Videogiochi > Life Is Strange
Segui la storia  |       
Autore: GirlWithChakram    14/04/2020    2 recensioni
Un giorno d’estate, un giorno come tanti per Chloe, il cui compito è consegnare gli addobbi floreali per l’ennesima cerimonia.
Un giorno d’estate, un giorno speciale per Maxine, che sta per compiere il grande passo.
Un giorno d’estate, in cui a sbocciare non saranno solo i fiori.
Breve commedia Pricefield ispirata al film “Imagine Me & You”.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield
Note: AU, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lily of the Incas
[Legame duraturo]

 
 
La saracinesca del Kabloom si alzò con il consueto frastuono metallico, facendo sparire l’elaborato graffito di un bocciolo di rosa esploso in decine di petali, disegno ispirato al nome del negozio.
Chloe era molto fiera di quella propria opera ed era ben contenta di vederla ad accoglierla ogni mattina da tre anni a quella parte.
Arcadia Bay non aveva mai avuto un gran mercato floreale e perciò l’idea di aprire un posto dedicato interamente alle piante era stato un azzardo. Lei e Stephanie, la sua socia in affari e collega, avevano avuto una partenza faticosa, tra permessi, prestiti e trovare una linea coi fornitori, ma presto le cose erano decollate, rendendo il Kabloom il signore indiscusso del settore. Molti sceglievano ancora di acquistare mazzi preconfezionati al supermercato, ma tra gli abitanti della cittadina si stava sempre più diffondendo la preferenza per le composizioni della Price.
La vita, almeno sul fronte lavorativo, andava al meglio.
La fiorista aprì la porta di vetro ed entrando inspirò il profumo delle piante in negozio. I vasi da esposizione erano ancora vuoti, in attesa dei fiori più freschi, appena presi dal vivaio, mentre il resto dello spazio era occupato da ciuffi di aromi, cactus ed altre piante da interno. Ad un occhio inesperto sarebbe apparso come una piccola giungla rinchiusa dietro la parete trasparente di qualche zoo, ma Chloe conosceva la disposizione di ogni singola foglia e ramo, rendendo quel caotico trionfo floreale il suo sicuro ed accogliente regno.
Sbadigliando, abbandonò la giacca di pelle sul bancone, giocherellando con le chiavi per aprire la porta che dava sul magazzino.
Altri fiori e piante le diedero il benvenuto in un ambiente più raccolto, in attesa di essere promossi alla vendita, condannati, altrimenti, a godere solamente della poca luce proveniente da una finestra che dava sul piccolo parcheggio.
La proprietaria aprì il passaggio sul retro, trovandosi così davanti al pickup che aveva sapientemente parcheggiato.
Come ogni mattina, scaricò gli ultimi arrivi del vivaio e li depositò nel retrobottega, per sistemarli meglio in seguito. Ripercorse i propri passi ed andò ad aprire la cassa, verificando che il denaro lasciato la sera precedente fosse ancora lì. Infine, stiracchiandosi, tirò fuori dalla tasca l’accendino e una sigaretta. Quella era la parte conclusiva del suo rituale.
Si piazzò davanti all’entrata, come sempre, appoggiandosi alla vetrina. Steph la criticava ad ogni occasione perché, in un gesto quasi naturale, sollevava il piede sinistro, appoggiando la scarpa conto il vetro, che ne restava conseguentemente segnato.
Ma Stephanie non era lì a sgridarla, quel giorno.
Inspirò il fumo e lo soffiò in piccoli sbuffi.
Cominciava a fare freddo, per essere solo la prima settimana di settembre. Non era un weekend del Labor Day particolarmente rigido, ma decisamente meno arroventato delle ultime giornate di agosto.
Era un periodo piuttosto attivo, per quanto riguardava feste ed eventi, perché la gente voleva approfittare del clima ancora clemente, ma non soffocante come quello dell’estate. Stranamente, però, non aveva in programma grandi consegne per tutta la settimana seguente.
L’unico impegno fisso era quello della domenica mattina: la visita del suo nuovo, giovanissimo, protégé.
Estrasse il telefono e controllò l’orario, per vedere quanto tempo le restava prima dell’arrivo del terremoto. Lo schermo si illuminò segnando le sette e ventisette. Aveva ancora mezz’ora per assicurarsi che gli ultimi arrivi avessero abbastanza acqua e per disporre qualche nuova composizione nei vasi a vista.
Consumò in fretta ciò che restava della sigaretta e la spense raschiando il mozzicone contro il muro, lanciandolo poi con un esperto colpo di dita dentro il cestino all’angolo della strada.
Osservò la carreggiata, quasi sempre deserta. Proseguendo oltre il Kabloom si poteva solamente raggiungere il cimitero o il faro che dominava il promontorio, entrambi luoghi poco ambiti dai locali che preferivano stare alla larga sia dal camposanto, sia dalla vecchia lighthouse. Si vociferava che fossero entrambi infestati dagli spettri.
La Price si passò una mano tra i capelli. Di fantasmi ne aveva già a sufficienza nella propria testa.
Si distrasse sistemando le nuove piante e rassettando dopo averne potato le foglie e i rami secchi, il tempo passò più in fretta canticchiando qualcuna delle sue canzoni preferite rimaste nel suo lettore mp3 dai tempi del liceo.
Quando si accorse che le otto erano ormai vicine, tirò fuori lo sgabello su cui faceva accomodare il proprio pupillo e gli approntò uno spazio di modo che potesse fare i compiti o disegnare.
Come per ogni cosa che riguardava Chris, Chloe faceva fatica a raccapezzarsi su come si fossero svolti esattamente i fatti, specificatamente: come avesse finito di fare da babysitter al ragazzino mentre il padre era impegnato a fare chissà cosa. Trovava difficile che il signor Eriksen avesse improrogabili obblighi di lavoro la domenica mattina, sembrava voler solamente scaricare il figlio a qualcun altro.
Il rombo di un motore lungo la strada le fece alzare la testa.
Udì il rumore delle ruote mordere la ghiaia del parcheggio, ma, con sua sorpresa, invece di sentire il borbottio dell’automobile tornare verso la città dopo aver fatto scendere Christopher, colse un vociferare e un suono di passi che non poteva appartenere solamente al giovanotto.
Una testolina bionda sorridente fece capolino dalla porta principale.
«Ciao, Chloe!»
«Bentornato, mio apprendista» lo salutò lei, sbirciando alle sue spalle la figura che lo scortava «E un sincero benvenuto alla leggiadra dama che ti accompagna.»
Il piccolo Eriksen si voltò. «Max, questa è Chloe.»
«Sì» sorrise pacatamente la Caulfield «Già ci conosciamo.»
«È un piacere rivederti» disse la Price, andando ad accogliere i due per tendere la mano alla donna.
«Altrettanto» ribattè l’altra, stringendo la mano che le veniva offerta.
«Ammetti che hai accettato di stringerla solo adesso che sei sicura che non sia stata immersa nel punch» mormorò la fiorista sogghignando.
Maxine rise, mettendosi poi a giocherellare con la fede, che senza quella eccentrica ragazza non sarebbe altrimenti riuscita a recuperare.
«Chloe?» domandò Chris, sentendosi un po’ messo da parte «Ho finito tutti i compiti per le vacanze, cosa posso fare oggi?»
«Prendi pure il blocco da disegno nel primo cassetto» gli rispose, senza prestargli particolare attenzione «Puoi usare i colori che trovi nell’astuccio sul banco.»
Il bambino ringraziò, ma si accorse che né la sua amica né sua cugina si stavano curando di lui, troppo prese dallo studiarsi a vicenda.
«Allora» riavviò la conversazione la fioraia «Come mai qui?»
«Ho accompagnato Chris.»
«Questo mi pare evidente» commentò la proprietaria del negozio, inarcando un sopracciglio «Intendevo chiedere come mai tu abbia deciso di accompagnarlo dentro. Di solito suo padre lo scarrozza nel parcheggio e se ne va.»
«Oh… Volevo passare a salutarti» si giustificò Max «E ringraziarti ancora dell’ottimo lavoro fatto con le decorazioni del matrimonio.»
«Ma figurati, l’assegno che mi ha lasciato tua madre è stato un ringraziamento più che sufficiente.»
La Caulfield si rese conto di non riuscire a smettere di sorridere.
«Quindi… Adesso che mi hai salutata, vuoi restare qui a sorvegliare Captain Spirit o torni a casa a preparare il pranzo domenicale per il tuo maritino?» domandò la Price, quasi controvoglia.
«Oh, no, nulla di tutto ciò…» replicò Maxine, ma il suggerimento di cucinare un pasto le fece venire in mente una brillante idea. Già dal matrimonio, aveva notato come il miglior amico di Warren, Eliot Hampden, fosse rimasto colpito da Chloe ed allora decise di compiere quella che sembrava una buona azione: fargli rincontrare la ragazza per cui aveva preso una bella sbandata.
La fiorista vide cambiare l’espressione dell’ospite ed iniziò a preoccuparsi, non sapendo a cosa stava per andare incontro.
«Però, sarebbe un piacere per noi averti questa sera a cena» affermò Max con una determinazione e una sicurezza di sé che raramente si presentavano «Sempre ammesso che tu sia libera.»
La donna si passò una mano nella chioma blu. Quella era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di sentire.
«Sarebbe un modo per ripagarti personalmente» tentò di giustificarsi l’altra, interpretando il silenzio come un principio di rifiuto «E per convincere Warren a sfruttare il tavolo della sala che i suoi genitori ci hanno regalato per le nozze.»
«Certo» si sbloccò la fioraia «Non sia mai che la tavola resti inutilizzata.»
«Allora verrai?» ribattè Maxine, quasi incredula.
«Sì» affermò Chloe, cercando di convincere anche se stessa di aver appena aderito a quello che poteva essere il pasto più bizzarro della sua vita «Dimmi un’ora e l’indirizzo.»
«Ti mando un messaggio più tardi, va bene? Devo tecnicamente ancora informare mio marito e…» Si fermò prima di nominare Eliot, indecisa se svelare i propri piani di match maker.
«E…?» continuò per lei la Price, curiosa di sentire la conclusione di quella frase.
«E fare la spesa, perché non so cosa abbiamo in frigorifero e non vorrei doverti offrire solo cracker con ketchup.»
Risero all’unisono e si rimbeccarono inventando a turno pietanze assurde composte dai più disparati ingredienti.
Chris le ascoltò per tutto il tempo, alzando ogni tanto la testa dal foglio per sbirciare le loro reazioni. Sembravano molto a loro agio, una novità per sua cugina che solitamente faticava a lasciarsi andare in presenza di estranei.
Dopo qualche minuto, l’ilarità scemò, lasciando nuovamente spazio ad una quiete contemplativa.
Max si smarrì nei colori dei fiori tutto intorno, che si armonizzavano così bene con la proprietaria del negozio e i forti contrasti dei suoi capelli e dei suoi tatuaggi.
«Ti lascio il mio numero?»
La Caulfield si riscosse. «Come?»
«Con le parole» replicò la fiorista, sollevando un sopracciglio «O, se preferisci, posso scriverlo.»
Ci volle qualche secondo affinchè Maxine connettesse tutte le informazioni.
«Hai detto che mi avresti mandato un messaggio» Chloe tentò di chiarire la situazione «Lo vedo difficile senza avere il numero del mio cellulare.»
Dopo una nuova salva di risate, la fioraia digitò il proprio recapito sul telefono dell’altra.
«Niente emojis nei messaggi, mi raccomando» la ammonì «Le detesto.»
Max si fece la nota mentale di sfruttare l’intera collezione di faccine e simboli come mai aveva fatto prima di allora.
«Sarà meglio che vada» annunciò, contemplando l’ora sullo schermo «Chris, passerà tuo padre a prenderti oggi pomeriggio» disse al cuginetto «Farai il bravo, vero?»
«Certamente, Max» assicurò il piccolo Eriksen.
«Allora, a presto» lo salutò «Invece, a te scriverò appena confermata la cena» proseguì rivolta alla Price.
«A dopo» sorrise di rimando la negoziante.
Appena Maxine fu scomparsa a bordo di una sgangherata berlina blu scuro, Chloe cominciò a stringere convulsamente il telefonino. Si decise a mandare un paio di messaggi a Stephanie per farsi dare il cambio, così da passare da casa a darsi una sistemata.
«Non ti dispiace rimanere con Steph, vero?» domandò all’ospite, che nel frattempo si stava cimentando nel disegnare una specie di ibrido gatto-robot.
«Mi piace un sacco Steph!» esclamò Christopher «Mi sta insegnando Dungeons and Dragons!»
«Oh, povera me…» mormorò la ragazza «Non bastavano lei e quell’altro svitato di Mikey, o Elamon, come preferisce.»
«Adesso ci sarà anche Captain Spirit con lui a combattere i mostri!»
«Non puoi fare il supereroe in D&D» contestò la Price «Devi attenerti alle classi regolamentari.»
«Ma io voglio fare il supereroe.»
«Persino io ho dovuto rinunciare a cappa e calzamaglia in favore di qualcosa di più attinente.» La donna gonfiò il petto, al ricordo delle partite fatte ai tempi del liceo con i suoi amici. «Hai di fronte a te Callimastia, inarrestabile elfa barbara.»
Eriksen sgranò gli occhi, immaginando la mentore nei panni di una spietata guerriera dalle orecchie a punta.
«Perciò sarà bene che inizi a pensare a quale classe vuoi appartenere, scricciolo. Ti vedrei bene come ranger, hai l’aria di uno che vivrebbe nei boschi a raddrizzare i torti.»
«Come Robin Hood!» si illuminò.
«Sì, all’incirca.»
«Fantastico! Voglio fare il ranger!»
«Allora, che dici se, mentre aspettiamo Steph, iniziamo a buttar giù le caratteristiche del tuo personaggio?» propose la Price «Dobbiamo anche delineare la sua storia e quale evento gli faccia incontrare Elamon.»
«E Clitemnestra!»
«Callimastia, zucca vuota» lo corresse Chloe con una risata, arruffandogli i capelli.

 
***
 
Stephanie raggiunse il Kabloom verso le tre del pomeriggio, venendo quasi investita sulla soglia da una Chloe stranamente agitata.
«Che ti prende?» le domandò, sbirciando all’interno per assicurarsi che non avesse demolito il negozio in sua assenza.
«Quando ti ho chiesto di venire a darmi il cambio, intendevo il prima possibile» ringhiò la Price, dirigendosi a grandi falcate verso il pickup «Ti avrò chiamato trecento volte, porca puttana.»
«Perdonami se qualcuno di noi cerca di avere una vita all’infuori di questo posto» la inseguì la Gingrich «Ieri sera ho fatto tardi e ho letto i tuoi messaggi solo un paio d’ore fa.»
«Hai dormito fino a mezzogiorno?» sbuffò adirata l’altra, cacciando le mani in tasca alla ricerca delle chiavi.
«Nessuno ha mai detto che stessi dormendo» sogghignò la socia.
La donna dai capelli blu emise un verso scocciato. «Bene. Non voglio sentire i dettagli.»
«Non è il caso di essere ostili solo perché una di noi due, casualmente sempre io, è in grado di concludere qualcosa» ribattè Stephanie.
Chloe ripropose un brontolio profondo.
«Se mi dessi retta, ti potrei presentare qualche tipa carina…»
«Steph!» esclamò Chris, raggiungendo le due donne nel parcheggio «Sei arrivata!»
«Salve, Captain Spirit» lo accolse lei, sorridendogli «Non immaginavo che ci fossi anche tu.»
«Se tu avessi letto i miei messaggi con attenzione o risposto alle mie telefonate, lo avresti saputo» sibilò la Price «Ti avevo detto che ci voleva qualcuno che gli tenesse compagnia fino alle cinque.»
«Scusami» mormorò l’amica, con aria colpevole «Non mi ricordavo che oggi fosse domenica e avessimo un ospite.»
«Le tue scuse non mi faranno recuperare il tempo perso. Devo passare da mia madre, andare a casa a farmi una doccia e prepararmi.»
«Oh, per tutti i dadi a venti facce!» la Gingrich scattò sull’attenti «Tu hai un appuntamento!»
«No» si intromise Christopher «Deve andare a cena da mia cugina.»
«Oh» ribadì la donna «Quindi, visto che non potevi avere l’originale Captain Spirit, hai deciso di ripiegare sulla parente più prossima, ottima tattica.»
«Ma mia cugina è sposata con Warren.»
«Oh» ripeté Steph, con diversa intonazione «Chloe, in che guaio ti sei cacciata?» bisbigliò all’orecchio dell’amica «Una donna sposata…»
«Ma piantala!» la allontanò l’altra «Mi ha invitato per ringraziarmi di un favore che le ho fatto durante il ricevimento.»
«Posso immaginare…»
Chloe le tirò uno scappellotto prima che potesse continuare quella frase. «Non osare deturpare la mente di questo povero ragazzino con le tue idiozie.»
Il giovane Eriksen scoppiò a ridere, divertito da quel siparietto di cui riusciva a cogliere solo vaghi frammenti.
«Alla prossima, mio fido apprendista» lo salutò la Price «Puoi passare quando ti pare, nonostante la scuola, anzi, se vuoi saltarla per venire a trovarmi sei il benvenuto.»
Gli occhi del ragazzino brillarono di contentezza.
«Non darle retta, devi studiare per diventare un uomo istruito e non fare la fine di questa zotica» intervenne Stephanie «Soprattutto perché gli zotici non possono fare i supereroi.»
«Me lo rovinerai con le tue paternali pro-secchioni» si lamentò la fioraia, aprendo la porta del pickup «Ha tutte le carte in regola per diventare un vero punk ribelle, seguendo i giusti insegnamenti.»
Mentore e protégé si scambiarono un sorriso complice.
«Non avevi una fretta del diavolo?» borbottò Steph, allontanando la collega dall’influenzabile biondino.
«Giusto» si riprese Chloe, balzando in auto.
Dopo un saluto mormorato da dietro il finestrino, il rombo del motore sovrastò ogni altro rumore e il vecchio veicolo si fiondò lungo il nastro d’asfalto diretto verso la città.

 
***
 
Il numero 44 di Cedar Ave era una casa che da sempre si distingueva tra le altre nel quartiere. Il fatto che fosse dipinta di blu per metà la rendeva una gemma più unica che rara nella fila di villette tutte uguali.
La Price parcheggiò il pickup nel vialetto, come innumerevoli volte aveva fatto in passato.
Grattò la suola degli anfibi sullo zerbino.
Si era trasferita anni prima in un appartamento di un complesso residenziale dall’altra parte di Arcadia Bay e aveva imparato, vivendo da sola e senza nessuno che facesse le pulizie al posto suo, che era buona norma pulire le scarpe prima di entrare.
Bussò un paio di volte prima di aprire la porta con la propria chiave.
«Non devi sempre annunciare il tuo arrivo» la raggiunse una voce dalla vicina cucina.
«Non vorrei mai coglierti in atteggiamenti sconvenienti» ribattè, abbandonando la giacca per terra.
«Sai bene che non potrebbe mai succedere» replicò la voce «E tira su la giacca da terra!»
«Ma come cazzo fai?» borbottò incredula, raccogliendo l’indumento per sistemarlo sull’apposito attaccapanni.
«Una madre sa, sempre.»
Chloe andò a colpo sicuro verso i fornelli, dove trovò Joyce impegnata a far sobbollire uno stufato.
«Ti sto preparando qualcosa da tenere in frigo per questa settimana» disse la donna, rimestando il denso contenuto dall’ottimo profumo «So che settembre è un periodo frenetico al negozio e non voglio che ordini sempre quelle schifezze da asporto.»
«La pizza di Greg non è una schifezza!» contestò la giovane.
«Ho visto quanto sono unti i cartoni che lasci in giro per casa, non venire a raccontarmi storie» replicò la madre «Ti prenderai lo spezzatino, le verdure al cartoccio, le patate al forno, i filetti di pesce, le lasagne…»
«Ma’, hai cucinato per me o per tutto il condominio?»
La massaia fissò intensamente la figlia. «Potresti invitare qualcuno per una cena, ogni tanto.»
«Ma’» ripeté la Price «Non cominciare.»
«Sto soltanto dicendo che sei giovane, hai il diritto di avere una vita e trovare qualcuno con cui condividerla…»
«Mi rifili questa tiritera ogni volta» borbottò «E, come ogni volta, ti dico che lo stesso discorso vale per te: mi troverò una fidanzata solo quando tu ti troverai un uomo che ti costringa ad un hobby diverso dal cucinare per un esercito.»
Non potendo rispondere a tono alla figlia, Joyce tornò a concentrarsi sul cibo. «Non mi distrarre o ti brucerò la cena.»
«A tal proposito, questa sera non mangerò a casa, ho già detto di sì ad un invito» mugugnò Chloe, non sapendo neppure perché.
«Steph e Mikey?»
«No.»
«Hai altri amici di cui non sono a conoscenza?» ironizzò la donna «Sono sorpresa, visto il tuo carattere.»
«Ma’» brontolò l’altra «Seriamente?»
«Devi ammettere che ho ragione, tesoro.»
La fiorista fu tentata di lasciar perdere e tornarsene in macchina.
«Non pensarci nemmeno» la inchiodò la mamma «Non andrai via da qui senza aver preso le scorte che ti ho preparato e senza avermi spiegato meglio i dettagli di questa fantomatica cena.»
Chloe sbuffò, ma si sentì sollevata. Lei e la madre erano molto legate e quei battibecchi erano parte del loro rapporto, del loro modo di comunicare. «Si tratta di una coppia sposata, mi sono occupata degli addobbi al loro matrimonio.»
«Quindi non sono propriamente amici» commentò la madre, aggrottando le sopracciglia «Non è che ti stai cacciando in qualche strana situazione di cui vuoi tenermi all’oscuro?»
«Perché dovete tutti pensare male?» borbottò a mezza voce la giovane Price «Mi hanno invitata per sdebitarsi del fatto che ho tenuto con me in negozio il loro cuginetto nelle ultime settimane.»
«Chi sei e cosa ne hai fatto di mia figlia!?» esclamò Joyce «Non solo stringi nuove amicizie, ma addirittura vai d’accordo con i bambini? Questo sì che è inaudito!»
Le due chiacchierarono un altro po’ davanti alla pentola, tramutando l’iniziale interrogatorio della genitrice riguardo la coppia del mistero in una delle loro classiche conversazioni.
Quando l’orologio segnò le cinque, Chloe si congedò, carica di teglie e tupperware pieni di ogni pietanza possibile. Barcollando, raggiunse il pickup e, assicurato il prezioso carico, sgommò a tutta velocità lungo la Cedar Ave verso il suo anonimo cubicolo ai Pan Estates.
Salendo a fatica le scale, raggiunse la porta dell’appartamento. Per prima cosa si premurò di riporre in frigorifero le scorte materne, poi, senza perdere ulteriore tempo, si lanciò sotto la doccia.
L’accogliente abbraccio dell’acqua bollente la rinvigorì e le levò di dosso l’insolito freddo settembrino, ma la pioggerella rigenerante le portò anche una realizzazione: non aveva niente da portare ai propri ospiti. Così, dopo essersi asciugata in fretta e furia ed aver cercato quell’unico paio di jeans che non fosse sbrindellato oltre l’umana concezione, balzò nuovamente a bordo del proprio fido bolide alla volta del Kabloom.
Una piantina in vaso sarebbe stato un dono ideale, sebbene una composizione di fiori misti potesse risultare più scenica per coloro che non fossero esperti dal pollice verde.
Parcheggiò con una manovra impeccabile accanto ad una berlina rossa sconosciuta e si lanciò dentro il negozio a massima velocità per arraffare un dono appropriato.
«Ciao Steph!» gridò, fiondandosi senza troppe cerimonie sulla selezione di piante da interno.
«Ah, la mia collega la aiuterà subito» le fece eco la Gingrich, comparendo dal retro «È lei la vera esperta di fiori, qui.»
La Price non comprese il senso di quelle parole, fino a che non si trovò faccia a faccia con un cliente, chiaramente alla disperata ricerca di qualcosa. Era un uomo di mezza età, con i capelli scomposti e la giacca spiegazzata, come se si fosse precipitato lì quasi in fretta quanto lei.
«È la mia ultima chance» la apostrofò, gesticolando  «Siete l’unica speranza che mi rimane.»
Dimentica per un momento della coppia che l’attendeva per cena, Chloe si fece attenta. «Mi dica, cosa le serve?»
«Un fiore» ribattè l’uomo «Sì, un fiore, il più bello che avete… Devo farmi perdonare da mia moglie.»
La fiorista iniziò a guardarsi attorno per improvvisare un mazzo adeguato.
«Rose, le rose sono belle» si illuminò l’acquirente «Le piacciono quelle rosse.»
Senza dire una parola, la giovane donna iniziò a selezionare i fiori indicati.
«Cosa vogliono dire?»
Era una domanda che le rivolgevano spesso. «Le rose, quelle rosse in particolare, simboleggiano l’amore.»
«Perfetto!» esclamò lui, apparendo decisamente più sollevato.
«E sono sinonimo di fedeltà.»
L’uomo sbiancò. «Allora no. Dobbiamo trovare qualcosa di diverso. Lei ha la mania del pollice verde e me lo sbatterebbe in faccia.»
«Non si preoccupi» replicò la Price «Che ne dice di questo? È il fiore “uccello del Paradiso”.»
«Mi dica di più.»
«Il nome scientifico è strelitzia, così chiamato in onore di Charlotte di Strelitz, appassionata di botanica e moglie di Re George III d’Inghilterra. Insieme hanno avuto quindici figli e la coppia felice non ha mai speso più di qualche ora senza vedersi.»
Il cliente studiò la pianta verde scuro sulla cui cima trionfava un fiore dai petali arancione brillante che ricordava, per forma e colore, un volatile di qualche regione tropicale. «No, non ci siamo» decretò.
Chloe gli sottopose allora una serie di composizioni variopinte che sperava potessero incontrare il favore del potenziale acquirente, ma lui sembrava incontentabile.
All’improvviso, l’uomo scattò verso un angolo del negozio. «Questo! È perfetto!»
La proprietaria gli vide stringere trionfante tra le mani un cactus in un anonimo vaso di terracotta. Tentò di raccontare come, anche quella scelta, avesse un valore simbolico molto forte. Il cactus, infatti, secondo una leggenda dei nativi americani, era il simbolo dell’amore eterno tra due giovani della stessa tribù fuggiti insieme e tramutati in piante del deserto dalla dea della terra affinchè nessuno potesse separarli.
«Ecco, tenga pure il resto» le disse, sbattendo sul bancone una banconota da cinquanta dollari, senza darle modo di parlare «E grazie!»
La Price rimase qualche secondo imbambolata, un mazzo stretto in mano e la certezza nel cuore che il matrimonio di quel bizzarro cliente non sarebbe durato abbastanza per vedere il Ringraziamento.
«Se n’è andato?» domandò Stephanie, uscendo finalmente dal magazzino «Cominciavo a pensare che avrebbe messo radici qui, con la sua indecisione.»
«Grazie tante per avermi rifilato questa patata bollente» brontolò l’amica «Cosa avresti fatto senza di me?»
«Avrei cominciato con il nascondere il cadavere sotto i sacchi di terriccio.»
La fioraia si concesse una breve risata.
«È stato un gran bel colpo di fortuna per me» commentò la collega «Ma cosa ci fai qui? Non avevi una cena importante?»
«Non volevo presentarmi da loro a mani vuote» spiegò sbrigativa «Sarebbe scortese.»
«Non sia mai che vadano a riferire al piccolo Chris che non rispetti l’etichetta e le buone maniere.»
Chloe ignorò il commento e passò in rassegna una decina di vasi. «Che ne pensi di questi narcisi? Potrebbero piacere?»
Steph inclinò il capo adocchiando i calici bianchi e gialli. «Non hanno un significato negativo? Di malaugurio o qualcosa di simile?»
«Solo se regalati singolarmente» le spiegò l’altra «In numero simboleggiano gioia ed un nuovo inizio. Però il bulbo è velenoso e io non so se abbiano qualche animale domestico che potrebbe accidentalmente intossicarsi…»
La Gingrich provò a dire la propria, ma la compare era persa nei propri ragionamenti.
«Ci vuole qualcosa di più classico, come un’orchidea.»
Stephanie tentò di ricordarle che quell’arboscello significava, comunemente, un pegno d’amore.
«Lo so, pessima scelta» farfugliò la fioraia, proseguendo con il monologo «A Max era piaciuta le selezione del bouquet, potrei portarle un mazzo di calle.»
Fece per avvicinarsi ai fiori recisi, quando scorse una pianta in vaso. «Il giglio degli Inca!» esultò, sollevando il prescelto gruppo di boccioli dalle corolle arancioni «Prosperità, fortuna e legami duraturi, facile da mantenere e di ottima decorazione per davanzali o terrazzi.»
«Quando cominci a parlare così, fai quasi paura» sussurrò la collega.
«Non ho tempo per le tue stronzate» replicò la Price «Passami un fiocco, che sono già in ritardo.»

 
***
 
Maxine sorvegliava dal balcone l’andirivieni delle auto. I quattro condomini del loro complesso, strutture di recente costruzione, si incastravano in un bel quartiere residenziale che si affacciava su un piccolo lenzuolo di verde, ai cui lati erano presenti numerosi parcheggi. Dall’alto, la Caulfield, ormai signora Graham, riusciva ad osservare il piccolo spiazzo del palazzo ed ogni vettura che sfrecciava accanto al giardino, le faceva mancare un battito.
Si sentiva profondamente in ansia per quella cena.
Non appena aveva lasciato il Kabloom aveva pensato di aver commesso una pazzia. Ci era voluto tutto il viaggio in macchina fino a casa e buona parte del resto della mattinata per riuscire a comprendere la portata dell’invito che aveva elargito.
Superato il primo scoglio di panico, era subentrata la paura di non avere quanto necessario per la cena, poi quella di un eventuale rifiuto di Eliot ed ancora quella di una cancellazione all’ultimo momento di uno dei due ospiti.
Warren, che era stato coinvolto nella vicenda quando era ormai pomeriggio inoltrato, si era coraggiosamente messo ai fornelli, nonostante le sue doti culinarie fossero relativamente discutibili.
Insieme, gli sposi avevano messo in scena il perfetto doppio appuntamento, placando in parte le preoccupazioni di Max che, però, avevano ripreso forza con l’avvicinarsi dell’ora fatidica.
Mancavano pochi minuti alle sette e mezza e ancora non c’era traccia né della berlina di Hampden né del pickup che la fiorista aveva affermato appartenerle.
«Pensi che si piaceranno?» domandò al marito, intento ad abbottonarsi la camicia alle sue spalle.
«Lei respira, no? A lui non serve altro.»
«Sì, ma a te piace?»
«Non è proprio il mio tipo, tesoro.»
La giovane si chiese quale potesse essere “il tipo” della fiorista.
«E comunque Eliot parla di lei dal matrimonio, è convinto di aver fatto colpo.»
«Allora andrà bene» disse lei, per convincersi di aver avuto una buona idea.
«Sicuramente.»
«Sai, è buffo» ragionò ad alta voce «Ti ho detto di averla rivista stamattina accompagnando Chris, ma già quando l’ho incontrata la prima volta… Sì, insomma, hai presente quando conosci qualcuno e subito hai la sensazione di averci legato, come se vi foste incontrati prima?»
Lui la lasciò continuare senza interrompere.
«Forse si tratta di fisionomia, affinità, vite precedenti o che altro, ma per qualche ragione ti scatta qualcosa dentro.»
«Il timer!» si illuminò Graham, saettando verso l’interno.
«Come se ci fosse una sorta di disegno del destino…»
«Vieni a controllare che non brucino le lasagne!» la chiamò Warren dalla cucina «Devo andare a mettermi una cravatta pulita, perché questa l’ho macchiata con il sugo delle polpette.»
Maxine rientrò, gettando un’occhiata al forno. La superficie della pietanza cominciava ad annerire pericolosamente, così la padrona di casa si affrettò a spegnere l’elettrodomestico e a salvare il primo piatto, per quanto possibile. Subito dopo, provvide ad aggiungere il sale alla famigerata salsa per le polpette, poiché il consorte, nella fretta, se ne era dimenticato.
Presa com’era dal rappezzare gli elementi per il pasto e dal rassettarsi la camicetta scelta per l’occasione, Maxine non riuscì ad accorgersi della sgommata proveniente dal cortile.
Il campanello la colse di sorpresa e in un lampo si ritrovò ad aprire la porta ad una rigogliosa pianta dai profumati fiori color arancio.
«Buonasera» la salutò l’arbusto, fermo sulla soglia «Spero di non essere in ritardo.»
Max sbirciò oltre il fogliame. «No, sei puntualissima.»
Chloe fece qualche passo verso l’interno, guardandosi attorno per decidere dove appoggiare l’ingombrante dono. «Spero non sia troppo d’impaccio.»
«No, figurati» la tranquillizzò la Caulfield, accogliendo la pianta tra le braccia «Di cosa si tratta?»
«È un giglio degli Inca, nativo dell’America del Sud» spiegò l’esperta «È un segno di buon augurio, mi sembrava adatto ad una coppia appena sposata.»
«Lo apprezziamo molto» affermò la padrona di casa «Adesso gli troveremo un posto appropriato.»
«Se lo aveste, sarebbe ben contento di godere del sole di un davanzale.»
«Il terrazzo potrebbe andare lo stesso?»
«Sarebbe perfetto» affermò la fioraia «Lascia che ti aiuti» proseguì, seguendo la padrona di casa fino alla porta-finestra.
«Il sole sorge da quella parte» indicò Maxine.
«Allora andrà bene esposto qui ad ovest, dove prenderà la giusta quantità di luce.»
Le due sistemarono il vaso in un angolo in modo che il giglio non patisse le intemperie e potesse ricevere la dovuta attenzione dal sole.
«Ah, ma la nostra gradita ospite è già qui!» le interruppe Warren, andando a stringere la mano alla Price «Forse avremo occasione di scambiare più di quattro parole in croce.»
Chloe esibì un sorriso di circostanza.
«Dimmi, credi nella reincarnazione?» proseguì l’uomo di casa «Perché Max mi stava giusto dicendo che le sembra di averti incontrata, in passato.»
Le due donne si fissarono intensamente.
«Non ho detto esattamente così…» obiettò la moglie.
«Me ne sarei ricordata, credo» affermò la Price, indecisa se aggiungere altro.
Il silenzio calò sul trio.
«Vado a finire di preparare» mormorò la Caulfield per spezzare l’imbarazzo «Voi potete approfittarne per conoscervi meglio.»
Costretti dalle insolite circostanze, Graham e la fioraia si accomodarono fianco a fianco su un divano. La bottiglia di vino, sapientemente appoggiata sul tavolino da caffè poco distante, servì a dare il via alla conversazione.
«Il lavoro in laboratorio è spesso stancante» raccontò il giovanotto al secondo bicchiere «Ma mi piace giocare a fare il piccolo chimico, da sempre.»
La fiorista annuì, comprensiva.
«Ho un hobby segreto, però, che avrei voluto trasformare in una sorta di carriera, un giorno.»
«Quale sarebbe?»
«Viaggiare» disse lui, con occhi sognanti «C’è stato un momento in cui ho pensato di mollare tutto e partire solo con uno zaino e una bussola.»
«Sei ancora in tempo per farlo» commentò la Price «Perché ci hai rinunciato?»
«Beh, per il lavoro, la famiglia, Max… Le solite cose» mormorò «Magari un giorno la situazione cambierà.»
«Magari, un giorno» gli fece eco l’ospite, bevendo un sorso.
«Per ora la vita matrimoniale è l’unica avventura di cui ho bisogno» affermò Warren riacquistando il sorriso «Ma dimmi di te: sposata? Mai stata sposata? Ti sposerai mai?»
Chloe deglutì il vino prima di rispondere: «No, no e non lo so, dipende da chi fa e disfa le leggi.»
L’espressione di Warren si fece confusa. «Che vuoi dire?»
«Sono gay.»
Graham rise, ma la sua ilarità si smorzò quando comprese che la sua interlocutrice era seria. «Ma gay o gay?» [1]
«C’è forse una qualche differenza?»
«No, è che noi non lo sapevamo…»
Il campanello intervenne a reclamare l’attenzione generale.
«Finalmente è arrivato Eliot!» annunciò Maxine, facendo cenno agli altri due di seguirla a tavola.
«Fantastico, c’è anche lui» commentò la fioraia, comprendendo finalmente la natura di quell’invito.
«Sì, ecco…» mormorò il padrone di casa «Sarà molto divertente.»
Il quartetto si accomodò a tavola, i due sposini seduti vicini pronti ad alternarsi per fare avanti e indietro dalla cucina, lasciando la sventurata Price in balia di Hampden e i suoi tentativi di approccio.
Il primo piatto segnò il livello di atrocità della cena. Le lasagne, di per sé, non erano malvagie, ma i continui sforzi di Eliot di trovare terreno comune e far colpo su Chloe le avevano fatto andare di traverso più di un boccone.
Arrivati al secondo, un piatto di polpette che si sarebbero potute sostituire a palle di cannone, vista la coriacea consistenza, la conversazione prese una svolta inaspettata, originandosi proprio da una discussione sulla pietanza.
«Warren, mi dispiace dirtelo, ma questa roba è immangiabile» affermò l’amico, tentando di staccare un boccone dall’agglomerato di carne.
«Sul serio?» mugugnò il cuoco, giocherellando tristemente con la propria porzione.
«Mi dispiace, caro, ma è davvero rivoltante» ammise la moglie, disegnando sentieri nel sugo con la forchetta.
Chloe provò ad infilzare una polpetta, spedendola involontariamente dall’altro lato della tavola. Non riuscì a trattenere una lieve risata, che presto contagiò tutti.
«Ma parliamo di cose serie» riportò l’ordine Eliot, sogghignando «Adesso che è passato un bel po’ di tempo: com’è il sesso da sposati?»
La coppia lo fulminò con lo sguardo.
«Ti sembrano domande da fare?» lo redarguì Graham «Sei un vero pezzo d’idiota.»
«È pura curiosità!» si difese «Che ne so io di come si sta una volta condannati a stare per l’eternità con la stessa persona.»
«Dovresti provare, Eliot» intervenne Maxine «Potresti scoprire che la vita nuziale fa proprio per te.»
«E chi sarebbe mai disposto a pigliarsi questo cretino?» infierì Warren.
«Magari qualcuno di interessato c’è» replicò la Caulfield, facendo un suggestivo cenno verso la fioraia.
«Non credo che la sua dolce metà esista, men che meno a questo tavolo» ribattè il consorte.
«E poi sono uno stallone selvaggio ed indomabile» tentò di pavoneggiarsi Hampden, sperando che la sceneggiata da donnaiolo lo aiutasse nel piano di conquista.
«Cambieresti idea, una volta incontrata la donna giusta» contestò la padrona di casa.
«E come dovrei fare a riconoscerla?» chiese lui.
«Non lo sai, non subito almeno» spiegò Max «Ti fa sentire… Tranquillo, a tuo agio. Devi pazientare e dare alla persona un’opportunità, così, prima che tu te ne renda conto, realizzi che debba essere vero amore.»
«Concordo in pieno» la sostenne il marito.
Eliot annuì.
«Io non sono d’accordo.»
Il trio si voltò, esterrefatto, in direzione della fiorista.
Chloe diede un colpo di tosse, poi riprese a parlare: «Penso che tu lo capisca da subito, non appena incontri gli occhi della persona giusta. Tutto ciò che segue quel momento serve a dimostrare che avevi ragione sin dal primo istante, quando realizzi di essere stato incompleto e di aver finalmente trovato la tua anima gemella.»
Ci volle un minuto prima che Hampden trovasse il coraggio di replicare. «In effetti, condivido il suo pensiero.»
«Anche io» cambiò idea il padrone di casa «Allora, posso portare il dolce?»
«No.»
Questa volta a divenire il centro dell’attenzione fu Maxine.
«No?» chiese la Price.
«No» ribadì l’altra «Se questo è ciò che sostieni, allora pensi che tutte le persone che non hanno avuto questa realizzazione istantanea si stiano accontentando?»
L’ospite alzò le mani. «Non è esattamente quello che sto dicendo…»
«In fondo lo è.»
«Penso che lei abbia usato parole più ricercate» intervenne Eliot.
«Qualcuno vuole il budino?» insistette Warren.
La discussione scemò mentre i piatti venivano portati via per fare spazio all’ultima portata.
Le chiacchiere ripresero concentrandosi su argomenti meno controversi che portarono alla conclusione del pasto senza scatenare altri dibattiti.
Quando Graham iniziò a sparecchiare, Chloe si scusò chiedendo di poter andare a fumare in terrazzo, lasciando Max persa ad osservarla dal salotto, mentre i due uomini ne approfittavano per scambiarsi qualche opinione davanti al lavabo.
«Hai visto come mi guardava la fioraia durante il suo discorso?» gongolò Hampden «Parlava di me.»
L’amico scosse il capo, sfregando una padella con la spugna.
«Me lo sento: stanotte me la porterò a letto.»
«E così sei convinto di aver fatto centro?»
«Ne sono certo» affermò.
Il padrone di casa sorrise. «È lesbica.»
«Dici davvero?» fu preso alla sprovvista il compare «Bene.»
«Non pensi che ciò sia un po’ d’intralcio ai tuoi piani di seduzione?»
Eliot fece spallucce. «Se è vero che tutti sono almeno un po’ gay, lei sarà almeno un po’ etero.»
«Questa è la cosa più scema che tu abbia mai detto» decretò Warren, tornando a concentrarsi sui piatti da lavare.
Nel frattempo, l’ospite oggetto del discorso era presa dal godersi una boccata di fumo all’aria fresca. Il giglio degli Inca le teneva compagnia e le luci della città in lontananza apparivano e scomparivano tra le cime degli alberi del parco. Si domandò se si potesse scorgere il mare, poco oltre.
Gettò un’occhiata al traballante bidone dei rifiuti, che sembrava chiamarla con intento complice.
Avvicinò l’improvvisato appoggio alla ringhiera e vi salì sopra, per poter meglio osservare il panorama.
Il tremolio del Pacifico ricompensò i suoi sforzi.
Sentendosi come un capitano di ventura al fiero comando di un vascello, appoggiò un piede sul corrimano, scrutando l’orizzonte.
«Che cosa stai facendo?» chiese un’allarmata Maxine.
«È bellissima la vista da qui.»
«Scendi prima di farti male!»
Chloe, ubbidiente, smontò dal proprio scranno da vedetta e raggiunse la Caulfield per rassicurarla.
«Lo so che la cena è stata un disastro» disse Max «E me ne scuso, ma pensare di buttarsi di sotto mi sembra un gesto un po’ drammatico.»
La Price ridacchiò. «Non c’è da scusarsi, ho mangiato di peggio.»
«Non mi riferivo al cibo, anche se Warren non è il migliore dei cuochi» sorrise di rimando la Caulfield «Ma parlavo del mio comportamento. Non dovevo contestarti in quel modo, prima. Non so cosa mi sia preso, sono scattata.»
«Non sei scattata» mormorò l’altra, gettando il mozzicone spento nel bidone.
La padrona di casa inarcò le sopracciglia.
«Giusto un po’» ammise la fioraia, voltandosi a guardarla in viso.
Si studiarono per qualche istante, fissandosi negli occhi come la prima volta che il destino aveva fatto convergere i loro sentieri.
«Mi duole interrompere questo bel momento di sorellanza» intervenne Graham «Ma domattina mi aspetta una levataccia e Eliot vuole a tutti i costi giocare a strip poker e non mi resta che cacciarlo con la forza.»
«Immagino che questa sia la mia battuta d’uscita» intese Chloe, avviandosi per recuperare la giacca abbandonata sul divano «Volevo ringraziarvi ancora per la serata, è stata… Interessante.»
«Per noi è stato un piacere averti come ospite» ribattè Max.
«Sentiti pure libera di passare per un piatto di polpette ogni volta che ti va» aggiunse il marito, poggiando un braccio sulle spalle della consorte «Prometto di non cucinarle io.»
I tre condivisero un’ultima risata, poi la fiorista si fece aprire la porta e sparì nella tromba delle scale senza neppure accendere la luce.
Come un lampo, Hampden salutò e la seguì, come se non potesse rischiare di perderne le tracce.
È fatta, pensò Maxine, contenta all’idea di rivedere più spesso la fioraia, una volta divenuta la nuova fidanzata del loro amico.
 
***


 
[1]: Questo dialogo è principalmente ricalcato sullo script del film, ma la domanda di Warren, con la sottile differenza di intonazione che ho cercato di segnalare con il corsivo, è una piccola perla della mia esperienza personale. Ancora non so che differenza ci fosse da cogliere.


NdA: cari lettori e lettrici, ben ritrovati. Ci sono buone probabilità che siate sorpresi quanto me di veder uscire questo aggiornamento in linea con la tabella prefissata, vedremo se riuscirò a tenere il ritmo. Settimana prossima è ancora lontana.
Non credo di avere gran che da aggiungere, penso di aver spiegato tutte le cose più importanti nelle note del primo capitolo. Dovessi far luce su qualche punto in particolare ricorrerò ad appunti come quello poco sopra, tecnica già rivelatasi efficace in altre storie.
Momento ringraziamenti: a wislava, come sempre, non solo per correzioni e suggerimenti, ma per tutto l'aiuto e il supporto che mi consentono di non perdere la testa e andare avanti; ad axSalem per essersi lasciata trascinare in un'altra delle mie sconclusionate storie; a tutti gli altri, per aver deciso di investire un po' di tempo a leggere.
Sperando di non mancare al mio impegno settimanale, mi auguro di ritrovarvi presto e vi ringrazio ancora una volta per essere arrivati fin qui.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Life Is Strange / Vai alla pagina dell'autore: GirlWithChakram