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Autore: Exentia_dream2    14/04/2020    2 recensioni
È nato tutto da una scommessa, persa forse volontariamente.
Hermione e Draco, Harry e Ginny, Theo e Daphne... Cosa succederà?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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25 dicembre:



Avrebbe potuto tranquillamente smaterializzarsi nella sua casa a Londra, come avevano fatto Harry e Ginny per arrivare nel minor tempo possibile alla Tana, ma preferí salire sull'Espresso di Hogwarts ed arrivare alla stazione di King's Cross: aveva bisogno di vedere i paesaggi cambiare e Hogwarts allontanarsi, di vedere che lei stava andando via da quel posto, da quei ricordi, da quel dolore. 

Si era seduta in una cabina vuota ed aveva  cominciato a guardare fuori dal finestrino, chiedendosi quanto quelle ore di viaggio l'avrebbero aiutata a smaltire la tristezza. 

Sentiva ancora sulla pelle e sulla bocca i baci che Draco le aveva lasciato la notte prima e avvertiva una morsa allo stomaco ogni volta che ci ripensava: non aveva chiuso occhio tutta la notte, credendo di aver versato tutte le lacrime che aveva in corpo. 

-VATTENE VIA. 

-Io ti amo. 

Prese dalla borsa il diario su cui scriveva i suoi pensieri, rendendosi conto che, di punto in bianco, non aveva scritto più di lei, di lui, di loro. Guardò la data e capí che aveva smesso nel momento in cui si erano incontrati nell'ufficio del Preside, quando Harry aveva scoperto che era stato Ron ad allontanarli: lei aveva smesso e loro erano iniziati. 

Sfogliò ancora le pagine a cui tante volte aveva chiesto conforto, a cui tante volte aveva confessato le sue paure, a cui tante volte aveva confessato la sua confusione sui sentimenti che provava per Draco. Leggeva il suo nome scritto ovunque e poi pagine e pagine su cui non c'erano altro che righe, nient'altro. 

Ricominciò a piangere: non c'era più niente che parlasse di lui, di loro, tranne nel suo cuore. 

Ripensò al tempo che era passato da quando si erano baciati per la prima volta, al buio. 

-Che cazzo ne sai tu di quello che potrei fare io, eh?

-Sei solo capace di fare del male.

Sembrava passato un solo giorno da allora e, invece, era appena la fine di settembre. E ne erano passati di soli e di lune su quel giorno ed era quasi Natale. 

Sentí il freddo più freddo che avesse mai provato, si strinse nella sciarpa, nascondendosi dal panorama grigio che dai finestrini non faceva altro che ricordargli lui: riviveva in ogni particolare quello che era successo nella biblioteca della scuola, mentre Draco la baciava, la odorova, la toccava e lei lo stringeva a sé per non farlo andare via. Si chiese cosa lo avesse fatto fermare, cosa lo avesse allontanato di nuovo da lei. Gli era servito davvero così poco per lasciarla? Gli era servito davvero così poco per tornare ad essere quello di prima che la evitava, che la teneva a distanza, che non la voleva addosso? 

Chiuse gli occhi, lasciando che le lacrime le rigassero il viso. 

Sentiva nella bocca il sapore amaro del niente, forse le avrebbe fatto bene un po' di cioccolato e si girò verso il corridoio del vagone, poi decise che avrebbe preferito dormire e restò seduta. 

Anche ad occhi chiusi, continuava a vedere Draco, senza smettere di piangere e sperando che quel pianto portasse via i suoi ricordi e la sua immagine. 

Avrebbe voluto essere capace di mettere in pausa il battito del suo cuore, di mettere un freno a quei sentimenti che sembravano correre sempre e solo nella stessa direzione, ma, si disse che se avesse saputo farlo, forse, non lo avrebbe fatto. 

Il dondolio del treno sui binari sembrava volerla cullare. Si lasciò andare. 




-Harry, Ginny, finemente siete arrivati.- li salutò Molly, abbracciandoli forte e dando loro un bacio sulle guance. -Quanto sei cresciuta, figlia mia. Venite, su, entrate: Ron è già qui. 

Harry abbassò gli occhi al suolo, poi sorrise. -Salve, signora Weasley. 

-C'è qualcosa che non va, caro? 

-Oh, no… Va tutto bene, davvero. 

Quando entrarono in casa, Harry notò la tavola imbandita e le pentole che bollivano, mentre una sac à poche stava decorando una bellissima torta. 

Ginny, invece, si allontanò con la madre, salendo le scale. 

-Mamma, c'è una cosa che dovresti sapere.- le disse, guardandola negli occhi. -Harry avrebbe preferito che non te ne parlassi, però, beh, io credo che sia meglio che tu lo sappia… 

-Va bene. 

-È una storia un po' lunga… 

-Abbiamo tutto il tempo di questo mondo, il pranzo si prepara da solo.- e sorrise. 

Quando la ragazza però cominciò a raccontare, il sorriso di Molly si affievolí lentamente. 

Ginny le aveva raccontato di come e perché Ron aveva deciso di chiudere la storia con Hermione e di quanto tempo ci fosse voluto prima che i due ricominciassero a salutarsi. Le raccontò che Hermione era stata per un'intera settimana chiusa in un dormitorio insieme a Draco Malfoy ed aveva pianto fino allo stremo prima di capire quello che provava per il ragazzo e, Ron, il suo dolce Ron, invece aveva fatto di tutto per allontanarli. E si era allontanato da Ginny e da Harry e, ormai, non si parlavano più. 

Molly provò un forte senso di colpa che le riempí gli occhi di lacrime, perciò Ginny l'abbracciò. -Mamma, io ho chiesto a Harry di parlare con Ron, stai tranquilla. 

-Non è questo, Ginny. Mi sento profondamente triste per tuo fratello in questo momento: ho cresciuto tutti voi con amore, insegnandovi il rispetto verso le persone e i loro sentimenti, perché Ron ha fatto questo? Non è da lui, lui non… 

-Io credevo che fosse ancora innamorato di Hermione, ma poi l'ho visto più di una volta insieme ad una ragazza di Corvonero e, nel frattempo, continuava a prendere la Polisucco. Probabilmente penserà che io non gli voglia più bene, ma non è così: mi manca tanto, mamma, ma ho cercato di fare la cosa giusta per tutti. 

-E lo hai fatto e sono molto orgogliosa di te. Spero solo che adesso Ron abbia imparato la lezione: io vi amo e vorrei che tutti voi foste felici. E tu in questo momento lo sei, vero? - aspettò che la figlia annuisse, le stampò un bacio sulla fronte e tornò in cucina. 

Ginny rimase da sola, seduta sul suo letto e, quando Harry la raggiunse, lo abbracciò forte. 

-Le ho raccontato tutto. 

-Ma perché? È già abbastanza imbarazzante così, Ginny, perché hai dovuto mettere in mezzo anche Ron?

-Stai litigando con me, Harry? 

-No. È solo che non voglio che la situazione diventi più difficile di com'è. 

-Non lo diventerà, credimi. Fidati di me.

-Ok.- la prese per mano e la invitò senza parole a ballare con lui. 

Ginny appoggiò la fronte a quella di Harry: 

aveva la sensazione che lui fosse la sua unica certezza, la sua bussola, il suo faro nel buio, sempre. 

Lo baciò, poi tornò in cucina tenendolo per mano. Salutarono il resto della famiglia e Ron, che non rispose a nessuno dei due. 

Ginny si soffermò sulla figura del padre: aveva ormai tanti capelli grigi, le rughe sul viso, le esperienze belle e quelle brutte raccontate negli occhi e il perenne sorriso di un bambino.




-Allora che ne pensi?- gli chiese Blaise. -Per te va bene? 

Draco guardava fuori dal finestrino del treno e il panorama era più o meno sempre uguale. 

Si era seduto in uno degli ultimi vagoni, aveva visto Hermione, invece, andare verso uno dei primi: camminava veloce, come la sera precedente, come a volersi allontanare quanto più possibile da lui. 

Poi si voltò verso l'amico. -Cosa? 

-Davvero? Davvero non hai sentito niente di quello che ho detto?

-No. 

-Ma come? Ti sto parlando da almeno mezz'ora, ho iniziato prima ancora di salire sul treno. 

-Ero distratto. 

-Sì, beh, non era importante. Piuttosto, dove sei stato stanotte?

-Nella torre. 

-Grifondoro? 

Gli regalò, in uno sguardo, tutta la rabbia che aveva in corpo. -La torre di Astronomia, idiota. 

Blaise sorrise triste. -C'era un bel cielo. 

-Sì, bello. - aveva provato a contare le stelle per allontanarsi dai suoi errori, ma non ce l'aveva fatta: il ricordo di quello che era successo poche ore prima in biblioteca viveva davanti a lui come un film.

Aveva pensato di andare in guferia, chiederle di raggiungerlo, vederla ancora. 

-Io ti amo. Poi, aveva deciso che allontanarsi da tutto lo avrebbe aiutato a spegnere l'orgoglio, la rabbia o, almeno, il cuore. 

Non era servito: aveva guardato verso il cielo, facendo nascere in lui tanti perché, tanti come, tanti quando, tanti se. 

-Non dovresti stare qui con me. 

-E dove? 

-Dov'eri ieri. 

-Alla torre, te l'ho già detto. 

-Con la Granger, ovunque siate stati ieri notte. 

Draco scosse il capo, poi Blaise gli allungò un piccolo foglio piegato a cui era legato un nastrino rosso. -Cos'è? 

-Un biglietto dei desideri.- Draco alzò un sopracciglio. -È suo. 

-Che me ne faccio?

-Almeno leggilo.- disse, raccontandogli poi che, la sera della festa, aveva visto Hermione precederlo nella Sala Grande, avvicinarsi all'Albero dei Desideri e apporre il biglietto: lo aveva preso lui subito dopo, aveva creduto che quello sarebbe stato un bel regalo di Natale da fargli. 

Draco accarezzò il nastro rosso, rigirandosi la carta tra le mani: per aprirlo gli sarebbe servito un coraggio che lui non aveva, perciò lo mise nella tasca dei pantaloni. -No.

Quando il treno cominciò a rallentare la corsa, Draco e Blaise presero le loro borse e si avviarono verso le porte. -Potresti accompagnarmi? 

-Mh? 

-C'è Pansy più avanti e io e lei passeremo il natale insieme, sai, le famiglie, l'amicizia… 

-Va bene. 

Percorsero il corridoio in silenzio, e, quasi senza accorgersene, Draco guardò in ogni vagone con la speranza di trovare Hermione. 

Quando la vide, addormentata, avvolta nella sciarpa, fece scivolare la porta e le si sedette accanto: aveva il viso rigato dalle lacrime e da qualche residuo di mascara. -Granger. Hermione.- la scosse, lei rimase ferma, con gli occhi chiusi. Le fece ombra con il proprio corpo, poi le lasciò un bacio appena accennato sulle labbra. -Dobbiamo andare, dai, vieni.

Ma lei non si mosse e lui uscí, richiudendo la porta del vagone. 




-Adesso chiudi gli occhi.- le disse guidandola verso il Lago Nero. 

Theo e Daphne avevano deciso di restare a Hogwarts: da quando suo padre era stato catturato e rinchiuso ad Azkaban, infatti, Theo festeggiava il Natale in un luogo sempre diverso, sempre in solitudine e, quando Daphne gli aveva proposto di passare quei giorni lì con lei, non aveva potuto far altro che accontentarla. 

La attirò verso di lui, dandole un bacio sulla tempia, la fece girare su se stessa e poi si allontanò da lei. 

Le disse di aprire gli occhi e Daphne lo fece: aveva davanti un albero dalla corteccia con intrecci molto particolari che creavano ad un certo punto una sorta di ripiano su cui faceva bella mostra di sé una scatolina argentata da cui sembravano uscire delle scintille: la prese e l'aprí trovando all'interno due anelli sottili, perfettamente identici su cui Theo aveva fatto incidere in una lingua straniera la parola sempre. 

Le stava raccontando di averli fatti comprare da Blaise, in quei giorni in cui l'amico era tornato a casa, di aver pensato che magari non le piacessero e che, in quel caso, poteva comprarle qualche altra cosa. 

Daphne rimase con la scatolina aperta e guardò ancora gli anelli con emozione, mettendo subito la più piccola al dito. Portò le mani alla bocca, provando a non piangere. -Posso? - chiese prendendo l'anello più grande. Le si disegnò in mente una delle scene che aveva letto in un romanzo rosa qualche anno prima, quando l'amore per lei erano un principe e una principessa che si innamoravamo.

Con il tempo aveva capito che i principi non erano sempre a groppa di un cavallo bianco e che le principesse, spesso, non avevano occhi che per se stesse e in quel preciso istante, mentre la neve che cominciava a cadere e il freddo, o l'emozione, le faceva tremare le mani, si sentí fortunata. 

-Devi. È solo un piccolo simbolo, Daph… 

-Shhh. È perfetto. È tutto perfetto. 

Dopo, entrambi si guardarono le mani: due sottili fili che segnavano l'appartenenza dell'uno all'altra, per sempre. 

Ed era proprio quello il tempo che avrebbe voluto trascorrere con lui. 

Daphne si avvicinò ancora, lo abbracciò forte: le sembrava di non riuscire a trovare le parole per esprimere la gioia che sentiva esploderle nel petto, poi si ricordò del regalo che aveva lasciato nel suo baule, prese Theo per mano e lo riportò nei sotterranei. 




Quando arrivò a casa, Hermione abbracciò forte i suoi genitori. -Hai l'aria stanca. 

-Sì, è stato un viaggio pesante, mamma. 

-Su, vai a farti un bel bagno caldo. Rilassati un po' prima di cena. 

Annuí e si avviò per le scale, raggiungendo il bagno e aprendo l'acqua calda per riempire la vasca. 

Si guardò allo specchio che rifletteva un'immagine di lei distrutta, con gli occhi infossati nelle occhiaie e nelle lacrime che aveva pianto. Poi, il vapore nascose il suo riflesso. 

Aveva creduto che tornare a casa l'avrebbe aiutata e, invece, tornare, guardare l'albero che quell'anno era stato addobbato con palline e luci verde e argento, la fece sentire ancora più triste. Guardò in alto per non piangere ancora. 

Quando sentì aprire la porta del bagno e vide sua mamma sedersi su una piccola panca in legno, Hermione si rese conto di essere scivolata in un sonno senza sogni. 

Le sorrise. -Come stai, mamma? 

-Molto bene, tesoro. E tu?

-Sono solo molto stanca. -le rispose, abbassando lo sguardo sulle bolle di sapone che le solleticava la pelle. 

-E quegli occhi tristi? C'entra un ragazzo? 

Non seppe mentire. -Però, adesso è tutto passato. 

-Non puoi, Hermione, non puoi pensare che io ti creda. Ti aspetto in cucina. 

Quando fu di nuovo da sola, si permise di piangere, di lasciarsi andare completamente a quel dolore e alla sensazione di vuoto che aveva avvertito in treno, quando aveva aperto gli occhi e si era trovata da sola: lui non c'era quando aveva aperto gli occhi, non lo aveva visto nemmeno dopo essere scesa dal treno e, nonostante questo, era sicura che lui le avesse parlato. Lo aveva sentito ed aveva sentito quel bacio, l'odore dell'inverno, la sua voce, o forse era stato solo un sogno. 

Si toccò la bocca, poi si avvolse nell'accappatoio e si sedette sulla panca dove poco prima era seduta sua mamma. 

Si guardò le gambe, immaginò  Draco mentre le accarezzava, che si incastrava tra loro, come la sera precedente, quando lei aveva creduto che tutto potesse tornare come prima di quel silenzio, quando lei aveva creduto che, finalmente, avrebbero fatto l'amore. 

Quella notte le sembrò infinita: aveva dormito poco e male, sentiva la testa pulsare forte, gli occhi pesanti. 

Quando guardò per l'ennesima volta la sveglia sul comodino, le lancette segnavano le quattro. Fuori era buio. 

Il mattino dopo, Hermione si svegliò molto presto, ma decise di rimanere a letto: sentiva di non avere la forza di sorridere. 

Il Natale non le stava portando la gioia che aveva sperato, i ricordi non si erano allontanati insieme all'immagine di Hogwarts, il dolore non fingeva nemmeno di vestirsi da allegria. 

Si vestí comunque, trascinando i piedi sul pavimento, scendendo le scale, evitò di guardare l'albero addobbato e si avvicinò al divan dove i suoi genitori erano già seduti pronti a darle i regali. 

Uno in particolare, però, attirò la sua attenzione. -Quello?- chiese indicandolo. 

-Ah sì, beh, l'ha portato qui un bel ragazzo alto, con i capelli scuri. È tuo. 

-Un ragazzo? 

-Sì. Che aspetti? Aprilo. 

-Vado in camera, mamma. Preferirei stare da sola.- così si avviò di nuovo per le scale, risalendole in fretta. 

Si appoggió sul letto, provò a fare respiri più profondi: non voleva che la delusione le spezzasse il fiato, non voleva sentire i polmoni e lo stomaco chiudersi. 

Sentí il tremore nelle mani farsi più forte, riuscendo con fatica ad aprire la piccola scatola: al suo interno trovò un piccolo origami rosso a forma di fiore che si muoveva come se fosse stato accarezzato dal vento e al centro di cui era sistemata una collana sottile con un ciondolo dorato a forma di cuore. 

Aveva gli occhi umidi e, quando sollevò la collana, notò una piccola incisione: Mia, tuo. 

Scoppiò in lacrime, maledicendo il giorno in cui quelle parole avevano smesso di essere vere. 

Maledisse i baci, gli sguardi, gli abbracci, il suo sorriso e la sua risata, i silenzi, la rabbia, le paure, i passi in avanti e, soprattutto, i passi indietro. 




Malfoy Manor era più tetro che mai: erano pochi gli addobbi che Narcissa aveva deciso di esporre a causa di Lucius che, da quando il Signore Oscuro aveva perso la propria causa, aveva cominciato ad odiare il mondo intero. 

Draco restò chiuso nella sua stanza, portando a sé, grazie ad un colpo di bacchetta, un paio di bottiglie di buon whisky. 

Aveva gli occhi rivolti al soffitto e sentiva la rabbia crescergli nel petto ogni volta che ripensava a suo padre, alle parole che gli aveva rivolto, al disprezzo con cui lo aveva guardato: quando Draco si era seduto al tavolo, in qualche modo aveva trovato il coraggio di confessare il suo amore per Hermione Granger e Lucius gli aveva vomitato addosso tutta la delusione e il disgusto che provava nei suoi confronti, arrivando a puntargli la bacchetta contro. -Preferirei vederti morto piuttosto che con una mezzosangue. 

-Lo preferirei anche io, avanti, fallo.- aveva urlato, aprendo le braccia per lasciare il corpo libero. 

Narcissa si era intromessa, aveva allontanato il marito, urlandogli contro la sua infelicità: tanti anni incastrata in un matrimonio che non aveva mai voluto con un uomo che non aveva mai amato. 

Draco, nel frattempo, aveva girato le spalle a quelle urla: aveva bisogno di tutto ciò che in quella casa non avrebbe mai trovato. 

Si sentiva sull'orlo del baratro, con il pensiero sempre fisso a quella notte in biblioteca e la speranza che Hermione avesse trovato il suo regalo. Si chiese dove fosse, con chi, cosa stesse facendo. Si chiese se avesse sorriso… 

Anche lui come Theo aveva chiesto aiuto a Blaise: nel momento in cui aveva saputo che l'amico era a Londra, decise che gli avrebbe mandato un gufo e lo fece la sera stessa. 

Il lampo che illuminò la stanza lo fece tornare alla realtà di casa sua. 

Aveva salito le scale, stendendosi di peso sul letto ed aveva chiuso il mondo fuori. 

Rimase giorni chiuso lí, con la perenne sensazione di essere vuoto, di non avere più il controllo sui suoi pensieri e sui suoi sogni. Ogni notte vedeva il suo viso che gli sorrideva, gli occhi riempirsi di lacrime. -Io ti amo. 

Si svegliava, si passava una mano tra i capelli e il suo viso scompariva, insieme al suo sorriso, insieme alle sue lacrime. 

Biascicava parole senza senso, guardava le bottiglie di whisky ormai vuote, ricordava il sapore della bocca di Hermione, il suo odore, -Girasoli, grano, estate… Odore di Nutella e shampoo alla pesca, le sue mani, la sua paura, il suo orgoglio, le sue parole, i suoi silenzi. 

Quando bussarono alla porta, voltò leggermente la testa. -Avanti. 

-Draco.- Era strano per lui che Narcissa fosse lí, perché di solito il pranzo o la cena a cui lui si rifiutava di partecipare veniva annunciato da un elfo domestico di cui non ricordava il nome. -Forse, dovremmo parlare. Di tutto. 

-Cosa vorresti sentirti dire? Che non è vero? Che non la amo?- la donna restò in silenzio. -Se è così, puoi anche andare via. 

-No, vorrei sentirti dire che proverai a creare l'occasione per essere felice. 

-E se l'avessi già sprecata? 

-Potrai crearne un'altra, se è davvero quello che vuoi. Non è un sentimento facile, l'amore, non dopo l'odio, non dopo il disprezzo. Meritiamo tutti di essere felici, Draco, e lo meriti anche tu. Se vuoi, se puoi, provaci. 

-Credo sia tardi. 

-Non lo è mai. Quando si ama, l'ultima possibilità è sempre la penultima. 

-Mh… 

-Ho fatto un viaggio bellissimo, tanto tempo fa… Non sono mai più veramente tornata da quel posto. 

-Dove sei stata? 

-Nel cuore dell'unica persona che io abbia mai amato. 

Continuò a guardare il soffitto, finché Narcissa non lo lasciò solo. 

Non aveva ricevuto nessun regalo di Natale, non aveva né pranzato né cenato insieme ai suoi genitori, non aveva più visto la luce del giorno se non attraverso le finestre, quando si affacciava per guardare il giardino e trovare un motivo per uscire dalla sua camera. Non ne trovava mai uno valido o non voleva trovarlo. 

Ripensò a Hermione, alla guerra che gli era scoppiata dentro quando aveva capito che amava averla intorno e odiava vederla allontanarsi: non voleva, aveva paura di farlo, eppure la lasciava sempre andare, come se, facendolo, accettasse le sue spalle, i suoi addii. 

Si sentí triste e, in quel momento, sentí forte l'impulso di leggere il biglietto che gli aveva dato Blaise sul treno, mentre lui guardava fuori e nella sua mente riviveva l'ultimo bacio che le aveva dato, le ultime parole che lei gli aveva detto.

-Io ti amo. e in quel momento, più che mai, capí di essere innamorato. Innamorato e solo. 

Chissà cosa gli avrebbe detto, invece, vedendolo in quello stato: ridotto uno straccio, con gli occhi rossi, l'andatura di un ubriaco, mentre evitava di giudicarsi e di vivere. 

Si alzò, rovistando nelle tasche del pantalone e, quando lo trovò, sentì il coraggio evaporare. 

Guardava quel piccolo foglio di carta, lo accarezzava. 

Quali parole avrebbe letto? Quali parole avrebbe voluto leggere? 

Lo aprí, sciogliendo lentamente il nastro a cui era legato. Chiuse gli occhi, toccando la carta stropicciata, come a voler sentire prima con le mani. Sentiva il cuore salirgli in gola, il battito accelerato. Sentiva, più di tutto, il peso dei suoi desideri e la paura che comportavano. 

Quando però aprí gli occhi, il suo cuore smise di battere: una sola parola, sei lettere, niente più. Sorrise. 

Ancora, sí, ancora. 




Angolo Autrice:

Caro lettore, benvenuto alla fine di questo capitolo, per me molto importante: è stato difficile scriverlo, davvero, ma ne sono abbastanza fiera e spero che possa piacere anche a te. 

Sarei davvero contenta se tu recensissi, scrivendo ciò che pensi: per chi scrive, conoscere il parere di chi legge è davvero fondamentale, perciò… 

Ti ringrazio di essere arrivato fin qui. 

A presto, Exentia_dream2



   
 
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