dice? So’ tre giorni che suona a ‘sta maniera!” risponde Pippo.
Mi sa che è anche colpa mia, perché non ho arrestato Don Matteo. Ops.
Io e il Maresciallo gli abbiamo raccontato della conversazione con la piccola e lui, per tutta risposta, con la calma che lo contraddistingue e che gli invidio, ha semplicemente sorriso.
“Ohhhh, fa’ smettere subito sto sbobanamento, non c’ha facc’ ‘cchiu!” si dispera la perpetua.
Il suono si interrompe all’improvviso.
“Ahia...” mormoro.
Sofia spalanca gli occhi. “Sempre saputo che sei una strega!”
“Imbecille... Intanto ci rilassiamo... Santa pace!” è il commento di Natalina.
Dev’essere un problema tecnico, credo. Come minimo sarà saltata qualche corda.
Ed ecco la piccola Ines che ci raggiunge.
“Si è rotta!” esclama, affranta.
La scena mi intenerisce non poco: la chitarra è più grande di lei, la porta a fatica.
Provo ad avvicinarmi, abbassandomi sulle ginocchia per controllare il danno.
“Ehi... posso?”
“Non toccarla.” è la sua risposta piccata.
Ah.
Farsi aiutare spontaneamente non è una caratteristica che le appartiene, a quanto pare.
Ma io, col gentil sesso che non si lascia aiutare, ho una solida esperienza.
È incredibile quanto Ines sembri sempre più la versione mini di una donna che conosco molto bene.
Capisco che, come sono solito fare con lei, l’unica via da percorrere è quella di guadagnarmi la sua fiducia, cercando un terreno comune.
La strategia viene da sé, in modo molto naturale.
“Ma... è una Strato del ‘79, questa, giusto?” le chiedo. Conosco bene quella chitarra. Ci si suona un ottimo rock.
“Come lo sai?”
“Lo so, ne ho anch’io una, solo che la mia è dell’‘81, la tua è più preziosa, quindi... E la utilizzava quello che secondo me è il più grande di tutti i tempi. Jimi Hendrix...!”
“Jimi Hendrix!”
Rispondiamo entrambi in coro, e mi sorprende tantissimo. Così piccola, e già sa chi è Jimi Hendrix. Mi piace sempre di più, e il sorrisone che mi regala mi scioglie ulteriormente, come se ce ne fosse bisogno.
“Posso?” provo a domandare, di nuovo. Lei stavolta mi lascia prendere la sua chitarra.
“Era della mia mamma... si può aggiustare?”
“Bisognerebbe cambiare la cassa.”
“Però se non si può, la pago io, non c’è problema!” si intromette Natalina. E meno male che lei non sopportava di sentirla suonare...!
“Eh, ma non ne fanno più, così.” sono costretto ad ammettere. È un modello antico, non ci sono più i ricambi.
“Non ne fanno più?”
“No... mi dispiace tanto tanto.” dico rammaricato ad Ines.
“Grazie lo stesso.” mormora lei, triste, prima di tornarsene mogia mogia in stanza, la chitarra stretta tra le manine.
Mi dispiace moltissimo non poterla aiutare, probabilmente quello strumento è uno dei pochi ricordi che le rimangono della madre, e vorrei poter trovare il modo di trasformare quel broncio nel meraviglioso sorriso di poco fa, quando anche lei è rimasta sorpresa di avere in comune con me la passione per il rock.
Chissà che questa passione tu non possa condividerla in futuro anche con qualche altro scricciolo, mh?
Torno al tavolo.
“Ma chi è il suo tutore legale, adesso?” chiedo, ricordandomi della situazione.
Me ne ha parlato Cecchini, e avendo familiarità col mondo dei tribunali, so che in assenza della nonna la bambina ha necessariamente bisogno di un tutore.
“Io spero che le cose si sistemino.” si limita a dire Don Matteo, facendomi capire che è di questo che voleva parlarmi. So che anche lui sta cercando di convincere Sergio a prendersi cura della piccola, senza successo. Non che sarebbe facile per lui ottenerne la custodia, è pur sempre un ex galeotto, e gli assistenti sociali ne terranno inevitabilmente conto.
“Eh, ho capito, però senza un tutore lei non potrà star qua. Mi dispiace, ma non è possibile...”
Capisco il punto di vista del parroco, davvero, ma non è una questione semplice.
Decido di non pressarli troppo per il momento, comunque, perché anch’io spero che Sergio si convinca. In fondo, molto in fondo, probabilmente, qualcosa di buono ce l’ha anche lui. Lo pensa Don Matteo, e anche Anna è dello stesso avviso. Proprio a lei ho promesso che avrei fatto il possibile per non far passare a Ines ciò che lei ha sofferto da piccola, e farò di tutto per mantenere la mia parola.
 
Terminato il caffè, mi accorgo che si è fatto tardi. Non ho avvisato Anna della mia deviazione, quindi sarebbe meglio che vada.
Dopo aver salutato tutti, in moto verso l’albergo, ripenso alla storia di Ines.
C’è qualcosa in lei che mi attira particolarmente.
Che faccio, te lo dico io, cos’è? È fotocopia in versione ridotta di Anna, e c’è anche un altro aspetto che è altrettanto rilevante, lo sai.
Il grillo parlante, come al solito, ha ragione.
In ogni caso, vorrei anch’io che la piccola restasse in canonica, e decido di provare a pensare a una soluzione, anche per prendere tempo e sperare che Sergio si decida a fare il padre.
Anna ha ragione: potrà anche avere paura, ma non è una giustificazione a non tentare nemmeno. Io, al suo posto, vorrei provarci.
Una volta rientrato in hotel, aprendo la porta della camera trovo Anna, in pigiama, distesa sul letto e profondamente addormentata, una matita tra le mani e diversi documenti sparsi sulla coperta.
Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che sono appena le 20.
Ultimamente è sempre stanca. Strano.
Sì, ma c’è da tener conto di tutti gli eventi del mese appena trascorso.
In fondo, abbiamo solo litigato perché lei voleva partire per il Pakistan, affrontato la crisi più difficile della nostra storia, rinviato il nostro matrimonio, e adesso abbiamo a che fare con un ex galeotto che ha paura di conoscere sua figlia e un Maggiore dei Carabinieri che ha perso la memoria.
In effetti, robetta da poco.
La osservo ancora per qualche istante, prima di ordinare qualcosa in camera per cena e poi, tentando di non svegliarla, mettermi con lei sotto le lenzuola.
 
Anna’s pov
 
Stamattina, Cecchini si è presentato in caserma dolorante, probabilmente per i postumi della ‘corsetta’ di ieri.
Così impara a non voler mai fare esercizio fisico con me. Ben gli sta.
 
 
Comunque, qui continua a spadroneggiare Tommasi.
Io sto cercando di tenere fede alla mia parola, lasciando che lui continui a credere di essere il Capitano, e che il mio ufficio sia ancora il suo.
Oh, brava Anna, così mi piaci! Tranquilla, matur-
Ovviamente, per il momento sto occupando la disordinatissima scrivania del maresciallo, obbligandolo a fare un po’ di ordine, e confinandolo poi da Zappavigna.
Come non detto. Una cosa però è certa: mai mettersi contro di te, o tirare troppo la corda.
 
Poco dopo, Tommasi arriva e convoca sia me che Cecchini in ufficio per sapere se ci sono novità.
Cecchini ci informa di aver pensato una cosa.
Certo, come no, di sicuro una ‘sua’ idea.
Ah, a quanto pare, dalla battuta di Tommasi, il vizio di andare dal suo amico prete, Cecchini lo ha sempre avuto.
Anche se con me non attacca. Non ho bisogno del suo aiuto, io.
Tommasi comunque mi infastidisce non poco.
Mi tratta come una recluta, come una che non ha idea di come si faccia il suo lavoro o di come si porti avanti un’indagine.
Questa cosa mi fa arrabbiare da matti.
Tutti sanno che sto facendo un ottimo lavoro, qui a Spoleto e, smemorato o meno, lui non ha il diritto di trattarmi così, non mi conosce affatto e invece pretende di sapere già tutto di me.
Cos’è, pensa che una donna non sia adatta a fare il Carabiniere?
No, non credo, Cecchini mi ha raccontato che proprio lui ha incoraggiato Lia a entrare nell’Arma, quindi non può essere questo, anche se nel suo caso era un Carabiniere semplice e io sono un Capitano...
Allora cosa, pensa che io possa prendergli il posto?
Non ha senso, perché in realtà l’usurpatore è lui... Sono io il Capitano dei Carabinieri di Spoleto, lui è Maggiore a Roma, ormai. Io lo rispetto, ci mancherebbe, per aver ricevuto la nomina significa che ha svolto un lavoro encomiabile, ma proprio per questo dovrebbe smetterla di buttare sentenze a caso.
Anche io ho lavorato duro, fatto sacrifici quanto e più di lui, per arrivare dove sono. E mi farebbe piacere che quantomeno facesse lo sforzo di rendersene conto, come tutti gli altri con cui ho avuto a che fare finora.
Nessuno meglio di me qui sa che il mondo dell’Arma è chiuso e molto maschilista, l’ho anche reso abbastanza esplicito più volte, nel corso dei vari casi che abbiamo affrontato da quando sono qui. Ho dimostrato di essere all’altezza del mio ruolo, e Cecchini e Marco su tutti ne hanno avuto la conferma contro il loro iniziale scetticismo. Mi sono guadagnata il rispetto di tutti, e non è stato affatto facile.
Tutti avevano dei pregiudizi su di me, lo so anche se non me lo hanno mai detto platealmente. Ma era chiaro, al mio arrivo.
E farò lo stesso con Tommasi, lo farò ricredere.
Per questo decido di occuparmi di ciò che lui mi ha ordinato di fare, ma non perché è stato un ordine, appunto, ma perché voglio dimostrargli che sono molto più in gamba di quanto non creda lui.
Quell’aria di sufficienza che mi riserva non me la merito.
Sì, sono testarda, ovviamente, e orgogliosa, se non si fosse ancora capito.
E se qualcuno prova a mettermi i piedi in testa, io reagisco.
Dimostrerò di essere la donna fiera e forte che è arrivata dov’è oggi. Anche a Tommasi.
 
Più tardi, in caserma, Cecchini mi informa di ciò che gli ha raccontato la PM Bianca, a proposito del caso seguito da Tommasi a Roma.
Capisco che la sua aggressione dev’essere collegata.
“... Noi dobbiamo trovare un collegamento tra questi due e la PQ Hotel. Cos’è che ha detto la... l’amica del Capitano?” gli chiedo.
“Il Capitano non ha potuto dire a Bianca che la catena sospettata era proprio il PQ Hotel. E comunque,” cambia discorso lui, una volta nel mio ufficio, “‘amica’... Non è come pensa Lei. Il Capitano Tommasi è un marito esemplare, non tradirebbe mai mia nipote.”
Mi rendo conto di cosa ho detto, pentendomene immediatamente.
“Mi scusi, maresciallo, non volevo insinuare nulla. Sono solo un po’ nervosa per via di come lui mi sta trattando, ma non mi permetterei mai di giudicare in un argomento così, soprattutto non io, visti gli ultimi eventi...”
Cecchini scuote la testa, accennando un sorriso.
“Non si preoccupi, capisco. Io Le posso dire che Tommasi non è poi così diverso dal Dottor Nardi, in questo. Bianca potrà anche averci provato con lui, ma mio genero non tradirebbe mai mia nipote Lia, come Marco non l’ha fatto con Lei... Il Capitano è confuso, ma lui, come Nardi, nel suo cuore, veramente... lo sa, chi ama.”
Mi lascia così, da sola nel mio ufficio, a riflettere.
Il pazzo ha colpito ancora.
I suoi piani strampalati falliscono spesso, ma credo che d’amore ne sappia più lui di chiunque altro.
E probabilmente ha ragione anche stavolta.
 
Marco’s pov
 
Sono in caserma con Anna. Tommasi è convinto che sia il suo giorno libero, quindi lei è potuta rientrare senza averlo sempre in mezzo a controllare ogni sua mossa, così mi ha chiamato per dirmi che ci sono novità sul caso, per cui mi sta informando su come stanno andando le indagini in merito.
“... Oggi dovrebbero arrivare nuove informazioni sui due che hanno aggredito Tommasi...”
“Mh-mh, bene.”
La nostra conversazione è immediatamente interrotta da una vocina decisa che ormai conosco bene.
“Non mi hai detto come ti chiami!”
Ci voltiamo, scoprendo la piccola Ines, con la sua giacchetta verde, intenta a fissarmi.
È anche un mezzo ninja, ‘sta bambina. Da dove è sbucata, così in silenzio? 
Io e Anna ci scambiamo un sorrisetto divertito: che tipetto!
“Marco... Marco Nardi!” mi presento.
“Io sono Ines...” risponde lei, per poi passare direttamente al punto per cui è venuta. “Vuoi essere il mio tatuatore legale?”
Cerco di restare serio mentre Anna soffoca una risata dietro la mano.
“‘Tatuatore’ non lo so fare, purtroppo... Vuoi dire ‘tutore’ legale?”
Lei annuisce con un sorriso.
“E come mai lo chiedi proprio a me?” le domando.
“Perché ti piace Jimi Hendrix!”
Però, una motivazione niente male. Originale, di sicuro.
Lancio uno sguardo ad Anna, che lo ricambia, divertita.
Nessuno meglio di lei sa quant’è vera, questa affermazione.
Mi sembra quasi di rivivere quella scena con Cosimo, quando ci chiese di fingere di essere i suoi genitori per quello spettacolo.
Quel bambino manca a tutti, ed era molto simpatico. Mi piaceva anche perché, per merito suo, avevo trascorso più tempo con Anna e l’avevo conosciuta meglio.
Anna ci osserva interagire con un sorriso stampato in volto.
Chissà che cosa starà pensando.
Certo che Ines, una mini Anna lo sembra davvero: tosta, determinata, sensibile, molto intelligente, appassionata di rock.
Ines continua, ridestandomi dai miei pensieri. “Non sei capace di mettere in prigione Don Matteo, non sei capace ad aggiustare la chitarra... almeno questo, sei capace?” mi dice, incrociando le braccia.
Come sempre, mi abbasso al suo livello.
“Ti ringrazio davvero tanto per avermelo chiesto,” rispondo, nel tono più delicato che mi riesce, “ma è una decisione davvero importante e devo pensarci, va bene?”
Lei accetta. Ma a quanto pare non ha finito, perché mi pone un’altra domanda, per lei molto importante, sembra.
“Sei sposato?”
Io sorrido, osservando Anna per un istante prima di tornare a lei.
“Purtroppo non ancora. Ma ho promesso a una donna di volerla sposare duemila volte, e accadrà molto presto, spero.”
La bimba, con una smorfia, dimostra di non essere del tutto soddisfatta dalla mia risposta, ovvero che, seppure io non sia sposato, una donna nella mia vita c’è.
A conferma del fatto che sia molto intelligente, credo abbia capito, senza che nessuno le dicesse nulla, che la donna in questione sia Anna, perché è a lei che rivolge la sua domanda successiva.
“Tu ti lamenti, quando lui suona la sua Strato?”
Alla sua innocente osservazione, io e Anna non riusciamo a trattenere una risata.
Ines sembra confusa, giustamente non capisce perché ridiamo.
“Sai,” le spiego, “non tutte le fidanzate si lamentano. Anzi, ce ne sono alcune molto rare, speciali, a cui il rock piace, e pure un sacco...”
Ines adesso sembra soddisfatta, e il suo sorriso dimostra che si sia ricreduta su Anna.
Il mio sguardo torna istintivamente in quello della mia fidanzata, che arrossisce ma sorride, una strana luce nei suoi occhi verdi.
“Bene...! Lasciamo che Marco ci pensi, allora, mh? Ti accompagno da Don Matteo...” si propone, prendendo per mano Ines, che la segue docilmente, saltellando.
“Ciao!”
“Ciao...” saluto io, accorgendomi solo in quell’istante della presenza di Cecchini vicino alla porta.
A giudicare dal sorriso, deve aver assistito alla scenetta.
Lo so bene, cosa pensa: io e Anna siamo una bella coppia e, si spera, un giorno saremo anche dei bravi genitori.
Ma per quello c’è tempo. Ines non è nostra figlia, e merita di conoscere suo padre, per quanto poco affidabile sembri essere.
Però, quant’è dolce quella bambina!
“Il tatuatore!”
 
Anna’s pov
 
Mentre sono in caserma con Marco a parlare del caso, ci raggiunge la piccola Ines.
Bastano poche battute per evidenziare che sia un tipetto tosto, ma estremamente adorabile.
Un sorriso si fa strada sulle mie labbra senza che io riesca a fermarlo, ad osservare la bimba e Marco interagire, con lei che gli chiede di essere il suo ‘tatuatore’ legale.
Lui sembra letteralmente stregato.
Ma tu guarda... Marco, così restio all’idea di avere intorno bambini, a parlare in tono adorante con questo scricciolo di sei anni!
Sarebbe un papà stupendo, non trovi?
Solitamente io e la vocina litighiamo, ma non ora. Anzi, sono d’accordo.
Davvero? Oh, che bello.
Mentirei, se dicessi di non aver mai immaginato Marco nelle vesti di papà.
Il suo passato niente affatto semplice con suo padre lo ha reso sempre restio all’idea, così come la storia con Federica.
Mi torna in mente la sua espressione terrorizzata quando Cosimo gli chiese di fingersi suo padre.
Tutore, padre...
È una calamita per i bambini, lui, ma non sono sorpresa.
Marco ha questa strana capacità di empatizzare con loro immediatamente, anche se non se n’è mai reso conto fino in fondo.
Forse è stato Cosimo a sbloccarlo, o forse è semplicemente il fatto che dietro a quell’aria da PM serioso in giacca e cravatta si nasconde un bambinone.
Perché Marco è così. Alterna grande serietà a momenti di gioco e scherzo come un bambino che ha bisogno di sfogare la sua indole, è più forte di lui.
E io lo so bene. È una delle tante cose di lui che mi ha colpita fin da subito.
Dopotutto, forse è questo il primo passo per diventare un buon padre: essere anche amico dei propri figli, così da ottenere la loro fiducia. La parte difficile arriva comunque, inevitabilmente, ma se l’amore che si riceve viene ricambiato da entrambe le parti, allora la vittoria la si ottiene.
E Marco, di questo, è capace.
Al perché Ines stia chiedendo proprio a lui di essere il suo tutore, la bimba risponde con ovvietà che è per la passione condivisa per Jimi Hendrix.
Chissà come lo sa, che piace anche a lui... Ah, certo, ieri sera Marco è passato dalla canonica.
Lei continua con una frase che mi fa sorridere.
“Non sei capace di mettere in prigione Don Matteo, non sei capace ad aggiustare la chitarra... almeno questo, sei capace?”
Rispecchia molto bene Marco, questa osservazione.
Nel senso... Marco è più sensibile di quanto non dia a vedere, cerca di darsi da fare come può ma non sempre con grandi risultati, ma una cosa è certa: ci mette sempre il cuore.
La sua richiesta di pensarci, prima di darle una risposta, non è dettata dalla paura di rivestire un ruolo che sarebbe molto simile a quello di una figura paterna, ed è tutto dire, visto che Marco ha sempre paura, quando si tratta di rischiare.
Essere tutore comporta delle responsabilità non indifferenti, ed è giusto che ci rifletta, prima di dare risposte affrettate.
A riprova del fatto che sia davvero un uomo migliore di quanto già non lo fosse.
Pensa, prima di agire d’impulso.
Ti ama parecchio, sai? Perché è merito tuo.
 
Ines è proprio un tipetto, comunque, e sono felice di sapere che le sto simpatica, adesso che ha scoperto - da sola - che sono la fidanzata di Marco, e che come loro, ho anch’io la passione per il rock.
So che Marco si è accorto che l’ho osservato per tutto il tempo mentre interagiva con la piccola, e chissà se anche lui ha pensato a quanto sarebbe bello sapere di poter vivere scene del genere quotidianamente.
Ah, davvero ci stai pensando? Interessante, Anna! Dimmi, dimmi.
Scuoto la testa, tornando alla realtà, e decido di accompagnare Ines in canonica, dopo un breve saluto al maresciallo, appena arrivato in caserma.
 
Tommasi continua a soffrire d’amnesia, e Lia è sempre più preoccupata.
Nel pomeriggio, sono stata con lei al parco insieme a Martina e il piccolo Nino, e anche Chiara ci ha raggiunte, visto che è arrivata a Spoleto per passare la Pasqua con tutti noi.
Per un colpo di fortuna, in hotel si è liberata una doppia, e lei e mamma son riuscite a sistemarsi lì anche loro.
Comunque sia, io e Chiara abbiamo tentato di tranquillizzare Lia per quanto possibile, anche se non possiamo avere la certezza che tutto possa tornare come prima. Seppur con un sorriso triste, Lia ha accettato di buon grado il nostro tentativo di tirarla su di morale.
 
Dopo aver salutato Lia e mia sorella, andata via con la sua auto, sono quasi le venti quando salgo in macchina per tornare da Marco, in hotel.
Mi sono appena allacciata la cintura quando noto un ragazzo rubare un motorino.
Di sicuro uno degli affaristi di Sergio.
Senza pensarci due volte, lo seguo a distanza.
Come previsto, mi porta esattamente in quella strada di campagna.
Scendo in fretta, raggiungendo di corsa l’ingresso dell’officina, dove trovo Sergio.
“Dove sta?” chiedo, a bruciapelo.
“Chi?” fa lui, sempre con quella dannata espressione strafottente.
“Il ragazzo che ti ha portato il motorino! Il ladro!”
Quel solito sorrisetto irritante.
“Il ladro... è un ragazzo, è andato via adesso!”
Cioè... l’ho beccato con le mani nel sacco, e pensa di prendermi in giro?
“Lo sai come si chiama questo? Furto e ricettazione!”
“Ma ricettazione di che?”
“Del motorino! È rubato!”
“Ma che ne so, io, me l’ha portato per ripararlo e lo riparo!” mi risponde, allontanandosi come se non fossero affari suoi.
Lo seguo.
“Guarda che rischi dai due agli otto anni, con un’aggravante per la recidiva.”
“Eh, vorrà dire che per otto anni non dovrò preoccuparmi di pagare l’affitto.”
Tanto basta a farmi andare su tutte le furie.
“Non ti puoi trovare un altro modo per campare?!”
“Sì, sai, stavo pensando di consegnare in giro dei curricula, solo che non sapevo dove scrivere ‘sei anni per omicidio colposo’, sotto ‘formazione’ o ‘esperienze lavorative’?”
Giuro, lo prenderei volentieri a sberle.
Sergio insiste con questa sua facciata da duro che mi fa arrabbiare non poco.
“La devi smettere di piangerti addosso. In tutto questo c’è tua figlia che ha bisogno di un tutore legale, e l’ha chiesto a Marco!”
Perché non ci credo che non gli importi di Ines, nemmeno ha fatto lo sforzo di conoscerla! Se il suo problema è cosa potrebbe pensare la bambina di lui, è evidente che non ha capito nulla.
Ines ha bisogno di un padre, e non avendolo accanto, lo sta cercando in Marco, è evidente.
Perché va bene Jimi Hendrix e tutto il resto, ma la piccola ha disperatamente bisogno di una figura di riferimento, e Marco non ha fatto altro che essere gentile con lei e mostrarle interesse, facendole capire che di lui può fidarsi.
Ines, come tutti i bambini, ne è rimasta affascinata. E non la biasimo.
Perché i bambini questo vogliono: sentirsi amati, sapere che c’è qualcuno che li considera, su cui fare affidamento. Vogliono essere sicuri che l’amore che danno sia ricambiato.
E se Sergio ci provasse ad avvicinarsi a lei senza piangersi addosso e fare l’idiota, senza sentirsi inadatto, Ines il suo affetto glielo darebbe incondizionatamente.
Ha bisogno di suo padre, ha bisogno di sapere che lui c’è, che può averlo nella sua vita.
Ma la mia osservazione non sortisce l’effetto che volevo.
“Bene, buon per lei, così se in futuro farà qualche cavolata, non avrà problemi con la giustizia.”
Come non lo prendo a schiaffi non lo so nemmeno io.
“Sergio, non stiamo parlando solo di te, ma di una bambina... e se tu finisci in galera, Ines questa volta non ha più nessuno!”
Lui non ne vuole sapere.
“Ma cosa ho fatto, cosa ho fatto?! Senti, fai un po’ come ti pare, eh, sul serio, non mi importa!”
“Ah, a me ancora meno.” replico, esasperata, avviandomi verso l’esterno. “Questo motorino è sequestrato, e tu rischi una denuncia.”
Sergio potrebbe riscattarsi, riprendere in mano la sua vita e stare con sua figlia, e non lo fa. Negando le sue responsabilità di padre.
Me ne vado senza riuscire a restare un attimo in più.
 
Rientrata in hotel, trovo Marco intento a lavorare a qualcosa al pc.
Quando mi vede, si alza venendomi incontro.
Mi ritrovo stretta tra le sue braccia mentre mi accarezza i capelli, senza dire niente.
Avrà senz’altro notato la mia faccia strana.
“Possiamo ordinare la cena in camera anche stasera?” mormoro contro il suo petto.
“Certo.”
“Ho bisogno di una doccia.”
Lui mi lascia andare, ma non prima di avermi posato un delicato bacio sulle labbra.
 
Marco’s pov
 
Acconsento alla richiesta di Anna senza esitare.
Sul suo viso c’era un misto di frustrazione, stanchezza e preoccupazione, ma so che, qualunque sia il motivo, me ne parlerà probabilmente al termine della cena.
Come previsto, lei rimane in silenzio per tutto il tempo, lo sguardo perso nel vuoto, a mangiucchiare distrattamente.
Una volta tolto tutto, mi basta cercare di attirare la sua attenzione, fissandola con un sopracciglio alzato e un sorriso incoraggiante, per convincerla a parlare.
“Si tratta di Ines,” mi dice infine, con un sospiro.
Mi spiega che non è solo per la questione di oggi in caserma, ma per la conversazione avuta poco fa con Sergio.
Mi sa che vi vedete un po’ troppo, tu e Sergio.
La risatina di Anna mi fa capire che l’ho detto a voce alta.
Bene, ma non benissimo, visto che il tono era molto geloso.
Sorrido anch’io, un tantino in imbarazzo. So bene perché lo abbia incontrato, la sua attività non proprio legale con i motorini mi è nota, ma mi fido di Anna e del piano che ha in mente.
“So che le cose non stanno andando esattamente come volevi, ma vedrai che è solo questione di tempo. Ti ho promesso che avrei fatto la mia parte, che ti avrei aiutata, e lo farò.”
Lei corruga le sopracciglia.
“Sì? Quando?
“Un paio di sere fa... ti sei addormentata prima, evidentemente...” sorrido. “Non importa, comunque. Si convincerà, Sergio, vedrai.”
A tal proposito, mi torna in mente un’altra questione di cui volevo parlare con lei.
“Volevo... chiederti cosa ne pensi della proposta di Ines di stamattina... di diventare il suo tutore,” le spiego in tono esitante. “Quella bimba mi piace, e so che la sua permanenza in canonica potrebbe favorire il nostro obiettivo di riavvicinarla a suo padre, oltre a permetterle di restare vicino alla nonna, che tanto ama.”
“Ma...?” mi incita Anna, che ha già intuito dove sta il problema.
“Ma... è un impegno importante, quello di un tutore legale. L’idea in sé non mi spaventa, so cosa vorrebbe dire per lei se io accettassi, ma farmi carico della vita di un’altra persona, così piccola soprattutto... Un po’ di paura mi viene, ecco.” ammetto.
Perché so bene che per la bimba, più che un tutore, diventerei una sorta di padre, ed è questo che mi preoccupa un po’. Di non essere all’altezza.
“Sono sicura che saresti un tatuatore legale formidabile,” mi rassicura Anna con un sorriso affettuoso, rimarcando l’adorabile errore di Ines.
Io le sorrido di rimando, prendendo la mia decisione.
Ora che sono certo del suo sostegno, sono pronto a fare realmente la mia parte per ricongiungere padre e figlia.
“Allora lo farò.” accetto. “Non sarà facile, e tu passerai probabilmente un po’ troppo tempo con Sergio per i miei gusti, ma Ines merita di conoscerlo. Non importa quali errori lui abbia commesso in passato, non serve che la sua fedina sia pulita, per essere un buon padre. Se vuole, può diventarlo comunque.”
Anna mi rivolge un sorriso radioso, venendo a sedersi sulle mie gambe, intrecciando poi le dita dietro al mio collo.
Ci scambiamo un lungo bacio, prima che lei si allontani appena, lo sguardo luminoso.
“So che non te l’ho mai detto prima, ma... sarai un padre fantastico, quando quel giorno arriverà.” mormora, accarezzandomi il volto.
Sentirglielo dire mi riempie il cuore di una gioia inspiegabile.
La avvicino di nuovo a me, tornando a baciarla.
 
Anna’s pov
 
La mattina seguente, in caserma, approfitto della temporanea assenza di Tommasi per portarmi avanti col lavoro sulle indagini, e scopro una serie di dettagli importantissimi. Metto insieme i pezzi, in attesa di poterli riportare a lui quando arriva.
Sono intenta a rivedere i filmati delle telecamere quando sento bussare alla porta del mio ufficio.
“Sì?”
“Capitano Olivieri?”
Cavolo, è Tommasi. Mi alzo in fretta.
“Capitano... non ha capito che cosa ho scoperto.. allora-”
Lui però mi interrompe, un’espressione colpevole sul volto. “Senta, no, prima io, perché... il Maresciallo mi ha raccontato tutto, e io ancora non mi ricordo della vita che avevo prima... volevo ringraziarla per la pazienza.”
Dire che sono stupita è poco, non mi sarei mai aspettata le sue scuse, anche se Cecchini qualcosa mi aveva accennato, in merito al fatto che avesse sorpreso lui e mia madre insieme, e quindi era stato costretto a spiegargli quanto la sua memoria avesse rimosso.
“Deve ringraziare il Maresciallo.” dico comunque, perché è merito suo se tutto è filato abbastanza liscio fino ad ora.
“Non c’è bisogno.” replica però lui, e basta uno sguardo con Tommasi per capire che entrambi sappiamo che non è solo quello.
Perché Cecchini per noi farebbe qualsiasi cosa, ma anche noi faremmo lo stesso per lui.
Io ho accettato di stare al gioco perché è stato lui a chiedermelo.
E lui lo sa.
“Comunque non perdiamo tempo. Lei non se lo ricorda, ma...” mi lancio nella spiegazione dei fatti, di quanto ho scoperto, prima di avviarci tutti e tre a prendere l’aggressore di Lara.
Durante il tragitto verso il PQ Hotel, Tommasi, che ha insistito per sedersi sui sedili posteriori insieme a me lasciando quello davanti a Cecchini, ne approfitta per parlarmi.
“Io... volevo complimentarmi con Lei,” esordisce, lasciandomi di stucco. “La verità è che il mio atteggiamento sulla difensiva era dovuto al fatto che mi ero accorto delle Sue capacità, e ho sentito il territorio minacciato. Nella mia testa, sono ancora un Capitano, non un Maggiore, e la presenza di una collega tanto in gamba mi ha fatto sentire in pericolo, diciamo così. Ma... è evidente che se il Comando Generale Le ha affidato la caserma, seppur così giovane, significa che se lo merita, e ne ho avuto le prove. Cecchini mi ha detto che in questi anni si è guadagnata il rispetto di tutti, non solo in caserma ma anche in paese, e l’ho notato anch’io, me ne sono reso conto. Anzi, il Maresciallo lo ha proprio conquistato, a quanto pare, ed è una bella cosa, si vede che vi volete bene. L’ho capito prima, nel suo ufficio. Sono felice di poter collaborare con un Capitano tanto in gamba.”
I suoi complimenti mi fanno arrossire. Biascico un “grazie”, senza riuscire ad aggiungere altro, ma so che non serve. Però sono contenta di aver risolto quella tensione tra noi, e di poter finalmente lavorare con lui da pari.
Una volta in hotel, però, troviamo De Seta assassinato.
Con l’aiuto di Sara e Marco, che sono stati informati e hanno anche loro analizzato le carte del caso, sembriamo riuscire a trovare il bandolo della matassa.
Convochiamo il nostro sospettato, convinti che sia il colpevole nonostante lui si professi innocente. Il movente però ce l’ha... vedremo.
 
La sera, io e Marco usciamo fuori a cena.
Questi giorni in hotel sono stati più frenetici della vita che conduciamo di solito, e poi era tanto che non lo facevamo.
Finalmente siamo riusciti a ritagliarci qualche ora tutta per noi, senza intralci di lavoro o questioni altrui.
Mentre facciamo la nostra solita passeggiata serale, mano nella mano, con Patatino al guinzaglio, incontriamo una Lia in lacrime diretta verso casa.
Mi sa che la cena organizzata da Cecchini non è andata molto bene, tanto per cambiare.
Poco più avanti, infatti, incontriamo anche il maresciallo e mia madre.
A quanto pare, i problemi tra Lia e Tommasi andavano avanti da tempo, l’amnesia era stata solo l’apice del rapporto già logoro.
Per un attimo, mi sento invadere dal terrore che una cosa simile possa accadere anche tra me e Marco.
Perché anch’io metto spesso la divisa prima dell’amore. Lo avevo fatto giusto un mese fa.
Ma quando alzo lo sguardo e incrocio quello del mio fidanzato, insieme a quel sorriso che mi fa capire che sa benissimo a cosa sto pensando, mi sento rassicurata.
Per quanto io possa assomigliare a Tommasi, la nostra storia non è uguale.
E se io e Marco abbiamo superato quella fase di crisi, la più complicata del nostro viaggio, possiamo affrontare tutto.
Insieme.
 
L’indomani, Spartaco si presenta in caserma, con l’intenzione di denunciare il furto del motorino.
Io sospiro pesantemente.
Giusto qualche istante fa stavo osservando la piccola Ines giocare in piazza con un palloncino, tutta sola.
Mi rivedo moltissimo, in quella bambina. Nei suoi modi di fare, anche se io ero un po’ più timida di lei, ma con la stessa testardaggine. Gli stessi sentimenti, le stesse necessità.
Certo, io una madre ce l’ho ancora, e non ero mai stata davvero sola perché avevo mia sorella, ma il padre non ce l’ho più da molti anni.
Quel padre che, come ho scoperto recentemente, non è l’uomo perfetto che credevo che fosse.
Ma non per questo mi sento meno coinvolta, anzi.
Anch’io, negli anni, ho cercato delle figure che potessero colmare quel vuoto immenso.
E quella figura l’ho trovata quando avevo smesso di cercare, nell’uomo più improbabile: Cecchini.
Così come Ines la sta cercando in Marco.
Lui ha saputo avvicinarla con pazienza, con quella dolcezza che conosco bene, quando nessun altro fino a quel momento, oltre Don Matteo, ci era riuscito davvero.
Ma Ines un padre vero ce l’ha.
Forse, Sergio ha solo bisogno di capire che, se c’è una fedina che può ripulire dai suoi peccati, è proprio quella di padre.
 
Spartaco per fortuna accetta di aspettare a esporre denuncia, scendendo a patti.
Non appena stacco dal mio turno e una volta tolta la divisa, raggiungo Sergio.
Ho deciso che è arrivato il momento di fare concretamente la mia parte nel progetto di ricongiungimento tra padre e figlia, come prefissato con Marco. Lui sta per dire ad Ines che accetta di diventare il suo tutore (ammesso che non lo abbia già fatto) mentre io devo convincere Sergio a darsi un’opportunità come padre.
Ho capito però che ha bisogno di darsi anche un’altra opportunità come uomo, prima. Di riacquistare la sua dignità. Per questo, e Marco non lo sa, sono qui per dirgli più di quanto non avessimo concordato insieme.
Ho optato per abiti in borghese proprio perché voglio che Sergio capisca che non sono lì in veste di Capitano dei Carabinieri, ma di amica. Che voglio soltanto aiutarlo.
Non lo vedo fuori, quindi immagino sia sul camper.
Busso, e lui si affaccia dal finestrino.
“Ciao!” mi saluta, prima di scendere.
“Ciao...” ricambio, per poi andare dritta al motivo della mia visita. “Pare che uno dei proprietari dei motorini rubati sia disposto a non sporgere subito denuncia, a condizione che gli venga restituito il motorino.”
“Mh...” lui si limita ad annuire, distogliendo lo sguardo.
Se pensa che basti questo a farmi desistere, si sbaglia.
“E c’è un’altra condizione... mia. Ti devi presentare a un indirizzo che ti darò, c’è un lavoro per te, un lavoro vero.”
Il messaggio è implicito: sto garantendo io per lui, sono disposta a metterci la faccia.
Lui stavolta mi osserva a lungo, un’espressione diversa.
“Perché lo fai?” mi chiede infine, in tono pacato.
Inspiro. Sapevo che me l’avrebbe chiesto, e per questo decido di essere sincera, dandogli l’esempio più reale che conosco.
“Perché io non ce l’ho più, un padre. Si è suicidato perché pensava di essere un fallito. Ma non lo era.. non era un fallito. E anche se lo fosse stato... io ero lì, lo avrei amato comunque, e avrei voluto che restasse insieme a me.”
Tiro fuori il bigliettino dalla tasca, consegnandoglielo. “È la mia ultima offerta, decidi tu.”
Con questo, spero solo che capisca che Ines non guarderà la sua fedina penale, ma solo l’amore che lui le darà, un amore che potrà conquistare solo guadagnandosi la sua fiducia.
Se lui si fiderà di se stesso, Ines si fiderà di lui.
Vado via senza attendere oltre. Ho fatto tutto quello che potevo, adesso sta a lui.
 
Marco’s pov
 
Dopo essermi confrontato con Anna, ho finalmente deciso cosa fare in merito alla richiesta di Ines.
È vero: non sono capace di arrestare Don Matteo per ovvi motivi, non sono capace di aggiustare la sua chitarra per ragioni che non dipendono da me, ma... posso esserci, per lei. Aiutarla, se ne ha bisogno. Provare a darle un po’ di quella spensieratezza che una bambina della sua età dovrebbe possedere.
Di questo, sono sicuro di essere capace.
Insieme a questo, voglio assicurarmi che possa arrivare a conoscere suo padre, a patto che entrambi siano pronti a farlo. Nel frattempo, spetta a me compiere il primo passo.
Per questo decido di andare in canonica, e non a mani vuote.
Per una notizia così importante, ci vuole qualcosa di altrettanto importante a confermarlo.
Con la complicità del sacerdote, preparo tutto e poi dico a Ines di chiudere gli occhi, mentre la guido per condurla alla sala da pranzo.
“Attenta...” mormoro.
Lei ha gli occhi coperti dalle manine. “Stiamo giocando a mosca cieca?” chiede, facendomi ridere.
“Una specie... vieni... ferma...” finalmente arriviamo alla meta. Mi sposto, sedendomi sulla poltrona lì accanto per gustarmi la sua reazione. “Apri gli occhi!”
Il suo visino stupito e felice nel vedere la chitarra elettrica nella sua custodia, con tanto di fiocco ad adornarla, è la cosa più bella che potesse capitarmi in questo periodo orribile.
“È la tua?” mi domanda, emozionata.
“Adesso se vuoi è tua!” rispondo con un sorriso.
“Davvero??”
“Sì, davvero!”
La gioia negli occhi di Ines mi ricorda quella di Anna ogni qualvolta tentassi di stupirla, con gesti che lei non si aspettava, ma che lei stessa aveva permesso scaturissero, rendendomi nel nostro viaggio insieme un uomo diverso, più maturo.
Un uomo migliore, poiché oggi ho accettato di assumere la tutela legale di una bambina che conosco appena, ma a cui voglio già un mondo di bene. So che farei bene a non affezionarmi troppo a questo scricciolo, perché se le cose andranno come dovrebbero, lei sarà presto pronta a spiccare il volo con il suo papà.
Eppure non riesco a trattenere quell’istinto paterno che scaturisce ogni volta che la vedo.
Conserva un po’ di questo entusiasmo per il futuro, Marco, non sia mai che ti serva.
Ines fa per prendere la chitarra, per bloccarsi subito dopo.
“Che c’è, non ti piace?” chiedo, interdetto. Ho forse sbagliato?
Lei sospira, guardandomi. “La nonna dice che non devo accettare regali dagli sconosciuti.”
Annuisco. “Dice una cosa molto giusta, tua nonna... però io non sono uno sconosciuto, giusto?”
Ines mi rivolge uno sguardo paziente, come se fossi un po’ stupido a non capire il concetto. “Sei mio parente? No, troppo rosso di capelli. Sei mio amico? No, troppo vecchio.”
“Grazie...!” commento, ridacchiando. Certo che è proprio un tipetto.
“Potrei accettare solo se tu fossi il mio tutore!”
Stavolta non trattengo una risata. “E mi sa che sei un po’ troppo furba per me, tu, eh?” dico, con Natalina e Don Matteo che ridono.
La bimba mi rivolge un sorrisetto.
“Allora? Ti sei deciso?”
Fino a qualche anno fa, non ci avrei sprecato un attimo, in una situazione così.
Ma proprio in questi dettagli l’amore per Anna mi ha trasformato.
Per questo, che sto accettando di prendere in custodia la vita di uno scricciolo dai riccioli castani, peperina e furbissima, che porta il nome di Ines.
“Va bene, lo faccio!”
Il suo abbraccio gioioso mi scioglie ulteriormente.
Con un ‘sì’ ho appena accettato di farmi carico della sua vita, così come con un altro ‘sì’ spero di unire la mia vita a quella di Anna molto presto, magari entro l’anno.
Voglio esserci per entrambe, sempre. Pronto a proteggerle da tutto e tutti.
Nell’attesa di sapere cosa il fato ci riserverà, mi godo questi istanti di gioia.
“Scemetta...” le dico, sciogliendo l’abbraccio dopo averle posato un piccolo bacio tra i capelli. Mi sento incredibilmente felice. “Dai, fammi sentire cosa sai fare, vieni!”
“No, scusate, scusate...” ci interrompe Natalina. “Tutto meraviglioso, ma perché non andate a suonare a casa Sua, per esempio?”
“È un’ottima idea ma... purtroppo in questo momento, casa mia è occupata da Tommasi!” le ricordo.
“Ines, potresti suonare in chiesa!” propone Don Matteo.
Ines è assolutamente d’accordo. “Sai come si dice? Chi canta, prega due volte, e chi suona, ancora di più!”
“Eh, sì!”
Gli istanti di gioia sono interrotti da una telefonata da parte di Cecchini.
Mi spiega che hanno catturato gli aggressori di Tommasi, ma è confuso, agitato, pare sia successo qualcosa, ma la mia richiesta di calmarsi e spiegarsi meglio cade nel vuoto, e quello che ne viene fuori mi fa quasi fermare il cuore.
Don Matteo e Natalina mi guardano, preoccupati probabilmente dalla mia faccia.
Sono sicuro di essere diventato pallido.
Spiego come posso.
“Anna ha arrestato gli aggressori di Tommasi, però non ho capito, c’è stato un conflitto e forse è-è ferita... scusate...”
Corro via senza attendere oltre, ogni istante è prezioso.
Sono nel panico più totale.
Anna, la mia Anna, è ferita.
Non riesco a capire niente, nella mia testa le stesse immagini di quando fu rapita, quella volta. Il terrore di perderla.
La mente annebbiata.
 
Mi precipito in ospedale di corsa, ritrovandomi col fiatone nonostante sia venuto in moto.
Non saluto nemmeno Cecchini quando arrivo, optando direttamente per le domande.
“Maresciallo! Scusatemi... Maresciallo! Come sta Anna?”
“Calma!” tenta di dirmi lui, ma non lo ascolto neppure.
Come può chiedermi una cosa del genere?
“No no no no no, non sto calmo! Voglio sapere come sta Anna! È grave? È in pericolo di vita? Perché se c’è bisogno di una trasfusione, io e lei abbiamo lo stesso gruppo sanguigno-”
“Marco!”
Una voce dietro di me tenta di zittirmi, ma io la ignoro.
“Lasciami stare! Io voglio sape- Anna!”
 
Anna’s pov
 
Sono appena uscita dallo studio del dottore che ha medicato Zappavigna, colpito di striscio da un proiettile, e fatto a me una leggera fasciatura al polso, che mi sono slogata nel tentativo di tener fermo uno degli aggressori, dopo aver tenuto per un po’ del ghiaccio sopra. Quando arrivo in corridoio, però, mi si presenta davanti una scena che ha del surreale.
C’è Marco, davanti a Cecchini, in una evidente crisi di panico, intento a blaterare qualcosa su... su trasfusioni, e la compatibilità dei nostri gruppi sanguigni.
È nel panico più totale, lo so bene, l’ho già visto reagire così altre volte, in altre circostanze, ma cambia poco.
Quando va in tilt, non controlla più le reazioni.
Chissà che ha combinato Cecchini, perché lui c’entra di sicuro.
Non è la prima volta che il maresciallo lo fa preoccupare per qualcosa che mi riguarda e che, puntualmente, è solo un fraintendimento. Prima o poi, se Cecchini non la smette, il mio fidanzato ci lascerà le penne.
Decido di intervenire, prima che la situazione degeneri, chiamandolo.
In un primo momento mi ignora, poi si volta.
Il mio nome, pronunciato con quel sollievo, mi destabilizza un pochino.
E poi Marco mi abbraccia.
Forte, fortissimo.
Anche un po’ troppo.
“Ma stai bene?”
“Sì!... se la smetti di stringere, sì...” sono costretta a dire, vista la mancanza d’aria.
Lui si scosta di poco, arrossendo appena.
“Non è successo niente...” lo tranquillizzo accarezzandogli il volto. “È stato colpito Zappavigna, ma solo di striscio, sta bene... Io mio sono solo slogata un polso, ma niente di che, davvero.” mormoro, nel tentativo di calmarlo.
“... Perché mi ero preoccupato...”
“Ho visto...” rispondo con un sorrisetto. “Sei bianco, a proposito. Mi sa che il dottore serve più a te che a me.” lo punzecchio, divertita.
Lui prova a negare, ma io continuo a prenderlo in giro nonostante i suoi tentativi di sviare.
È un battibecco giocoso, il nostro, e tra le risate noto negli occhi del mio fidanzato l’incredibile sollievo di sapermi sana e salva. Come quel giorno in cui mi salvarono dalla pressa, quando rimasi chiusa in quel furgone.
Allora, avevamo dovuto celare la nostra felicità di rivederci per non ferire Chiara, seppure poco tempo dopo avevamo scoperto essere stato un tentativo vano, perché mia sorella si era accorta proprio in quel frangente di cosa provassimo l’uno per l’altra.
 
Superato il momento - anche se Marco continuerà a ricevere qualche presa in giro da parte mia - rientriamo in caserma dove finalmente giungiamo alla risoluzione del caso.
Anche se, come al solito, al momento dell’arresto Don Matteo ci ha già preceduto.
 
Quando chiudiamo il fascicolo del caso, io e Marco approfittiamo della presenza di Sara per invitarla al pranzo di Pasqua di domani. Lei accetta volentieri.
Incredibile, se non glielo avessimo proposto, avrebbe passato la festa da sola!
Mentre i due PM lasciano il mio ufficio, io mi soffermo ad osservare Marco.
Certo che la scenetta in ospedale è stata divertente! Povero Marco, era andato completamente in tilt!
Ridacchio al commento della mia vocina. Non posso che essere d’accordo.
Anche su questo? Due su due in una settimana, io comincio davvero a preoccuparmi... dov’è la fregatura?
 
Sebbene il caso sia stato risolto, il problema più grave persiste.
Tommasi non ha ancora recuperato la memoria, e sembra sempre più concreta l’ipotesi che tra lui e Lia le cose siano destinate ad arenarsi per sempre.
Vorrei poter fare qualcosa, ma purtroppo non spetta a me. L’unico che può cambiare le carte in tavola è il Maggiore.
Lia sembra essersi messa l’anima in pace, un po’ come Marco quando si è fatto da parte perché io potessi andare in Pakistan.
Se solo potesse esserci qualcuno che lo aiutasse a ragionare, magari capirebbe... qualcuno che possa fargli rendere conto che non sempre bisogna seguire la testa, e che vale la pena dare fiducia al cuore, in alcuni casi soprattutto.
Io lo so bene, quell’aiuto per me è stato indispensabile.
Ma non posso essere io a dirlo a Tommasi: è una questione troppo personale, lo conosco appena.
L’unica cosa che posso fare è offrire il mio aiuto a Lia, con cui ho un po’ più di confidenza, per quel poco che posso.
A tal proposito, il maresciallo mi ha appena detto che Lia vuole andarsene a Roma, nonostante domani sia Pasqua.
A questo per fortuna riesco a ovviare, anche con l’aiuto di Martina e Nino jr, convincendola a restare almeno per la festa.
Capisco dal suo sguardo che è triste, ma sono convinta di aver fatto bene, a farla fermare un altro giorno. In casi del genere, il supporto della famiglia è indispensabile, e il calore di chi ti ama può aiutare a vedere tutto un po’ più chiaramente.
 
Marco’s pov
 
Mentre uscivo dalla caserma, ho incontrato Cecchini.
Era molto abbattuto, e quando gli ho chiesto se fosse successo qualcosa, mi ha spiegato che Lia e Tommasi non riescono a risolvere i loro problemi.
Per lui è una cosa inaccettabile, visto che in genere ha sempre un piano per tutto, ed è rientrato in caserma molto amareggiato, lasciandomi da solo a riflettere.
Inizio a salire verso la chiesa di Sant’Eufemia, dove poco fa ho visto entrare Tommasi.
Quando arrivo, lui ha appena terminato di parlare con Don Matteo, per cui gli propongo di andare a prendere insieme qualcosa da Spartaco. Lui accetta.
Una volta seduti, è Tommasi a prendere per primo la parola.
“Volevo scusarmi anche con Lei,” esordisce, “per tutto ciò che è successo in questi giorni. Non volevo stravolgere anche la vostra vita - cioè, la Sua e quella della Sua fidanzata, intendo... Mio suocero mi ha detto dell’appartamento, e anche sul lavoro...”
Io scuoto la testa. “Non si preoccupi, è il minimo che potessimo fare. Speriamo solo che la Sua memoria torni presto, è l’unica cosa importante.”
“A tal proposito... in che rapporti eravamo, noi due? Visto che Cecchini mi ha detto che ci conoscevamo già...” mi domanda, e io approfitto dell’assist che lui stesso mi fornisce per veicolare il discorso dove voglio.
“Beh, abbiamo collaborato per poco tempo, in realtà, giusto qualche mese. Ma avevamo iniziato a stringere una bella amicizia, c’era molta stima reciproca. Quello che più mi aveva colpito di Lei, comunque, era il suo stacanovismo.”
Alle mie parole, Tommasi abbassa la testa, forse sentendosi in colpa, e capisco di aver toccato il tasto giusto, così proseguo.
“Ma più di questo, avevo scoperto quanto fosse un buon marito, un ottimo padre, e un uomo pronto a tutto per la donna che amava e, sono convinto, ama ancora.”
Lui mi fissa per un istante, un’espressione incerta e confusa sul volto.
“Come fa a dirlo? Non mi fraintenda, non è un’accusa, è solo che io stesso non capisco cosa provo, invece Lei dice di essere convinto... com’è possibile?”
“È una domanda lecita.” annuisco. “Il fatto è che, in qualche modo, so come si sente. Poche settimane fa, ero certo che la mia storia con Anna fosse giunta al termine, e per colpa mia. Avevamo litigato, e io ero convinto di aver commesso un errore enorme che lei mai mi avrebbe perdonato. Non avevo idea di non aver fatto niente, in realtà, la mia testa era assolutamente convinta, anche se il cuore sperava e credeva che così non fosse. Certo, mi ci son voluti parecchi campanelli e altrettante strigliate per farmelo capire, ma è servito. Lei però ha tutto il tempo per ascoltare il cuore, perché ciò che è successo in questi giorni non è avvenuto per colpa Sua, non volontariamente, e può vederla come un’occasione di ricominciare. Ripartire da zero, decidere se veramente deve fidarsi della testa che non vuole ricordare, oppure del cuore, che forse una risposta ai dubbi ce l’ha già.”
Tommasi, dopo avermi ascoltato con estrema attenzione, annuisce a sua volta, rivolgendomi un sorriso prima di spostare lo sguardo sulla piazza, da dove provengono delle risate a lui molto familiari.
Lia sta giocando con i bambini nelle pozzanghere, ancora colme d’acqua dopo la pioggia della notte scorsa.
Capisco che Tommasi ha compreso perfettamente il senso del mio discorso.
 
Domenica di Pasqua.
Siamo tutti insieme a tavola, con la famiglia della canonica e della caserma al gran completo.
C’è Cecchini insieme ad Elisa, e poi ci sono Chiara, Lia con Nino jr e Martina, Zappavigna, Barba e Ghisoni, Sara, Don Matteo, Natalina, Pippo, Sofia e la piccola Ines.
Accanto a me, la mia Anna.
Manca solo Tommasi.
Mi rammarica pensare che forse ho sbagliato, a credere che avesse capito.
Nonostante ciò, non voglio che questo rovini la giornata che tutti ci siamo impegnati ad organizzare.
Cecchini è l’anima della festa, come al solito, e proprio adesso sta passando da tutti per versare lo spumante e brindare.
Dopo aver preso in giro il povero Ghisoni, a cui non ne ha voluto versare nemmeno un goccio, arriva da me.
“... Invece a Lei glielo riempio pieno pieno perché si deve dimenticare lo spavento che ha preso!” afferma con un gran sorriso.
“Lo spavento, Maresciallo? C’è mancato poco che lo ricoverassero alla neuro, visto che si stava comportando da pazzo,” è la risposta divertita di Anna, che mi rivolge un sorrisetto malizioso, facendomi arrossire.
Scoppiano tutti a ridere a mie spese.
Okay, okay, è vero, sembravo un pazzo, ma la verità è che lo sono.
Si, sono pazzo di Anna. Pazzo d’amore per lei.
Non resisterei un giorno senza averla accanto.
“Grazie, maresciallo,” esordisco, in imbarazzo, “e forse è meglio che ‘sto bicchiere non lo beva, sia mai che per colpa dell’alcol non combini altri guai.”
Anna mi guarda male, ma io continuo.
“Sto scherzando... Quella di ieri non è stata una bella figura, d’accordo, però... devo ringraziare quello spavento, perché ieri più che mai ho capito di che cosa non posso fare davvero a meno...” dico, rivolgendomi direttamente ad Anna. “E lo so che sembravo un pazzo, ma perché lo sono, di te, e il solo pensiero di perderti mi fa perdere la ragione.”
Alle mie parole, lei arrossisce.
“Che scemo che sei,” mormora, prima di baciarmi.
La sento sorridere contro le mie labbra quando tutti a tavola iniziano ad applaudire, e Natalina strilla un ‘Viva gli sposi!!’ che fa ridacchiare tutti, perché nonostante le nozze ci saranno, quel giorno è ancora lontano visto che non abbiamo ancora nemmeno fissato una data, ma lei sembra non vedere l’ora, quasi più di noi.
Comunque sia, stiamo per iniziare a pranzare, quando in lontananza vedo arrivare Sergio
Richiamo l’attenzione di Anna, intenta a parlare con sua sorella, per farglielo notare.
Dopo esserci scambiati uno sguardo d’intesa, lei si alza per andargli a parlare.
All’occhiata interrogativa della tavolata, rassicuro tutti di non preoccuparsi.
Immagino il motivo per cui è venuto, o almeno spero sia quello, e ciò non può che aggiungere un tassello felice a questa bella giornata.
 
Anna’s pov
 
Sergio è appena arrivato, quindi probabilmente ha deciso.
In realtà immaginavo mi avrebbe cercata già da quando Spartaco ha ritirato la denuncia perché il motorino gli era stato non solo restituito, ma anche rimesso a nuovo.
Quando mi avvicino lui tituba, così faccio io il primo passo, chiedendogli cos’ha deciso.
Lui afferma che sì, ci vuole riprovare. A ricominciare, perché forse se riuscirà ad avere di nuovo la sua vita, il resto verrà da sé. Io sono contenta per lui, e gli suggerisco di provare a chiamare il numero che gli ho lasciato quanto prima, perché quella persona ha bisogno che la sua auto sia sistemata, e che comunque quel foglietto potrebbe essere più di quanto non sembri: forse un biglietto per il treno diretto verso un futuro migliore.
Lui mi ringrazia, e per un attimo valuto l’idea di proporgli di fermarsi a pranzo con noi, ma mi rendo conto che è ancora presto per un passo del genere, così lascio stare. Mi accorgo che sta osservando Ines, ma noto la paura nei suoi occhi. Dopo un breve saluto, va via senza aggiungere altro.
Torno al mio posto, accanto a Marco, raccontandogli con un sorriso che, piano piano, qualche passetto in più lo sta cominciando a fare.
Sto però continuando a omettere la questione del lavoro, ma non perché voglia nasconderglielo o altro, in realtà c’è una ragione più profonda e personale, e glielo dirò a tempo debito.
Proprio in quel momento, arriva Tommasi.
Noto Marco mettere su un sorrisetto soddisfatto.
Uhm. Chissà come mai.
A quanto pare è giornata di dichiarazioni, perché anche lui fa lo stesso con Lia, come Marco ha fatto poco fa con me.
Mi volto a guardarlo, e il suo sorriso è diventato ancora più grande.
Fa perfino l’occhiolino a Tommasi a un certo punto, come fosse un cenno d’intesa.
Qualcosa mi dice che Marco e il Maggiore abbiano fatto una bella chiacchierata.
Mi sa che hai proprio ragione, vocina.
Veramente mi stai dando di nuovo ragione? Ma cos’è, Pasqua?
In realtà... sì.
Ah, già. Esempio sbagliato. Mi ritiro in silenzio.
Sorrido da sola al piccolo battibecco che ho appena sostenuto con la mia vocina petulante, quando Tommasi chiede a Lia di risposarlo. Mi sento riportare indietro a quella sera, quando io ho fatto la stessa domanda a Marco, dopo il nostro litigio. Sebbene da quel momento siano successe una miriade di altre cose, sono comunque felice di come la nostra vita sia proseguita. Arriverà quel giorno anche per noi.
So che il mio fidanzato sta pensando la stessa cosa, e sorrido prima di appoggiare il capo sulla spalla di Marco, beandomi del mezzo abbraccio in cui mi ha avvolto.
Lui mi posa un bacio in fronte, ma il nostro momento è interrotto da Don Matteo che si alza, proponendo un brindisi di buona Pasqua.
A lui si unisce, immancabile, Cecchini.
“Un brindisi pure per le nostre due coppie, che si risposeranno presto... anche duemila volte, se necessario!” esclama, festante.
Tra le risate di tutti, i bicchieri tintinnano mentre ognuno fa i propri auguri.
Dopo aver avvicinato il bicchiere a quello di Marco per un brindisi tutto nostro, avvicino il calice alle labbra, prendendo un piccolo sorso di spumante.
Mh. Che strano sapore che ha...
 
 
Ciao a tutti!
Eccoci con il terzo ‘episodio’! Le cose, tra Anna e Marco, si sono finalmente aggiustate, e tutto sembra andare per il verso giusto.
Come avete letto, abbiamo cercato di mantenere la linea dell’episodio originale, riadattando però le scene alla nuova trama.
Quindi, ad essere spediti in hotel, con tutti i pro e contro del caso, sono stati i poveri Anna e Marco, sempre invischiati nei piani del maresciallo.
Lia e Tommasi hanno interagito maggiormente con i nostri (abbiamo riportato Martina perché, come nel caso di Chiara, è stato inammissibile che non fosse nemmeno menzionata) e anche Sara ha avuto la sua parte, seppur marginale in questo caso.
Come vi abbiamo già chiesto, io e Martina vogliamo conoscere le vostre opinioni, e soprattutto le vostre ipotesi in merito a cosa succederà... è vero che siamo ancora all’inizio, ma di roba ce n’è già parecchia, ed è tutto in evoluzione (in positivo, però, si spera...).
Come sempre, grazie per il vostro affetto.
A giovedì,
 
Mari
   
 
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