2. La notte più
lunga della mia vita, almeno finora
“La signorina Lisbon? Teresa Lisbon?” Un’infermiera
dall’aria gentile mi sta chiamando.
“Eccomi.” Scatto in piedi, a rapporto.
Alle sue spalle vedo Jane che cerca
maldestramente di avanzare con le stampelle.
“Abbiamo visitato il signor Jane. Tutto
apposto. È una semplice slogatura. Un paio di giorni e sarà come nuovo. Nel
frattempo però raccomandiamo riposo assoluto. Sarebbe meglio non sforzare la
caviglia.”
“D’accordo, la ringrazio.”
“E di che. Dovere. Buona notte, signorina
Lisbon. Signor Jane, riposo assoluto e si rimetterà in fretta.”
Vedo Jane sfoderare uno dei suoi sorrisi
migliori e mi chiedo come quell’infermiera non si sia sciolta lì, ai suoi
piedi. Sono anche trafitta da una strana sensazione. Gelosia? No, non è
possibile. Non è da me. Eppure…
“Ehi, Lisbon, andiamo? Ricorda che hai
promesso che saresti venuta con me a qualunque condizione.”
“Non c’è bisogno di fare il saputello. Me
lo ricordo perfettamente, Jane.” Gli apro la porta d’uscita e finalmente siamo
fuori. Mi sembra di respirare davvero solo ora. Il cielo è scuro, immenso,
punteggiato qua e là da stelle piccole ma luminose.
“Puoi chiamare tu un taxi? Con queste
stampelle faccio un po’ fatica a fare altro.” Sembra quasi malizioso e lo
guardo di sott’occhi. Mi fissa con sguardo attento e mi sento arrossire. Mi
viene in mente il nostro bacio. Sono passate solo poche ore, non ne abbiamo più
parlato ma da quel momento siamo stati sempre insieme. Ed ora dove mi vuole
portare? Di sicuro non partiremo subito per Austin. È veramente molto tardi e
io, ribadisco, sono davvero molto stanca. Ma con Jane non si può mai sapere.
Il taxi arriva poco dopo. Sento a mala
pena che Jane gli dà delle indicazioni ma mi ha fatto allontanare apposta perché
“Altrimenti che sorpresa è?”, così mi ha detto.
Lascio cadere nel baule l’unico bagaglio a
mano che mi sono portata da quando siamo partiti alla volta di Miami per
seguire quello che doveva essere il mio ultimo caso all’FBI di Austin, caso che poi
si è rivelato tutto un trucchetto di Jane per chiedermi di non partire. Solo
ora mi accorgo che non ho più saputo nulla su come si sia concluso.
“Lisbon, ci sei?”
Jane mi chiama da dentro il taxi. Mi siedo
dietro, stavolta accanto a lui che, appoggiate le stampelle tra le gambe, mi
prende la mano. Sono un attimo impreparata a questo suo gesto e il mio cuore fa
una piccola capriola, mancando un battito.
“Rilassati. Non ti voglio mica sbranare.
Non ti sto portando in qualche luogo oscuro” sogghigna. “Non riuscirei a farla
franca in queste condizioni.” Le sue ultime parole mi sfiorano l’orecchio
sinistro e io deglutisco. Dannato, Jane! Che mi stai facendo?
Si allontana appena da me ma continua a
tenermi la mano mentre il suo sguardo si sposta sulla strada. Mi sembra di percepire
il suo sorriso giocoso. Rimango a fissarlo e anche così, nel buio, noto che è
affascinante da togliere il respiro. Sì, ora lo posso ammettere e penso davvero di poterlo dire
senza farmi troppi problemi. Mi ha detto che mi ama. È stato davvero
fantastico, o meglio, imbarazzante da morire all’inizio. Tutti quegli occhi che
mi guardavano! Ma poi il suo modo così semplice e titubante di parlarmi mi ha
letteralmente stretto il cuore in una morsa di tenerezza. E io provo le stesse
cose per lui. Mi sento la testa pesante mentre mi sembra di sentire ancora il
sapore delle sue labbra sulle mie. Sento la sua voce un po’ ovattata. “Lisbon,
svegliati. Siamo arrivati. Non posso portarti in braccio. È già bello che non
lo debba fare tu con me.”
Apro con fatica gli occhi. Noto che
l’autista mi ha aperto la portiera e tiene in mano il mio bagaglio. Riconosco
quell’ingresso. L’ho lasciato solo quella sera stessa. È l’hotel Uccello Blu.
Non ci posso credere. Siamo ancora qui. Io e Jane e nessun altro questa volta.
Vedo che lui mi raggiunge con due grandi balzi senza quasi far fatica ora. Come
è possibile che abbia già preso dimestichezza con quelle robe? È appena stato
dimesso, per l’amor del cielo!
Pago il tassista che se ne va
ringraziandoci e poi mi concedo un attimo per guardare Jane.
“Allora, bella addormentata, andiamo, ti accompagno nella tua stanza.”
“Allora, bella addormentata, andiamo, ti accompagno nella tua stanza.”
Mi precede tutto allegro e io non posso
far altro che seguirlo. “Jane, dubito che abbiano ancora delle stanze a
quest’ora.”
“Nah, non ti preoccupare. Non penso
abbiano dato via le nostre e poi, ce ne basterebbe anche solo una non trovi?”
Mi blocco un istante, stordita, mentre lui
scoppia a ridere. “Dai, Lisbon, tranquilla.”
Alla reception la signorina che fa il
turno di notte si accorda con Jane. Non so come ci sia riuscito ma,
effettivamente, una delle due stanze che lui aveva prenotato una settimana fa,
è ancora disponibile. Mentre prendiamo l’ascensore per raggiungerla in modo più
agevole per lui, mi confessa che è la sua stanza, quella dove si sono
presentate le assassine di Greta De Iorio. Il mio cervello si mette subito in
moto.
“Le assassine? Le avete prese? Raccontami
subito tutto!”
“Ehi, ehi… calmati. Non eri stanca morta,
bella addormentata?”
Non riesco a resistere e gli pizzico il
braccio.
“Ahi, e questo per cosa era? Cosa ho
fatto?” Mi guarda imbronciato e di fronte a quella sua espressione così buffa
non posso non ridacchiare. Mi precede ancora una volta e apre la porta della
sua stanza. Come ormai il giorno prima, rimango abbagliata dalla bellezza di
quelle camere. La sua è pressoché identica alla mia solo con colori diversi.
Noto però che sembra essere stata sistemata in fretta e furia.
Se è stato il luogo della cattura di due
assassine, beh, Jane deve essere stato davvero persuasivo per lasciarsela
consegnare. Avrà usato qualche trucchetto. Spero che l’indomani non mi toccherà
sistemare la faccenda con Abbott se solo non avessero finito di fare tutti i rilievi
del caso.
“Non ti preoccupare. Abbott ha chiuso il
caso. La stanza è tornata agibile praticamente da subito.”
Non posso fare a meno di sospirare. Li
becca sempre, tutti i miei pensieri. Ormai non gli chiedo più nemmeno come fa.
Sono un libro aperto per lui e non solo io per fortuna.
“Allora? Mi vuoi raccontare o no come è
andata?” Incrocio le gambe e mi sistemo meglio sulla poltrona, ora
perfettamente sveglia.
“Non ci penso neanche.” Si allontana e va
a sedersi sul letto, molla le stampelle a terra, si toglie l’unica scarpa che
indossa, e poi si lascia cadere a peso morto sul copriletto color sabbia.
E no, questo è troppo! Prima mi attira qui
con la storia della risoluzione del caso e poi non mi dice nemmeno una parola?
Non mi arrenderò stavolta. Mi precipito di fronte a lui, in piedi con le
braccia sui fianchi e le gambe divaricate. Lo guardo con superiorità e lo sfido
con lo sguardo. I suoi occhi azzurri si piantano nei miei occhi verdi e in lui
vedo una scintilla che mai avevo notato prima di allora. Desiderio? Sento la
mia salivazione azzerarsi e in un attimo ripenso al nostro bacio. Ne voglio un
altro, subito, ora. Dischiudo appena le labbra e vedo che i suoi occhi l’hanno
notato. È un attimo. Lui si rimette a sedere, mi afferra per una gamba e non so
come mi ritrovo sul letto, più o meno sdraiata accanto a lui. D’accordo Jane.
Giochi sporco. Vuoi continuare con i tuoi trucchetti ma giuro che ce la farò a
farmi raccontare la fine del caso. Diamo inizio alle danze. Cerco di sistemarmi
meglio girandomi su un fianco e fissando nuovamente i suoi occhi nei miei.
Anche lui si gira e mi sistema i capelli dietro l’orecchio. Una mossa lenta, studiata,
con la quale mi costringe ad avvicinare il mio volto al suo. Non mi nego.
Voglio quel bacio tanto quanto lui. Gliel’ho letto nello sguardo. Così le
nostre labbra si uniscono di nuovo, incastrandosi perfettamente come se non
avessero fatto altro in tutta la loro vita. I nostri respiri si fondono,
divengono via via più esigenti e io per un istante perdo la lucidità che mi ero
prefissata di mantenere pur di sapere tutto sul caso. Mi stacco appena e,
passando una mano tra i suoi capelli, avvicino il suo orecchio alle mie labbra.
“Allora, me lo dici come hai chiuso il caso?” Glielo sussurro soltanto ma dal
suo sospiro capisco che, sotto sotto, non sono riuscita a fregarlo. Se
l’aspettava, dopotutto. Si ricompone un attimo, si mette a sedere e vedo che è
pronto a negoziare.
“D’accordo, Lisbon. Facciamo un patto. Ci
rilassiamo un momento, tu fai una bella doccia mentre io ti aspetto qui e sai perfettamente
che non andrei da nessuna parte. Poi, se dopo la doccia vorrai ancora sapere
del caso, te lo racconterò. Ci stai?”
Faccio finta di pensarci un momento. Ho
paura che ci sia in ballo qualcos’altro. Sento però di aver davvero bisogno di
una doccia anche se ormai si sono fatte le 3. E se queste sono le sue
condizioni… beh, potrei cedere a patto di… “Ad una condizione” aggiungo.
“Non mi sarei aspettato niente di meno.”
Alza gli occhi al cielo, quasi esasperato.
“Andata per la tregua di rilassamento e la
doccia, ma dopo che mi avrai raccontato tutto mi devi promettere che riposeremo.
L’infermiera si è raccomandata, riposo assoluto. E non devi fare storie.” Patti
chiari, amicizia lunga. Mi pare si dica così. Anche se l’amicizia nel
nostro caso specifico, ora come ora, non è contemplata. E per fortuna,
aggiungerei!
“Ok, come vuoi tu!” Mi fa uno militaresco
cenno di assenso.
Scuoto il capo. Incorreggibile!
Decido di non perdere tempo. Mi precipito
in bagno e, senza nemmeno accorgermene, mi chiudo dentro a chiave. Oddio,
Teresa! Non avrai paura di Jane? Che ti succede? Mi appoggio un momento con la
schiena alla porta e respiro profondamente. Sono in una camera di un albergo di
lusso da sola con Jane. Ancora non ci credo! E stanotte, o quel che ne resterà,
dormirò con lui. Basta! Non voglio continuare ad assillarmi. Sembro una
quindicenne.
Accendo l’acqua della doccia e mi spoglio.
Subito il vapore inonda il locale bagno. C’è un ottimo sapone all’olio di argan
che avevo già provato prima della mancata cena di ieri. Rivivo per un attimo
quel momento in cui mi ero preparata per cenare con Jane. Mi ero sistemata con
cura. Non sapevo nemmeno io quale fosse il reale motivo. Continuavo solo a
ripetermi che era per via dell’ultimo caso che avrei seguito con lui. Ma forse,
già inconsciamente, pensavo ad altro. Mi rivedo con indosso quell’abito lungo,
leggero, rosa ciclamino che lui mi aveva fatto trovare in camera. Ecco un’altra
cosa che devo chiedergli. Cosa avesse avuto in mente per quella serata.
L’acqua calda continua a scorrere lenta
sul mio corpo e i miei nervi iniziano a rilassarsi. Sento l’adrenalina
abbandonarmi e un sorriso tranquillo fa capolino spontaneamente sulle mie
labbra. Tengo gli occhi chiusi e mi concentro solo sul rumore dell’acqua che
scorre. Quando ormai sento di essere completamente serena, esco dalla doccia e
mi avvolgo nell’accappatoio morbido dell’albergo. Mi metto anche un asciugamano a
modi turbante attorno ai capelli bagnati e guardo il mio riflesso
nell’enorme specchio sopra il lavandino. Sono semplicemente radiosa. Ho gli
occhi che mi brillano. Ed ora non ho più nemmeno sonno. Socchiudo la finestra e
una leggera brezza marina entra nel locale. Respiro a fondo. Sono pronta. Giro
la chiave nella toppa e uscendo mi avvicino in fretta al mio borsone da viaggio
per recuperare la biancheria che non mi sono nemmeno presa la briga di portare
nel bagno con me prima della doccia.
“Finalmente! Ce l’hai fatta! Ero quasi
convinto che fossi scappata dalla finestra. E non avrei nemmeno potuto
verificarlo perché ti eri chiusa dentro.”
La voce di Jane mi coglie alla sprovvista.
“Jane!”
“Sì?” Mi rivolge uno sguardo innocente da dietro
le mie spalle. Troppo vicino a me.
“Mi hai spaventata! Dovresti stare a
letto. Non ti fa bene sforzare l’altra gamba.”
Muove in aria le mani come per scacciare
una mosca molesta. “Ah, bazzecole.”
Lo guardo con aria di rimprovero, battendo
un piede a terra. “Non eravamo d’accordo così. Stai già venendo meno al patto?”
“Ah, no. Hai detto che avremmo riposato
solo dopo averti raccontato tutto del caso. Io, tecnicamente, non ti ho ancora
raccontato nulla.”
Accidenti, riesce sempre a fregarmi!
“Sì, ma…” cerco di protestare ma lui,
ancora una volta, mi stupisce. Mi prende la mano e mi riporta, saltellando sulla gamba sana,
verso il letto.
“Aspetta, Jane! Devo, io devo… cambiarmi.”
“Cambiarti?” mi guarda perplesso.
“Sì, devo mettermi qualcosa addosso. Capito
cosa intendo?” Sembro paranoica. Un sospettato sotto accusa. E, come se non
bastasse, avvampo. Questa cosa mi sta sfuggendo di mano. Non mi ero mai resa
conto di essere così predisposta ad arrossire. Oppure è colpa di Jane. Sì, deve
essere così. È sempre colpa di Jane.
“Beh, sempre tecnicamente, qualcosa
addosso ce l’hai già. Quell’accappatoio è morbido e ti sta bene. Per me puoi
anche stare così.” Alza le spalle e mi sorride. Sembra sincero ma lo so che sta
gongolando nel vedermi in difficoltà.
“Allora, vuoi che ti racconti o no del
caso?”
Non c’è nulla da fare. Sa sempre qual è la
mossa giusta. Non trattengo uno sbuffo di disappunto ma mi accomodo sul letto,
appoggiata alla testiera e incrocio fermamente gambe e braccia cercando di coprirmi
alla meglio con l’accappatoio.
Lui si sdraia accanto a me e solo ora lo
noto. Si è tolto giacca e gilet e se ne sta in camicia. Ha le maniche
arrotolate fino ai gomiti e la camicia gli esce disordinata dai pantaloni. Sembra
rilassato, non è da lui. Questo mi fa sorridere e, ovviamente, se ne accorge.
“Lo so che non è da me presentarmi così
sciatto ma è tardi. E poi qui ci sei solo tu. Confido nel fatto che non lo
sbandiererai ai quattro venti. Anche se quando ero un fuggiasco ero decisamente
messo peggio. Magari un giorno te lo dirò come andavo in giro.”
Non mi lascia più nemmeno il tempo di
replicare. “La smetteresti per un attimo di leggermi nella mente?” Sono un po’
infastidita.
“D’accordo, d’accordo. La smetto.” Alza le
mani in segno di resa.
“Avanti, sputa il rospo. Ti ascolto.”
“Pronti ad intervenire è un azzardo. Se tu
non te ne fossi andata ci saresti stata tu a proteggermi da tutta quella gente
armata.”
Alzo gli occhi al cielo. “Armata ma
innocua a quanto pare. Non mi sembravano pronti a spararti a bruciapelo. E poi
ricorda che sei stato tu a costringermi ad andarmene. Mi hai usata!”
“Ti ho già chiesto scusa per quello,
pensavo fossimo andati oltre.”
“Certo, certo. Hai sempre ragione tu.”
“Sì, sempre.” Improvvisamente Jane mi
blocca sul letto rotolandosi su di me ma reggendosi per non pesarmi addosso.
“Ehi, ma che stai facendo?” sgrano gli
occhi ma sono compiaciuta e lui lo nota.
“Pensavo che sarei stato più comodo a
pancia in giù.”
“Sopra di me?”
“È un esperimento il mio. Che ne pensi?”
Colgo una leggera titubanza nei suoi occhi
e, nonostante cerchi di essere spavaldo, ho avvertito anche una lieve
incertezza nella voce.
Forza Teresa! Adesso tocca a te!
Sfodero uno sguardo strano, quasi
malizioso e gli sorrido. “Per essere un esperimento la partenza non è niente
male.” Gli cingo le spalle con le mie braccia e sento l’accappatoio allentarsi.
Questo mi provoca un brivido e non è decisamente per il freddo. Sento che anche
lui l’ha notato. Non mi devo fermare, non mi voglio fermare. Allora lo bacio. È
un bacio diverso da subito. Ce ne accorgiamo entrambi. È profondo, forte,
succulento. Il turbante cede immediatamente sotto la pressione delle sue mani e in un
momento sento le sue dita aggrovigliarsi attorno ai miei capelli ancora umidi per
avvicinare ancora di più la mia testa alla sua. Come se davvero fosse possibile,
solo per sentirmi più vicina. Sospiro e inarco la schiena involontariamente verso
il suo corpo ma qualcosa mi infastidisce. Il mio accappatoio è decisamente più
morbido dei suoi vestiti e, nonostante lo apprezzi davvero vestito in camicia e
pantaloni, adesso mi sembrano fuori luogo. Non posso credere a quello che sto
pensando. Voglio Jane. Lo voglio.
Interrompo un istante il bacio per mettere
in atto un piano contro la scomoda situazione dei suoi vestiti ma colgo una
leggera smorfia di dolore sul suo viso.
“Che c’è?”
“Ehm, nulla… solo una fitta. Penso tu
abbia inavvertitamente avvolto la mia caviglia malandata con la tua gamba. Non che
la cosa mi dispiaccia, Lisbon… però non sono riuscito a controllare il dolore.”
“Oh, Jane! Scusa, scusami tanto. Mi sono
completamente dimenticata della tua caviglia.” Cerco di mettermi seduta,
sciogliendo effettivamente le mie gambe aggrovigliate alle sue.
Lui si solleva appena sugli avambracci e riprende
a baciarmi con un ritmo più lento mentre la mia razionalità torna a poco a
poco.
“Jane” mugugno sulle sue labbra. “Jane
aspetta. È meglio se ci fermiamo. Devi rispettare il patto. Dopo il racconto
del caso avremmo dovuto riposare, ricordi?”
Mi guarda malizioso. “Mi pare che fino a
poco fa non ti importasse molto del patto, o mi sbaglio?”
“Oh, andiamo, Jane! Ok, sì… hai ragione…
ma ora me ne sono ricordata ed è per il tuo bene. Davvero.”
Guardo i suoi occhi che sono sicura essere
un riflesso dei miei. Brillano ma hanno ancora uno sprazzo di lucidità, lo vedo.
“Ok, va bene agente Lisbon. Per questa
volta rispetterò le regole.” Si riappropria della sua parte di letto ma nel farlo
mi attira a sé e mi cinge con le braccia. Mi ritrovo naturalmente con la testa
appoggiata al suo petto, i miei capelli sparpagliati sulla sua camicia che, mi
accorgo solo ora, ha un bottone o due di troppo slacciati nella parte alta. Gli
intravedo la canottiera e, ancora una volta, sento un brivido percorrermi la
spina dorsale. Lo guardo e mi sorride e io… fatico a mantenermi calma, lo
ammetto. Mi accoccolo come meglio posso tra le sue braccia, avvolgendolo con un
braccio al livello dell’addome ma soprattutto incurante del fatto che il mio
accappatoio si sta quasi aprendo, occupata come sono a non avvolgergli ancora
le gambe attorno alla caviglia slogata.
“Comoda?”
“Sì. E tu?”
“Direi di sì. Anche se con una visuale
così potrei faticare a riposarmi.”
Lo guardo dubbiosa e vedo che il suo
sguardo è fissato non troppo innocentemente sulla scollatura dell’accappatoio che
si è aperta parecchio rivelando parte dei miei seni.
“Accidenti, Jane!” Arrossisco e lo colpisco
con un piccolo pugno sulla spalla prima di tentare di coprirmi, anche se con
scarsi risultati visto che comunque non ho nessuna intenzione di abbandonare il
suo abbraccio.
“Ahi,
non essere crudele! Non ho detto nulla
di male in fondo. Ma non puoi tendere un’esca così
allettante e pretendere che
non ti dica nulla.” Ammicca e non mi lascia aggiungere altro
perché si sporge
appena per spegnere l’abatjour sul comodino dal suo lato del
letto. Curiosamente
non mi sono accorta che era l’unica fonte di luce rimasta nella
stanza da quando sono uscita dal bagno. Sto perdendo colpi, sto
abbassando la guardia. Sarà la stanchezza,
sarà l’eccitazione, sarà Jane. È sempre
colpa di Jane, alla fine.
Ora il buio ci avvolge tutto intorno. Mi stringe
ancora a sé e io mi aggrappo ancor più a lui. Sento che le sue labbra mi
sfiorano l’attaccatura dei capelli.
“Buonanotte, Teresa. E buon riposo.”
“Buonanotte, Patrick.” E stacco finalmente la spina.
Non so se riuscirò in questo
intento ma voglio comunque provarci. Fatemi sapere qualcosa se vi va, le
critiche costruttive sono sempre ben accette!
E con questo vi saluto!
A presto
Mirty